Il mero rapporto di parentela con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata non può far presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa. Va tuttavia considerato che in tema di interdittiva antimafia trova applicazione la regola per cui il vincolo di sangue o di coniugio con soggetti vicini ad associazioni mafiose espone il soggetto all’influsso dell’organizzazione. L’attendibilità di tale regola (o massima d’esperienza) dipende però da una serie di circostanze che qualificano detti rapporti e, soprattutto, l’intensità del vincolo e il contesto in cui si inserisce. Se, come nel fatto di specie, l’intensità dei vincoli è molto forte, (es: marito e/o fratelli), e il contesto è la gestione di una attività economica in un territorio ad alta intensità mafiosa, questi elementi costituiscono un quadro indiziario complessivo dal quale si può ritenere del tutto attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 30 maggio 2017, n. 2590
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 416 del del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pr., Do. Li., Gu. Co., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ro. Ca. in Roma, via (…);
contro
U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Gen. Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del TAR Calabria, sede di Reggio Calabria, n. 553/2011
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Cons. Francesco Bellomo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Es. su delega di Gu. Co. e l’avvocato dello Stato At. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale di Reggio Calabria -OMISSIS- domandava l’annullamento del provvedimento interdittivo ex art. 10 D.P.R. 252/98 n. 0020849 del 7/4/2011 emesso dalla Prefettura di Reggio Calabria nei confronti della ditta individuale di cui era titolare.
A fondamento del ricorso deduceva plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso la Prefettura di Reggio Calabria.
Con sentenza n. 553/2011 il TAR rigettava il ricorso.
2. La sentenza è stata appellata da -OMISSIS-, che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.
Si è costituita per resistere all’appello la Prefettura di Reggio Calabria.
La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 25 maggio 2017.
DIRITTO
1. L’appellante è titolare di un’azienda agricola situata nel Comune di (omissis) e in tale veste ha partecipato alla procedura indetta dalla Regione Calabria per l’assegnazione di contributi pubblici, risultando ammessa al finanziamento per un importo pari a € 250.000,00, come da decreto n. 7901 del 17 maggio 2010.
Con comunicazione prot. 15285 del 3 maggio 2011, la Regione rendeva noto l’avvio del procedimento di revoca del finanziamento a seguito dell’acquisizione dell’interdittiva antimafia.
L’informativa prefettizia fondava il giudizio circa la sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose nell’ambito della società di cui è titolare la ricorrente sui seguenti elementi:
– il coniuge convivente, gravato da pregiudizi penali, ha contatti con persone ritenute vicine a cosche mafiose;
– l’interessata ha gestito attività economiche unitamente ad un congiunto legato a famiglia mafiosa;
– altro congiunto è affine di esponente della medesima consorteria criminale;
– nell’abitazione di proprietà di un’affine è stato ospitato elemento apicale della medesima cosca mafiosa durante il periodo di arresti domiciliari.
Il Tar, all’esito di una sintetica ricostruzione del quadro normativo vigente, ha respinto il ricorso, ritenendo provati:
– l’esistenza di legami parentali e di affinità con soggetti ritenuti contigui ad un’individuata consorteria criminale, alcuni dei quali condannati per associazione mafiosa;
– plurime frequentazioni di parenti e affini dell’interessata con tali soggetti, verificate in un lungo arco temporale;
– l’intreccio tra il rapporto di parentela e quello di cointeresse economico con i fratelli, contigui ad esponenti della criminalità organizzata.
L’appellante contesta tale ragionamento, evidenziando che l’esistenza di legami parentali sia insufficiente a sorreggere un’interdittiva antimafia, come peraltro lo stesso Tar aveva ritenuto in un precedente su vicenda analoga deciso poco tempo prima.
L’appellante osserva, peraltro, come, oltre ad ella stessa, anche i fratelli sono incensurati, e di essersi separata dal marito, -OMISSIS-.
