Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 29 aprile 2019, n. 2737.
La massima estrapolata:
Nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l’unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice.
Sentenza 29 aprile 2019, n. 2737
Data udienza 11 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3397 del 2018, proposto dall’avvocato -OMISSIS-, rappresentato e difeso da sé medesimo nel presente giudizio di appello ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Ro. Ge. in Roma, via (…);
contro
l’Università degli Studi -OMISSIS-OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via (…);
nei confronti
– del professor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Im. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Vi. Ba. in Roma, piazza (…);
– del professor -OMISSIS-, non costituito nel presente grado di giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 3398 del 2018, proposto dal professor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato -OMISSIS- ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Ro. Ge. in Roma, via (…);
contro
l’Università degli Studi -OMISSIS-OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via (…);
nei confronti
– del professor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Im. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Vi. Ba. in Roma, piazza (…);
– del professor -OMISSIS-, non costituito nel presente grado di giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 23 aprile 2018 n. 2659, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del professor -OMISSIS- in entrambi i giudizi ed i documenti depositati;
Viste le ulteriori memorie, anche di replica, con allegazione documentale, prodotte in giudizio dalle parti;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nella camera di consiglio del 21 giugno 2018 il Cons. Stefano Toschei e uditi gli avvocati -OMISSIS- e Cu., in sostituzione dell’avvocato Lu. Im. nonché l’avvocato dello Stato An. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. -La controversia qui in esame (relativa ad entrambi gli appelli), nella sede di primo grado, ha avuto ad oggetto il ricorso proposto dal professor -OMISSIS- al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento del 14 giugno 2017 (n. prot. 56306) con il quale l’Università degli Studi Federico II -OMISSIS-OMISSIS- ha respinto la domanda di accesso agli atti presentata dal medesimo professor -OMISSIS- in data 15 maggio 2017, con contestuale impugnazione, (all’occorrenza) del provvedimento 26 aprile 2017 (prot. n. 38429) con il quale l’Università degli Studi Federico II -OMISSIS-OMISSIS- ha respinto la domanda di accesso civico (generalizzato) dallo stesso presentata in data 29 marzo 2017, istando quindi per l’accertamento del diritto ad accedere alla documentazione richiesta, con relativa condanna dell’università al rilascio della stessa.
Nello specifico la prima domanda (di accesso civico generalizzato) presentata all’università dal professor -OMISSIS- aveva ad oggetto l’ottenimento della copia delle autorizzazioni rilasciate dall’Ateneo ai professori -OMISSIS- e -OMISSIS-, per l’assunzione delle cariche da essi ricoperte nella -OMISSIS-e, con riferimento al solo professor -OMISSIS-, nella -OMISSIS- e nella -OMISSIS-.. In particolare il richiedente l’accesso confortava la propria richiesta con la motivazione di voler dimostrare “l’assoluta incompatibilità dei controinteressati ed in particolare del prof. -OMISSIS- tra il ruolo di docente universitario a tempo pieno e l’incarico di Presidente della -OMISSIS–OMISSIS-, nonché l’incarico di Presidente di altri due istituti bancari partecipati dalla -OMISSIS-, ovvero -OMISSIS-e -OMISSIS-” (la parte virgolettata è tratta dalla pag. 2 dell’atto di appello nella quale l’appellante ripropone parte di quanto scritto dal ricorrente in primo grado, professor -OMISSIS-, a pag. 8 del ricorso introduttivo di quel grado di giudizio). La richiesta di accesso civico “generalizzato” veniva respinta dall’università, dopo avere chiesto ed acquisito le osservazioni dei controinteressati, con atto del 26 aprile 2017 nel quale si segnalava come dall’accoglimento dell’istanza accessiva avrebbe potuto determinarsi un concreto pregiudizio a carico dei professori -OMISSIS- e -OMISSIS-, oltre che manifestarsi il rischio di eventuali richieste risarcitorie a carico dell’Ateneo.
Degli stessi atti richiesti in copia con la domanda di accesso civico “generalizzato” veniva successivamente chiesta la ostensione dal professor -OMISSIS- per il tramite di una domanda di accesso documentale presentata all’università, ai sensi della l. 7 agosto 1990, n. 241, in data 15 maggio 2017. Anche tale richiesta veniva denegata dall’Ateneo, dopo avere acquisito gli apporti collaborativi dai controinteressati, con atto del 14 giugno 2017.
2. – Nei confronti dei due dinieghi di accesso (civico generalizzato e documentale) veniva proposto ricorso dal professor -OMISSIS- dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania.
Il giudice di primo grado, con riferimento alla domanda giudiziale di annullamento dell’atto del 26 aprile 2017, con il quale l’università ha respinto la domanda di accesso civico generalizzato, ha espressamente dichiarato che il ricorrente professor -OMISSIS- non poteva “più contestare (non avendolo tempestivamente impugnato) il provvedimento con il quale l’Università ha ritenuto insussistenti i presupposti di cui al citato decreto n. 33/2013 per consentire l’accesso civico generalizzato” (così, testualmente, alle pagg. 7 e 8 della sentenza qui oggetto di appello), finendo quindi per dichiarare irricevibile, in quanto tardiva, la domanda proposta (“per quanto occorrer possa”) con il ricorso principale, seppure formalmente tale dichiarazione non compare in nessun passaggio della sentenza del giudice di primo grado.
