È legittimo il diniego alla domanda di concessione della cittadinanza italiana se è risultato che il richiedente aderiva, anche su un piano idealistico, al movimento “curdo”
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 26 ottobre 2016, n. 4498
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3286 del 2016, proposto dal signor
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. An. An. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
Il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sez. II quater, n. 12752 del 2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2016 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato Ma. An. An. e l’avvocato dello Stato Ma. An. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante – cittadino della Turchia – in data 23 febbraio 2006 ha chiesto al Ministero dell’Interno il rilascio della concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera c), della legge n. 91 del 1992.
Con decreto del 6 ottobre 2011, il Ministero ha respinto la domanda, rilevando che «dall’attività informativa esperita è emersa la contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica e che tale motivo risulta ostativo alla concessione della cittadinanza».
2. Col ricorso di primo grado n. 1000 del 2012 (proposto al TAR per il Lazio), l’interessato ha impugnato il diniego di concessione, deducendo vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere.
Il TAR, con la sentenza n. 12752 del 2015, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio.
3. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.
Dopo aver ricostruito i fatti che hanno condotto al secondo grado del giudizio, egli ha riproposto le censure secondo cui il diniego sarebbe viziato per violazione dell’art. 9 della legge n. 91 del 1992, nonché per eccesso di potere per manifesta illogicità e difetto di motivazione.
L’appellante ha dedotto che il diniego del Ministero e la sentenza del TAR avrebbero incongruamente attribuito rilevanza al fatto che egli è «idealisticamente vicino a tutti quei movimenti che si battono per la causa curda, in quanto egli stesso, a causa della sua etnia, è stato vittima di discriminazioni e vessazioni», tanto da aver conseguito lo status di rifugiato politico, e non ha dimenticato «le disparità di trattamento, le oppressioni e le persecuzioni cui vengono quotidianamente sottoposti i curdi in un Paese come la Turchia».
Inoltre, l’appellante – nel segnalare che non è mai stato indagato di appartenere ad associazioni terroristiche – ha criticato il fatto che il Ministero non abbia rivelato le fonti dalle quali ha tratto elementi secondo cui egli avrebbe ancora ‘contattì e ‘vicinanzé con gli ambienti curdi ed ha osservato che non dovrebbe neppure essere considerato pericoloso il suo sentirsi parte del movimento curdo, anche perché «nell’attuale momento storico… la guerra all’Isis viene combattuta… quasi esclusivamente dalle forze curde».
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio ed ha chiesto che il gravame sia respinto.
Con memoria depositata in data 6 settembre 2016, l’appellante ha richiamato le deduzioni contenute nell’atto d’appello, rilevando che «la storia del movimento curdo non si riduce ad una storia di violenza (sebbene nessuno nega né minimizza diversi tristi episodi)», ed ha insistito nelle già formulate conclusioni.
4. Così sintetizzate le articolare censure dell’appellante, ritiene la Sezione che esse siano infondate e vadano respinte.
4.1. L’art. 9 della legge n. 91 del 1992 dispone che la cittadinanza italiana «può essere concessa», sicché in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità il provvedimento di relativo diniego della concessione – pur sindacabile per i suoi eventuali profili di eccesso di potere (ad es. per travisamento dei fatti o inadeguata motivazione: cfr. Sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3456) – è insindacabile per i profili di merito della valutazione dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 settembre 2016, n. 3819; Sez. III, 25 agosto 2016, n. 3696; Sez. III, 11 marzo 2016, n. 1874; Sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3006; Sez. VI, 3 ottobre 2007, n. 5103).
4.2. Nella specie, l’Autorità amministrativa, nel motivare nel senso che «è emersa la contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica», ha tenuto conto di circostanze obiettivamente rilevanti.
In questa sede non rileva accertare quale sia stata nel corso del tempo l’attività svolta dal movimento curdo, né accertare se l’adesione a tale movimento possa essere intesa come adesione (attuale o risalente nel tempo) anche alla realizzazione di comportamenti caratterizzati dalla violenza.
Tuttavia, poiché soggetti riferibili al movimento curdo hanno posto in essere anche atti terroristici, e una volta accertata la vicinanza dell’appellante – da lui espressamente dichiarata sul piano «idealistico» – al movimento che si batte per la causa curda, ritiene la Sezione che il contestato diniego emanato del Ministero dell’Interno si è basato su una valutazione di merito non manifestamente irragionevole, e dunque insindacabile in sede di giurisdizione generale di legittimità: questo Consiglio ha più volte rilevato che rientra nella insindacabile discrezionalità del Ministero attribuire rilievo a circostanze che inducano a ritenere che il richiedente non possa essere accolto nella comunità italiana (Cons. Stato, Sez. III, 6 settembre 2016, n. 3819; Sez. III, 25 agosto 2016, n. 3696; Sez. I, 4 maggio 1966, n. 914/66).
5. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello n. 3286 del 2016.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
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