L’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge; trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti degli imprenditori coinvolti, e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente; tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati; essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzato ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitosa e, quindi, del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 4 aprile 2017, n. 1559
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7577 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Da. Tu., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ga. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
nei confronti di
Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato An. Se., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – SEZ. STACCATA DI PARMA, SEZIONE I, n. 00008/2015, resa tra le parti, concernente informativa interdittiva antimafia – ris. danni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia, nonché di Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Ug. De Lu. su delega di Da. Tu., An. Se. e l’avvocato dello Stato Ti. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 29 marzo 2012, il Prefetto di Reggio Emilia ha adottato l’informazione antimafia interdittiva antimafia n. -OMISSIS- nei confronti della -OMISSIS- (attiva nel commercio all’ingrosso di impianti fotovoltaici).
2. L’interdittiva è stata impugnata dinanzi al TAR del Lazio (unitamente ad una nota in data 6 giugno 2012, con cui GSE S.p.a. le ha conseguentemente comunicato “la decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti e la risoluzione di diritto delle convenzioni… regolanti il regime di ritiro dedicato all’energia elettrica immessa in rete (…) e regolanti il riconoscimento delle tariffe incentivanti di cui al DM 19 febbraio 2007 e 5 maggio 2011”).
3. Avverso detti provvedimenti hanno altresì proposto ricorso, dinanzi al TAR di Parma, gli odierni appellanti – quali ex amministratori della società, o loro parenti, tutti comunque menzionati nell’interdittiva quali soggetti partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di condizionamento di stampo mafioso – deducendo, sostanzialmente, l’insussistenza dei presupposti previsti dalla legge.
4. Il TAR di Parma, con la sentenza appellata (n. 8/2015), prescindendo dall’esaminare le eccezioni di incompetenza e litispendenza sollevate dalle parti resistenti, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di interesse.
Ciò, sottolineando che l’interdittiva, adottata nei confronti di soggetto terzo, non è idonea a determinare una lesione concreta ed attuale delle loro sfere giuridiche, in quanto il pregiudizio lamentato – relativo alla possibilità di essere esclusi da rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione in ragione di una (ritenuta) inesistente contiguità con ambienti mafiosi – è legato all’adozione di eventuali futuri provvedimenti.
5. Nell’appello, si ribadisce anzitutto la sussistenza della legittimazione al ricorso, in ragione della posizione lavorativa presso l’impresa destinataria dell’interdittiva, ovvero del coinvolgimento personale degli appellanti nelle valutazioni contenute nell’interdittiva.
6. Nel merito, gli appellanti lamentano l’insussistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. 159/2011 ai fini dell’adozione dell’interdittiva, sostenendo che sarebbero stati indicati fatti generici e privi di significato specifico, ovvero eventi assai risalenti nel tempo e che soprattutto non sono mai sfociati in procedimenti penali o condanne per reati attinenti al fenomeno mafioso.
7. Il Collegio indica partitamente, ai punti seguenti, le considerazioni critiche svolte dagli appellanti riguardo ai singoli elementi rilevanti individuati dal Prefetto di Reggio Emilia.
7.1. Quanto alla figura di -OMISSIS-(amministratore unico della -OMISSIS-, nonché della -OMISSIS- che ne detiene una minima quota), gli appellanti sottolineano che:
– la Prefettura ha trascurato la circostanza per cui per i reati ascritti a -OMISSIS-(ed alla sorella -OMISSIS-) nel 2001 (riciclaggio ed impiego di denaro, beni ed utilità di provenienza illecita, ex artt. 648-bis e 648-ter c.p.) è stata emessa in data 7 dicembre 2006 sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste;
– è da escludersi che la mera asserzione della frequentazione con soggetti “segnalati”, la quale può avere spiegazioni diverse dalla intromissione nella gestione dell’impresa, possa da sola fondare il rischio di infiltrazione mafiosa; in particolare, la segnalazione del controllo in data 22 agosto 2008 in compagnia di -OMISSIS- (con segnalazioni per furto d’auto) e di -OMISSIS-(con segnalazioni per falsità in testamento olografo e appropriazione indebita) non può assumere alcuna rilevanza, in quanto si tratta di incontri occasionali, ed i due non sono segnalati per attività caratterizzante il condizionamento mafioso dell’attività imprenditoriale, e non è stato indicato il contesto e le modalità della compagnia, tali da poter concretizzare il rischio delle infiltrazioni.
