Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 22 settembre 2014, n. 4735

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1014 del 2008, proposto da:

Ni.Fl., De.Cl., rappresentati e difesi dall’avv. Gi.Ma., con domicilio eletto presso Gi.Ne. in Roma, via (…);

contro

Comune di Marino; Soc. D. S.r.l., rappresentato e difeso dall’avv. Ma.Pe., con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, Piazzale (…) ed altri (…);

per la riforma

quanto al ricorso n. 1014 del 2008:

della sentenza del T.AR Lazio – Roma: Sezione II Bis n. 10668/2007, resa tra le parti, concernente provvedimento di annullamento in autotutela di concessione edilizia

quanto al ricorso n. 10043 del 2008:

della sentenza del TAR Lazio – Roma: Sezione II Bis n. 10668/2007, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 4843 del 2013:

della sentenza del TAR Lazio – Roma: Sezione II Bis n. 03643/2013, resa tra le parti, concernente della concessione edilizia in variante

quanto al ricorso n. 5469 del 2013:

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma- Sezione II Bis n. 03643/2013, resa tra le parti, concernente della concessione edilizia in variante

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ds Domus S.r.l. e di D. Srl e di Comune di Marino e di Claudio Deli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Gi.Gi. ed altri (…).

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Società D. otteneva dal Comune di Marino la concessione n.10161 del 15/1/2002 per un intervento di ristrutturazione , ampliamento e sopraelevazione di un fabbricato insistente in area sita in località S. Maria delle Mole, via Settembrini, con la previsione di un indice di fabbricabilità di 2 mc/mq .

Successivamente il suindicato Comune adottava con delibera del 24/11/2000 n.62 una variante generale al PRG secondo la quale ritenendo decaduti i vincoli di inedificabilità ed in applicazione delle misure di salvaguardia riteneva applicabili gli indici di fabbricabilità già previsti per la tab. A delle NTA del PRG , con indice di fabbricabilità di 3 mc/mq.

A seguito di detto deliberato la predetta Società chiedeva il rilascio di una variante per poter realizzare una maggiore cubatura e il Comune con provvedimento del 4/3/2003 n.10161/S/V autorizzava la realizzazione dell’intervento edilizio de quo con i nuovi indici di fabbricabilità.

Quindi il Comune di Marino con delibera consiliare n.45 del 2003 annullava la precedente delibera n.50/01 e a seguito di ciò inviava alla D. nota del 29/7/2003 di comunicazione di avvio del procedimento di riesame del titolo ad aedificandum alla stessa rilasciato, cui faceva seguito il provvedimento n.00044511 del 19/10/2004 di annullamento della concessione edilizia n.10161/S/V del 4/3/2003.

La Società interessata impugnava con ricorso n.12774/04 tale provvedimento innanzi al Tar del Lazio che con sentenza n.10668/07 accoglieva il proposto gravame ritenendo illegittimo l’ intervenuto esercizio del potere di autotutela , non avendo, in particolare l’Amministrazione fornito adeguata contezza delle ragioni giustificative della decisione di rimuovere il provvedimento de quo, a fronte “dell’affidamento creatosi in capo ai privati della legittimità degli atti”, mentre lo stesso giudice respingeva perché infondata la formulata pretesa risarcitoria .

La sig.ra Fl. e il di lei figlio De.Cl., titolari di diritti reali su beni immobili insistenti in area finitima a quella interessata dall’intervento edilizio autorizzato in favore della D., hanno impugnato con appello rubricato al n.10014/2008 il suindicato decisum del Tar , deducendone la erroneità per i seguenti motivi:

1) violazione art.39 c.p.c. , omessa declaratoria di litispendenza e omessa applicazione degli artt. 274 e 273 c.p.c., nonché in rapporto alla legge 205 /200 dell’art.7 che determina necessità di contraddittorio pieno , per quanto attiene a controversie riguardanti “comportamenti delle pubbliche amministrazioni;

2) difetto assoluto di motivazione;

3) erroneità delle statuizioni rese circa la infondatezza delle eccezioni di inammissibilità sollevate dagli interventori ad opponendum, attuali appellanti , in quanto controinteressati;

4) violazione di legge, in particolare art.21 nonies legge n.241/90 ed incompatibilità della giustificazione di inerzia e di eccessivo distacco cronologico tra provvedimento dominante e provvedimenti concessori connessi nonché fra caducazione del provvedimento dominante e atti di annullamento conseguenti, aventi caratteristica di atti dovuti.

