Comunione legale la Divisione giudiziale dei beni ed il Rimborso delle somme prelevate dal conto corrente cointestato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 febbraio 2024| n. 4879.

Comunione legale la Divisione giudiziale dei beni ed il Rimborso delle somme prelevate dal conto corrente cointestato

In tema di comunione legale tra coniugi, verificatosi lo scioglimento, trova applicazione, in sede di divisione, il regime dei rimborsi e delle restituzioni dettato dall’art. 192 c.c., cosicché è da escludersi il rimborso alla comunione delle somme prelevate da un coniuge dal conto corrente cointestato ove quest’ultimo dimostri che l’atto sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

Ordinanza|23 febbraio 2024| n. 4879. Comunione legale la Divisione giudiziale dei beni ed il Rimborso delle somme prelevate dal conto corrente cointestato

Data udienza 25 settembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave:Famiglia – Matrimonio – Rapporti patrimoniali tra coniugi – Comunione legale – Scioglimento – In genere comunione legale tra coniugi – Divisione giudiziale dei beni – Rimborso alla comunione delle somme prelevate dal conto corrente cointestato – Esclusione – Fondamento – Conseguenze.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere – Rel.

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. ROLFI Federico – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17807/2018 R.G. proposto da:

Re.Ig. (C.F.: Omissis), rappresentato e difeso, con procura speciale in calce al ricorso, dall’avvocato An.Mo. del foro di Torino ed elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

Ve.Ma. (C.F.: Omissis), rappresentata e difesa, nel giudizio di appello, dall’avvocato Gi.Go.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 2608/2017 pubblicata il 6 dicembre 2017 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 settembre 2023 dal Consigliere Milena Falaschi.

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OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con atto di citazione notificato il 17 febbraio 2009 Ve.Ma. evocava, dinanzi al Tribunale di Torino, l’ex coniuge, Re.Ig., per sentire accertare l’entità della massa dei beni caduti in comunione legale fra di loro ed ottenere la loro divisione;

– instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il giudice adito, espletata CTU, con sentenza parziale n. 7568/2013, accertata la non comoda divisibilità in natura degli immobili in C e in T, rimetteva la causa in istruttoria per procedere alla redazione di un progetto di divisione, rigettate le domande di rimborso formulate da entrambe le parti e stabilita in Euro 210,00 la quota dei canoni di locazione dell’immobile in C che l’attrice doveva versare al convenuto, sentenza non definitiva che passava in giudicato. Successivamente, con ulteriore sentenza parziale n. 3291/2015, il Tribunale di Torino dichiarava esecutivo il progetto di divisione parziale in natura del 28.05.2014, con il quale veniva assegnato il lotto 1 al Re.Ig., comprendente l’immobile in T ed un conguaglio a favore della Ve.Ma. di Euro 73.000,00, nonché al Re.Ig. il lotto 1 dei beni mobili, rigettata la domanda di rimborso del convenuto di Euro 34.319,46 quale valore di titoli e di depositi bancari incassati dalla Ve.Ma., rimessa la causa sul ruolo per addivenire alla definitiva divisione, predisponendo la vendita, dell’immobile in C;

– sul gravame interposto dal Re.Ig. avverso quest’ultima decisione, la Corte di appello di Torino, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 2608 del 2017, rigettava l’appello e per l’effetto confermava la sentenza non definitiva n. 3291/2015 e lo condannava al pagamento delle spese di lite e accessori.

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A sostegno della decisione il Giudice di secondo grado evidenziava come il Tribunale avesse qualificato correttamente la domanda del Re.Ig. (richiesta di rimborso alla comunione legale da parte della ex coniuge del 50% delle somme incassate dei titoli e dei depositi bancari), chiarendo che il regime di comunione legale di cui all’art. 177 c.c. coinvolgeva solo gli acquisti di beni e non ineriva alla instaurazione di rapporti meramente creditizi, quali quelli connessi all’apertura di un conto corrente bancario cointestato nel corso della convivenza coniugale, il cui saldo non diveniva oggetto di comunione tra i coniugi.

La Corte territoriale sottolineava anche come il giudice di prime cure avesse correttamente indicato tutte le somme facenti parte della comunione senza menzionarne ulteriori non espressamente addotte dalla Ve.Ma.