7.2. Quanto alla sorella -OMISSIS- (oltre all’assoluzione predetta):
– vengono anche evidenziate precedenti segnalazioni di polizia per violazione “reati finanziari (1999)”, ma non sono sufficienti mere segnalazioni di polizia per fondare un’interdittiva, dovendo le segnalazioni essere sostenute da elementi di fatto idonei e specifici;
– nella informativa antimafia non viene del resto motivato in che modo -OMISSIS- potesse influire sulla gestione della società -OMISSIS-, condizionandone le scelte;
– a tal fine, la circostanza che la sede legale della -OMISSIS- sia ubicata allo stesso indirizzo della -OMISSIS- – società di cui -OMISSIS- è stata amministratore unico fino al 26 luglio 2011, nonché comproprietaria al 50 % – non assume rilevanza, in quanto derivava dal fatto che entrambe le sedi erano state fissate nello studio del commercialista -OMISSIS-, che curava la contabilità delle imprese stesse, e di cui il -OMISSIS- è cliente da oltre vent’anni;
– peraltro, detta circostanza oggi non sussiste più, considerato il trasferimento della società -OMISSIS- a Bolzano, con conferimento dei poteri gestionali al sig. -OMISSIS-
7.3. Quanto al marito di lei, -OMISSIS-(nei confronti del quale risulterebbero una condanna patteggiata nel 2005 per bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale, oltre ad una segnalazione per calunnia archiviata nel 2012, numerose segnalazioni per reati fiscali, falso in bilancio, ma anche per associazione a delinquere di tipo mafioso, frode, usura, associazione a delinquere di tipo mafioso e finalizzata al traffico di stupefacenti, nonché, in Germania, per rapina, evasione fiscale, minacce, simulazione di reato e truffa):
– la contiguità con personaggi di primissimo piano del clan mafioso “-OMISSIS-” di (omissis), si fonda sugli elementi assunti nell’operazione investigativa di P.G. denominata “-OMISSIS-“, coordinata dalla Procura della Repubblica di Bologna – DDA., (proc. penale n. -OMISSIS-) conclusasi però con l’archiviazione da parte del GIP di Bologna in data 17 novembre 2008;
– non vi è alcun riscontro oggettivo alla tesi che tali rapporti fossero finalizzati a scopi ulteriori rispetto alla consumazione dei pasti presso il proprio ristorante -OMISSIS-;
– né possono rilevare i precedenti penali dei fratelli dell’-OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, posto che lo stesso ne è estraneo e non li frequenta da anni, da quando cioè si è ritrasferito in Italia dalla Germania;
– in ogni caso, -OMISSIS– non riveste alcuna carica né possiede partecipazioni sociali nella -OMISSIS-, né viene indicato in quale modo eserciterebbe un condizionamento sulla società, non essendo significativo il mero rapporto di affinità con -OMISSIS-.
7.4. Altrettanto destituita di ogni fondatezza è la segnalazione relativa al signor -OMISSIS-, il cui solo legame è dato dalla precedente qualità di amministratore della -OMISSIS-e sul conto del quale non è emerso alcun elemento dal quale possa desumersi che sia soggetto pericoloso per l’affidabilità dell’impresa o contiguo ad ambienti malavitosi.
7.5. Anche la pretesa “complessa situazione societaria della -OMISSIS-“, della quale si asserisce l’incompatibilità con la natura di piccola impresa agricola, non può rilevare, in quanto le operazioni e le partecipazioni societarie non solo non hanno alcun carattere di intrinseca illegittimità, ma non depongono in alcun modo nel senso di qualsivoglia intreccio mafioso.
8. Aggiungono gli appellanti che il provvedimento di decadenza dall’incentivazione tariffaria adottato da GSE, che ha come unico presupposto l’interdittiva, è viziato da invalidità derivata.
9. Gli appellanti chiedono (genericamente) anche il risarcimento dei danni conseguenti all’adozione dei provvedimenti impugnati.