Si è costituita in giudizio la Società D. che ha contestato la fondatezza del proposto appello e chiesto la conferma dell’impugnata sentenza, con condanna degli appellanti al risarcimento del danno per lite temeraria per un importo non inferiore a 500.000 ,00 euro.

Anche il Comune di Marino con ricorso in appello rubricato al n.1043/2008 ha impugnato la sentenza del Tar del Lazio n.10668/07 denunciando a sostegno del proposto gravame, con un unico articolato motivo le seguenti censure:

– violazione e falsa applicazione degli artt.21 octies e nonies della legge n.241/90 – contraddittorietà e illogicità manifesta; irragionevolezza .

Si è costituita in giudizio per resistere all’appello la società D. che ha chiesto la reiezione dell’impugnativa de qua , ritenendola infondata.

Sono intervenuti ad adiuvandum dell’appellante Comune i sigg.ri Ni.Fl. e De.Cl. concludendo anch’essi per la riforma della sentenza n. 10668/07.

Intanto i predetti sigg. Ni.-De. avevano impugnato innanzi al Tar del Lazio, con ricorso n.7518/2004 l’atto di concessione in variante prot. n. 10161/S/V del 4/3/2003 nonché la concessione n.1016/S del 15/1/2001 e i presupposti atti comunali e l’adito Tribunale con sentenza n.3643/2013 accoglieva detto gravame, con annullamento del titolo ad aedificandum in variante di che trattasi.

Il Comune di Marino con l’atto di appello rubricato al n. 4843/2013 ha impugnato la suindicata sentenza deducendo i seguenti motivi:

1) irricevibilità del ricorso di primo grado in quanto tardivamente proposto;

2) improcedibilità del ricorso di prime cure per sopravvenuta carenza di interesse ;

3) error in judicando in quanto il Tar non avrebbe tenuto conto relativamente all’esercitato potere di autotutela da parte del Comune del principio di affidamento del privato.

Ad adiuvandum delle ragioni dell’Ente locale appellante è intervenuta la società D..

Infine, anche la Società testè indicata (D. s.r.l.) con appello n. 53469/2013 è insorta avverso la sentenza n.4363/2013, ponendo a fondamento del gravame i seguenti motivi:

1) violazione di legge – violazione del principio del legittimo affidamento – violazione dei principi comunitari- violazione e falsa applicazione degli artt.3 e 97 Cost.- eccesso di potere per carenza di istruttoria – difetto di motivazione;

2) travisamento dei fatti- insussistenza dell’eccesso di cubatura rilevato.

Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Marino che i sigg.ri Ni.-De..

Le parti hanno poi prodotto a migliore illustrazione delle loro tesi memorie difensive anche di replica.

All’udienza pubblica del 13 maggio 2014 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente il Collegio deve disporre la riunione dei quattro ricorsi in appello all’esame in ragione degli evidenti elementi di connessione sia soggettiva che oggettiva intercorrenti tra gli stessi e tanto anche ai sensi dell’art.96 c.p.a. , tenuto conto che con separate impugnazioni vengono gravate le stesse sentenze (Tar Lazio nn.10668/07 e 3643/2013).

