Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 febbraio 2024| n. 4405.
Cessione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo ed il rispetto del beneficium ordinis
In tema di cessione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, unitamente al trasferimento d’azienda, ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall’art. 36 della l. n. 392 del 1978, ciò che rileva è l’inadempimento del cessionario/conduttore che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l’azione giudiziale; tale atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di partecipazione alla mediazione, estese – in funzione del successivo giudizio – anche al cessionario (e, nel caso di cessioni successive, all’ultimo cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali, ben può essere considerata come una richiesta di adempimento ante causam rivolta al cessionario (o all’ultimo cessionario).
Ordinanza|19 febbraio 2024| n. 4405. Cessione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo ed il rispetto del beneficium ordinis
Data udienza 8 novembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione – Disciplina delle locazioni di immobili urbani (legge 27 luglio 1978 n. 392) – Immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione – Diritti ed obblighi delle parti – Sublocazione e cessione della locazione – In genere cessione del contratto di locazione e dell’azienda – Beneficium ordinis ex art. 36 della l. n. 392 del 1978 – Presupposto – Inadempimento – Atto di constatazione – Domanda di mediazione – Idoneità – Sussistenza – Fondamento.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere-Rel.
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14386/2021 R.G. proposto da:
G. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso l’avvocato Or.Si. (…), che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso.
-ricorrente-
contro
Mo.Ne. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore ex lege domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Gr.Ni. (…) giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrente-
nonché contro
Si. Srl IN LIQUIDAZIONE (già El.Im. Srl), in persona del legale rappresentante pro tempore, ex lege domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Sa.Al. (…), giusta procura in calce al controricorso.
-controricorrente-
nonché contro FALLIMENTO G. Srl IN LIQUIDAZIONE.
-intimato-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 410/2021 depositata il 09/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere dr.ssa STEFANIA TASSONE.
Cessione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo ed il rispetto del beneficium ordinis
RILEVATO CHE
1. G. Srl, con contratto registrato il 21.12.2010, concedeva in locazione a El.Im. Srl l’immobile a uso commerciale sito in Osmannoro per la durata dal 1.12.2010 al 30.11.2016, dietro corresponsione di canone annuale.
Successivamente El. vendette a G. Srl (all’epoca Mo. Srl), un ramo d’azienda, del quale faceva parte il contratto di locazione dello stabile in questione, e comunicò a G. la cessione, pregando la società locatrice di provvedere alla “volturazione” del contratto di Via (…) a Mo. (G.). Il 19.10.2016 G. vendette a Mo.Ne. Srl un ramo di azienda che non comprendeva il contratto di locazione, ma altre “autorizzazioni e rapporti contrattuali”.
1.2. G. – sostenendo in fatto di essere stata lasciata all’oscuro dei vari passaggi e di non avere mai acconsentito ad alcuna cessione, ed eccependo in diritto che non era intervenuta alcuna liberazione della originaria conduttrice da parte di essa proprietaria, la quale non aveva mai espresso il consenso alla cessione, cosicché la stessa rimaneva obbligata in solido con la cessionaria per il pagamento dei canoni di locazione – agiva (sia con ricorso ex 447 bis cod. proc. civ., sia con intimazione di sfratto, procedimenti poi riuniti) contestualmente contro El., G. (già Mo.) e Mo.Ne., chiedendo (i) la risoluzione per grave inadempimento di El., G. e Mo.Ne.; (ii) la loro condanna in solido a riconsegnare l’immobile; (iii) la loro condanna in solido a pagarle i canoni scaduti e a scadere.
Si costituiva resistendo El., deducendo di avere dato rituale comunicazione a G. della cessione, ed inoltre chiedendo:
(i) dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva rispetto alle domande di risoluzione e di rilascio dell’immobile, perché il contratto era stato ceduto, assieme al ramo d’azienda, a G., così come la conseguente disponibilità materiale dell’immobile;
(ii) rigettarsi la domanda di pagamento dei canoni, perché G., ai sensi dell’art. 36 L. 392/78, avrebbe dovuto prima agire contro la cessionaria G., che, per contro, neppure era stata messa in mora; (iii) in subordine, chiedeva di essere manlevata da G. e da Mo.Ne., alle quali esclusivamente sarebbe stata ascrivibile qualsiasi responsabilità.
