Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 7 marzo 2017, n. 1084

La forma societaria è uno schermo dietro il quale operano le persone fisiche; le verifiche antimafia vengono eseguite nei confronti delle persone fisiche (e dei loro familiari conviventi) che agiscono dietro lo schermo della società: ove si desse rilievo alla forma giuridica, si consentirebbe di eludere le finalità preventive della normativa antimafia, finendo con il minare totalmente l’effettività della disciplina, in quanto basterebbe mutare la forma sociale per neutralizzare il provvedimento di prevenzione antimafia

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 7 marzo 2017, n. 1084

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7216 del 2016, proposto da:

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

contro

Provincia di Reggio Calabria – Stazione Unica Appaltante, non costituita in giudizio;

Comune di (omissis), non costituito in giudizio;

nei confronti di

Ca. Co. Srl, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria n. 716 del 2016, resa tra le parti, concernente l’esclusione da una gara d’appalto a seguito di informativa antimafia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il Cons. Stefania Santoleri e udito per la parte appellante l’avvocato Ma. Sa. su delega dell’avvocato Mi. Sa.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con provvedimento della Stazione Unica Appaltante (in seguito SUA) del 24 marzo 2016 n. 865572, la società -OMISSIS- è stata esclusa dalla gara di appalto, della quale era risultata vincitrice, avente ad oggetto: “Gara del 29 giugno 2015 – Comune di (omissis) – PISL – POR Calabria 2007/2013 intervento 5.3.2.1 “l’Aspromonte a portata di mare” – ” Percorso naturalistico – Strada interpoderale (omissis)””.

Tale provvedimento reca nella motivazione il richiamo all’art. 94 del D.Lgs. 159/11 e alla sentenza del TAR per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 266 del 2016.

2. – Avverso il suddetto provvedimento la società odierna appellante ha proposto ricorso dinanzi allo stesso TAR per la Calabria, deducendo – in estrema sintesi – che:

– l’esclusione sarebbe priva di motivazione, essendo mutuata da un’altra procedura di gara alla quale la società aveva partecipato, rimanendone esclusa;

– in tale procedura, però, la società non era stata esclusa per la pregressa interdittiva antimafia, ma per l’omessa dichiarazione di tale circostanza al momento della presentazione della domanda di ammissione alla gara;

– nel caso in esame, invece, l’esclusione sarebbe riconducibile all’interdittiva antimafia emessa nel 2005, e ritenuta ancora efficace nonostante il lungo periodo di tempo trascorso, sebbene fosse mutata la forma e la compagine sociale della -OMISSIS-;

– infine, l’interdittiva antimafia sarebbe stata emessa nel lontano anno 2005 in relazione ad un finanziamento e non ad una procedura di appalto.

3. – Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso, rilevando che:

– nonostante il mutamento della forma della società, passata dalla s.n. c. alla s.r.l., la compagine sociale non sarebbe mutata, come esplicitato nelle proprie precedenti sentenze n. 266, 267 e 313 del 2016;

– non sussisterebbe il vizio di motivazione, in quanto l’interdittiva antimafia comporta – ai sensi dell’art. 94 del d.lgs. n. 159/11 – il divieto di stipulazione del contratto;

– la modalità con la quale l’Amministrazione ha avuto cognizione dell’esistenza dell’interdittiva antimafia sarebbe irrilevante, ben potendo utilizzarsi un’informativa antimafia acquisita in una gara d’appalto differente;

– il riferimento alla sentenza n. 266 del 2016 sarebbe stato disposto dalla SUA a conferma della perdurante efficacia dell’interdittiva del 2005, principio quest’ultimo ripetutamente affermato, non solo dalla Sezione, ma anche dal giudice di appello;

– l’acquisizione dell’interdittiva in occasione di un finanziamento, anziché di una procedura di gara, sarebbe del tutto irrilevante, avendo il provvedimento prefettizio il medesimo contenuto.

4. – Avverso tale decisione la società appellante ha proposto appello, deducendo quattro motivi di doglianza, con i quali ha censurato le statuizioni del primo giudice.

5. – L’appello è infondato, e va dunque respinto.

5.1 – Prima di esaminare i motivi di appello, è necessario svolgere alcune precisazioni di ordine fattuale.

La –OMISSIS- ha partecipato ad alcune procedure di gara gestite dalla stessa SUA della Provincia di Reggio Calabria, tra le quali quella che ha dato origine al contenzioso conclusosi con la sentenza del TAR per la Calabria, sede di Reggio Calabria n. 266 del 2016, richiamato nel provvedimento impugnato.

Anche in quel contenzioso erano state avanzate analoghe censure dirette a sostenere l’inapplicabilità alla –OMISSIS- dell’interdittiva antimafia, emessa nel lontano 2005 nei confronti della -OMISSIS-in quanto disposta nei confronti di una società diversa; era stata dedotta anche in quel giudizio la censura relativa alla sopravvenuta inefficacia – per il decorso del tempo – del provvedimento prefettizio e la sua non attualità.