Appariva idonea, inoltre, la statuizione del Tribunale in merito al rigetto della richiesta di “attualizzazione” sia del valore dell’immobile in T assegnato all’appellante, sia del valore da attribuire alla quota di proprietà della Ve.Ma.

– avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, ricorre il Re.Ig. sulla base di cinque motivi;

– la Ve.Ma. è rimasta intimata.

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Considerato che:

– va preliminarmente dichiarata la nullità dell’atto denominato “costituzione di nuovo difensore” per Re.Ig., depositato in data 03.07.2023 e sottoscritto dall’avv.to Bi.Gi. Nel giudizio di cassazione, infatti, la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiché l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del citato articolo, cioè con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass. n. 23816 del 2010; Cass. n. 13329 del 2015; Cass. n. 20692 del 2018). V’è solo da aggiungere che al presente giudizio non si applica la norma inserita nell’art. 83 c.p.c., dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, art. 45, comma 9, lett. (a), che consente il rilascio della procura anche a margine di atti diversi da quelli sopra indicati. Infatti, per espressa previsione della legge n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009. Essendo il presente giudizio iniziato in primo grado nel febbraio 2009, ad esso non può applicarsi la nuova disposizione, come già ritenuto da questa Corte con le decisioni pronunciate – ex aliis – da Cass. n. 12831 del 2014 e Cass. n. 7241 del 2010.

Per completezza si osserva, inoltre, che si tratta di atto depositato solo dopo la comunicazione a cura della cancelleria della data della presente adunanza;

– passando al merito, con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 379, 329, 324 e 2909 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente coperta da giudicato la sentenza n. 7568/2013, perché non impugnata. Ad avviso del ricorrente tale statuizione non sarebbe conforme alle norme che disciplinano il giudicato in quanto secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il giudicato interno si forma su ogni accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la pretesa necessaria alla domanda e quindi riguardante ogni fatto costitutivo della pretesa dedotta in giudizio. Ad avviso del Re.Ig., la sua domanda di condanna della Ve.Ma. al rimborso alla comunione delle somme prelevate dal patrimonio comune, deduce un fatto costitutivo diverso rispetto a quello sotteso alla restituzione del 50% delle somme depositate sul conto corrente o del saldo figurante al momento dello scioglimento della comunione.

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Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi di gravame dedotti dal ricorrente sui punti 1 A e 1 B dell’atto di appello, poiché nessun giudicato interno potrebbe dirsi formato sul capo della sentenza che ha escluso dalla comunione legale le somme delle quali l’odierno ricorrente ha chiesto il rimborso alla comunione, per cui il giudice di secondo grado avrebbe dovuto esaminare i motivi attraverso i quali l’appellante aveva censurato siffatta statuizione.

Con il terzo motivo il ricorrente evidenzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere la sentenza gravata giunta alla conclusione di non ricomprendere nel patrimonio comune la somma di Euro 34.319, 46, sebbene si tratti di circostanza mai contestata dalla Ve.Ma., violando quindi la suddetta disposizione normativa in quanto mai sollevata la relativa eccezione.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché 167 e 183 c.p.c., per avere la Corte di merito sostenuto che, anche a voler ipoteticamente ammettere che le somme indicate dovessero essere ricomprese nella comunione, la Ve.Ma. aveva allegato di averle destinate, prima dello scioglimento della comunione, a cure mediche della figlia della coppia e, tale circostanza, non è stata espressamente contestata dall’appellante, dovendosi quindi ritenere provata violando gli artt. 112 e 115 c.p.c.

I primi quattro motivi di ricorso vanno esaminati unitariamente in quanto vertono sulla medesima questione – l’esistenza del diritto della comunione legale alla restituzione di una somma da parte della ex coniuge – sebbene prospettata sotto diversi profili. Essi sono tutti privi di pregio anche se è necessaria una precisazione.

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È da condividere l’assunto del ricorrente secondo cui non era intervenuto alcun giudicato quanto allo scioglimento della comunione legale – peraltro il Giudice distrettuale ha riferito il giudicato alla sentenza parziale n. 7568 del 2013 che si era limitata ad accertare la non comoda divisibilità in natura degli immobili in T e in C – e di ciò è consapevole il medesimo giudice che ha modo di chiarire che “la domanda del convenuto relativa alla richiesta di conferire nella massa le somme prelevate dall’attrice nel corso degli anni 1999 – 2000” doveva essere esaminata con la sentenza definitiva, non incidendo tale decisione sulla determinazione dei lotti (v. pag. 2 della sentenza impugnata).

