Considerazioni del CTU tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 settembre 2024| n. 24695.

 Considerazioni del CTU tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito

Lo svolgimento, da parte del consulente tecnico d’ufficio, di considerazioni tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito non determina la nullità della consulenza, né quella derivata della sentenza, se è stata assicurata alle parti la possibilità di interloquire, sia dal punto di vista tecnico nel corso della c.t.u., sia dal punto di vista giuridico negli snodi processuali a ciò deputati, restando “assorbito” l’operato del consulente da quello del giudice.

 

Ordinanza|13 settembre 2024| n. 24695.  Considerazioni del CTU tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito

Data udienza 28 luglio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Prova civile – Consulenza tecnica – Consulente d’ufficio – Attivita’ – In genere svolgimento da parte del ctu di considerazioni tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito – Possibilità di interlocuzione assicurata alle parti – Nullità della consulenza – Esclusione – Fondamento.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere Rel.

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16100/2022 R.G. proposto da:

GE.IT. Spa, in persona del procuratore speciale Ma.Po., elettivamente domiciliata in Roma, p.zza (Omissis), presso lo studio dell’Avv. MI.RO. (Omissis), che la rappresenta e difende per procura speciale allegata al ricorso;

Da.An., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. GA.RA., con domicilio digitale eletto nella casella di posta elettronica certificata (Omissis);

– ricorrenti –

contro

Da.An., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. GA.RA., con domicilio digitale eletto nella casella di posta elettronica certificata (Omissis);

GE.IT. Spa, in persona del procuratore speciale Ma.Po., elettivamente domiciliata in Roma, p.zza (Omissis), presso lo studio dell’Avv. MI.RO. (Omissis), che la rappresenta e difende per procura speciale allegata al controricorso;

NU.ED. Snc, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. GI.DI. (Omissis) per procura speciale allegata al controricorso; elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione;

– controricorrenti –

CI.AD. Srl, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. LO.DI. (Omissis), con domicilio digitale eletto nella casella di posta elettronica certificata (Omissis);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

TE. Srl

– intimata –

Avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 543/2022, depositata il 12/04/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024 dal dott. LUIGI LA BATTAGLIA.

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MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. CI.Ad. Srl (d’ora in avanti, semplicemente “CI.”) convenne in giudizio Lu., Gi. e Ma.Da. (che le avevano venduto un terreno), e l’ing. Da.An. (che vi aveva progettato la costruzione di un opificio industriale, quale aveva pure diretto i lavori), ritenendoli responsabili, a diverso titolo (ex art. 1490 c.c. i venditori; ex art. 1218 c.c. il progettista e direttore dei lavori; tutti, in solido, ex art. 2043 c.c.) per i danni derivanti dallo smottamento del terreno, con conseguente pericolo di crollo del capannone, ed invocandone conseguentemente la condanna al risarcimento dei danni. L’ing. Da. chiamò in causa la propria assicurazione, (…) Spa, onde esserne garantito in caso di condanna.

Con una prima sentenza non definitiva, il Tribunale di Teramo, aderendo alle conclusioni della c.t.u. espletata, accertò la responsabilità del (solo) Da.An. e dispose la prosecuzione del giudizio per la chiamata in causa, ex art. 107 c.p.c., di TE. Srl (appaltatrice degli scavi) e La NU.ED. Snc (appaltatrice della paratia di contenimento della frana), nonché per un supplemento di c.t.u. sul quantum debeatur.

Con la successiva sentenza definitiva, il Tribunale condannò il Da. a corrispondere a CI., a titolo di risarcimento del danno, Euro 741.685,01, riconoscendolo unico responsabile “per una inadeguata progettazione delle opere e delle successive progettazioni di opere in variante, di salvaguardia e/o di consolidamento”. La compagnia (…) venne condannata, a sua volta, a manlevare il convenuto fino al massimale di polizza di Euro 540.000,00.