Si costituiva G. (già Mo.), nella sola causa di sfratto per morosità, sostenendo di avere liberato e rilasciato l’immobile, perché, in sostanza, erano sopravvenuti fatti che rendevano ormai inservibile l’immobile a fini di impresa, e di aver comunicato a G. di avere liberato i locali, e dunque chiedendo:
(i) rigettarsi ogni domanda di GRF contro di sé, avendo rilasciato i locali e non avendo nulla a che fare con la situazione creatasi;
(ii) rigettarsi, in ogni caso, la malleva di El., perché per un parte la morosità risaliva all’agosto 2014, periodo che doveva restare a carico di El. anche in base a una transazione intervenuta fra loro, mentre la morosità successiva al 28 aprile 2016 era stata sanata con un versamento a G. (a titolo di canoni da maggio a ottobre 2016) effettuata da tale Ag. Srl
Si costituiva Mo.Ne., infine, chiedendo dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva, perché del tutto estranea alla vicenda, essendo stata cessionaria da El. di un diverso ramo d’azienda, non comprendente l’immobile oggetto di causa; aderiva comunque alle difese di G..
1.3. Con sentenza del 19 novembre 2019 il Tribunale di Firenze rigettava ogni domanda di G. contro G. e Mo.Ne. per carenza di legittimazione passiva; accoglieva tutte le domande di G. contro El., pronunciando la risoluzione del contratto e condannando El. a rilasciare l’immobile, nonché a pagare tutti i canoni di locazione scaduti e di futura scadenza sino alla riconsegna; rigettava la domanda di manleva proposta da El.; condannava El. a rimborsare le spese a G.; condannava G. a rimborsare le spese a G. e a Mo.Ne..
2. Avverso tale sentenza El. proponeva appello avanti alla Corte d’Appello di Firenze.
Si costituiva G., resistendo e proponendo appello incidentale.
Si costituiva Mo.Ne. Srl, resistendo e proponendo appello incidentale.
Restava intimato il Fallimento G. Srl in liquidazione.
2.1. Con sentenza n.410/2021 pubblicata il 9 marzo 2021, la Corte d’Appello di Firenze accoglieva l’appello proposto da El.Im. Srl, così pronunciando: “1. in accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto dell’appello principale, assorbiti il secondo e il quinto; assorbite altresì le domande di malleva reiterate contro El.Im. Srl da Mo.Ne. Srl e da G. Srl; nonché dichiarato improcedibile l’appello incidentale di G. Srl; rigettato infine l’appello incidentale proposto da Mo.Ne. Srl contro G. Srl, in corrispondente parziale riforma della impugnata sentenza n. 3483/2019 emessa dal Tribunale di Firenze il 19.11.2019, confermata nel resto: a. rigetta tutte le domande proposte da G. Srl nei confronti di El.Im. Srl; b. condanna G. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a El.Im. Srl le spese processuali di primo grado, che liquida in complessivi Euro 8.030,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo legge; 2. condanna G. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a El.Im. Srl le spese processuali del presente grado, che liquida in complessi Euro 10.916,50, di cui Euro 165,50 per esborsi ed Euro 10.751,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo legge; 3. compensa integralmente fra G. Srl e Mo.Ne. Srl le spese processuali del grado”.
3. Avverso tale sentenza G. Srl propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso Si. Srl in liquidazione (già El.Im. Srl in liquidazione).
Resiste con controricorso Mo.Ne. Srl
Sebbene intimato, il Fallimento G. Srl non ha svolto attività difensiva.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni
La ricorrente e le resistenti hanno depositato memorie illustrative.
Cessione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo ed il rispetto del beneficium ordinis
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e, in particolare dell’art. 36 della L.392/1978, e/o omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.”.
Lamenta che la Corte d’Appello di Firenze non avrebbe preso in considerazione la reale posizione giuridica delle parti, dato che El.Im. non è il locatore originario, bensì il primo dei cessionari e dunque un cedente intermedio, e per l’effetto avrebbe erroneamente ritenuto la El. gravata da responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal beneficium ordinis, senza invece tenere conto dell’orientamento di legittimità, secondo cui tra tutti i cedenti intermedi (tra cui appunto El.) vige la regola della presunzione di una responsabilità solidale.