10. Si sono costituiti in giudizio e controdeducono puntualmente il Ministero dell’interno e GSE S.p.a..
11. Ancorché le parti appellate non abbiano riproposto la questione della incompetenza territoriale del TAR Parma, può anzitutto precisarsi che l’adozione del provvedimento del GSE è conseguenza diretta e vincolata dell’interdittiva, e pertanto l’impugnazione di essa attrae a sé quella dell’atto consequenziale, sussistendo la connessione ex art. 32 cod. proc. amm. (anche secondo i principi affermati anche da Cons. Stato, A.P. n. 29/2014).
12. Il Collegio ritiene di dover poi disattendere l’eccezione di improcedibilità, basata sulla pendenza del giudizio instaurato dinanzi al TAR del Lazio dalla -OMISSIS-(n. 8349/2012), riproposta da GSE (nonché, sia pure a corredo della tesi dell’inammissibilità del ricorso introduttivo, dal Ministero dell’interno).
Manca, infatti, lo stesso presupposto della litispendenza, ex art. 39 c.p.c., essendo diverse le parti del giudizio pendente dinanzi al TAR del Lazio avverso la medesima interdittiva, in quanto proposto dalla -OMISSIS-e non dagli odierni appellanti. Senza contare che la pendenza del giudizio, nel processo amministrativo, è determinata (non dalla notificazione, bensì) dal deposito del ricorso (cfr., in ultimo, Cons. Stato, IV, n. 5363/2016), e sotto tale aspetto il primo giudizio è quello che è stato definito in primo grado dalla sentenza oggi in esame.
13. La soluzione processuale prescelta dal TAR di Parma non convince.
Pur riguardando la società -OMISSIS-, ed avendo l’effetto diretto di precludere ad essa l’instaurazione (e il mantenimento) di rapporti con la P.A., l’informativa antimafia interdittiva ha determinato anche una lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale di -OMISSIS-, il quale assume di aver dovuto rinunciare all’incarico di amministratore della società (circostanza non confutata in giudizio dalle controparti; per la sussistenza della legittimazione ad impugnare in capo ai dipendenti della società colpita da interdittiva, cfr. TAR Piemonte, I, n. 1012/2015), ed appare potenzialmente suscettibile di ledere l’onore e la reputazione personale, dello stesso e degli altri tre ricorrenti, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, in quanto nel provvedimento viene ipotizzato che essi siano stati tramite o fonte di condizionamento mafioso della società.
Anche questi profili sono rilevanti, accanto alla temporanea limitazione della capacità giuridica societaria determinata dall’interdittiva, per individuare l’esistenza di una lesione ad una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento, che pertanto sembra innegabile.
Né, d’altro canto, alla luce di detta configurazione della causa petendi, sono stati sollevate in appello questioni di giurisdizione.
14. Nel merito, tuttavia, l’appello è infondato, non potendo ritenersi insussistenti i presupposti per l’adozione dell’interdittiva impugnata.
14.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Sezione, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge; trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti degli imprenditori coinvolti, e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente; tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati; essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzato ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitosa e, quindi, del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr., per una ricostruzione sistematica, Cons. Stato, III, n. 1743/2016; in ultimo, sinteticamente, idem, n. 669/2017 e n. 256/2017).
Il rischio di inquinamento mafioso deve infatti essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”, che si pone quale regola di giudizio – fondata anche su dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, quello mafioso – e insieme strumento di controllo della valutazione prefettizia, e che, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale (cfr., in ultimo e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 565/2017, n. 3505/2016).
14.2. Nel caso in esame, gli appellanti hanno evidenziato che mancano, nei loro confronti, pregiudizi penali in senso stretto per reati aventi un’oggettiva o presuntiva connotazione di stampo mafioso (non essendo sufficiente l’esistenza di condanne per reati non direttamente significativi dell’appartenenza mafiosa, e di mere segnalazioni di p.s., anche se relative a delitti c.d. spia).
Osserva il Collegio che, tuttavia, anche dopo l’esito favorevole per gli appellanti del procedimento penale per i reati di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (artt. 648-bis e 648-ter c.p., tra i reati c.d. spia considerati dall’art. 84, comma 4, del d.lgs. 159/2011), risultano non di meno accertate in quel giudizio circostanze che, nella prospettiva suindicata, assumono un preciso significato.