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La sentenza fu impugnata da Ge., mentre Da.An. e la CI. proposero appello incidentale. Ge. invocò la limitazione del proprio obbligo di manleva alla minor somma di Euro 162.000,00, contemplata dalla clausola n. 1 delle condizioni particolari di contratto in relazione ai danni conseguenti a rovina delle opere progettate o dirette dall’assicurato.

L’ing. Da., invece, sul presupposto della nullità della c.t.u. svolta in primo grado (per avere il consulente esorbitato dal quesito postogli, giungendo a ravvisare l’inadempimento del convenuto e il nesso causale tra lo stesso e gli eventi dannosi allegati dall’attrice), invocò la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato la sua responsabilità, da ascriversi, invece, alla stessa committente e alle appaltatrici chiamate in causa ex art. 107 c.p.c. Contestò, in ogni caso, la quantificazione del risarcimento, avendo lo stesso c.t.u. rettificato la stessa nella minor somma di Euro 705.685,01.

CI., infine, censurò la pronuncia di primo grado nella parte in cui non aveva esteso la condanna in garanzia di Ge. (anche oltre il massimale di polizza) agli interessi e alla rivalutazione monetaria, e nella parte relativa alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di primo grado, ritenuta inferiore ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014.

La Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’appello principale di Ge., non ritenendo ricompresi nel punto 1 delle Condizioni particolari del contratto di assicurazione (facente riferimento ai danneggiamenti materiali conseguenti a rovina totale o parziale delle opere progettate o dirette dall’assicurato) i danni oggetto di causa, “compresi invece nell’oggetto generale di polizza di cui all’art. 1 delle condizioni Ge. di contratto” (pag. 19 della sentenza impugnata). Quanto all’appello incidentale del Da., i giudici di secondo grado, pur convenendo che il c.t.u. avesse oltrepassato il perimetro del quesito, opinarono che, in mancanza di violazioni del principio del contraddittorio, ciò non avesse determinato la nullità della consulenza (la quale, dunque, restava liberamente valutabile, nella sua interezza, dal giudice).

La sentenza di primo grado fu, quindi, confermata sotto il profilo dell’ai della responsabilità, soltanto riducendo l’originaria condanna dell’ing. Da. alla minor somma di Euro 705.685,01.

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In parziale accoglimento dell’appello incidentale di CI., la Corte d’appello dispose che sulla somma oggetto della condanna in garanzia di Ge. (non soggetta a rivalutazione) fossero computati gli interessi legali anche ultra-massimale. Venne rigettato, invece, il secondo motivo, attinente alla liquidazione delle spese processuali del primo grado di giudizio, ritenendosi corretta l’individuazione dello scaglione tariffario di riferimento e la quantificazione superiore al minimo.

Hanno proposto due distinti ricorsi Ge. Assicurazioni e Da.An. Hanno depositato controricorso (oltre che le stesse parti appena menzionate) La Nu.Ed. e CI. (quest’ultima proponendo ricorso incidentale in seno allo stesso). Tutte le parti (tranne Te., rimasta intimata) hanno depositato memoria ex art. 381 – bis.1 c.p.c.

2. Iniziando a trattare del ricorso di Da.An., con il primo motivo egli deduce la nullità della sentenza per nullità della c.t.u. (art. 360 n. 4 c.p.c.) e la violazione degli artt. 111, comma 2, e 24 cost. e 116, 195, 196 c.p.c. e 90 e 92 disp. att. c.p.c. A fronte di un quesito volto all'”accertamento della natura del terreno, sulla scorta dei dati emergenti dalla relazione del geologo Mo. e degli altri elementi acquisiti”, il c.t.u. dott. Ca. avrebbe illegittimamente esteso l’ambito delle proprie valutazioni al nesso eziologico tra la condotta colposa attribuita al progettista e direttore dei lavori e i danni lamentati dalla CI., in tal modo violando il principio dispositivo, con conseguente “nullità assoluta (della c.t.u.) che travolge la statuizione della impugnata sentenza sulla domanda di responsabilità professionale dell’Ing. Da.An., sull’accertamento del nesso eziologico tra la condotta dell’Ing. Da. e i danni strutturali lamentati dalla C.I. Srl e sulla conseguente domanda risarcitoria, atteso che (.) il C.T.U., Dott. Ca. si è espressamente pronunciato su tali profili oltre ogni limite consentito di estensibilità dell’esclusivo quesito geologico, sulla natura del terreno, demandatogli dal Giudice di Prime Cure” (così a pag. 39 del ricorso per cassazione).

