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Deducevano, oltre la “nullità” dell’ordinanza impugnata e dei presupposti provvedimenti di diniego di sanatoria per avere l’amministrazione provveduto oltre il termine di ventiquattro mesi previsto dall’art. 32 della l. 24.11.2005, n. 326, l’illegittimità derivata dell’ordinanza di demolizione in relazione ai vizi già dedotti avverso i suddetti provvedimenti di diniego, contestando l’assunto del Comune secondo cui il cambiamento di destinazione d’uso non sarebbe stato completato e l’avanzamento delle opere non sarebbe stato tale da renderle idonee all’uso cui erano adibite.
In tal senso sottolineavano che la stessa ordinanza – ingiunzione dava atto della circostanza che l’abitazione A era stata interamente ultimata, mancando unicamente i radiatori e il rivestimento del vano scale. Per quanto concerne l’abitazione B, l’ordinanza attestava l’intervenuto cambio di destinazione d’uso del locale autorimessa in residenziale; parte del locale era stato accorpato all’abitazione A, mentre per il resto la struttura risultava realizzata a grezzo.
Secondo gli originari ricorrenti, la mera descrizione dello stato delle opere rappresentava dunque la conferma che la trasformazione edilizia, alla data di presentazione delle istanze di condono, era stata interamente attuata.
I ricorrenti deducevano altresì che non era stata effettuata la comunicazione di avvio del procedimento e che comunque il Comune non aveva verificato la possibilità di infliggere una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.
Alla camera di consiglio fissata per la discussione della sospensiva il TAR Lazio emetteva una sentenza in forma semplificata, con la quale rigettava sia i motivi di impugnazione fondati sull’avvenuta formazione del silenzio – assenso (che era impedito dalla mancata tempestiva allegazione di tutta la necessaria documentazione), sia quelli di ordine procedurale riferiti alla motivazione dei provvedimenti e alla comunicazione di avvio del provvedimento di demolizione, trattandosi di adempimenti a carattere vincolato in caso di abuso edilizio.
Il TAR riteneva invece palesemente illegittimo il diniego di condono siccome “fondato su una errata rappresentazione dei fatti in quanto dalla stessa verbalizzazione delle ispezioni compiute in loco dai propri funzionari emerge, al contrario di quanto dedotto dal Comune, che lo stato dei luoghi era idoneo a denotare con univocità la loro idoneità al cambio di destinazione d’uso oggetto del condono edilizio e le relative trasformazioni edilizie, seppure non ultimate, erano già ad uno stato di avanzamento tale da rendere definitiva la nuova volumetria e la nuova destinazione d’uso”.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), deducendo:
1) Erroneità di motivazione e travisamento dei fatti. Inversione dell’onere probatorio in violazione dell’art. 2697 e.civ.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, L. n. 326/2003 e relative Circolari Ministeriali applicative.
La sentenza impugnata si fonda essenzialmente sull’assunto secondo cui poteva ritenersi ormai concretizzato il cambio di destinazione d’uso per il quale i ricorrenti avevano fatto istanza e che, pertanto, il diniego di condono doveva ritenersi illegittimo, con la conseguente illegittimità derivata del provvedimento di ripristino adottato dal Comune in considerazione della abusività delle opere non sanate.
La motivazione della decisione gravata appare tuttavia erronea per non avere considerato la rilevanza dell’epoca di ultimazione dei lavori.
Il primo giudice, infatti, non ha tenuto in debita considerazione i molteplici indizi dai quali l’amministrazione aveva desunto che il cambio di destinazione d’uso non si fosse concretizzato alla data del 31.3.2003, come richiesto dall’art. 32 della l. n. 326/2003.
La stessa documentazione fotografica allegata dai ricorrenti alla domanda di condono rendeva palese il fatto che gli immobili fossero allo stato rustico. Peraltro, non vi era traccia documentale del fatto che internamente fossero state realizzate le opere necessarie a rendere palese ed effettivo il mutamento d’uso a scopi residenziali.
Il Comune mette altresì in rilievo che vi era pure evidenza del fatto che i ricorrenti avessero proseguito i lavori anche dopo il termine di ultimazione normativamente previsto.
Era infatti avvenuto che, a seguito di una DIA dagli stessi presentata nel luglio 2003, i tecnici comunali avessero effettuato un sopralluogo, in data 18.7.2003, dal quale era emerso che gli immobili erano ancora allo stato rustico, consistente nella mera struttura portante in cemento armato e copertura a tegole. Analoghe conclusioni si traevano, peraltro, dalla perizia giurata dell’arch. Ca. del 12.8.2003, pervenuta all’amministrazione alcuni giorni più tardi in allegato alla DIA.
Anche da questa perizia si evinceva che le opere erano ancora prive sia delle tamponature perimetrali che delle tramezzature interne.
Di tanto, vi è era poi prova inconfutabile nella documentazione fotografica allegata all’accertamento tecnico del 18.7.2003.
L’amministrazione lamenta, infine, che la decisione in forma semplificata abbia compromesso la corretta istruzione del processo, anche considerando il fatto che, comunque, esso aveva fornito idonei indizi circa la non tempestiva ultimazione dei lavori.
In data 24.6.2011, si sono costituiti gli appellati, con comparsa di stile.
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