Oggetto della controversia complessivamente considerata è il provvedimento comunale con cui la Società D. è stata autorizzata ad effettuare un intervento edilizio di ampliamento e ristrutturazione con l’utilizzo di un indice di fabbricabilità di 3mc/mq, atto la cui legittimità è contestata dai vicini e che poi è stato destinatario di una determinazione di rimozione in autotutela da parte dell’Amministrazione comunale, annullata invero dal giudice di primo grado con la prima delle sentenze impugnate

Ciò precisato in ordine alla questione sostanziale qui in rilievo, con i primi due appelli all’epigrafe (proposti rispettivamente da Ni.-De. e Comune di Marino) viene impugnata la sentenza n.10668/07 con cui il Tar, pur riconoscendo il non consentito sovradimensionamento del permesso di costruire quanto a cubatura, ha tuttavia annullato il provvedimento di autotutela adottato dal Comune posto che, a suo avviso, il disposto annullamento sarebbe stato adottato a distanza di tempo, con conseguente affidamento in capo alla Società D. alla “conservazione della legittimità” del titolo ad aedificandum in contestazione e senza che l’Amministrazione abbia proceduto, in sede di motivazione, alla comparazione degli interessi coinvolti.

Ebbene, ad avviso della Sezione, i gravami all’esame appaiono meritevoli di accoglimento in relazione alle censure dedotte, rispettivamente col quarto mezzo d’impugnazione per l’appello rubricato al n.1014/2008 e con l’unico, articolato motivo, per l’appello di cui al n.10043/2008 .

Ritiene , invero, il Collegio che il Tar ha dato del potere di autotutela esercitato nella fattispecie dall’Amministrazione comunale di Marino una interpretazione che si rivela errata in quanto in contrasto con i principi giurisprudenziali che reggono l’istituto giuridico in questione e per altro verso perché illogica e contraddittoria.

Secondo un preciso orientamento giurisprudenziale l’esercizio del potere di autotutela presuppone il riscontro della illegittimità dell’atto originariamente adottato al fine di ripristinare la situazione di legalità violata, oltre alla valutazione della rispondenza della rimozione dell’atto illegittimamente a suo tempo emesso all’interesse pubblico concreto ed attuale (cfr Cons.Giust. Amm.Reg. Siciliana 21 aprile 2010 n.553; Cons. Stato Sez. VI 8 marzo 2012 n.1308; idem 3 marzo 2006 n.1023 ; 4 aprile 2008 n.1414) .

Tali condiciones iuris già fissate dalla giurisprudenza sono state peraltro espressamente prese in considerazione dal legislatore allorchè con la previsione di cui all’art.21 nonies introdotta alla legge n.241 del 1990 è stato formalmente contemplato l’istituto dell’annullamento d’ufficio.

Ora i presupposti di fatto e di diritto richiesti per l’esercizio dello jus poenitendi, come poi trasfusi nella legge sul procedimento amministrativo, appaiono pienamente rinvenienti nella fattispecie se è vero che l’Amministrazione annullando d’ufficio il permesso di costruire in variante del 4/4/2003 è andata a porre fine ad una situazione di illegittimità costituita dal fatto che l’autorizzazione di realizzare una volumetria sulla base di 3 mc / mq si pone in contrasto con la disciplina urbanistica di cui all’art.8 delle NTA del PRG del 1979, non potendosi nella zona interessata (B) applicare il regime più favorevole quanto ad indice di fabbricabilità , riservato unicamente per le zone A .

Di tanto il Comune si era reso conto adottando in primo luogo la deliberazione consiliare n.45/ 2003 di annullamento della più ” favorevole” delibera n.50/2001 in tema di indici di fabbricabilità e a ciò non poteva non seguire, quale necessaria conseguenza giuridica, l’adozione del provvedimento n.44511 del 29 ottobre 2004 con cui appunto si è proceduto ad annullare in autotutela il titolo ad aedificandum in precedenza rilasciato a D..

Appare evidente che la rilevata situazione di non conformità urbanistica del titolo edilizio rilasciato , in ragione della natura e consistenza dell’addebito mosso, e la imprescindibile necessità di adeguare lo stato dei luoghi derivante dall’utilizzazione del permesso di costruire al quadro normativo di riferimento, sono elementi che di per sé costituiscono ragione pienamente giustificativa per l’esercizio del potere di autotutela (Cfr Cons. Stato Sez. VI n.1308/12 già citata), senza che sia necessario “dilungarsi ” su altri elementi di giudizio convergenti sulla determinazione di annullare quanto già autorizzato.