Ne deriva altresì che erroneamente la corte territoriale ha applicato al caso di specie il principio, derivante dal citato art. 36, del necessario rispetto del beneficium ordinis, per cui occorre che prima dell’azione giudiziale il cessionario sia quanto meno messo mora con specifico atto, ancorché stragiudiziale.
Se la corte territoriale avesse correttamente applicato i suddetti principi, avrebbe escluso la necessità di preventiva messa in mora del cessionario finale per poter agire giudizialmente nei confronti del cedente intermedio.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. e, in particolare, dell’art. 36 della L. 392/1978, Disciplina delle locazioni di immobili urbani, G.U. n.211 del 29 luglio 1978 e/o
omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ. e, in particolare, la Corte d’Appello di Firenze avrebbe errato nel ritenere che G. non abbia preventivamente cercato di ottenere l’adempimento dall’ultimo, nonché dal primo dei cessionari intermedi”.
Lamenta, lungi dal volere equiparare un invito a partecipare ad un procedimento di mediazione ad una formale messa in mora, che la corte di merito non ha considerato che essa G. prima di agire contro El. aveva inviato a G. Srl ed a Mo.Ne. l’invito alla mediazione obbligatoria prodromica alla causa, e dunque non ha considerato che prima di convenire in giudizio El., G. ha preventivamente tentato di ottenere il pagamento da tutti i cessionari intermedi, dunque conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all’art. 36 della legge 392/1978.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e, in particolare, degli artt. 348, 348-bis, 348-ter e 350 c.p.c. nonché 436 e 437 cod. proc. civ. per aver dichiarato erroneamente improcedibile l’appello incidentale di G. verso G. Srl”.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente dichiarato improcedibile l’appello incidentale proposto da G..
Deduce che tutte le parti erano costituite telematicamente e che in tal caso, come scritto nel decreto di fissazione di udienza, non era necessario né richiesto il deposito di ricorsi o notifiche; inoltre sul tema specifico dell’appello incidentale tutte le controparti avevano dispiegato ampie difese deduzioni ed eccezioni, per cui non era ravvisabile lesione alcuna del loro diritto di difesa.
4. Il primo motivo, in disparte il pur non marginale rilievo per cui la G. – solo genericamente evocando la documentazione prodotta in primo grado – sostanzialmente sollecita un riesame del merito in ordine alla posizione di El. quale oatapubbiicazioi intermedio, evenienza mai menzionata nelle precedenti decisioni di merito, è infondato.
L’art. 36 legge n. 392/1978 prevede che: “Il conduttore può sublocare o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il Locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia alle obbligazioni assunte”.
4.1. Tanto premesso, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha già avuto modo di affermare che “in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell’azienda) effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, senza il consenso del locatore, mentre tra (l’unico) cedente e (l’unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l’inadempimento del cessionario), nell’ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 c.c.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore” (così Cass. n. 9486/2007)
4.2. La giurisprudenza successiva ha poi consolidato i seguenti principi:
a) a differenza della cessione del contratto, a struttura trilaterale (il consenso del contraente ceduto è elemento essenziale della cessione, e non co-elemento di efficacia della stessa) la cessione ex art. 36 si perfeziona con la semplice comunicazione al locatore, senza che, rispetto alla sua struttura, incida l’eventuale opposizione del locatore per gravi motivi;
b) in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda è esercitata, la disciplina recata dalla predetta norma (deviando in parte da quella generale di cui all’art. 1408 cod. civ.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell’azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo (Cass., 28809/2019; Cass. 30/09/2015, n. 19531).