Ciò posto, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 311 del 1988, la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza da quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa. La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane, tuttavia, sino al momento del suo scioglimento, di cui all’art. 191 c.c., allorquando i beni cadono in comunione ordinaria (cfr. Cass. 5 aprile 2017 n. 8803). Lo scioglimento della comunione apre, invero, la fase di liquidazione della stessa, potendo ciascuno dei coniugi realizzare la propria quota, pari alla metà dei diritti già acquisiti e dei proventi delle attività separate non consumati. In particolare, verificatosi lo scioglimento della comunione legale, come avvenuto nel caso oggetto di lite, trova applicazione in sede di divisione il regime dei rimborsi e delle restituzioni dettato dall’art. 192 c.c. (cfr. Cass. 15 settembre 2004 n. 18564).

Conseguentemente anche i rimborsi e le restituzioni delle somme provenienti dai beni comuni (siano esse determinate o meno), si effettuano solo al momento della loro divisione che, in caso di separazione tra i coniugi, coincide con il passaggio in giudicato della relativa pronuncia. Sino a tale momento ciascuno dei coniugi amministra i beni comuni destinati al mantenimento della famiglia, la quale permane come vincolo anche tra i coniugi separati, senza che alcuno di questi possa rivendicare la disponibilità personale delle relative rendite, nei limiti della propria quota di comproprietà, prima del definitivo scioglimento del rapporto di convivenza (Cass. n. 18564/2004 cit.; Cass. n. 4351 del 2003; Cass. n. 2844 del 2001; Cass. n. 6234 del 1998).

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Un atto dispositivo di beni della comunione che ne depaupera il patrimonio, come qui assume avvenuto il ricorrente, comporta che lo stesso è obbligato a corrisponderne all’altro coniuge il valore pro quota determinato al momento dello scioglimento della comunione (in quanto da tale momento soltanto diviene esigibile l’obbligo del rimborso, a meno che non fosse stato richiesto anteriormente), salvo che dimostri che l’atto sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

Nel merito la Corte di appello ha accolto l’allegazione della Ve.Ma. di avere impiegato le somme, prima dello scioglimento della comunione, nell’interesse della famiglia, avendole ritirate ed utilizzate per fare fronte alle cure dentistiche e alle cure mediche della figlia della coppia, circostanza non contestata dal Re.Ig.;

– con il quinto motivo il ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, per avere la Corte territoriale disatteso la censura mossa dal Re.Ig. consistente nella pretesa di attualizzare il valore dell’alloggio da dividere, conformemente al principio enunciato dalla Suprema Corte in base al quale la durata del processo non deve essere di pregiudizio per i diritti fatti valere dalle parti.

Premesso che la sentenza impugnata non è incorsa nel dedotto vizio di omesso esame per avere la Corte territoriale confermato il rigetto della richiesta di “attualizzazione” del valore dell’immobile condividendo le conclusioni del c.t.u. (v. pag. 7 della sentenza impugnata), quale denuncia di violazione di legge è priva di pregio.

Questa Corte ha effettivamente affermato che (Cass. n. 21632/2010) la stima di beni immobili per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al valore venale da essi posseduto al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di proposizione della domanda, potendo anche aversi riguardo alla stima effettuata in data non troppo vicina a quella della decisione solo se si accerti che, per la stasi del mercato o per le caratteristiche del bene, non sia intervenuto un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima, costituendo onere della parte, che solleciti la rivalutazione, allegare ragioni di significativo mutamento del valore dei beni intervenuto “medio tempore” (conf. Cass. n. 29733 del 2017; Cass. n. 8286 del 2019). Nel motivo di ricorso è riportata esclusivamente la deduzione del principio secondo cui la durata del processo non deve pregiudicare i diritti delle parti, ma non spiega e non chiarisce eventuale diverso valore, né individua una differente stima rispetto alla data della domanda.

In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.

Nessuna pronuncia sulle spese del presente giudizio per essere rimasta intimata parte resistente.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 25 settembre 2023.

Depositato in cancelleria il 23 febbraio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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