2. L’appello è infondato.
Preliminarmente occorre evidenziare come l’appellante non confuta gli elementi valorizzati dal Tar, ossia:
– -OMISSIS- è gravato da precedenti penali (tra i più significativi: truffa aggravata, estorsione, ricettazione, associazione per delinquere); inoltre lo stesso è stato ripetutamente notato e controllato, per un lungo arco temporale, con soggetti pregiudicati, alcuni dei quali esponenti della cosca di -OMISSIS-;
– -OMISSIS-, fratelli dell’appellante, sono stati segnalati per diversi reati, tra cui associazione a delinquere e truffa; inoltre -OMISSIS- è genero di -OMISSIS-, ritenuto contiguo all’omonima cosca di ‘ndrangheta, mentre -OMISSIS- ha avuto come “padrino” di cresima -OMISSIS-, segnalato per ricettazione, e parente di elementi apicali dell’omonima cosca;
– la suocera dell’appellante ha messo a disposizione il proprio appartamento a favore di -OMISSIS-, segnalato per associazione di tipo mafioso, durante il periodo di arresti domiciliari;
– -OMISSIS- è stato socio accomandante della “-OMISSIS–“, il cui socio accomandatario era il fratello della ricorrente, -OMISSIS-;
– l’appellante è stata socia accomandataria della “-OMISSIS-“, società cancellata nel 2010, della quale faceva parte anche il fratello -OMISSIS-.
L’appellante, piuttosto, cerca di svalutare la rilevanza di tali elementi, in punto di fatto o di diritto.
Occorre pertanto ricordare i principi fissati dalla giurisprudenza in ordine all’interdittiva antimafia:
– l’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la pubblica amministrazione;
– essa, trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
– tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua ragionevolezza in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
– la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
– anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
– il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
– gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Ciò premesso si può passare all’esame della questione essenziale devoluta con l’appello, attinente alla pluralità di rapporti di parentela o affinità con soggetti i quali, all’epoca dell’interdittiva, erano gravati da precedenti penali o di polizia.
Detti rapporti costituiscono i dati storici che formano la premessa minore di un’inferenza calibrata sulla regola (massima d’esperienza) secondo cui il vincolo di sangue o di coniugio con soggetti vicini ad associazioni mafiose espone il soggetto all’influsso dell’organizzazione. L’attendibilità dell’inferenza dipende da una serie di circostanze che qualificano detti rapporti, quali, soprattutto, l’intensità del vincolo e il contesto in cui si inserisce.
Nel caso in esame l’intensità dei vincoli è molto forte, trattandosi del marito e dei fratelli, ed il contesto milita nel senso della loro rilevanza, poiché l’interessata conduce una ditta individuale in un territorio ad alta densità mafiosa.
Correttamente il Tar ha rilevato che la separazione personale dell’interessata dal marito non alcuna rilevanza, poiché il ricorso per separazione consensuale è successivo al provvedimento impugnato.
Occorre altresì rilevare che nel caso in esame non vengono in rilievo rapporti meramente formali, essendo provata l’assidua frequentazione con i soggetti menzionati. A ciò si aggiungono i rapporti di cointeressenza economica, la cui significatività l’appellante cerca di emarginare facendo leva sull’inoperatività tanto della “-OMISSIS–“, quanto della “-OMISSIS-“.
In realtà, nella materia in oggetto, l’inoperatività delle imprese collaterali non ne svilisce il significato rispetto ad ipotesi di condizionamento mafioso del gruppo familiare che le gestisce, anzi è elemento che può corroborarlo, allorquando non si spieghi perché un’attività economica organizzata – in forma societaria – nasca senza svolgere attività.
3. L’appello è respinto.
Spese secondo soccombenza, che si liquidano in euro 2.500.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, respinge l’appello.
Condanna l’appellante al pagamento in favore della controparte delle spese processuali, che si liquidano in euro 2.500.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Dispone che ai sensi dell’art. 22 d.lgs. 196/2003, a tutela della dignità della parti interessate, la Segreteria proceda all’oscuramento delle generalità e di ogni altro dato idoneo a identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Francesco Bellomo – Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
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