c) il cedente è obbligato in via sussidiaria nei confronti del cessionario, alla stregua di una interpretazione storica e letterale dell’art. 36 in negativo, non essendo stata riprodotta la disposizione della legge n. 19 del 1965, art. 5 che prevedeva testualmente la responsabilità solidale tra cedente e cessionario;
d) la sussidiarietà si sostanzia, peraltro, nel semplice beneficium ordinis (e non anche nel più gravoso beneficium excussionis) in favore del cedente;
e) il rispetto di tale principio postula la semplice messa in mora senza esito del cessionario (con relativa prova a carico del locatore);
f) solo dopo aver rivolto senza esito la richiesta di inadempimento al cessionario ovvero all’ultimo cessionario in caso di cd. cessioni a catena, il locatore potrà rivolgersi, indifferenziatamente e solidalmente, a ciascuno dei cedenti intermedi, che non godono di alcun beneficium ordinis tra loro, e senza alcuna esigenza di integrare il contraddittorio tra i potenziali co-obbligati (da questo principio consegue la configurabilità del litisconsorzio facoltativo, che comporta rapporti scindibili sotto il profilo processuale: v. la già citata Cass., n. 9486/2007: “la illustrata struttura della coobbligazione solidale tra i conduttori convenuti in lite, escluso ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione tra le posizioni degli stessi (escluso cioè che la responsabilità dell’un conduttore presupponga o consegua alla responsabilità dell’altro), determina l’autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, impedendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile. Si versa, cioè, in una tipica fattispecie di litisconsorzio facoltativo con rapporti processualmente scindibili”; per cui: “con specifico riferimento alla cessione del contratto di locazione correlata alla cessione di azienda, si è espressa, in maniera reiterata, questa Corte, univoca nell’affermare che sussiste litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto quando siano in questione l’avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei soggetti tra loro obbligati in solido”; v. ex plurimis, Cass. 09/12/1997, n. 12454; Cass. 29/11/1993, n. 11847; Cass. 31.03.1987, n. 3102)”.
4.3. Questo consolidato orientamento della Corte da un lato è rispettoso della ratio del citato art. 36, che è quella di agevolare il trasferimento di aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall’imprenditore e di tutelare l’avviamento commerciale (con riferimento a tale ratio v. Cass. 19/01/2010, n. 685), ma, per altro verso, stante l’irrilevanza del consenso del locatore alla cessione della locazione contestuale alla cessione dell’azienda, evenienza questa che rende peculiare l’intera fattispecie speciale di detta cessione, valorizza l’opzione ermeneutica che risulti compatibile con una tutela “rafforzata” del soggetto ceduto al quale, in evidente spregio dei principi di successione nel debito, si nega la facoltà di esprimere la propria volontà ed il proprio assenso.
A tal proposito, perciò, da un lato tra il cedente ed il cessionario divenuto successivo conduttore dell’immobile esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia consumato l’inadempimento di detto nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora. Dall’altro deve ritenersi legittima la configurabilità di una fattispecie di responsabilità cumulativa tra cessionari intermedi, che di per sé integra patente violazione del generale principio della incedibilità delle posizioni passive del rapporto obbligatorio senza il consenso del contraente ceduto, in quanto tuttavia giustificata alla luce della riconduzione ad equilibrio dell’intera vicenda contrattuale in fieri, mediante il meccanismo della “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati (Cass. 20/04/2007, n. 9486; Cass., 29/08/2019, n. 21794), alla quale si applica la regola generale della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 cod. civ., in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale
conduttore (cfr. Cass. n. 9486/2007).
4.4. Orbene, la corte di merito ha fatto puntuale applicazione dei suindicati principi (v. punto 3 della motivazione della sentenza impugnata), in forza dei quali interpreta l’art. 36 legge 392/1978 correttamente e dunque nel senso per cui, si ribadisce, nel caso di cessione plurima di contratto di locazione ad uso diverso dall’abitazione, di fronte all’inadempimento del pagamento del canone di locazione, il locatore deve – in primo luogo e prima di esercitare l’azione nei confronti del cedente-richiedere l’adempimento all’ultimo cessionario; nel caso in cui costui non adempia, scatta automaticamente la solidarietà fra tutti i cedenti e cessionari antecedenti, a cui dunque il locatore potrà successivamente ed indifferenziatamente rivolgersi.
E’ per contro manifestamente infondata la tesi del ricorrente, che vorrebbe far discendere -non è chiaro in forza di quale principio- dal riconoscimento della responsabilità solidale di tutti i successivi cessionari, nel caso di plurime cessioni, l’esclusione del beneficium ordinis per cui, prima di agire, occorre che il locatore compulsi, chiedendo l’adempimento, l’ultimo cessionario.
E’ vero che nel caso in cui l’ultimo cessionario non adempia, scatta automaticamente la solidarietà tra tutti i cedenti ed i cessionari antecedenti, ma -si ribadisce- resta pur sempre fermo il principio del beneficium ordinis, per cui, di fronte all’inadempimento, il locatore anzitutto deve compulsare l’ultimo cessionario.