Infatti, la contiguità di -OMISSIS-con personaggi di primissimo piano del clan mafioso “-OMISSIS-” di (omissis), risulta da dichiarazione di pentiti, secondo i quali presso il suo ristorante -OMISSIS-, in località -OMISSIS-, Reggio Emilia, si svolgevano cene e banchetti durante i quali si tenevano riunioni di boss della ‘ndrangheta, quali -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e –OMISSIS- (il cui spessore criminale è attestato dal curriculum giudiziario e di polizia sintetizzato nell’interdittiva, e non sembra necessiti, anche per l’assenza di contestazioni, di ulteriori argomentazioni).
Tali non occasionali contatti, nonostante il procedimento penale per gli odierni appellanti si sia concluso con l’archiviazione, non risulta siano stati smentiti, neanche nel presente giudizio.
Gli appellanti tendono a sminuire il significato di ciò, sostenendo che si sia trattato di una normale frequentazione di esercizio aperto al pubblico.
Ma ciò è contraddetto da quanto riportato nell’interdittiva, e dalla considerazione del comportamento che è logico attendersi dai componenti di una consorteria criminale; infatti, non è spiegabile che si scelga di riunirsi con frequenza nello stesso ristorante, tanto più in una regione lontana da quella di provenienza e di originario insediamento territoriale, se non proprio perché il gestore gode della fiducia ed assicura quelle condizioni di sicurezza e riservatezza necessarie a riunioni finalizzate (nonostante la compresenza di cerimonie a carattere personale, e anzi forse agevolate dalla copertura da esse derivanti) a discutere di affari mafiosi.
Il percorso di vita dell’-OMISSIS- non contribuisce certo a fugare ogni sospetto nei suoi confronti, se si tiene conto che – secondo quanto riportato nell’interdittiva e non specificamente confutato in giudizio – ha riportato condanne per bancarotta fraudolenta e reati finanziari, ha numerose segnalazioni per ipotesi di reato relative a reati c.d. spia., e che, prima di stabilirsi a Reggio Emilia, ha vissuto per lungo tempo in Germania con i fratelli -OMISSIS- e -OMISSIS-, gravati da plurime segnalazioni di polizia anche per reati c.d. spia (il secondo, anche ritenuto contiguo alle cosche di Cr. e altri), e lui stesso sarebbe noto anche alle autorità tedesche per plurime segnalazioni di polizia.
14.3. Se è vero che, in linea di principio, il mero legame di parentela non è sufficiente a contaminare con i sospetti di contiguità alla criminalità organizzata, va tuttavia considerato che il giudizio è diverso, qualora ai legami familiari corrisponda anche la condivisione di aspetti della vita quotidiana (e non vi sia alcun segno di allontanamento dai condizionamenti della famiglia, ovvero di scelta di uno stile di vita e di valori alternativi), tanto più se ai contatti personali si accompagnino cointeressenze economiche o comunque collegamenti tali da far supporre una comunanza di attività (ed a maggior ragione se, dall’intreccio di interessi economici e familiari, sia possibile desumere che rapporti di collaborazione intercorsi tra familiari costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l’infiltrazione mafiosa nell’impresa considerata – cfr., in ultimo, Cons. Stato, III, n. 5437/2015).
Ciò vale, in particolare, nel contesto calabrese, dove l’impronta familistica è connotazione tipica dei sodalizi di ‘ndrangheta e quindi, nella suindicata logica del “più probabile che non”, l’esistenza di fitti legami famigliari con soggetti controindicati ha un suo peso condizionante (quanto meno, in mancanza di una condotta tale da evidenziare che il soggetto ha seguito altre strade, rendendosi autonomo dai condizionamenti).
Ora, nel caso in esame, va ricordato il comune coinvolgimento nel giudizio penale dell’-OMISSIS-, della moglie e del cognato -OMISSIS-. Né risulta che i coniugi siano separati.