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Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata, pur convenendo circa lo sconfinamento, da parte del c.t.u., dal perimetro d’indagine delineato dal quesito postogli, ha ritenuto che lo stesso non avesse determinato la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, “non traducendosi in alcuna violazione del contraddittorio o del principio dispositivo, unici veri limiti sostanziali all’indagine del consulente incaricato dal giudice” (pag. 10 della sentenza impugnata, che richiama, a fondamento di tale assunto, il decisum di Cass., Sez. un., n. 3086/2022). Secondo la Corte d’appello, infatti, nel caso di specie “il CTU, pur avendo esteso le proprie valutazioni oltre i limiti del quesito, (aveva) svolto il proprio lavoro senza alcuna violazione del contraddittorio, essendo state le parti in grado di controdedurre in ordine alle valutazioni espresse ed agli accertamenti eseguiti in ogni fase di svolgimento dell’elaborato peritale e durante tutto il giudizio di primo grado” (pag. 10).

Con il fondamentale arresto di cui alla sentenza n. 3086/2022, le Sezioni unite di questa Corte hanno osservato come l’attività del c.t.u., inscrivendosi “dinamicamente nell’orbita istruttoria del processo”, in funzione integrativa dell’operato del giudice, trovi il proprio limite nel principio dispositivo e nel principio della domanda, sicché, da un lato, non può valere a supplire a carenze di allegazione e prova delle parti (in tal senso si spiega il divieto della consulenza c.d. esplorativa); dall’altro, deve mantenersi entro il perimetro delle indagini che il giudice abbia concretamente demandato all’ausiliario. Valorizzando (alla stregua dei principi ricavabili dagli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU) una concezione del processo come finalizzato a “garantire attraverso una pronuncia sul merito della contesa, l’interesse delle parti al conseguimento di una decisione per quanto più è possibile giusta”, le Sezioni Unite hanno puntualizzato che al c.t.u. – in una logica imperniata sulla simmetria rispetto al potere di rilevazione officiosa spettanti al giudice – è consentito acquisire fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa azionata in giudizio, integranti le c.d. eccezioni in senso lato. D’altro canto, il c.t.u., nell’ambito dei poteri attribuitigli dall’art. 194 c.p.c., può liberamente accertare i fatti c.d. secondari, vale a dire quelli “privi di efficacia probatoria diretta, ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali”, benché questi non siano stati fatti oggetto di espressa indicazione dalle parti.

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Da altro (e complementare) angolo visuale, al consulente non si applicano le preclusioni processuali vigenti a carico delle parti, dal momento che egli “esercita i medesimi poteri di accertamento che competono al giudice e che il giudice potrebbe esercitare da sé se disponesse delle necessarie cognizioni tecnico-scientifiche”, con la conseguenza che (nei limiti delineati, per le iniziative istruttorie officiose del giudice, dagli artt. 183, comma 8, 421, comma 2, 118, 213 c.p.c. e 2711 c.c.) “anche il consulente potrà procedere (.) a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, nel segno caratterizzante della indispensabilità, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell’interrogazione giudiziale”. Quanto alle conseguenze del travalicamento, da parte dell’ausiliario, dai poteri assegnatigli dalla legge (sempre che egli stesso o il giudice, in sede decisoria, si siano effettivamente avvalsi degli elementi acquisiti in violazione dei limiti a tali poteri connaturati), le Sezioni unite, escluso il ricorso alla categoria dell’inammissibilità (più consono all’attività delle parti) o a quella (dagli incerti contorni, oltre che non prevista né disciplinata dal codice di rito civile, a differenza di quello penale) dell’inutilizzabilità, concludono per la nullità relativa, in relazione soprattutto allo “snodo cruciale (.) costituito (.) dalla necessità che l’attività consulenziale si svolga nel più fedele e scrupoloso rispetto del contraddittorio delle parti”. Il mancato rispetto del contraddittorio “tecnico” lede, infatti, un interesse delle parti, di cui le stesse possono disporre, non facendone valere la violazione nelle forme e nei tempi di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c.”. Ciò sempre che si rimanga nel perimetro dei fatti secondari, dal momento che, ove il c.t.u. finisca per indagare su fatti principali non dedotti dall’attore a fondamento della domanda (e, comunque, non accertabili d’ufficio dal giudice), la nullità non potrà che essere assoluta, “in quanto afferente alla sfera dei poteri legittimamente esercitabili dal giudice” (o suscettibile di essere fatta valere quale motivo di impugnazione, ai sensi dell’art. 161 c.p.c.).