5. Il secondo motivo è invece fondato.
Esso pone una questione nuova, che ad avviso di questa Corte deve essere risolta in senso contrario a quanto deciso della corte fiorentina.
5.1. Giova dunque anzitutto ricordare che in primo grado il Tribunale di Firenze aveva così statuito:
” … in caso di mancata liberazione del cedente, per tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o alla estinzione del rapporto locatizio, permane la legittimazione passiva dell’originario conduttore. Quanto alla responsabilità del cedente, da ultimo la Suprema Corte ha ritenuto applicabile il principio della responsabilità sussidiaria all’interno dei rapporti tra i coobbligati, sia pure sotto il limitato profilo del beneficium ordinis (vedi Cass., 20/04/2007, n. 9486; Cass., 11/11/2011, n. 23557), attraverso una preventiva richiesta di adempimento al cessionario, oppure, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità più recente, attraverso la semplice modalità della messa in mora (vedi Cass., n. 13706/2017). Applicando i suesposti principi al caso di specie, ne discende la responsabilità dell’originario conduttore El.Im. Srl per i canoni di locazione non pagati anche per il periodo successivo alla cessione del ramo di azienda e del contratto di locazione (1.5.2016), non essendo stato liberato dal locatore, che ne ha ricevuto formale comunicazione; incontestato, poi, è l’inadempimento all’obbligo di pagamento dei canoni di locazione sin dal mese di maggio 2016 del conduttore cessionario, il quale, pur non avendo ricevuto alcuna formale richiesta di adempimento o di messa in mora da parte del locatore prima dell’introduzione del presente giudizio, ha manifestato sin da subito, con l’introduzione del procedimento di mediazione, la volontà di non adempiere (vedi verbale negativo di mediazione del 18.10.2017), con conseguente maturarsi dell’inadempimento di quest’ultimo”.
5.2. La corte d’appello ha invece integralmente riformato la decisione sotto tali profili, espressamente affermando che non è sufficiente, al fine del rispetto del beneficium ordinis, la richiesta inviata per la mediazione obbligatoria prodromica alla causa, dal momento che:
“tale atto non è equipollente a una (preventiva) messa in mora. Ammesso e non concesso che una comunicazione indirizzata in via immediata non al debitore, ma all’Organismo di Mediazione, possa dirsi comunque utile ai presenti fini, è dirimente considerare che con la richiesta di mediazione il creditore non intima affatto al debitore di adempiere, ma -proprio per la natura dell’atto – riserva al successivo eventuale giudizio ogni richiesta.
Al massimo, cioè, la richiesta di mediazione manifesta al debitore che la sua controparte vanta una pretesa nei suoi confronti e, ove la mediazione non abbia buon esito, è intenzionata ad agire in giudizio; ma di certo non costituisce una intimazione immediata di adempimento, essendo ciò intrinsecamente in contrasto con la funzione dell’atto, che è quello di avviare una mediazione. È d’altra parte noto che la messa in mora, pur se a forma libera, deve manifestare la incondizionata volontà del creditore di pretendere l’immediato adempimento: “La costituzione in mora del debitore, anche al fine della interruzione della prescrizione, postula l’estrinsecazione della pretesa creditoria, con richiesta d’adempimento, e, per tanto, non può essere ravvisata in una generica riserva di far valere il diritto o di agire a sua tutela in un momento successivo.” (Cass. sez. civ. 21.5.1985 n. 3096 rv 440793); non sono idonee alla messa in mora “(…) semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell’espressa richiesta di adempimento al debitore.” (Cass. sez. 6^ civ. ord. 14.6.2018 n. 15714 rv 649150-01; conf.: Cass. sez. 6^ civ. ord. 7.9.2020 n. 18546). Sarebbe inutile obiettare – e G. non lo fa – che l’art. 5 co. 6^ primo periodo D. Lgs 28/2010 stabilisce che “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, perché la peculiare parificazione va considerata limitata, così come la legge specifica, ai soli fini della interruzione della prescrizione; ché, se poi si opinasse diversamente, si dovrebbe allora, per esser conseguenti, operare una parificazione totale della domanda di mediazione a quella giudiziale, col risultato, comunque favorevole alla tesi dell’appellante El., che sarebbe mancata una intimazione al debitore principale precedente all’avvio della causa, con mancato rispetto del beneficium ordinis”.