Il TAR di Reggio Calabria ha disposto un’istruttoria sul punto, alla quale la Prefettura di Reggio Calabria ha dato esecuzione.

5.2 – Nella sentenza n. 266 del 2016, il TAR – dopo aver ripercorso le vicende societarie che hanno interessato la società – ha ritenuto che vi fosse identità sostanziale tra la società -OMISSIS- e la omonima snc essendo la compagine societaria rimasta sostanzialmente immutata, tranne che per l’assenza di un socio (cfr. nota del 5 gennaio 2016 della Prefettura di Reggio Calabria, doc. n. 2); le due società, infatti, hanno la medesima partita IVA e lo stesso numero REA.

Il TAR ha quindi ricordato che la forma societaria è uno schermo dietro il quale operano le persone fisiche che, nel caso di specie, sono sostanzialmente invariate.

Le verifiche antimafia vengono eseguite nei confronti delle persone fisiche (e dei loro familiari conviventi) che agiscono dietro lo schermo della società: ove si desse rilievo alla forma giuridica, si consentirebbe di eludere le finalità preventive della normativa antimafia, finendo con il minare totalmente l’effettività della disciplina, in quanto basterebbe mutare la forma sociale per neutralizzare il provvedimento di prevenzione antimafia.

E’ del tutto evidente che tale artificio non possa ritenersi ammissibile.

5.3 – Inoltre, dalla stessa documentazione prodotta in giudizio dalla società appellante, si evince che gli amministratori – figli e nipoti di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata – sono stati più volte controllati con persone controindicate, a dimostrazione del perdurante legame con gli ambienti malavitosi di origine familiare (cfr. nota della Legione Carabinieri Calabria, Comando Provinciale di Reggio Calabria del 24 novembre 2015, doc. n. 3).

La Prefettura di Reggio Calabria, con la citata nota del 5 gennaio 2016 (doc. n. 2), ha precisato che i componenti della società continuavano ad essere monitorati, ma che dalle informazioni acquisite non erano emerse ragioni per ritenere che fossero venute meno le ragioni di pericolo che avevano comportato l’adozione dell’interdittiva nel 2005.

In sostanza, quindi, la Prefettura ha precisato la permanenza – al momento attuale – di quella situazione di pericolo che oltre dieci anni fa l’aveva indotta ad emettere il provvedimento di prevenzione antimafia.

6. – Svolte queste premesse è possibile esaminare le doglianze proposte con il ricorso in appello.

6.1 – Con il primo motivo di impugnazione lamenta la società appellante la violazione delle disposizioni recate dal codice delle leggi antimafia che disciplinano il rilascio della documentazione antimafia (artt. 83, 84, 90, 91 d.lgs. n. 159/11): sostiene infatti, che sulla base di tale normativa, la stazione appaltante avrebbe dovuto acquisire l’informativa antimafia dalla banca dati nazionale unica, non potendo porre a fondamento dell’esclusione una pronuncia giurisdizionale resa in una differente vicenda.

6.2 – La censura è infondata.

La disciplina richiamata dall’appellante si riferisce all’ipotesi generale nella quale la stazione appaltante – non avendo cognizione della condizione della società aggiudicataria – acquisisce le informazioni antimafia: nel caso di specie, però, la stessa SUA aveva già acquisito poco tempo prima le dovute informazioni ed aveva acclarato che la società era interdetta.

La questione relativa all’efficacia del provvedimento interdittivo era stata oggetto di sindacato in sede giurisdizionale, ed aveva ripetutamente superato il vaglio di legittimità: legittimamente, quindi, la SUA si è astenuta dal riacquisire la documentazione della quale era già in possesso.

Inoltre, ove anche la SUA avesse riacquisito il provvedimento – avente identico tenore di quello precedente già in suo possesso -, nulla sarebbe mutato nella sostanza: la società sarebbe stata comunque esclusa dalla procedura di gara, ai sensi dell’art. 94 del d.lgs. n. 159/11.

La censura, avente natura meramente formale, non può quindi trovare accoglimento.

Inoltre, il provvedimento di esclusione, benché sia succintamente motivato, consente di comprendere l’iter logico seguito dalla SUA: il richiamo alla sentenza del TAR n. 266 del 2016 – il cui contenuto è stato in precedenza richiamato – è idoneo, unitamente al riferimento normativo all’art. 94 del codice delle leggi antimafia, a sostenere il provvedimento espulsivo.

La censura deve essere quindi respinta.

6.3 – Con la seconda doglianza l’appellante lamenta l’erroneità della decisione del TAR che ha ritenuto legittima l’esclusione della società dalla gara di appalto: secondo l’appellante, infatti, non sarebbe stato possibile utilizzare un’interdittiva risalente al 2005, acquisita in una diversa procedura ad evidenza pubblica, senza compiere una valutazione, in termini di attualità, del pericolo di infiltrazione mafiosa.