Orbene, nel caso di specie il ricorrente non lamenta né che il c.t.u. abbia acquisito documenti non prodotti dalle parti; né che abbia indagato su fatti principali non dedotti dall’attrice quale causa petendi della propria domanda; né che abbia violato il contraddittorio tecnico. Ciò di cui – a ben vedere – il Da. si duole è la formulazione, da parte del c.t.u., di giudizi e valutazioni critiche intorno a profili del thema decidendum (in particolare, come detto, il nesso causale tra l’inadempimento del progettista e direttore dei lavori e lo smottamento del terreno sul quale era stato edificato il capannone industriale) non involti dal quesito del giudice (o comunque appannaggio della sfera valutativa di quest’ultimo, in relazione alla natura giuridica delle relative questioni). In quest’ottica, peraltro, le considerazioni svolte dal c.t.u. ultra quesito finiscono per rilevare alla stregua di argomenti di prova, liberamente utilizzabili dal giudice in seno alla complessiva valutazione delle risultanze istruttorie del processo. Il “punto di tenuta” del sistema si sposta, dunque, sul piano della motivazione della sentenza, in particolare sulla adeguatezza e coerenza del ragionamento con il quale il decidente “faccia proprie” le argomentazioni (pur ultronee, dal limitato angolo visuale della fedeltà al quesito) del c.t.u. Si legge, in Cass., n. 1186/2016, che “la consulenza tecnica d’ufficio è funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicché i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, né, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata (nella specie, quella relativa alla qualificazione della “attività confacente alle attitudini dell’assicurato”, di cui all’art. 1 della l. n. 222 del 1984, come attività usurante o stressante, o meno), di essa si deve tenere conto, a meno che non venga vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti”. Ancora, Cass., n. 996/99, affermò che “la consulenza tecnica è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, il quale, tuttavia, nell’ammettere il mezzo stesso deve attenersi al limite ad esso intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico; pertanto il giudice, qualora erroneamente affidi al consulente lo svolgimento di accertamenti e la formulazione di valutazioni giuridiche o di merito inammissibili, non può risolvere la controversia in base ad un richiamo alle conclusioni del consulente stesso, ma può condividerle soltanto ove formuli una propria autonoma motivazione basata sulla valutazione degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e dia sufficiente ragione del proprio convincimento, tenendo conto delle contrarie deduzioni delle parti che siano sufficientemente specifiche (.)”. In definitiva, una volta che le parti siano state messe nelle condizioni di interloquire, vuoi dal punto di vista tecnico nel corso della c.t.u., vuoi dal punto di vista più squisitamente giuridico negli snodi processuali a ciò deputati, il solo fatto che il c.t.u. abbia svolto considerazioni tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito non integra un vizio di nullità della consulenza, restando da accertare (alla luce della motivazione della sentenza) se e in che modo il giudice si sia successivamente valso delle suddette considerazioni per giungere alla decisione. Pertanto, nella misura in cui, all’esito del rituale dispiegarsi del contraddittorio tra le parti (e previa adeguata esternazione dell’iter logico che lo abbia condotto a una determinata decisione), il giudice “sovrapponga” le proprie conclusioni a valutazioni tecniche del c.t.u. anch’esse preventivamente sottoposte all’esame delle parti, il “vizio d’origine” della consulenza tecnica è mondato o – altrimenti detto – non ridonda in una nullità processuale, la quale finirebbe per ridursi a formalistica sanzione del comportamento dell’ausiliario, non essendo state in alcun modo conculcate le guarentigie fondamentali delle parti. In altri termini, l’operato dell’ausiliario viene, in questo caso, “assorbito” da quello del giudice, di modo che la sentenza, se immune da vizi propri, non potrà dirsi nulla per “derivazione” dalla nullità della c.t.u.