La corte territoriale, pertanto, conclude nel senso che, ricevuta da parte di El. la comunicazione dell’avvenuta cessione, G., prima di convenirla in giudizio per far valere la sua responsabilità sussidiaria rispetto a inadempimenti interamente attribuibili al cessionario, avrebbe dovuto mettere in mora G. (all’epoca Mo.).
5.3. Orbene, la corte di merito richiama astrattamente i principi di diritto posti da questa Suprema Corte in sede di interpretazione dell’art. 36 legge 392/1978 e qui riportati in sede di scrutinio del primo motivo di ricorso, ma non li applica correttamente al caso di specie, in cui viene in rilievo il profilo, mai esaminato sinora, per cui prima della instaurazione del giudizio di merito la G. ha comunicato a tutte le controparti di aver depositato istanza di mediazione, rispetto alla quale la corte fiorentina svolge considerazioni non condivisibili.
Anzitutto va rilevato che, per un verso, la corte d’appello sostanzialmente non disconosce l’esistenza del credito di G. e che, per altro verso, è cosa giudicata interna, formatasi per effetto della mancata impugnazione, che la mediazione fosse stata estesa all’ultimo cessionario, quello nei cui riguardi doveva rivolgersi la richiesta di pagamento.
Ciò posto, è errato quanto afferma la corte fiorentina circa l’impossibilità di considerare la richiesta di mediazione, come attività stragiudiziale, sub specie di richiesta di adempimento.
In disparte il rilievo -puramente formalistico ed affatto decisivo- per cui la domanda di mediazione non è rivolta direttamente al debitore ma all’Organismo di Mediazione, le argomentazioni della corte di merito per cui con la domanda di mediazione il creditore “non intima affatto di adempiere” sono immotivate ed apodittiche, a fronte della previsione dell’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010, che stabilisce che la domanda di mediazione è presentata mediante deposito (presso un organismo di mediazione) di un’istanza che deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa; tale previsione va letta in combinato disposto con la normativa dettata dall’art. 5, comma 1-bis in tema di mediazione obbligatoria, il quale prevede uno stringente collegamento tra il processo civile (“azione”) e la preventiva mediazione.
La ratio di tale previsione è quella di ottenere, in caso di eventuale successivo giudizio, una simmetria tra la disposizione richiamata (art. 4 comma 2 D.Lgs. 28/2010) e l’art. 125 cod. proc. civ., circa il contenuto degli atti processuali, (cfr. Cass. n. 29333/2019, non massimata, che contiene questo espresso riferimento: “L’assunto cassatorio è che la corte territoriale abbia violato l’art. 4 del D.Lgs. n. 28/10 che prescrive che la domanda di mediazione debba contenere l’indicazione dell’organismo, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della domanda, in sintonia con quanto prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ., quanto al contenuto degli atti processuali, sì da garantire che quanto sottoposto all’organismo di mediazione trovi corrispondenza in quanto successivamente portato alla cognizione del giudice”, per poi concludere nel senso della infondatezza del motivo, in quanto “All’esito di un accertamento di merito adeguatamente motivato, insuscettibile di riesame da parte di questa Corte, la decisione impugnata ha confrontato la domanda di mediazione con quella giudiziale ed ha ritenuto che non vi fosse una insanabile non sovrapponibilità del relativo oggetto”).
E’ pacifico, dunque, che l’istanza di mediazione debba avere gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni), riproposti in sede processuale (personae, petitum e causa petendi dell’art. 125 cod. proc. civ.), e questo al fine di rendere effettiva la mediazione, per cui la parte chiamata deve essere messa in condizione di conoscere tutte le questioni, nel loro nucleo essenziale, costitutive della pretesa dell’altra parte.
In questo contesto, dunque, non è ragionevolmente possibile escludere che la domanda di mediazione non possa anche rivestire i presupposti della intimazione ad adempiere; se la mediazione è finalizzata alla definizione della controversia in via conciliativa, deflazionando il contenzioso ordinario, per altro verso la medesima costituisce condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale: pertanto, l’istanza di mediazione deve contenere quel nucleo indefettibile di elementi e di contenuto, tale da evidenziare la pretesa su cui la mediazione medesima possa essere utilmente esperita ovvero, in caso contrario, che costituirà il fondamento ed il contenuto della futura iniziativa giudiziale, e per questo dunque non può non far riferimento alla pretesa creditoria da un lato ed all’inadempimento, al di là del mero ritardo, dall’altro.
