Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 8 marzo 2017, n. 1086

L’accertata assunzione di sostanze stupefacenti, anche occasionale ed episodica, determina una frontale ed eclatante violazione dei doveri di correttezza e di lealtà assunti dal Militare con il giuramento, tanto più inaccettabile ed intollerabile allorché posta in essere da un appartenente all’Arma dei Carabinieri, forza di polizia impegnata istituzionalmente in compiti di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi connessi proprio con lo spaccio di tali sostanze

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 8 marzo 2017, n. 1086

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 542 del 2015, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Sc. e Sa. Pe., con domicilio eletto presso lo studio Sc. – Pe. in Roma, viale (…);

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma in via (…);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Calabria – sede di Catanzaro – Sezione II, n. 1113 del 10 luglio 2014, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n. r.g. 48/2013, proposto per l’annullamento del provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, con cessazione dal servizio permanente e iscrizione nel ruolo dei militari di truppa senza grado, nonché degli atti presupposti e consequenziali, con condanna al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi € 1.500,00;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati S. Pe. e l’avvocato dello Stato C. Co.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal provvedimento della Direzione Generale per il personale militare del Ministero della difesa del 23 ottobre 2012, con cui è stata irrogata al ricorrente, all’epoca Carabiniere scelto, la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione ex art. 861, comma 1, lett. d) del d.lgs. 66/2010, con conseguente cessazione dal s.p.e. ed iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano senza alcun grado.

1.1. Il provvedimento, in particolare, precisava che dalla “trascrizione di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un’indagine tesa al contrasto dello spaccio di droga”, in cui il Carabiniere -OMISSIS- non era indagato, era emerso che questi “contattava, in varie occasioni, una persona controindicata al fine di acquistare alcune dosi di sostanza stupefacente”: l’assunzione di sostanze stupefacenti veniva, in seguito, acclarata da specifici accertamenti sanitari disposti dall’Amministrazione ed ammessa dallo stesso -OMISSIS-.

2. Il ricorrente insorgeva avanti il T.a.r. per la Calabria, sede di Catanzaro, lamentando plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere.

3. Con sentenza n. 1113 del 10 luglio 2014 il T.a.r. adito respingeva il ricorso con l’onere delle spese, quantificate in € 1.500,00 oltre accessori di legge.

3.1. Il T.a.r., in particolare, rilevava che “il fatto relativo all’uso isolato di droghe deve assumersi in questa sede come acclarato e non contestato, in quanto ammesso dallo stesso ricorrente ed accertato scientificamente” e che “la giurisprudenza consolidata, da cui questo Collegio non intende discostarsi, ha ritenuto che l’accertata assunzione, anche occasionale, di sostanze stupefacenti, determina, nei confronti del militare, una violazione dei doveri di correttezza e di lealtà assunti da quest’ultimo con il giuramento prestato al momento dell’arruolamento nell’Arma dei Carabinieri, dal momento che tale forza di polizia è impegnata istituzionalmente in compiti di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi connessi anche allo spaccio ed alla detenzione di sostanze stupefacenti (Cons. Stato, sez IV, 18 aprile 2012, n. 2273), compiti che si pongono come incompatibili con l’uso e quindi l’acquisto di dette sostanze”.

3.2. Il Tar, inoltre, reputava rispettato “il nesso di proporzionalità tra i fatti accertati e la sanzione irrogata al carabiniere scelto, atteso che è oramai pacifica in giurisprudenza la valutazione di congruità della sanzione della perdita del grado per il personale appartenente alle forze di polizia anche a seguito di un uso occasionale e saltuario di sostanze stupefacenti, per il palese contrasto con il giuramento prestato presso l’Istituzione di appartenenza (da ultimo, Consiglio di Stato sez IV, 18 aprile 2012, n. 2273; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 luglio 2007, n. 3887; id., 14 ottobre 2005, n. 5682; id., 11 ottobre 2005, n. 5648; Tar Veneto, sez. I, 31 gennaio 2012, n. 103)”.

3.3. Il Tar, infine, riscontrava la “adeguatezza” della motivazione e della previa istruttoria; sosteneva che “nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (ivi compreso il personale militare), l’amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente”, con conseguente circoscrizione della relativa sindacabilità alle sole ipotesi di travisamento dei fatti ovvero di illogicità, contraddittorietà o irrazionalità manifeste, nella specie non ricorrenti; rilevava che i precedenti di servizio del ricorrente, peraltro a quanto consta tutt’altro che esemplari, non ostavano all’irrogazione della sanzione, “allorquando il disvalore del comportamento adottato dal militare sia ritenuto incompatibile con la sua permanenza in servizio”; valutava, infine, rispettato il termine prescritto dall’art. 1392 d.lgs. 66/2010.