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3. Il secondo motivo del ricorso Da. censura la violazione dell’art. 107 c.p.c. e degli artt. 1667, 1669, 1227, 2056 c.c., nonché omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c., per non avere la Corte d’appello di L’Aquila riconosciuto la responsabilità delle terze chiamate in causa (cui doveva intendersi estesa la domanda risarcitoria avanzata dall’originaria attrice e rispetto alle quali non poteva dirsi maturata alcuna decadenza o prescrizione ex artt. 1667 e 1669 c.c.), nonché il concorso colposo della CI..

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata (a pag. 15), sia pure con motivazione succinta, ha esaminato la questione della possibile corresponsabilità delle ditte appaltatrici (alle quali, quindi, ha implicitamente ritenuto estesa, in virtù della chiamata in causa, l’originaria domanda dell’attrice) e della stessa committente, e l’ha esclusa in ragione non già del verificarsi di una decadenza o prescrizione, bensì sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica, convergenti nel senso della responsabilità esclusiva del Da. Nessuna violazione delle norme sopra indicate è, dunque, configurabile, sicché le censure del ricorrente finiscono per impingere inammissibilmente nella valutazione del merito della controversia.

4. Con il terzo motivo, Da. deduce la violazione degli artt. 1905 e 1917 c.c., nella parte in cui la Corte di secondo grado, in sede di condanna in garanzia dell’assicurazione, ha escluso l’applicazione della rivalutazione anche al di là del massimale garantito.

All’accoglimento del motivo osta la mancata evidenziazione della specifica proposizione della relativa domanda nel corso del giudizio di primo grado, atteso che “la responsabilità per mala gestio c.d. propria – derivante dal ritardo nell’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dell’assicurato per violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo correttezza nell’esecuzione del contratto ex artt. 1175 e 1375 c.c., comporta il diritto dell’assicurato al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi oltre il massimale di polizza, ma l’ammissibilità di tale pretesa, avente specifici petitum e causa petendi, postula la proposizione di una specifica domanda, con allegazione dei comportamenti che sostanziano la mala gestio, sin dall’atto introduttivo del giudizio e non può ritenersi contenuta nella domanda di garanzia, avente diverso petitum e causa petendi” (Cass., n. 11319/2022).

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5. Il quarto motivo censura, sotto il profilo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., la “omessa valutazione delle prove documentali e testimoniali acquisite nel giudizio di grado in relazione alla ritenuta responsabilità professionale relative alla responsabilità della ricorrente” (sic) e delle terze chiamate, in relazione alle opere di sbancamento della scarpata e di realizzazione della paratia; nonché la violazione degli artt. 2697, 2332, 2330, 1227, 2056 c.c., per aver affermato la responsabilità del Da. sulla base della sola c.t.u. (affetta da profili di nullità), senza tener conto delle evidenze probatorie deponenti per la circostanza che fosse stata la CI. (in concorso con le società appaltatrici) a realizzare autonomamente lo sbancamento del versante collinare franoso.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che, “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass., n. 3397/2024), vi è da dire che, “in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali” (Cass., n. 37382/2022). Quanto alla violazione dell’art. 2697 c.c., essa è deducibile unicamente “nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.” (Cass., n. 17313/2020). Una diversa “rilettura” delle risultanze istruttorie acquisite al processo (quale quella, in definitiva, invocata dal ricorrente) non è, pertanto, veicolabile mediante il ricorso per cassazione.

