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In ordine a quest’ultimo punto, il Collegio rileva che l’approvazione di un piano di lottizzazione (species di piano attuativo) costituisce una mera previsione urbanistica che, ove non seguita da apposita convenzione con i soggetti interessati, ossia da un atto lato sensu pattizio fonte di reciproci diritti ed obblighi fra le parti, non è ex se idonea a cristallizzare in capo al privato una posizione giuridica qualificata e, per così dire, “piena” circa il mantenimento della destinazione prevista dal piano.
Nel caso di specie, in particolare, la stessa deliberazione consiliare n. 15 del 16 gennaio 1995 di approvazione del piano dava atto che, “ad avvenuta esecutività del presente provvedimento, si procederà alla stipula della convenzione prevista dall’art. 28 della l.r. 56/1980”; inoltre, la deliberazione commissariale n. 750 dell’8 giugno 1994 con cui era stato in precedenza adottato il piano significava, nell’approvare lo schema della convenzione, che, “all’atto della stipula, saranno inserite ? le integrazioni e le precisazioni che si renderanno necessarie ed utili a definire in tutti i suoi aspetti l’atto suddetto”.
Emerge per tabulas, dunque, che l’approvazione del piano non concludeva il procedimento né, tanto meno, ne consentiva la materiale esecuzione, di contro rimessa alla futura stipulazione di apposita convenzione, atto espressamente previsto dalla legge regionale (art. 28 l.r. 31 maggio 1980, n. 56) che ne disciplina nel dettaglio, peraltro con valenza inderogabile (“la convenzione regolante i rapporti tra Comuni e proprietari degli immobili compresi nel piano di lottizzazione deve prevedere?”), il contenuto.
Del resto, pure la coeva deliberazione consiliare n. 16, cui fa riferimento la ricorrente, si limitava a qualificare la realizzazione della Ch. di S. Gi. e dell’annesso Centro studi, previste nell’ambito del piano di lottizzazione, come opere di urbanizzazione secondaria ai sensi della l.r. 6/1979 e prescriveva l’ultimazione dei relativi lavori “entro sei anni dalla data della stipula della convenzione”, anche in questo caso, dunque, traguardata come evento futuro da cui dipendeva l’effettiva e materiale attuazione del piano.
La mancata stipulazione della riferita convenzione, pertanto, esclude che in capo alla ricorrente si sia mai cristallizzata una posizione giuridica qualificata al mantenimento della tipizzazione (omissis), tanto più che, a quanto consta, il cennato piano non ha mai avuto, dal 1995, concreta attuazione.
Nella specie, comunque, la tipizzazione agricola delle aree de quibus è stata disposta a seguito di un elemento sopravvenuto all’adozione del piano, formalizzata con deliberazione consiliare n. 10985 del 25 luglio 2001: l’inclusione della zona de qua nel pSIC (poi SIC) “Bo. di Me.”, disposta dalla Regione con l’impugnata deliberazione giuntale n. 1157 dell’8 agosto 2002, e la conseguente valutazione di incompatibilità della destinazione (omissis) con le esigenze di tutela ambientale della zona, contenuta nei tre pareri emessi nel 2005, 2006 e 2008 dall’Ufficio parchi della Regione ai sensi dell’art. 5 d.p.r. 8 settembre 1997, n. 357 (che, sin dal 2003, dunque prima dell’espressione dei pareri de quibus, si riferiva anche ai pSIC).
A prescindere, dunque, dalla carenza in capo alla ricorrente di una posizione giuridica qualificata riveniente dal vincolo convenzionale con l’Ente locale, come tale non alienabile motu proprio ed unilateralmente dalla mano pubblica, l’esposta riconduzione della zona de qua nell’ambito di un’area protetta ed il successivo giudizio di incompatibilità della proposta tipizzazione (omissis) costituivano un novum fattuale e giuridico da cui, per vero, discendevano per le Amministrazioni coinvolte nella redazione, adozione ed approvazione del P.R.G. precisi ed inderogabili doveri in punto di disciplina urbanistica, stante l’imperatività della normativa, tanto europea quanto nazionale, in punto di tutela ambientale.
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