Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 aprile 2017, n. 1551

L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi delle citate disposizioni normative deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato.

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 4 aprile 2017, n. 1551

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5891 del 2015, proposto da:

Ti. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Si. Pi., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ca. in Roma, viale (…);

contro

Regione Sardegna e altri, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’avvocato Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio. Uff. Legale Regione Sardegna in Roma, via (…);

nei confronti di

Ba. di Sa. Spa non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 02846/2015, resa tra le parti, concernente revoca finanziamento e restituzione quota di contributo già erogata

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Sardegna e di altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 marzo 2017 il Cons. Daniele Ravenna e uditi per le parti gli avvocati Ca. e Pi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società Ti. impugna per revocazione la sentenza in epigrafe.

L’oggetto del giudizio che ha dato luogo alla sentenza impugnata era la revoca del finanziamento concesso a Ti., con recupero dell’acconto di oltre euro 2,3 milioni, disposto dalla Regione Sardegna con determinazioni 208/2009 e 1671/2011.

In sintesi, Ti. aveva chiesto un contributo ai sensi della legge regionale 40/93 (in tema di incentivi per la riqualificazione e l’adeguamento delle strutture alberghiere), poi della successiva legge reg. 9/98. Il 2 dicembre 2002 la Regione informava Ti. dell’utile inserimento del suo progetto nella graduatoria della legge regionale 9/98, precisando che per usufruire delle agevolazioni avrebbe dovuto rinunciare alla domanda precedentemente presentata a valere sulla legge regionale 40/93, per la quale non aveva ancora ricevuto il contributo.

Successivamente, tuttavia, la Commissione europea avviava procedura di indagine formale per applicazione abusiva degli aiuti di Stato e concludeva, con la Decisione n. 854 del 2 luglio 2008, che gli aiuti concessi con la legge reg. 9/98 erano incompatibili col mercato comune, a meno che il beneficiario non avesse “presentato domanda d’aiuto sulla base di questo regime prima dell’esecuzione dei lavori relativi ad un progetto di investimento iniziale” e disponeva che la Repubblica italiana procedesse al recupero presso i beneficiari degli aiuti incompatibili.

La Regione, dovendo dare immediata applicazione alla Decisione della Commissione Europea, disponeva con determinazione n. 208/2009 la revoca del contributo. Successivamente, dopo che il Tribunale di primo grado dell’Unione europea aveva respinto le impugnazioni avanzate da Regione e Ti. avverso la Decisione della Commissione (con sentenza poi confermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea), la Regione adottava una nuova determinazione 1671/2011 di revoca del finanziamento e disponeva la restituzione dell’importo già anticipato.

Ti. impugnava con successivi ricorsi avanti il TAR Sardegna entrambi i provvedimenti di revoca. In esito a tale vicenda, dopo complessi passaggi processuali, il TAR, con la sentenza n. 501 del 2014, riuniti due ricorsi, dichiarava improcedibile il primo e rigettava il secondo. In particolare, il TAR riteneva che la Regione era indefettibilmente tenuta a recuperare l’aiuto concesso e che a Ti. non poteva essere riconosciuto un affidamento tutelato alla conservazione del beneficio.

Ti. ha impugnato tale sentenza avanti il Consiglio di Stato. Per quanto qui rileva, basterà ricordare che nell’appello al Consiglio di Stato Ti., con il motivo n. 4, ha riproposto di non poter essere destinataria degli effetti della decisione della Commissione, poiché si trovava nella stessa condizione di esenzione stabilita dalla Commissione, e cioè aver presentato la domanda d’aiuto prima dell’esecuzione dei lavori relativi al progetto ammesso a finanziamento, con ciò – affermava – riproponendo il motivo già avanzato al n. 5 nel ricorso al TAR e su cui questo avrebbe omesso di pronunciarsi.

Il CDS ha rigettato con la sentenza n. 2846/2015 della quale Ti. chiede la revocazione.

Nel ricorso ora in esame Ti. afferma che il TAR aveva erroneamente omesso di pronunciarsi sul 5° motivo del ricorso – che nulla aveva a che fare con l’affidamento, oggetto di distinto motivo sub n. 6 – e ciò ha fatto oggetto del 4° motivo di appello al Consiglio di Stato, che pure lo avrebbe ignorato.

Nel suddetto 5° motivo al TAR Ti. aveva dedotto di trovarsi nella posizione di esenzione stabilita dalla stessa Commissione, e cioè aver presentato la domanda d’aiuto prima dell’esecuzione del progetto ammesso a finanziamento.