5.4. Anche l’ulteriore argomento formulato dalla corte di merito e fondato sul disposto del comma 6 dell’art. 5 D.Lgs. 28/2010 non è condivisibile.
La citata disposizione prevede in particolare che: “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”.
Orbene, al contrario di quanto dice la corte di merito, proprio il principio espresso dal citato art. 5, comma 6, primo periodo, attribuendo alla domanda di mediazione effetti interruttivi della prescrizione a somiglianza della proposizione della domanda giudiziale, implica a maggior ragione che l’attivazione della mediazione non possa che considerarsi come richiesta di adempimento all’ultimo cessionario.
Il ragionamento svolto dalla corte di merito, secondo cui la parificazione tra istanza di mediazione e domanda giudiziale sarebbe limitata ai soli fini della interruzione della prescrizione, invero non considera che la previsione del citato art. 5, comma 6, D.Lgs. 28/2010, lungi dall’essere letta ed interpretata in maniera puramente letterale, va considerata sotto un profilo sistematico.
E sotto tale profilo deve essere rilevato che con questa disposizione il legislatore si è fatto carico dell’evenienza per cui colui che esperisce e coltiva un percorso di mediazione (e lodevolmente, visto che, come si desume dall’art. 8, comma 4-bis del D.Lgs. 2010 n. 28 – a norma del quale “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’ art. 5, non ha partecipato al procedimento (di mediazione) senza giustificato motivo al versamento all’ entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”- è ormai principio immanente dell’ ordinamento giuridico che la partecipazione alla mediazione è un valore in sé, a prescindere dal merito, e quindi dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza) non può essere costretto a subire gli effetti del decorso della prescrizione.
Pertanto, posto che la domanda di mediazione precede necessariamente la domanda giudiziale, il legislatore ha optato, a scanso di dubbi, per parificarla espressamente alla domanda giudiziale ai fini della interruzione del decorso del termine di prescrizione.
5.5. Del tutto formalistico e privo di pregio e poi l’assunto secondo cui in tal modo si equiparerebbe totalmente la richiesta di mediazione alla domanda giudiziale, con la conseguenza che mancherebbe l’essersi richiesto il pagamento all’ultimo cessionario prima di compulsare gli altri, in quanto il pagamento risulterebbe richiesto a tutti i cedenti e cessionari, con conseguente mancato rispetto del beneficium ordinis.
La domanda di mediazione, per la sua specifica funzione di giustizia complementare in funzione deflattiva, collegata al solo eventuale futuro giudizio di merito, viene inviata ante causam e nell’esporre la pretesa giuridica di cui si e titolari e la relativa esigenza di tutela, anzitutto al fine di trovare un possibile accordo conciliativo tra le parti, contiene naturalmente quella richiesta di adempimento che, pur nella sua forma più elementare, vale ad escludere il mero ritardo ed è idonea a far constare l’inadempimento del soggetto obbligato.
Va condivisa pertanto la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso (p. 17), per cui “nessuno ha mai voluto equiparare un invito a partecipare a un procedimento di mediazione a una formale messa in mora, tuttavia non può certo dirsi che prima di convenire in giudizio El.Im., G. non abbia preventivamente tentato di ottenere il pagamento dai cessionari intermedi e dunque conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all’art. 36 della legge 392/1978”.
5.6. Risulta inoltre illogico che la corte territoriale abbia rigettato la domanda del proprietario verso il cedente, affermando che il primo non avrebbe tentato di ottenere l’adempimento dei cessionari intermedi e giustificando tale rilievo sulla pretesa non equipollenza tra domanda di mediazione e messa in mora.
Se infatti si considera complessivamente la motivazione, è possibile rilevare che l’impugnata sentenza svolge una articolata -e condivisibile- premessa, richiamando l’orientamento di questa Corte, secondo cui ciò che conta, ai fini del rispetto del beneficium ordinis, non è la mora in sé del cessionario, che, a ben vedere, si produce ex re allo scadere del termine per il pagamento della rata di canone (cfr. Cass. sez. 3^ civ. 17.12.1986 n. 7628; Cass. sez. 3^ civ. 13.3.2007 n. 5836; Cass. sez. 3^ civ. 9.12.2004 n. 25853; è fatta salva la deroga dell’art. 1282 co. 2^ c.c. nei soli casi, diversi dal presente, in cui le parti abbiano pattuito la natura querable della prestazione del conduttore), ma l’inadempimento vero e proprio, che occorre dunque constatare, al di là del mero ritardo, con un autonomo atto – ancorché nelle semplici forme dell’intimazione stragiudiziale – che non può che essere anteriore all’azione giudiziale (v. Cass., 20/01/2017, n. 1433, nel solco dell’indirizzo fissato dalla citata Cass., 9486/2007).