Nondimeno, come peraltro riportato dalla stessa sentenza qui in discussione, il Comune con il provvedimento tutorio ha avuto cura altresì di dare atto della prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dello status quo , ponendo in evidenza la “lesività del tessuto urbanistico -edilizio in termini di funzionalità e vivibilità dell’insediamento abitativo”e assolvendo in tal modo, ammesso che ve ne fosse bisogno, all’aggiuntiva esigenza di dare contezza della incidenza negativa di una non consentita cubatura sull’assetto dei luoghi .

Né al riguardo può essere positivamente apprezzata, come erroneamente fatto dal primo giudice, una sorta di affidamento alla conservazione della concessione edilizia in contestazione da parte di D. quanto meno perché il provvedimento di autotutela è intervenuto a distanza di un anno e mezzo appena dalla data di avvenuto rilascio del titolo edilizio annullato, sicchè non risulta sia trascorso quel più che notevole lasso di tempo, quale circostanza di fatto che la stessa giurisprudenza richiede per la sussistenza di una situazione di affidamento in capo al privato (cfr Cons. Stato Sez. VI 2 ottobre 2007 n.5074).

In ogni caso, è il caso di far rilevare che la situazione di accertata non conformità urbanistico- edilizia costituisce un illecito permanente sì da imporre doverosamente l’intervento tutorio dell’Autorità preposta istituzionalmente ad esercitare il potere di vigilanza edilizia e senza che peraltro possa avere valenza alcuna, a fronte della illegittimità rilevata, il fatto che l’autorizzato intervento edilizio sia stato, come nel caso de quo, completato.

Conclusivamente i due appelli testè esaminati si appalesano fondati , con conseguente riforma per quanto di ragione, della sentenza n.10668/07 con essi impugnata.

Occorre passare ora ad esaminare i successivi due appelli proposti rispettivamente dal Comune di Marino (n. 4843/2013) e da D. (n.5469/2013) , entrambi rivolti avverso la sentenza del Tar del Lazio n. 3643/20123 .

Con il primo appello l’Amministrazione comunale, assumendo un comportamento diametralmente opposto a quello sotteso al gravame proposto avverso la sentenza n.10668/017, impugna la decisione Tar n.3643/13 deducendo tre ordini di doglianze che si rivelano privi di fondamento.

Non appare , in primo luogo condivisibile l’eccezione di irricevibilità del ricorso Ni.-De. proposto avverso la concessione in variante n.10161/S/V dedotta col primo motivo sul rilievo della tardività dell’impugnativa.

Vero è che il ricorso di prime cure è stato notificato nel giugno del 2004 e cioè a distanza di un anno e più dalla rilasciata concessione, ma non vengono forniti in causa elementi di fatto idonei a far propendere per una piena conoscenza del provvedimento ritenuto lesivo in epoca antecedente ed è indubbio che secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale del giudice amministrativo di primo e di secondo grado, costituisce preciso onere della parte che eccepisce quello di dare dimostrazione della avvenuta preventiva conoscenza del provvedimento in capo all’interessato ricorrente., il che nella specie non ricorre.

In definitiva la denunciata tardività, in assenza di una prova rigorosa su tale circostanza , non può essere dichiarata.

Anche l’eccepita improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso di prime cure dedotta col secondo mezzo d’impugnazione va disattesa.

Non può infatti negarsi , alla luce dei principi statuiti dalla storica sentenza n.500 /99 delle SS. UU. della Cassazione e delle innovazioni normative recate dalla legge n.205/2000 , come trasposte , in sede processuale, dall’art.30 del codice del processo amministrativo, la persistenza dell’interesse dei ricorrenti a veder dichiarata la illegittimità della concessione edilizia de qua , indipendentemente dalla rimozione di tale titolo posto in essere dal Comune di Marino in sede di autotutela, ben potendo derivare dalle eventuali statuizioni di accoglimento dell’impugnativa specifici effetti ai fini della possibile attivazione di un’azione risarcitoria nei confronti dei soggetti danti causa di un evento produttivo di danno risarcibile ai sensi dell’art.2043 codice civile.