6. Venendo a trattare del ricorso proposto da Ge. Assicurazioni, il primo motivo censura l’illogicità della motivazione ex art. 360 n. 4 c.p.c., nella parte in cui ha ricondotto l’evento in questione al campo di applicazione dell’art. 1 delle condizioni Ge. del contratto di assicurazione, anziché alle condizioni particolari, che, per lo specifico caso di “rovina” (occorso nella specie), individuavano il “sotto-massimale” di Euro 162.000,00.

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Con il secondo motivo, Ge. deduce, invece, la violazione dell’artt. 1362 c.c., sempre con riferimento alla parte della sentenza impugnata nella quale il giudice di merito ha ritenuto la rovina dell’edificio come inclusa nell’oggetto “normale” di polizza (come tale, assoggettata al massimale “ordinario”) e non nell’eccezione contemplata nelle condizioni particolari di contratto. Preliminarmente, dev’essere respinta l’eccezione di inammissibilità formulata da Da. nel proprio controricorso, in relazione al giudicato che sarebbe asseritamente calato sulla sentenza non definitiva (avverso la quale Ge. avrebbe formulato tardivamente la propria riserva d’appello). Tranciante, al riguardo, appare la considerazione che la sentenza non definitiva non conteneva alcuna statuizione relativa al rapporto di garanzia (trattato solo dalla successiva sentenza definitiva), e pertanto non poteva configurarsi alcun onere di sottoporla a immediata impugnazione (ovvero a riserva d’appello) da parte della compagnia assicuratrice.

I motivi (che possono essere esaminati congiuntamente, attesane l’evidente connessione) sono infondati.

La Corte d’appello, attraverso un’analisi che, muovendo dal contenuto delle clausole in questione, ne ha operato un’interpretazione coordinata (v. pagg. 18 e s. della sentenza impugnata), è giunta alla conclusione che l’evento dannoso ascritto a responsabilità dell’ing. Da. non afferisse al concetto di “rovina” evocato dall’art. 1 delle condizioni particolari di contratto, bensì a quello di “danneggiamenti” richiamato dall’art. 1 delle condizioni Ge.. La motivazione è sicuramente sufficiente a rendere intelligibile l’iter logico seguito dal giudicante, fondantesi sul rapporto di “eccezione all’eccezione” corrente tra il menzionato art. 1 delle condizioni particolari e l’art. 5 delle condizioni Ge. (che prevede alcuni specifici casi nei quali l’assicurazione – di regola – non opera). Ne consegue l’inammissibilità di una censura mirante, in definitiva, ad accreditare una diversa interpretazione che conduca al risultato anelato dalla ricorrente, tenuto conto che, “in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.” (Cass., n. 22598/2018; conf. Cass., n. 7090/2022).

7. Il primo motivo del ricorso incidentale proposto da CI. denunzia la violazione dell’art. 329 c.p.c. (nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, c.p.c.), per non aver la Corte d’appello rilevato la formazione del giudicato in ordine alla questione dell’esclusiva responsabilità del Da., nonostante quest’ultimo non avesse contestato, nel capo dell’appello specificamente dedicato alla sentenza definitiva, la relativa statuizione (contenuta nella sentenza non definitiva).

Il motivo è infondato, posto che, una volta ritualmente formulata riserva d’appello avverso la sentenza non definitiva (che aveva accertato la sua responsabilità esclusiva), l’impugnazione proposta dal Da. contro la sentenza definitiva rappresentava la sede precipua in cui contestare tale accertamento, in uno con tutte le statuizioni riconducibili a entrambe le pronunce.

8. Il secondo motivo del ricorso incidentale riguarda la violazione degli artt. 1905 e 1917 c.c., censurando la sentenza di merito per non aver riconosciuto la rivalutazione “ultra – massimale” della somma oggetto della condanna di garanzia di Ge. in favore di Da.

Questo motivo è inammissibile per carenza, in capo alla CI., dell’interesse ad impugnare una statuizione che impinge in un rapporto giuridico cui essa è estranea, non avendo azione diretta nei confronti dell’assicuratore.