Risulta poi accertato che la sede legale della -OMISSIS- sia ubicata allo stesso indirizzo della società -OMISSIS-, di cui -OMISSIS-è stata amministratore unico fino al 26 luglio 2011, nonché comproprietaria al 50 %; inoltre, l’amministratrice attuale della -OMISSIS-, -OMISSIS-, risiede nello stesso stabile di -OMISSIS–, ed anche la -OMISSIS- – come sottolinea la difesa del Ministero, non confutata da controparte – è stata colpita da interdittiva.
Non sembra logico privare di significato la circostanza che imprese formalmente riconducibili a fratelli siano assistite dal medesimo professionista (ed addirittura abbiano la sede legale presso il suo studio, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della gestione di importanti incombenze e delicate responsabilità); al contrario, tale circostanza lascia logicamente presumere un collegamento.
Ecco quindi che, in assenza di qualsivoglia elemento di separazione o distacco personale tra i coniugi e nei confronti del -OMISSIS-, vi sono invece indizi di un collegamento tra le rispettive attività economiche, attuali e pregresse.
14.4. Gli appellanti sottolineano che l’elemento di collegamento ormai non sussiste più, considerato il trasferimento della società -OMISSIS-a Bolzano, le dimissioni del -OMISSIS-ed il conferimento dei poteri gestionali a tale -OMISSIS-
Per altro verso, negano ogni significato alla “complessa situazione societaria della -OMISSIS-“, pure rimarcata nell’interdittiva, in quanto si tratta di operazione legittime che non deporrebbero in alcun modo per l’esistenza di intrecci di tipo mafioso.
Il Collegio osserva che le suddette circostanze sopravvenute non privano di rilevanza il dato pregresso, ma anzi, in assenza dell’indicazione di una plausibile motivazione di carattere imprenditoriale, consentono di ipotizzare che si sia voluto rimuovere un segno oggettivo di collegamento tra imprese e soggetti coinvolti, e quindi finisce per avvalorarne il significato indiziario.
Quanto all’assetto societario di -OMISSIS-, dall’interdittiva risulta che è partecipata al 99,9% da-OMISSIS- di -OMISSIS-. e per il resto da -OMISSIS- (di cui sono, o erano amministratori -OMISSIS-ed il -OMISSIS-), a loro volta possedute dalla società di diritto tedesco -OMISSIS-, facente capo al predetto -OMISSIS-dall’istanza di riesame dell’interdittiva, versata in atti dagli appellanti, si evince che costui sarebbe un facoltoso imprenditore tedesco, già affermato nel settore delle fonti rinnovabili nel 2009, vale a dire prima della costituzione delle -OMISSIS-; e che il contatto con la -OMISSIS-(all’epoca di proprietà di -OMISSIS-e -OMISSIS-) sarebbe avvenuto per sviluppare un progetto di realizzazione di serre con copertura di pannelli fotovoltaici, che sarebbe stato interamente finanziato -OMISSIS-.
Tali informazioni non possono che confermare le perplessità esternate dal Prefettura sulla società, in presenza di un imprenditore, che si afferma esperto del settore ed economicamente solido, e ciononostante condivide con soggetti vistosamente controindicati la gestione delle società all’uopo costituite, pur finanziandone interamente l’attività. Così da far apparire non illogica anche l’ultima supposizione contenuta nell’interdittiva, secondo la quale “la complessa situazione societaria riguardante la -OMISSIS-non si concilia con la palese caratura di piccola società sicché è possibile ritenere essere sottesa a nascondere eventuali effettive proprietà od effettivi beneficiari dell’attività medesima”.
15. In conclusione, la valutazione operata dal Prefetto di Reggio Emilia nell’interdittiva a carico della -OMISSIS- si sottrae alle censure riproposte dagli appellanti.
16. L’appello deve pertanto essere accolto parzialmente, con conseguente riforma della sentenza appellata che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto in primo grado, in quanto detto ricorso è ammissibile ma deve essere respinto, poiché infondato.
17. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara ammissibile il ricorso proposto in primo grado e lo respinge nel merito poiché infondato.
Condanna gli appellanti al pagamento in favore del Ministero appellato della somma di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre agli accessori di legge, per le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellanti e le persone fisiche e giuridiche menzionate nella sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani – Presidente
Manfredo Atzeni – Consigliere
Raffaele Greco – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
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