4. Il ricorrente interponeva appello, riproponendo criticamente le censure svolte in primo grado, tranne quella relativa alla violazione del termine ex art. 1392 d.lgs. 66/2010.

5. Si costituiva l’Amministrazione resistente, la quale provvedeva, altresì, a depositare breve memoria scritta.

6. Respinta la domanda cautelare ex art. 98 c.p.a. per difetto di fumus – cfr. ordinanza della Sezione n. 747 del 2015 – il ricorso veniva quindi trattato alla pubblica udienza del 23 febbraio 2017, in vista della quale il ricorrente depositava documenti.

7. Il ricorso non merita accoglimento.

8. Il Collegio rileva, preliminarmente, la tardività del deposito documentale effettuato dal ricorrente in data 25 gennaio 2017, dunque oltre il termine ultimo di quaranta giorni liberi prima dell’udienza prescritto dall’art. 73 c.p.a..

9. Nel merito, il Collegio, anche in ossequio al principio di cui all’art. 3 c.p.a., ritiene sufficiente limitare la tessitura dell’ordito motivazionale al richiamo della oramai granitica giurisprudenza formatasi in subiecta materia (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 2927; Sez IV, 4 maggio 2010, n. 2548; Sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2927; Sez. IV, 26 ottobre 2010, n. 8352; Sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8352; Sez. IV 18 novembre 2011, n. 6096 e n. 6099; Sez. IV, 18 aprile 2012, n. 2273; Sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540; Sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1474; Sez. IV, ord. 16 giugno 2016, n. 2239; Sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3736; Sez. IV, 2 novembre 2016 n. 4581; Sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 413), secondo cui l’accertata assunzione di sostanze stupefacenti, anche occasionale ed episodica, determina una frontale ed eclatante violazione dei doveri di correttezza e di lealtà assunti dal Militare con il giuramento, tanto più inaccettabile ed intollerabile allorché posta in essere da un appartenente all’Arma dei Carabinieri, forza di polizia impegnata istituzionalmente in compiti di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi connessi proprio con lo spaccio di tali sostanze.

9.1. Nel caso di specie, oltretutto, le risultanze investigative hanno evidenziato una marcata familiarità del ricorrente con un soggetto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, circostanza che lascia fondatamente assumere che il relativo consumo da parte del ricorrente fosse tutt’altro che saltuario.

10. Sussiste, inoltre, il nesso di proporzionalità, alla luce del carattere unitario ed indivisibile della sanzione della perdita del grado, strutturalmente non suscettibile di graduazione.

11. Non hanno alcun rilievo, di contro, né la carenza di profili di responsabilità penale in capo al ricorrente, in considerazione della piena autonomia del giudizio disciplinare, né il di lui precedente rendimento, oltretutto a quanto consta non connotato da profili di straordinarietà.

12. Il provvedimento, infine, risulta congruamente motivato, posto che reca la puntuale descrizione della condotta censurata, ed è preceduto da idonea istruttoria, debitamente documentata agli atti del giudizio.

13. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

14. Alla stregua delle su esposte argomentazioni l’appello deve essere respinto.

15. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 26, comma1, c.p.a. e dei parametri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014.

16. Il Collegio, ritenendo che il ricorrente abbia agito temerariamente in giudizio, lo condanna al pagamento della sanzione prevista dall’art. 26, comma 2, c.p.a., nella misura di € 1.000,00 (cfr. sul punto, fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2015, n. 930, cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.); siffatta condanna rileva pure agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lett. a) e d) della l. 24 marzo 2001 n. 89, come da ultimo modificato dalla l. 28 dicembre 2015 n. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente -OMISSIS- alla rifusione in favore dell’Amministrazione resistente delle spese di lite, liquidate in complessivi € 3.000,00 oltre accessori di legge ove dovuti.

Condanna il ricorrente -OMISSIS- alla sanzione di cui all’art. 26, comma 2, c.p.a., liquidata in € 1.000,00 mandando alla Segreteria per gli adempimenti di competenza ex art. 15 disp. att. c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona del ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere, Estensore

Nicola D’Angelo – Consigliere

Giuseppa Carluccio –

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