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9. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, CI. censura la violazione dell’art. 24 della l. n. 794/1942 e dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.m. n. 55/2014, per aver rigettato la Corte di L’Aquila il motivo di appello incidentale relativo alla mancata applicazione, alla liquidazione delle spese processuali del primo grado di giudizio (quantificate in Euro 17.348,00), dell’aumento ex art. 4, comma 2, cit. (legato al fatto di aver difeso la parte contro più soggetti), e non aver tenuto conto delle note spese depositate (che indicavano onorari per complessivi Euro 94.588,36), omettendo di indicare il criterio di liquidazione adottato. La stessa censura viene riproposta con riferimento alla liquidazione delle spese di secondo grado.

Il motivo è infondato.

Premessa l’applicabilità, alla liquidazione delle spese del primo grado di giudizio, del d.m. n. 55/2014 (facendo fede, al riguardo, l’epoca della pubblicazione della sentenza definitiva, ed essendo stata – in ogni caso – pubblicata dopo l’entrata in vigore dello stesso anche la sentenza non definitiva), occorre sottolineare come, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, “in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso” (Cass., n. 14189/2022; si veda anche Cass., n. 19989/2021 e Cass., n. 89/2021). Essendo il valore della causa (secondo il criterio del decisum: v. Cass., n. 28885/2023; Cass., n. 688/2024) ricompreso tra Euro 520.000,00 e Euro 1.000.000,00, si applica l’art. 22 d.m. n. 55/2014, che prevede un incremento del 30% dei valori tabellari dello scaglione tra Euro 260.000,01 e Euro 520.000,00. Premesso che i valori medi dello scaglione possono essere ridotti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.m. n. 55/2014, fino al 50% (fino al 70% per quel che riguarda la fase istruttoria), la base minima (considerando la massima diminuizione possibile per ciascuna fase) è pari a Euro 8.710,50. A questa base va applicato l’aumento ex art. 22 d.m. n. 55/2014, che ben può essere inferiore al 30%, tenuto conto che “non incorre in violazione dell’art. 6 d.m. n. 55 del 2014 il giudice che, nelle cause di valore superiore a Euro 520.000,00, applica incrementi percentuali inferiori al 30% in relazione ai vari passaggi di scaglione, non essendo prescritte né l’obbligatorietà dell’aumento né una misura fissa per quest’ultimo, ferma restando, comunque, la legittimità dell’incremento massimo del 30% per ciascun passaggio” (Cass., n. 31347/2022). Ipotizzando, quindi, l’aumento minimo dell’1%, si giunge alla somma di Euro 8.797,60, alla quale applicare l’aumento del 20% previsto dall’art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014, per l’avvocato che abbia difeso la parte contro più soggetti. Essendo tre le parti ulteriori rispetto al primo convenuto, si giunge, in tal modo, alla complessiva somma di Euro 14.076,16 (pari a 1.759,52 x 3 + 8.797,60), inferiore agli onorari liquidati (nell’importo di Euro 17.000,00) dal Tribunale di Teramo in favore dell’attrice vittoriosa in primo grado).

Analogamente, applicando i medesimi criteri alle spese liquidate dalla Corte d’appello per il secondo grado di giudizio, si giunge a un valore complessivo minimo di Euro 13.671,36 che, considerata la compensazione per 1/3 disposta dal Collegio aquilano, si riduce a Euro 9.114,24 (somma anche in questo caso inferiore a quella liquidata, pari a Euro 11.752,00).

10. In definitiva, tutti i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di legittimità, ad eccezione di Nu.Ed., in favore della quale vanno liquidate le spese come da dispositivo.

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P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di Da.An. e di Ge. Assicurazioni Spa, nonché il ricorso incidentale di CI.Ad. Srl;

Condanna i ricorrenti, principale e incidentale, al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione in favore di Nu.Ed. Snc di An.Va. e c., che si liquidano in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, principale e incidentale, del contributo unificato relativo al ricorso stesso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Compensa integralmente tra le altre parti le spese processuali.

Così deciso in Roma il 28 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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