Infatti Ti. aveva iniziato i lavori il 10 ottobre 2000, dopo la presentazione della domanda (4 ottobre 1999, integrata il 30 marzo 2000) ai sensi della legge reg. 40/93, domanda poi riproposta il 27 marzo 2001su richiesta della stessa Regione a valere sulla legge reg 9/98.

Ti. sostiene che vi sarebbe continuità fra il regime di agevolazioni disciplinato dalla prima e dalla seconda legge regionale, sostanzialmente identici. La data di presentazione della domanda cui la Regione avrebbe dovuto fare riferimento era dunque il 4 ottobre 1999. Ha quindi errato in primis la Regione ad assoggettare la Ti. alla procedura di revoca e recupero.

Il TAR avrebbe omesso di pronunciarsi su tale motivo e avrebbe respinto i ricorsi di Ti. soffermandosi esclusivamente sul tema del legittimo affidamento; dunque la sentenza del TAR sarebbe viziata per minuspetizione e carenza di motivazione.

Anche la sentenza del Consiglio di Stato ora impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi sulla illustrata particolare situazione della Ti. (continuità del regime di agevolazioni fra le due leggi regionali; avvio dei lavori dopo la prima domanda), la cui considerazione avrebbe dovuto condurre il giudice nazionale – prima il TAR indi questo Consiglio – a dedurre la non applicabilità della decisione della Commissione a Ti. e quindi l’illegittimità degli atti regionali di revoca. Invece anche il giudice d’appello si sarebbe solo concentrato sulla questione del legittimo affidamento (oggetto del distinto 5° motivo di appello). Sarebbe quindi riscontrato l’evidente errore del giudice nella materiale percezione dei fatti documentati posti a base del quarto motivo di appello, errore tale da fondare la revocazione. L’errore addotto avrebbe carattere decisivo, sussisterebbe il rapporto di causalità fra la asserita “svista” e la pronuncia, l’errore sarebbe di immediata percezione. Conclusivamente, Ti. chiede, in sede rescindente, la revocazione dell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato e, in sede rescissoria, l’annullamento della sentenza del TAR n. 501/2014.

Si è costituita la Regione Sardegna, affermando che il ricorso è inammissibile: invero la impugnata sentenza del Consiglio di Stato al punto 9.9 affronta proprio la censura asseritamente non considerata. Dunque non si configurerebbe la sussistenza di un errore tale da dar luogo alla revocazione.

In memoria depositata il 21 febbraio Ti. replica che il n. 9.9 della sentenza ha affrontato la diversa questione della rinuncia al finanziamento ex legge reg. 40/93 sotto il profilo del legittimo affidamento e nulla avrebbe statuito sulla presentazione della domanda prima dell’avvio dei lavori.

Il ricorso è infondato e va respinto. Come noto alla stessa appellante, la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Corte di Cassazione hanno pressoché univocamente individuato le caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio: “E’ stato, infatti, più volte ribadito che l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi delle citate disposizioni normative deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 30 del 24 gennaio 2014).

In sostanza, la questione ora all’esame si riduce al quesito se il punto della asserita continuità del regime degli aiuti previsto dalle due leggi regionali configuri un “punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato”.

Orbene, nella impugnata sentenza sono riscontrabili due passaggi logici – precisamente al n. 9.7 e al n. 9.9, terzo capoverso – dai quali emerge per tabulas che il giudice adito non ha affatto ignorato – e dunque non ha commesso la asserita “svista” revocatoria – il motivo di impugnazione avanzato: nel primo caso, dove ha espressamente richiamato – sia pure con riferimento al diverso tema dell’affidamento – la “asserita continuità” tra le agevolazioni al settore alberghiero (mostrando quindi chiaramente, anche se implicitamente, di non fare propria la argomentazione dell’appellante); nel secondo, laddove giudica “incontestato” che l’investimento sia stato avviato prima dell’ammissione all’agevolazione (ribadendo dunque una valutazione difforme riguardo al punto rappresentato da Ti.). Ove si volesse diversamente valutare, si darebbe luogo a un riesame del processo logico seguito dal giudice e quindi a un inammissibile terzo grado di giudizio.

Il Collegio ritiene peraltro, data la particolarità della vicenda, sussistere i giusti motivi per compensare le spese della presenta fase di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella – Presidente

Paolo Troiano – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere

Daniele Ravenna – Consigliere, Estensore

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