Nondimeno può evincersi, per tutta evidenza, la presenza nella sentenza del Tribunale amministrativo regionale di tale definizione “in rito” della domanda giudiziale di annullamento del diniego di accesso civico generalizzato, e ciò in base alla ulteriore specificazione contenuta nella sentenza in questione (a pag. 8) nella quale si afferma che “In questo senso il presente giudizio deve limitarsi al vaglio dell’esistenza dei presupposti di cui alla citata legge n. 241/1990 per concedere l’accesso, non potendo più (e in questo la prospettazione dei controinteressati è condivisibile) prendere in considerazione quanto articolato in ricorso circa la necessità di controllare, attraverso l’accesso civico generalizzato, l’operato della p.a.”.
Di talché spetta a questo giudice di appello esplicitare quanto sostanzialmente contenuto nella sentenza qui oggetto di appello, condividendone la decisione, in merito alla irricevibilità della domanda giudiziale (da definire in via prioritaria nel presente giudizio di appello, seppur proposta in via gradata ma ritenuta dal Collegio scrutinabile preventivamente rispetto alla domanda principale, tenuto conto della sequenza cronologica degli eventi e facendo applicazione dei principi di cui alla sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 27 aprile 2015 n. 5) di annullamento del provvedimento del 26 aprile 2017, di reiezione della istanza di accesso civico generalizzato proposta dal professor -OMISSIS- all’Università Federico II -OMISSIS-OMISSIS- in data 29 marzo 2017 e fatta oggetto di impugnazione giudiziale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania con ricorso notificato solo in data 10 luglio 2017, quindi ben oltre il termine decadenziale previsto per l’impugnazione del diniego di accesso civico (generalizzato) dagli artt. 5, comma 7, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 e 116 c.p.a.
3. – Diverso esito aveva la domanda giudiziale di annullamento del diniego di accesso documentale opposto dall’università al professor -OMISSIS- con atto del 14 giugno 2017, che invece era accolta dal Tribunale amministrativo regionale.
Il giudice di primo grado nella sentenza (qui oggetto di appello) di accoglimento della suddetta domanda:
– ha puntualizzato che con l’istanza del 15 maggio 2017 il professor -OMISSIS- ha chiesto l’accesso documentale nella sua qualità di membro designato dalla Regione nel Consiglio generale della -OMISSIS-e manifestando di voler esercitare i poteri di controllo derivanti da tale investitura, rappresentando altresì di voler accertare attraverso l’accesso documentale la ricorrenza delle condizioni che legittimerebbero i controinteressati (professori -OMISSIS- e -OMISSIS-) a ricoprire gli incarichi di Presidente e Vice Presidente della -OMISSIS- bancaria nonché (il professor -OMISSIS-) l’incarico di Presidente del -OMISSIS-e della -OMISSIS-, chiedendo dunque ed a tal fine di poter accedere alle autorizzazioni rilasciate dall’Università ai predetti per lo svolgimento delle surriferite attività extraistituzionali;
– ha ritenuto che la circostanza emersa nel corso dell’istruttoria sulla domanda di accesso documentale, costituente anche una delle ragioni del diniego opposto al professor -OMISSIS-, provocata dalla comunicazione trasmessa dalla -OMISSIS- bancaria con la quale si rendeva noto che il predetto professore “non possiede più la qualità di consigliere designato dall’ente medesimo dal momento che il Consiglio generale della -OMISSIS- ha deliberato il 27.4.2017 di non nominarlo Consigliere generale”, non poteva rappresentare motivo del venir meno della legittimazione dell’istante a chiedere l’accesso documentale e quindi detta comunicazione non era “dirimente soprattutto in quanto il ricorrente ha reagito nelle competenti sedi giurisdizionali mediante l’impugnazione della delibera del Consiglio Generale che non ha ratificato la sua nomina. Tanto che in data 5 febbraio 2018 il Tribunale civile -OMISSIS-OMISSIS- ha accolto la sua richiesta di accertare, in via cautelare, l’illegittimità della delibera del 27 aprile 2017 con la quale si è deciso “in senso contrario alla nomina a consigliere generale” (così, testualmente, alle pagg. 9 e 10 della sentenza qui oggetto di appello);
– ha ulteriormente chiarito che, “il ricorrente ha evidenziato in ricorso non solo la sua intenzione (poi concretizzatasi) di reagire alla mancata ratifica della sua nomina a componente del Consiglio generale, ma anche le numerose attività intraprese a tutela degli interessi della -OMISSIS- (anche mediante la presentazione di segnalazioni ai competenti organi di vigilanza) e la sua personale esposizione ad azioni risarcitorie (cfr. verbale del Consiglio del 27 ottobre 2016)” (così, ancora, a pag. 10 della sentenza fatta oggetto di appello);
– ha quindi concluso affermando che il professor -OMISSIS- vanta “una posizione differenziata (per le motivazioni appena illustrate, che non lo rendono come sostiene la difesa di -OMISSIS- un quivis de populo) cui si ricollega, in termini di concretezza ed attualità, l’interesse conoscitivo (…)”, ritenendo che “l’esibizione dei documenti richiesti sia strumentale alla tutela della posizione giuridica del ricorrente”, in quanto “Indubbiamente sussiste un collegamento tra la documentazione richiesta e l’interesse azionato; ciò in quanto l’eventuale mancata autorizzazione da parte dell’Università (cui appartengono i controinteressati) per ricoprire l’incarico di Presidente e Vice Presidente della -OMISSIS- non può non avere un riflesso sulla posizione dei controinteressati all’interno dell’istituto e non solo, come sostenuto dalla difesa erariale, all’interno dell’Università ” (i virgolettati sono tratti dalla sentenza alle pagg. 10 e 11).
Il Tribunale amministrativo regionale, dunque, accoglieva il ricorso avverso il diniego di accesso documentale opposto dall’università, ordinando a quest’ultima di rendere disponibili al professor -OMISSIS- le copie dei documenti richiesti in sede di accesso documentale.
4. – Il professor -OMISSIS- e il professor -OMISSIS-, con due distinti atti di appello, contestano la correttezza della decisione assunta dal giudice di primo grado attraverso quattro (pressoché coincidenti) motivi di appello, nei quali segnalano come le due richieste di accesso (sia civico generalizzato che documentale) presentate all’università dal professor -OMISSIS- avevano i medesimi oggetto e contenuto, determinandosi un cumulo di domande ostensive “tra loro mai espressamente graduate, ma formulate alla rinfusa” (così in entrambi gli atti di appello con riferimento al secondo motivo dedotto).
In particolare il professor -OMISSIS- puntualizza, come aveva già fatto nel presentare le osservazioni in qualità di controinteressato nel corso del procedimento di accesso, che egli ha un rapporto di lavoro con l’università “a tempo definito” e quindi, come tale, non necessita di rilascio di una specifica autorizzazione da parte dell’Ateneo per lo svolgimento di incarichi extraistituzionali, di talché l’assenza di autorizzazione “rende del tutto sprovvista di utilità la domanda giurisdizionale” (così, testualmente, a pag. 16 dell’atto di appello del professor -OMISSIS-).
Ad ogni modo la domanda articolata nel maggio 2017 dal professor -OMISSIS-, in formula cumulativa quale istanza di accesso civico generalizzato e di accesso documentale, deve ritenersi non consentita dall’ordinamento, per come era già stato eccepito nel corso del giudizio di primo grado (ma non analizzato dal giudice di prime cure), sicché lo stesso ricorso avverso il diniego avrebbe dovuto essere dichiarato, per tale ragione, inammissibile.
Erroneamente poi il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto sussistere in capo al professor -OMISSIS- la legittimazione a chiedere l’accesso documentale con riferimento ai documenti oggetto della relativa istanza, non essendo indifferente, a tale proposito, l’avere lo stesso istante mai acquisito effettivamente la qualifica di consigliere del Consiglio generale della -OMISSIS–OMISSIS-.
Altrettanto erroneamente il Tribunale amministrativo regionale non ha tenuto nella dovuta considerazione che i documenti richiesti con la domanda di accesso documentale contengono dati personali e che detti documenti sono contenuti nei fascicoli personali dei controinteressati, sicché un opportuno bilanciamento tra aspirazione alla conoscenza e tutela della riservatezza dei dati personali riferibili ai singoli controinteressati avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado a raggiungere una conclusione opposta, rispetto a quella assunta nella sentenza impugnata.
Conseguentemente veniva chiesta in entrambi i giudizi la riforma della sentenza fatta oggetto di appello con reiezione del ricorso proposto in primo grado.
5. – Si è costituito nel presente giudizio di secondo grado, con riferimento ad entrambi gli appelli, il professor -OMISSIS- contestando analiticamente le avverse prospettazioni e sostenendo la puntualità e correttezza della sentenza del Tribunale amministrativo regionale con la quale era stato accolto il ricorso proposto in primo grado nei confronti del diniego di accesso documentale oppostogli dall’Università Federico II -OMISSIS-OMISSIS-.
Il professor -OMISSIS- dunque concludeva chiedendo che venissero respinti entrambi gli appelli e confermata la sentenza di primo grado.
6. – Con decreti cautelari presidenziali 21 maggio 2018 nn. 2244 e 2245 è stata sospesa l’efficacia della sentenza fatta oggetto di appello (con riferimento ad entrambi i giudizi di secondo grado relativi alla medesima sentenza appellata) e detti decreti cautelari sono stati confermati con ordinanze collegiali 4 giugno 2018 nn. 2540 e 2541, al fine di mantenere la res adhuc integra.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie confermando le opposte conclusioni già indicate negli atti processuali.
7. – I due mezzi di gravame proposti in grado di appello nei confronti della medesima sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 23 aprile 2018 n. 2659 debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 70 c.p.a..
Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l’unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2018 n. 3109).
Al di là dell’obbligo di riunione dei due ricorsi in appello qui in esame, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza di primo grado, emerge poi, in tutta evidenza, la integrale connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi, recando quali parti processuali le stesse già costituite nel giudizio di primo grado ed avendo ad oggetto la delibazione di motivi di appello dal contenuto pressoché sovrapponibile.
Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 3398/2018 al ricorso n. R.g. 3397/2018, in quanto quest’ultimo ricorso in appello è stato introdotto in epoca successiva rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013 n. 22 e 23 luglio 2012 n. 4201).
8. – Ad avviso del Collegio presenta fondamentale importanza, ai fini della decisione del presente contenzioso, la lettura del contenuto delle due domande di accesso presentate dal professor -OMISSIS- all’Università degli Studi Federico II -OMISSIS-OMISSIS-.
La prima istanza presentata dal professor -OMISSIS- all’Università -OMISSIS-OMISSIS-, il 29 marzo 2017, è proposta (per quanto si legge nell’oggetto dell’istanza) quale “Istanza di accesso agli atti a norma del decreto FOIA – Freedom of Information Act – D. lgs. N. 97 del 25 maggio 2016, attuativo dell’art. 7 della legge delega di riforma della pubblica amministrazione”. In essa, dopo aver dichiarato di essere stato “designato per la nomina di componente del Consiglio generale della -OMISSIS- – -OMISSIS–OMISSIS-OMISSIS- dal Presidente della Regione Campania addirittura un anno fa senza che la stessa nomina sia mai stata ratificata dal Consiglio Generale come dovuto per legge e per statuto” ed avere puntualizzato che “La questione – tuttavia – ha fatto emergere condotte assai rilevanti, con implicazioni sul piano generale, che le rappresento analiticamente rinviando all’invito-diffida allegata che costituisce parte integrante e sostanziale della presente istanza di accesso riguardanti i suoi Professori -OMISSIS- e -OMISSIS-“, procedeva a riferire in ordine alla normativa disciplinante lo svolgimento degli incarichi extra istituzionali da parte dei docenti universitari, formulando perplessità e dubbi circa la autorizzabilità di incarichi ai vertici di istituti di credito e di fondazioni bancarie in favore di docenti universitari, formulando infine la richiesta che gli venissero trasmesse due tipologie di documenti:
1) “le richieste di autorizzazione per ciascun anno dei Vs. Professori -OMISSIS- e -OMISSIS- e le Vostre autorizzazioni rettoriali annuali riferite alle attività in epigrafe”;
2) “le richieste di autorizzazioni annuali del Prof. -OMISSIS- e le Vostre autorizzazioni a rivestire la carica di Presidente delle due -OMISSIS-(-OMISSIS-e -OMISSIS-)”.
Con la seconda richiesta di accesso del 15 maggio 2017 (che in oggetto reca la seguente indicazione “Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L.15/05 e del D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, nonché ai sensi dell’art. 5 del Dlgs. 33/13. Richiesta di avvio del procedimento per revoca autorizzazione del Rettore, rilasciata ai Docenti-OMISSIS–OMISSIS- e -OMISSIS-“) il professor -OMISSIS- ha ricordato che la sua precedente istanza di accesso (civico generalizzato) era stata negata dall’Università -OMISSIS-OMISSIS- “poiché, a giudizio della stessa la richiesta del richiedente non sarebbe stata sorretta da un giustificato interesse, in ragione del prevalente interesse alla protezione dei dati personali dei controinteressati”, affermando nel contempo che “Dalla consultazione, invece, di alcuni pareri resi dal Garante per la protezione dei dati personali (cfr. parere su una istanza di accesso civico del 9 febbraio u.s., doc. web n. 6057812, del 16 febbraio u.s., doc. web n. 6057387) è emersa una interpretazione prudenziale in materia di accesso civico cd. generalizzato, con la riservatezza dei rispettivi controinteressati ritenuta prevalente” e specificando ulteriormente che “tale richiesta viene formulata al fine di consentire alla intestata Università di verificare la sussistenza di un elemento oggettivo di danno erariale, in relazione alle disposizioni normative poste a presidio della vicenda”.
In altri termini il professor -OMISSIS-, con la seconda richiesta ostensiva, “corregge il tiro” circa le ragioni che lo inducono ad acquisire i documenti amministrativi detenuti dall’università (gli stessi già richiesti in precedenza con l’istanza di accesso civico generalizzato) e sposta il proprio interesse accessivo sulla possibilità di consentire, attraverso la disclosure documentale, al Rettore di “accertare, in senso più ampio, la ricorrenza delle condizioni che legittimerebbero i controinteressati a ricoprire gli incarichi rispettivamente di Presidente e Vice presidente della -OMISSIS- bancaria, nonché l’incarico di Presidente della -OMISSIS-e -OMISSIS-rivestite dal Prof. -OMISSIS-“, sicché la nuova istanza di accesso “mira a tutelare, il principio di legalità, in quanto l’ostensione della documentazione richiesta, consentirebbe di accertare l’effettiva sussistenza delle condizioni di legge che legittimerebbero i controinteressati a ricoprire gli incarichi di cui essi sono rispettivamente titolari”, formulando nel contempo una esplicita richiesta, rivolta allo stesso Rettore, perché proceda “(al)l’accertamento della sussistenza o meno della violazione dell’obbligo di esclusività della prestazione lavorativa, conseguente allo svolgimento di incarichi retribuiti da parte del dipendente pubblico” nonché verifichi “la sussistenza di un elemento oggettivo di danno erariale, in relazione alle disposizioni normative poste a presidio della vicenda”, assumendo i provvedimento conseguenti, in primis la revoca delle autorizzazioni allo svolgimento degli incarichi rilasciate ai professori universitari controinteressati.
9. – Altrettanto rilevante ai fini della decisione del presente contenzioso, ad avviso del Collegio, è verificare il contenuto delle motivazioni che accompagnano i due dinieghi espressi dall’Università Federico II -OMISSIS-OMISSIS-.
Il primo diniego, del 26 aprile 2017 prot. n. 38429, non tempestivamente gravato in sede giudiziale ovvero giustiziale (e comunque non nei tempi di cui agli artt. 5, comma 7, d.lgs. 33/2013 e 116 c.p.a.) dal professor -OMISSIS-, reca una articolata motivazione con la quale:
– si fa presente di avere coinvolto nel procedimento i controinteressati professori -OMISSIS- e -OMISSIS- e di avere tenuto in positiva considerazione le osservazioni pervenute da costoro “laddove gli stessi prospettano, con argomentazioni essenzialmente fondate sulle Linee Guida in materia di accesso civico (emanate, con Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016, dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali) il verificarsi di un concreto pregiudizio alla protezione dei propri dati personali, in caso di accoglimento”;
– viene riferito che nel corso dell’istruttoria, dopo avere constatato la sostanziale assenza di precedenti giurisprudenziali in merito, verosimilmente a causa della recente introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto dell’accesso civico generalizzato, sono state consultate alcune pronunce del Garante che militano per una prudenziale applicazione del c.d. accesso civico generalizzato al fine di garantire la riservatezza dei dati dei controinteressati, “ritenuta prevalente”;
– viene evidenziato, dopo avere riprodotto le disposizioni contenute nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice della privacy) che disciplinano l’azione risarcitoria per il ristoro dei danni provocati da un illecito trattamento di dati personali, come in assenza di regole certe nell’applicazione delle disposizioni che hanno introdotto l’istituto dell’accesso civico generalizzato l’Università si troverebbe esposta a subire la proposizione dell’azione risarcitoria, senza nessuna garanzia di poter dimostrare la sua estraneità dalla provocazione di danni, da parte dei due controinteressati i quali, già nelle osservazioni prodotte nel corso dell’istruttoria, hanno paventato il forte rischio che l’accoglimento della domanda di accesso civico e la conseguente consegna della documentazione richiesta all’accedente possano provocare conseguenze pregiudizievoli a loro carico, atteso che dall’esercizio del diritto di accesso “si potrebbe ricavare materiale per future azioni nei confronti” degli stessi controinteressati, posto che “E’ evidente che la richiesta del prof. -OMISSIS- è finalizzata proprio alla continuazione delle iniziative già avviate ai danni” dei controinteressati.
Sicché, per quanto si è sopra riprodotto, la richiesta di accesso civico generalizzato presentata dal professor -OMISSIS- è stata sostanzialmente (e comunque per la più parte delle ragioni che hanno accompagnato il diniego da parte dell’università ) denegata in ossequio alle sole osservazioni presentate nel corso della relativa istruttoria procedimentale dai due controinteressati.
Il secondo diniego, espresso dall’università con la nota 14 giugno 2017 prot. n. 56306, reca anch’esso una articolata motivazione con la quale:
– si fa presente di avere coinvolto anche in questo secondo procedimento i controinteressati professori -OMISSIS- e -OMISSIS- e di avere acquisito le loro osservazioni;
– si afferma che comunque, con riferimento alla (precedente) richiesta di accesso civico generalizzato, nessun elemento nuovo (rispetto al precedente procedimento) è stato offerto con la nuova domanda accessiva, di talché può confermarsi il diniego già manifestato con la nota del 26 aprile 2017 prot. n. 38429;
– si ritiene che il professor -OMISSIS- non abbia legittimazione a chiedere l’accesso documentale, ex l. 241/1990, con riferimento ai documenti dei quali viene chiesta la ostensione con la seconda domanda di accesso, in quanto la -OMISSIS-ha comunicato che il richiedente l’accesso documentale “non possiede più la qualità di consigliere designato dell’ente medesimo dal momento che il Consiglio generale della -OMISSIS- ha deliberato, il 27.04.2017, di non nominarl(o) Consigliere generale”, circostanza che provoca la “decadenza” dal diritto di ottenere l’accesso ai documenti per come richiesti, in quanto l’esercizio di quel diritto era, per espressa indicazione nell’atto di richiesta di accesso documentale, inscindibilmente collegato all’esercizio delle prerogative spettanti al richiedente quale membro del Consiglio generale designato dalla Regione;
– si ribadisce che vanno tenute in positiva considerazione le osservazioni presentate anche nel corso di questo secondo procedimento dai controinteressati in ordine alla necessità di tutela della loro riservatezza.
10. – Tutto quanto sopra porta alle seguenti considerazioni.
In punto di diritto preme ricordare che, in ossequio alla consolidata interpretazione della disciplina sull’accesso documentale, plasticamente applicabile al nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato, la tutela da parte dell’aspirante accedente nei confronti del silenzio rifiuto, del provvedimento espresso di diniego, totale o parziale e del provvedimento con cui si dispone il differimento, formatisi o resi dall’amministrazione su una istanza ostensiva, deve essere esercitata entro e non oltre il termine decadenziale di trenta giorni (ai sensi dell’art. 116, comma 1, c.p.a.), decorrente dallo spirare del termine procedimentale di trenta giorni (previsto dall’art. 25, quarto comma, l. 241/1990 per l’accesso documentale e, per l’accesso civico, dall’art. 5, comma 6, d.lgs. 33/2013), sicché la proposizione della domanda giudiziale oltre il termine decadenziale di impugnazione del diniego di accesso civico generalizzato (tenendo conto della impostazione interpretativa riferita all’accesso documentale, cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 18 aprile 2006 n. 6 e 20 aprile 2006 n. 7, perfettamente applicabile anche alla simmetrica disciplina processuale riferita dal legislatore all’accesso civico generalizzato nella comune applicazione dell’art. 116 c.p.a.):
1) rende irricevibile il ricorso tardivamente proposto dinanzi al giudice amministrativo (ovvero nelle sedi giustiziali indicate nell’art. 5, commi 8 e 9, d.lgs. 33/2013);
2) rende inammissibile la (ri)proposizione di una domanda di accesso (civico generalizzato) dello stesso tenore di quella fatta oggetto del silenzio diniego, del provvedimento espresso di diniego parziale o totale ovvero del provvedimento di differimento non tempestivamente impugnati.
Deriva da quanto sopra, con riferimento al presente contenzioso, che questo giudice di appello deve:
A) dichiarare irricevibile (confermando la decisione sostanzialmente assunta dal giudice di primo grado, ma formalizzandola più opportunamente con la conseguente statuizione processuale), in quanto tardivamente proposta, la domanda giudiziale avanzata dal professor -OMISSIS- con riferimento a quella parte del ricorso di primo grado – ovvero a quelle censure dedotte in esso – nella quale si è chiesto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania di valutare la legittimità del diniego di accesso civico generalizzato espresso dalla Università degli Studi -OMISSIS-OMISSIS- con nota del 26 aprile 2017, prot. n. 38429;
B) constatare che la complessa domanda di accesso civico generalizzato presentata dal professor -OMISSIS- in data 29 marzo 2017, recava anche evidenti profili di (contemporanea) richiesta di accesso documentale (ai sensi della l. 241/1990).
Ed infatti, sotto tale secondo versante, a differenza di quanto sostenuto dai due appellanti, la domanda di accesso civico generalizzato ben può proporsi manifestando (anche) la sussistenza dei presupposti per la formulazione della richiesta di accesso documentale, ai sensi della l. 241/1990, con la medesima ed unica istanza, tenuto conto che i presupposti che consentono la formulazione della domanda di accesso civico sono ben definiti nell’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 (“favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”) ed essi sono ben diversi dai presupposti che l’art. 24, comma 7, primo periodo, l. 241/1990 individua al fine di consentire l’accesso civico documentale (garantire “ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”), escludendo che in tale ultimo caso siano “ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24, comma 3, l. 241/1990), con la conseguenza che rispetto ad una complessa domanda di accesso civico generalizzato e, in alternativa, documentale proposta dall’accedente, l’amministrazione che detiene la documentazione richiesta può, (anch’essa) alternativamente, fare applicazione di un istituto piuttosto che dell’altro, in ragione dell’esito della verifica circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’una o l’altra richiesta.
Deve ulteriormente rilevarsi nella specie, tenendo conto della motivazione espressa con l’atto di diniego decretato dalla Università degli Studi -OMISSIS-OMISSIS- con nota del 26 aprile 2017, prot. n. 38429, che il diniego di accesso civico generalizzato è fondato sulla prevalenza, in un’ottica di bilanciamento tra la posizione vantata della parte accedente e quella denunciata dai controinteressati, della tutela alla riservatezza dei dati contenuti nei documenti richiesti in sede di accesso civico generalizzato, in una prospettiva di tutela anticipatoria rispetto ai pregiudizi che sarebbero potuti derivare dall’utilizzo indiscriminato dei documenti medesimi. Va quindi sottolineato che l’università nulla ha riferito in quella occasione rispetto a quella parte della domanda di accesso (civico generalizzato/documentale) con la quale il professor -OMISSIS-, aveva dimostrato di essere legittimato (anche) a chiedere la documentazione invocando l’istituto dell’accesso documentale ai sensi della l. 241/1990, avendo esternato puntualmente le ragioni della propria legittimazione e la sussistenza dell’interesse concreto ed attuale alla ostensione degli atti.
Tuttavia ogni valutazione in ordine al primo diniego dell’università non è (più ) soppesabile nella presente sede di appello, a nessun fine, attesa la irricevibilità della domanda proposta in primo grado nei confronti di quel diniego, confermata in questo grado di giudizio. Detta irricevibilità della domanda di scrutinio giudiziale relativa alla nota del 26 aprile 2017, prot. n. 38429, provoca l’effetto di impedire a questo giudice di appello ogni ulteriore considerazione sul corretto esercizio del potere da parte dell’Università degli Studi -OMISSIS-OMISSIS- in ordine alla domanda di accesso civico generalizzato richiesto il 29 marzo 2017, anche con riferimento a quella parte dell’istanza nella quale la richiesta è formulata ai sensi della l. 241/1990.
11. – Resta ora di esaminare la correttezza della sentenza pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania con riferimento alla seconda domanda giudiziale avanzata dal professor -OMISSIS- (in realtà la principale) con il ricorso proposto in primo grado ed attinente alla richiesta di accesso documentale, ai sensi della l. 241/1990, formulata dal professor -OMISSIS- in data 15 maggio 2017 e denegata dall’Università degli Studi Federico II -OMISSIS-OMISSIS- con provvedimento del 14 giugno 2017, n. prot. 56306, accolta dal giudice di prime cure con conseguente annullamento del diniego dell’Ateneo ed accertamento del diritto del medesimo professor -OMISSIS- ad accedere alla documentazione (coincidente con quella già richiesta con la prima istanza con la quale era invocato l’istituto dell’accesso civico generalizzato) richiesta con la seconda istanza.
Ad avviso del Collegio si presenta questo il momento in cui è necessario rammentare che, per costante giurisprudenza di questo Consiglio, il giudizio avente ad oggetto il silenzio diniego provocato dall’inerzia dell’amministrazione sull’istanza di accesso ai documenti amministrativi, i provvedimenti espressi dall’amministrazione medesima aventi contenuto di diniego ed accoglimento totale o parziale della richiesta ostensiva nonché di differimento dell’esercizio del relativo diritto, per come emerge dalla disciplina di cui all’art. 116 c.p.a., anche se si atteggia come impugnatorio, si compendia nella verifica della spettanza o meno del diritto di accesso, piuttosto che nella verifica della sussistenza o meno di vizi di legittimità dell’atto amministrativo e quindi è indipendente rispetto alla mera indagine circa la correttezza o meno delle ragioni addotte dall’amministrazione per giustificare il diniego o l’accoglimento o che hanno provocato l’inerzia. Infatti, il giudice può ordinare l’esibizione dei documenti richiesti, così sostituendosi all’amministrazione e ordinandole un facere pubblicistico, se ne sussistono i presupposti (art. 116, comma 4, c.p.a.). Il che implica che, al di là degli specifici vizi e della specifica motivazione dell’atto amministrativo di diniego dell’accesso, il giudice deve verificare se sussistono o meno i presupposti dell’accesso, potendo pertanto negarlo anche per motivi diversi da quelli indicati dal provvedimento amministrativo ovvero ravvisare motivi ostativi all’accesso diversi da quelli opposti dall’amministrazione ovvero ancora ritenere l’accesso giuridicamente possibile (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 5 marzo 2018 n. 1396, Sez. VI 19 gennaio 2012 n. 201 e 12 gennaio 2011 n. 117).
Sulla base, quindi, dei poteri giudiziali assegnati dall’art. 116 c.p.a. al giudice amministrativo, nel caso di specie è possibile rilevare quanto segue:
– nella domanda di accesso documentale, in ragione di quanto si è potuto verificare dall’attenta lettura della istanza presentata dal professor -OMISSIS- all’Università degli Studi Federico II -OMISSIS-OMISSIS- in data 15 maggio 2017 (e per come sopra pressoché integralmente riprodotta), l’aspirante accedente dispiega le ragioni della richiesta ostensiva formulandole in modo da evidenziare, inequivocabilmente, l’intento di venire in possesso dei documenti richiesti in modo da mettere nelle condizioni lo stesso Ateneo o altra Autorità (non è insignificante che l’istanza di accesso è indirizzata anche alla Procura regionale della Corte dei Conti) di riportare a legalità il rapporto tra i due professori e l’università di appartenenza nonché in merito alla permanenza degli stessi nelle cariche di vertice degli istituti di credito e relative fondazioni più volte menzionate nell’istanza, sussistendo il forte sospetto della loro incompatibilità con l’assunzione delle predette cariche;
– tanto è evidente quanto si è sopra rappresentato che il professor -OMISSIS- utilizza, per ampi tratti, il contenuto della domanda di accesso documentale quale veicolo utile a formulare l’invito al Rettore di intervenire al fine di riportare a legalità i rapporti extraistituzionali, a suo dire, illegittimi instaurati dai due professori controinteressati;
– ed infatti il professor -OMISSIS-, nella domanda di accesso documentale, specifica ulteriormente che “tale richiesta viene formulata al fine di consentire alla intestata Università di verificare la sussistenza di un elemento oggettivo di danno erariale, in relazione alle disposizioni normative poste a presidio della vicenda”.
In altri termini il professor -OMISSIS-, con la richiesta di accesso documentale del 15 maggio 2017 si propone (egli stesso) quale (o in veste di) agevolatore dell’operato delle istituzioni, in prima battuta dell’università, intendendo consentire (per come si è già riferito al punto 8 della presente decisione e che ora si ritiene significativo riproporre), attraverso la disclosure documentale, al Rettore di “accertare, in senso più ampio, la ricorrenza delle condizioni che legittimerebbero i controinteressati a ricoprire gli incarichi rispettivamente di Presidente e Vice presidente della -OMISSIS- bancaria, nonché l’incarico di Presidente della -OMISSIS-e -OMISSIS-rivestite dal Prof. -OMISSIS-“, sicché la nuova istanza di accesso “mira a tutelare, il principio di legalità, in quanto l’ostensione della documentazione richiesta, consentirebbe di accertare l’effettiva sussistenza delle condizioni di legge che legittimerebbero i controinteressati a ricoprire gli incarichi di cui essi sono rispettivamente titolari”, formulando nel contempo una esplicita richiesta, rivolta allo stesso Rettore, perché proceda “(al)l’accertamento della sussistenza o meno della violazione dell’obbligo di esclusività della prestazione lavorativa, conseguente allo svolgimento di incarichi retribuiti da parte del dipendente pubblico” nonché verifichi “la sussistenza di un elemento oggettivo di danno erariale, in relazione alle disposizioni normative poste a presidio della vicenda”, assumendo i provvedimento conseguenti, in primis la revoca delle autorizzazioni allo svolgimento degli incarichi rilasciate ai professori universitari controinteressati.
12. – Tutto quanto sopra è utile ad evidenziare che sia l’università, che nel provvedimento del 14 giugno 2017 (n. prot. 56306) ha motivato il diniego di accesso fondandolo sulla perdita di legittimazione alla richiesta ostensiva da parte del professor -OMISSIS- (oltre che in base alla necessità di garantire la tutela dei dati personali contenuti nei documenti richiesti in favore dei due professori controinteressati), sia il Tribunale amministrativo regionale, nella sentenza qui oggetto di appello, non hanno considerato (entrambi) che la domanda di accesso documentale, per come formulata, avrebbe dovuto essere respinta perché con la stessa il professor -OMISSIS- aspirava a realizzare un controllo generalizzato dell’operato dell’amministrazione, non consentito dalla disciplina legislativa dell’istituto dell’accesso documentale (art. 24, comma 3, l. 241/1990).
Sul punto va precisato che il diverso istituto dell’accesso civico (sia semplice che generalizzato) è stato interamente costruito sul principio, di recente introduzione nel nostro ordinamento, della “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1, comma 1, d.lgs. 33/2013), ma tale istituto e gli obiettivi che con esso si propone il legislatore nazionale di raggiungere non interferiscono con il diverso istituto e la diversa disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi di cui alla l. 241/1990, tanto è vero che tale impermeabilità è consacrata da una disposizione specifica del Codice della trasparenza all’art. 5, comma 11, d.lgs. 33/2013, nella parte in cui il legislatore puntualizza che “Restano fermi (…), nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
I due istituti vivono e operano in due “compartimenti stagni” legislativi, mantenendo ciascuno le proprie specifiche regole sia con riferimento ai presupposti per l’esercizio di ciascun “diritto” sia con riguardo alla procedura (si pensi, ad esempio, che solo per l’accesso civico generalizzato è prevista la sospensione, fino ad un massimo di dieci giorni, del termine procedimentale di trenta, per come stabilito all’art. 5, comma 5, d.lgs. 33/2013, con una disposizione non riprodotta nella l. 241/1990 né estensibile in altro modo alla procedura di accesso documentale), confluendo soltanto, come un corpo giuridico unico, nella disciplina processuale di cui all’art. 116 c.p.a..
Riferito quanto sopra va quindi ribadito che:
– l’art. 24, comma 3, l. 241/1990 opportunamente esclude dall’accesso le istanze preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni, tenuto conto che lo strumento dell’accesso documentale, postulando, a norma dell’art. 22, comma 1, lett. b), l. 241/1990 “un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” non è dato in funzione della tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, vale a dire a un controllo generalizzato da parte di chiunque sull’attività dell’amministrazione, ma alla salvaguardia di singole posizioni differenziate e qualificate e correlate a specifiche situazioni rilevanti per la legge, che vanno dimostrate dal richiedente che intende tutelarle (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2017, n. 2415 e 15 giugno 2011 n. 3650).
– il diritto all’accesso postula sempre un accertamento concreto dell’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti, che non si traduce in un potere di controllo generale e preliminare, espressione di una funzione di vigilanza dell’operato del gestore di pubblici servizi, ma ne impone l’esercizio al fine di inibire o sanzionare comportamenti, atti o situazioni effettivamente lesivi degli interessi rappresentati (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 4 dicembre 2017 n. 5643 e Sez. IV, 6 ottobre 2015 n. 4644);
– l’accesso ai documenti è posto come strumento necessario per verificare la sussistenza di quei presupposti di fatto per l’esercizio di un’azione in giudizio (ovvero per una diversa cura della stessa, a mente dell’art. 24, comma 7, primo periodo, l. 241/1990) ai fini della tutela di situazione giuridiche, individuali o superindividuali, concretamente lese e rispetto alla quale l’eventualità di una futura azione giudiziale, a carattere individuale o collettivo, non può invece legittimare, mediante l’accesso a documenti amministrativi, la ricerca di lacune o di manchevolezze nell’operato dell’amministrazione, poiché darebbe luogo ad una richiesta ostensiva meramente esplorativa, anche qualora se ne ipotizzi un possibile sbocco giudiziario, non consentita dalla chiara formula dell’art. 24, comma 3, l. 241/1990 (cfr., ancora sul punto, Cons. Stato, Sez. V, 5 aprile 2018 n. 2105).
In conclusione dunque la domanda di accesso documentale presentata dal professor -OMISSIS- all’Università degli Studi Federico II -OMISSIS-OMISSIS- in data 15 maggio 2017, per come dallo stesso formulata, non poteva essere accolta in quanto ostava la chiara disposizione contenuta nell’art. 24, comma 3, l. 241/1990.
13. – Si precisa che la presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., n. 5 del 2015, cit. nonché Cassazione civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all’ordine logico di esame delle questioni e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sugli eccepiti o rilevabili profili di inammissibilità dell’appello nonché sulla violazione del divieto dei “nova” in appello e di risolvere la lite nel merito.
Inoltre, le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
14. – Consegue a quanto sopra che la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 23 aprile 2018 n. 2659 va riformata e, per l’effetto, deve essere respinto il ricorso in primo grado proposto dal professor -OMISSIS-.
Ritiene il Collegio, stante anche la novità delle questioni affrontate nel corso della presente decisione, che sussistono i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 2, c.p.a., per disporre la integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
1) dispone la riunione dell’appello n. R.g. 3398/2018 all’appello n. R.g. 3397/2018;
2) li accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado (del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 23 aprile 2018 n. 2659) dichiara in parte irricevibile ed in parte respinge il ricorso di primo grado (R.g. n. 2956/2017);
3) compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, per come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 nonché di cui al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare tutte le parti ovvero le persone fisiche i cui nominativi compaiono nella presente sentenza.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 21 giugno 2018, del 29 novembre 2018 e dell’11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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