6.4 – La doglianza non può trovare accoglimento.

Il Collegio condivide pienamente i principi affermati dal TAR di Reggio Calabria (cfr. § 5.2) in merito alla sostanziale continuità tra le due società, a prescindere dalla forma sociale.

Quanto alla persistenza del rischio di permeabilità dell’impresa da parte della criminalità organizzata, e dunque all’attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa, si fa rinvio al § 5.3.

In merito all’asserito difetto di presupposti per l’adozione del provvedimento interdittivo, è sufficiente rilevare che la questione non può trovare ingresso nel presente giudizio, il cui oggetto non investe l’interdittiva antimafia, ma esclusivamente l’atto consequenziale di esclusione dalla gara di appalto, che è atto vincolato, ai sensi dell’art. 94 del codice delle leggi antimafia, in presenza di un provvedimento interdittivo pienamente efficace.

6.5 – Con la terza doglianza viene sollevata la questione dell’efficacia temporale dell’interdittiva antimafia: tale problematica è stata esaminata approfonditamente nella decisione della Sezione del 5 ottobre 2016 n. 4121, che viene di seguito riportata.

“Come si è più volte evidenziato (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 30 dicembre 2011, n. 7002; Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2012, n. 292; Cons. St., sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4602), la limitazione temporale di efficacia dell’interdittiva antimafia, prevista dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, deve intendersi riferita ai casi nei quali sia attestata “l’assenza di pericolo di infiltrazione mafiosa, e non già ai riscontri indicativi del pericolo, i quali ultimi conservano la loro valenza anche oltre il termine indicato nella norma”.

L’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 252 del 1998 (la cui disposizione è stata poi riportata nell’art. 86, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 159 del 2011) deve intendersi riferito, infatti, ai casi di documentazioni che attestino l’assenza di pericolo di infiltrazione mafiosa – cc.dd. informative negative – e non già ai riscontri indicativi del pericolo, i quali ultimi conservano la loro valenza anche oltre il termine indicato nella disposizione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 292).

La sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore, impone all’Amministrazione di verificare nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.

L’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane tuttavia inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo.

Il superamento del rischio di inquinamento mafioso è da ricondursi non tanto al trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, bensì “al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza” (così la citata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 292).

La persistente rilevanza degli elementi indiziari posti a base dell’informativa affermata dalla giurisprudenza, anche dopo il decorso il termine annuale previsto dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, non è l’effetto di una non prevista ultrattività dell’informativa positiva, a differenza di quella c.d. negativa (o liberatoria), né tantomeno il frutto di una non consentita interpretazione in malam partem, come pure si è ritenuto, ma l’oggetto di una precisa disposizione normativa e, in particolare, dell’art. 91, comma 5, dello stesso d.lgs. n. 159 del 2011, per il quale “il Prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.

Tale disposizione ha evidentemente considerato che gli elementi posti a base dell’informativa antimafia ad effetto interdittivo non scadono certo per il decorso del termine annuale, in quanto l’aggiornamento ‘liberatorio’ dell’informativa può esservi solo quando essi perdano la loro rilevanza indiziaria del pericolo di infiltrazione.

Sarebbe del resto irragionevole e contrario alla ratio della normativa antimafia sostenere che elementi di consistente gravità, quali ad esempio l’assidua frequentazione, nel tempo, di soggetti pregiudicati o l’altrettanto costante collaborazione economica dell’impresa con la mafia o, addirittura, la presenza di soggetti controindicati nelle cariche societarie, perdano la loro efficacia indiziante solo perché l’informativa sia ‘scaduta’ decorso l’anno dalla sua emanazione.

Il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, come la Sezione ha più volte chiarito nella propria giurisprudenza, non dipende perciò dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica (o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica o perché ne rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo).

Il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici tra lo Stato e i privati dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova proprio nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’interessato di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti”.

La censura deve essere quindi respinta.

6.6 – Con l’ultima doglianza l’appellante lamenta l’illegittimità dell’utilizzazione dell’interdittiva risalente al 2005, in quanto emessa in occasione di un finanziamento e non di una procedura di gara.

La censura è infondata.

La ratio dell’interdittiva antimafia è quella di evitare che la P.A. entri in contatto con soggetti a rischio di condizionamento con la criminalità organizzata, ed eroghi loro denaro pubblico sia in via diretta (attraverso concessioni o erogazioni), sia a seguito della stipulazione dei contratti (all’esito di procedure di gara).

I presupposti che sorreggono il provvedimento prefettizio sono i medesimi, sia che si tratti di contratti, sia che si tratti di finanziamenti: è quindi del tutto irrilevante l’occasione per la quale la misura è stata adottata.

7. – L’appello va dunque respinto, con conferma della sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.

8. – In mancanza di costituzione delle parti intimate non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 7216 del 2016 lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Raffaele Greco – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Sergio Fina – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore

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