Infine privo di pregio si rivela il profilo di doglianza di cui al terzo motivo d’appello con il quale si denuncia la contraddittorietà della pronuncia del Tar in ordine alla mancata considerazioni delle statuizioni rese dallo stesso Tribunale con la precedente sentenza n.10668/07 circa l’affidamento conseguito dalla Società titolare della concessione.

Al riguardo si rinvia alle osservazioni formulate in precedenza sul punto, ribadendosi come già sopra fatto, la insussistenza in capo alla Società controinteressata di quale che sia situazione di affidamento a mantenere la legittimità di un titolo rivelatosi non conforme alla disciplina urbanistico- edilizia vigente per la zona in cui l’intervento è stato autorizzato.

Conclusivamente, il ricorso in appello n.4843/2013 in quanto infondato, va respinto.

Per ultimo, viene all’esame l’appello proposto da D. avverso al sentenza n. 3643/2013.

Anche questo gravame deve essere respinto perché infondato con riferimento alle censure ivi dedotte.

Con un primo motivo parte appellante insiste sulla erroneità delle statuizioni impugnate nella parte in cui non si sarebbe dato rilievo, quanto alla legittimità della concessione edilizia in variante all’affidamento per decorso del tempo e alla buona fede della Società.

Anche in questa circostanza è bene ribadire quanto in precedenza rilevato e cioè che:

a) non si può minimamente parlare di affidamento o buona fede perché l’arco temporale intercorso tra provvedimento rilasciato e ius poenitendi esercitato è di trascurabile durata (un anno e mezzo) senza che il fattore tempo possa far insorgere quale che sia aspettativa;

b) la natura e consistenza della (fondatamente) denunciata non conformità urbanistica della concessione non può essere “sanata” dal fatto che i lavori autorizzati sono stati completati.

Sempre col primo mezzo l’appellante Società denuncia una sorta di contrasto tra giudicati rilevabile dalle due sentenze del Tar oggetto dei due gruppi di gravami : il rilievo è inconfigurabile, non foss’altro perché nella prima delle due sentenze oggetto di contestazione è un atto di annullamento in autotutela , mentre nella seconda decisione del Tar oggetto di azione giudiziale è l’autorizzazione ad aedificandum,, sicchè non è possibile ravvisare posizioni di fatto e di diritto del tutto omologhe.

Con i profili di doglianza di cui al secondo motivo la Società entra nel merito della questione giuridica di tipo sostanziale difendendo la conformità della concessione in variante al regime urbanistico dettato per la zona, posto che a suo dire ben sarebbe consentita una edificazione con l’indice di fabbricabilità di 3 mc/mq.

Così non è.

Il Comune invero a suo tempo ha autorizzato relativamente alla cubatura assentibile in sostanza un sovradimensionamento non consentito giacchè la maggior volumetria di 3mc/mq era possibile,solo per le Zone A , quelle cioè per le quali l’edificazione deve avvenire a mezzo dei strumenti attuativi e non è questo il caso della zona B, dove insiste l’area interessata dall’intervento di ristrutturazione e ampliamento de quo, per la quale l’edificazione avviene a mezzo di intervento diretto, con una cubatura assentibile , quindi, di 2mc/mq, come previsto dall’art.8 delle NTA del PRG comunale : di qui il contrasto della concessione edilizia in variante con la disciplina urbanistica vigente

Tenuto conto della peculiarità delle vicenda sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e competenze dell’intero giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta –

definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe indicati , così dispone.

A) accoglie gli appelli nn 1014/2008 e 10043/2008 e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza n.10668/07, rigetta il ricorso di prime cure n.1277/04:

B) rigetta gli appelli nn.4883/2013 e 5469/2013, con conferma della impugnata sentenza n.3664/2013

Compensa tra le parti le spese e competenze dell’intero giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi – Presidente

Sandro Aureli – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere

Depositata in Segreteria il 22 settembre 2014.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *