La regola di cui all’art. 10 bis della l. n. 241/1990

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 29 aprile 2019, n. 2727.

La massima estrapolata:

La regola di cui all’art. 10 bis della l. n. 241/1990 (che prevede la partecipazione di previo avviso di rigetto, preordinata alla attivazione di una fase contraddittoria con il destinatario di provvedimenti prospetticamente sfavorevoli) deve essere acquisita in coerenza con il fondamentale canone antiformalistico scolpito all’art. 21 octies: di tal che la mancanza del previo avviso (ad instar di quanto espressamente previsto per la mancata partecipazione di avvio del procedimento, che vi è funzionalmente assimilabile) non incide sulla legittimità sostanziale della decisione amministrativa, le quante volte le emergenze processuali siano in grado di confermare che la stessa, alla luce dei fatti, per come prospettati ed allegati, non avrebbe potuto avere diverso contenuto.

Sentenza 29 aprile 2019, n. 2727

Data udienza 18 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 2236 del 2018, proposto da
Pu. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Sp. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Sp. in Roma, viale (…);
contro
Comune di Vibo Valentia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ge. Te., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez. II, n. 281/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Vibo Valentia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Gi. Sp. e Ge. Te.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con deliberazione n. 21 in data 24 aprile 2014 il Comune di Vibo Valentia adottava il muovo piano generale degli impianti pubblicitari (destinato ad entrare in vigore il successivo 25 giugno).
La nuova regolamentazione prevedeva una norma transitoria recante una specifica disciplina per le installazioni già realizzate alla data di entrata in vigore del piano medesimo.
Segnatamente, l’art. 39 stabiliva che “gli impianti pubblicitari e per le pubbliche affissioni di proprietà privata muniti di titolo autorizzato ai sensi dell’art. 11 del Regolamento comunale per la disciplina della pubblicità e delle pubbliche affissioni, efficace al momento dell’entrata in vigore del presente Piano, [sarebbero stati considerati] legittimi qualora rispondenti alle prescrizioni di quest’ultimo. Gli stessi non [avrebbero potuto] essere in contrasto con le norme del […] Regolamento e del piano contenuto e, pertanto [avrebbero dovuto] essere adeguati alla nuova normativa locale. A tal fine, entro tre mesi dall’entrata in vigore del […] Regolamento, i titolari del suddetto provvedimento di autorizzazione [avrebbero dovuto presentare] richiesta di conferma ai sensi della sezione 2 capo 2. La mancata presentazione della richiesta di cui al periodo precedente [avrebbe comportato] l’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione. Il diniego [avrebbe prodotto] la revoca automatica con conseguente obbligo di rimozione a carico del titolare dell’impianto”.
Per l’effetto, il Comune aveva trasmesso alla società appellante nota prot. n. 26230 del 13 giugno 2014, con la quale comunicava che il successivo 25 giugno sarebbe entrato in vigore il ridetto nuovo piano, invitando la ditta a procedere “previa esibizione all’Ufficio SUAP di apposita autorizzazione in corso di validità, alla verifica della conformità delle installazioni al nuovo Piano”, altresì diffidando “la Ditta in indirizzo, se titolare di impianti esistenti non in regola e/o non regolarizzabili alla luce del dettato normativo del Nuovo Piano Generale, a voler procedere alla rimozione immediata degli stessi, al fine di evitare di incorrere nelle sanzioni e/o conseguenze di legge”.
L’odierna appellante presentava le istanze di conferma, riferite ad alcuni fra gli impianti pubblicitari già installati. Il Comune, tuttavia, in esito alle rispettive istruttorie, rigettava le richieste formulate dalla società, ritenendo di non poter rilasciare la conferma del titolo autorizzatorio in considerazione del fatto che tutti gli impianti in questione risultavano totalmente abusivi ed installati in violazione dell’art. 23 del Codice della Strada e dell’art. 21 del Regolamento Comunale del 2014.
2.- Avverso le ridette determinazioni la società proponeva ricorso dinanzi al TAR per la Calabria, con il quale impugnava, altresì, il rammentato art. 39 del piano per asserita violazione dell’art. 10 del D. Lgs. n. 59/2010 e dell’art. 3 del D. Lgs. n. 507/1993.
A sostegno del gravame assumeva, in particolare, che, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento per la disciplina della pubblicità e delle affissioni (adottato con delibera commissariale n. 37 del 28 giugno 1994), avrebbe a suo tempo conseguito (con provvedimento tacito o per fatti concludenti) le autorizzazioni all’installazione di n. 18 di impianti.
3.- Nella resistenza dell’Amministrazione comunale (la quale argomentava la complessiva infondatezza delle avverse ragioni di doglianza, segnatamente evidenziando l’illegittimità degli impianti di proprietà della Pu., in quanto non a norma, ed allegando la carenza di validi provvedimenti autorizzatori), il primo giudice, con l’epigrafata sentenza, riteneva il ricorso in parte irricevibile (quanto alla tardiva impugnazione dell’art. 39 del piano, connotato di immediata attitudine lesiva) e, per il resto, infondato.
4.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, Pu. s.r.l. è insorta avverso la ridetta statuizione, di cui, con plurimo ed articolato mezzo, denunzia l’erroneità e l’ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.
Si è costituito in giudizio, per resistere al gravame, il Comune di Vibo Valentia.
Nel rituale contradditorio delle parti, alla pubblica udienza del 18 ottobre 2018, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato e merita di essere respinto.
2.- Con il primo motivo di doglianza, la società appellante lamenta che – nel respingere il proprio ricorso, argomentando dalla correttezza della archiviazione delle istanze di autorizzazione presentate, in forza della ritenuta contrarietà degli impianti esistenti alle previsioni dell’art. 23 del codice della strada e dell’art. 21 del regolamento comunale per la disciplina della pubblicità e delle pubbliche affissioni e della assenza di idonei titoli autorizzatori suscettibili di conferma – la sentenza sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione, per giunta avallando un’implausibile motivazione postuma dei provvedimenti impugnati.
2.1.- Il motivo non ha pregio.
La documentazione versata agli atti del giudizio, sulla quale ha operato il vaglio critico del primo giudice, fa palese che, con le note impugnate, il Comune di Vibo Valentia, a riscontro delle istanze trasmesse dalla società appellante e dirette ad ottenere la conferma dell’autorizzazione degli impianti pubblicitari già installati, aveva rigettato le richieste sull’esplicito assunto che gli impianti in questione fossero difformi dalle previsioni dell’art. 23 del codice della strada e dell’art. 21 del locale regolamento per la disciplina delle pubblicità e delle pubbliche affissioni, non senza evidenziare che, tra le ragioni del ridetto contrasto, rientrava anche l’assenza di valido ed espresso titolo autorizzatorio.
Siffatto ordito motivazionale (di per sé sufficiente, in quanto non idoneamente contestato, a legittimare l’adozione delle misure impugnate) risulta non già integrato sotto il profilo giustificativo, ma, semmai, corroborato sul complessivo piano probatorio, dalle allegazioni difensive dell’Amministrazione, intese ad evidenziare, in fatto:
a) che, relativamente agli impianti oggetto dei provvedimenti prot. nn. 11433, 11434, 11473, 11474, 11475, 11476, 11477,11478, 13532, 13538, 13543 e 13548, difettava ab origine qualsivoglia atto di carattere autorizzatorio;
b) che, con riferimento all’impianto oggetto del provvedimento prot. n. 13524 del 2015, ne risultava l’avvenuta demolizione, in data 4 gennaio 2016;
c) che, con riguardo all’impianto oggetto del provvedimento prot. n. 13527 del 2015, era stata acclarata l’anomala circostanza (per sé, di nuovo, complessivamente confermativa della prospettata assenza dei requisiti di legge) per cui, rispetto al medesimo impianto, erano state rinvenute, presso gli uffici della polizia municipale, ben tre “autorizzazioni”, dotate dello stesso numero di protocollo, concernenti il medesimo impianto e recanti un’indicazione dimensionale del cartellone ogni volta differente e, comunque, non corrispondente alle dimensioni effettive dell’installazione (ciò che, incidentalmente, aveva indotto, con il sospetto della sussistenza di fatti di rilevanza penale, alla trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica, cui aveva, peraltro, fatto seguito l’avviso di conclusione delle indagini preliminari);
d) che infine, con riferimento all’installazione oggetto del provvedimento prot. n. 11479/2015, era stata rilevata la non conformità delle dimensioni del cartellone pubblicitario rispetto a quelle autorizzate dal provvedimento reso dalla Capitaneria di Porto e dal successivo nulla osta rilasciato dal Comune medesimo, di tal che anche tale impianto non poteva ritenersi a norma.
A fronte di ciò, il ricorso proposto dall’appellante si era limitato a sostenere la sussistenza di pregressi titoli autorizzatori asseritamente rilasciati per silentium (noto essendo, tuttavia, che in subiecta materia deve ritenersi preclusa l’operatività dell’assenso tacito: cfr., ancora da ultimo, Cass., sez. VI, 9 gennaio 2018, n. 285).
In siffatto quadro, è del tutto corretto il corollario, tratto dalla sentenza impugnata, della legittimità delle impugnate misure di archiviazione, plausibilmente fondate sulla acclarata violazione del paradigma normativo di riferimento, congiunta alla riscontrata assenza di formali e validi titoli autorizzatori. Non è dato, per tal via, riscontrare né una integrazione postuma della motivazione (in ordine alla quale, per giunta, non è comechessia ed incidentalmente inutile soggiungere che, in prospettiva antiformalistica, legittimata dal canone decisorio scolpito all’art. 21 octies l. n. 241/1990, il tradizionale ostracismo pretorio merita di essere precisato e circoscritto, quanto meno nei casi in cui, come quello in esame, risulti palese la correttezza della decisione amministrativa, siccome, in certo senso, ad esito vincolato e factis), né la ventilata ultrapetizione.
3.- Con il secondo motivo di gravame l’appellante ribadisce la pretesa, disattesa in sentenza, a che i comportamenti pretesamente concludenti serbati dall’Amministrazione comunale (anche in punto di riscossione della imposte sulla pubblicità ) fossero idonei al tacito rilascio del titolo abilitativo all’affissione.
3.1.- Il motivo, secondo quanto si è già evidenziato, non ha pregio.
Per un verso, infatti, il regolamento comunale n. 37/1994 con chiarezza aveva cura di prevedere, all’art. 11, comma 5, che “[fosse] sempre necessario il formale provvedimento di autorizzazione del Comune per i mezzi pubblicitari da installare nell’ambito delle zone soggette alla disciplina di cui all’art. 7” (all’interno della cui elencazione rientrano anche le zone in cui erano stati installati gli impianti di proprietà della Pu.).
Per altro assorbente verso, la stessa formazione del silenzio assenso deve ritenersi pregiudizialmente preclusa in subiecta materia (cfr. Cass., sez. VI, 9 gennaio 2018, n. 285 cit. e numerosi precedenti conformi): ciò che è dato desumere dal chiaro tenore letterale degli artt. 3, comma 3, del d.lgs. 507/1993 e dall’art. 23, comma 4, del codice della strada (d.lgs. 285/1992), a mente del quale ultimo “la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme”.
A fronte di ciò è evidente che alcun rilievo può essere conferito all’ipotetico pagamento dell’imposta sulla pubblicità, che non dimostra di per sé, neppure in via implicita, l’esistenza di un valido titolo autorizzativo a necessaria consistenza provvedimentale; e ciò neppure nel caso in cui sia la stessa Amministrazione comunale a richiedere la corresponsione della relativa somma.
Peraltro, atteso che la semplice esposizione del messaggio promozionale (sia esso autorizzato o meno) costituisce di per sé presupposto dell’imposta (cfr. Cass. 22 febbraio 2002, n. 2555, che argomenta dal vantaggio di fatto conseguito dal privato, ancorché sine titulo), il pagamento di quest’ultima (operante, con ciò, anche in caso di abusività dell’impianto) non è comunque (id est: a prescindere dagli assorbenti rilievi che precedono) idoneo a comprovare alcunché in ordine alla legittimità dell’impianto.
4.- Con il terzo motivo di censura l’appellante si duole della declaratoria di irricevibilità, per ritenuta tardività, della impugnazione dell’art. 39 del nuovo piano.
4.1.- Si tratta di censura infondata: trattandosi, invero, di disposizione non meramente programmatica, ma immediatamente operativa (in quanto istitutiva di precisi ed attuali obblighi procedimentali a carico degli interessati, correlati ai prefigurati ed alternativi esiti decisionali), la stessa, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, avrebbe dovuto essere impugnata, in quanto connotata di concreta ed immediata lesività, nel termine decadenziale di sessanta giorni, decorrenti dalla sua pubblicazione nelle forme di legge.
Su tale rilievo, le ulteriori considerazioni su cui, per mera completezza di disamina, si diffonde la sentenza (intese ad argomentare, comunque, la prospettica ed emergente infondatezza nel merito delle articolate doglianze) non sono in grado di legittimare apposita censura, destinata ad infrangersi contro le ribadite ragioni di inammissibilità .
5.- Con ulteriore motivo di doglianza l’appellate lamenta la violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990, avuto riguardo alla mancanza della (pretesamente) doverosa attivazione del previo contraddittorio procedimentale, che avrebbe legittimato adeguata interlocuzione istruttoria, se del caso strumentale anche alla verifica di concrete modalità di adeguamento degli impianti, alternativa alla loro automatica rimozione.
5.1.- Il motivo non persuade.
Invero, per comune intendimento (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667) la regola di cui all’art. 10 bis della l. n. 241/1990 (che prevede la partecipazione di previo avviso di rigetto, preordinata alla attivazione di una fase contraddittoria con il destinatario di provvedimenti prospetticamente sfavorevoli) deve essere acquisita in coerenza con il fondamentale canone antiformalistico scolpito all’art. 21 octies: di tal che la mancanza del previo avviso (ad instar di quanto espressamente previsto per la mancata partecipazione di avvio del procedimento, che vi è funzionalmente assimilabile) non incide sulla legittimità sostanziale della decisione amministrativa, le quante volte le emergenze processuali siano in grado di confermare che la stessa, alla luce dei fatti, per come prospettati ed allegati, non avrebbe potuto avere diverso contenuto.
Nel caso in esame, in cui l’Amministrazione ha, alla luce dei rilievi che precedono, fornito adeguata dimostrazione della (obiettiva) assenza di (formali) titoli autorizzatori e della irregolarità degli impianti rispetto alle previsioni normative e regolamentari di riferimento, deve, per tal via, ritenersi, l’irrilevanza del denunziato vizio e desumersene la reiezione del corrispondente motivo.
6.- Parimenti infondato, sulla scorta dei complessivi rilievi che precedono, l’ulteriore motivo di doglianza, che lamenta la mancanza di idonea motivazione: la quale, per contro, risulta con chiarezza dai provvedimenti contestati.
7.- Con un ultimo motivo di gravame, l’appellante mira ad evidenziare, con riferimento ai singoli impianti di sua proprietà, la sostanziale assenza di contrasto con le previsioni del codice della strada.
Segnatamente, a suo dire:
a) con riferimento al cartello installato in viale Affaccio di Vibo Valentia, oggetto della nota n. 11473 del 16 marzo 2015, sarebbe insussistente il ritenuto contrasto con l’art. 21 del Regolamento, argomentato dal riferimento ad una “corrispondenza di incrocio”, in realtà inesistente, trattandosi, di fatto, di impianto posizionato nel centro abitato ed in parallelo al senso di marcia dei veicoli;
b) relativamente all’impianto sito in via Roma, Frazione Vibo Marina, oggetto del provvedimento n. 11479 del 13 marzo 2015, lo stesso rispetterebbe la distanza di 3 mt dalla strada, contrariamente da quanto rilevato con il provvedimento impugnato; ciò risulterebbe accertato dall’autorizzazione rilasciata dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti n. 9 del 2010, rep. n. 92/2010, con cui sarebbe stato effettuato espresso rimando al nulla osta reso successivamente dal Comune con nota n. 13288 del 19 marzo 2010;
c) analoghe conclusioni varrebbero per gli impianti collocati in via Spogliatore.
7.1.- Gli argomenti non hanno pregio.
Di là da ogni altro rilievo, è persuasiva la replica dell’Amministrazione, la quale evidenzia:
a) la collocazione degli impianti de quibus bensì lungo la strada, ma in corrispondenza dell’immissione su strade secondarie, con conseguente difformità rispetto all’art. 23 del codice della strada;
b) l’inconferenza, per altro rispetto, della nota ministeriale “rilasciata ai soli fini dell’occupazione del suolo demaniale marittimo”, la quale non vale dichiaratamente ad esonerare il titolare dall’obbligo “di munirsi di ogni altra autorizzazione e/o licenza prescritta dalle norme in vigore”;
c) l’irrilevanza di osservazioni, formulate con riferimento ad impianti risultati, di fatto, ormai demoliti.
8.- Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere complessivamente respinto.
Sussistono nondimeno per la peculiarità della fattispecie giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

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