In ogni caso, poi, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la messa in mora non richiede formule sacramentali né di particolari adempimenti (Cass., 18631/2019: “l’atto di costituzione in mora di cui all’art. 1219 cod. civ., idoneo ad integrare atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943, ultimo comma, cod. civ., non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e quindi non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti, occorrendo soltanto che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. Sulla base di tali principi, perché un atto possa valere come costituzione in mora, deve contenere unicamente la chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), nonché l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto nei confronti del soggetto indicato (elemento oggettivo)”.
5.7. Ebbene, nel caso di specie G. prima di intraprendere il giudizio ex art. 447 bis cod. proc. civ. ha tentato di ottenere l’adempimento da parte di tutti cessionari, dunque in applicazione del disposto di cui al citato art. 36 legge 392/1978.
Il ragionamento della corte territoriale sul beneficium ordinis non considera che tale beneficio implica soltanto che prima dell’esercizio dell’azione contro il cedente e, quindi contro la platea dei cedenti e cessionari, ci si debba rivolgere stragiudizialmente all’ultimo cessionario. L’attività mediatoria, pur coinvolgente tutti i soggetti coinvolti nelle cessioni a catena del contratto di locazione, non costituisce quindi esercizio dell’azione giudiziale contro il cedente originario ed i successivi cessionari e cedenti anteriori all’ultimo cessionario.
5.8. La possibile funzione della domanda di mediazione di far constare ante causam l’inadempimento del debitore risulta vieppiù evidente se si considera, come ha osservato in prime cure il tribunale ed invece ha trascurato la corte d’appello, che nel caso di specie i destinatari della convocazione in mediazione hanno manifestato la volontà di non adempiere, come risulta dal verbale negativo di mediazione, per cui in tal modo si è maturato il loro inadempimento, in forza dell’espresso disposto, che la corte fiorentina ha omesso di considerare, dell’art. 1219 comma 2, n. 2, cod. civ., per cui non è necessaria la messa in mora del debitore allorquando lo stesso abbia dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione.
6. Pertanto, in accoglimento del motivo la impugnata sentenza va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione del seguente principio di diritto:
“Ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall’art. 36 della legge 392/1978, ciò che rileva è l’inadempimento vero e proprio del cessionario/conduttore, che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l’azione giudiziale. Tale autonomo atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di partecipazione alla mediazione (nel caso di specie obbligatoria), estese – in funzione del successivo giudizio – anche al cessionario (e nel caso di cessioni successive all’ultimo cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali ben può essere considerata come richiesta di adempimento ante causam fatta nei riguardi del cessionario (o dell’ultimo cessionario)”.
7. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Va premesso che la corte di merito ha dichiarato l’improcedibilità dell’appello incidentale di G. in quanto la stessa non ha depositato nel giudizio di appello la prova dell’avvenuta notificazione del ricorso incidentale.
Tale circostanza è pacifica, tanto è vero che la stessa G. motiva le proprie ragioni sostenendo che tale onere non le incombesse.
Va invece ricordato che questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza 30/07/2008, n. 20604 ha già avuto modo di affermare che, nel rito del lavoro, l’appello incidentale, pur tempestivamente proposto, ove non sia stato notificato va dichiarato improcedibile, poiché il giudice, in attuazione del principio della ragionevole durata del processo, non può assegnare all’appellante un termine per provvedere a nuova notifica, e la suddetta improcedibilità è rilevabile d’ufficio trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (v. anche tra le successive conformi, Cass. sez. lav. 19.1.2016 n. 837; Cass., 03/04/2017, n. 8595; Cass., 19/10/2017, n. 24742; Cass., n. 29870/2008; Cass., n.1721/2009; Cass., n. 11600/2010, Cass., n.27086/2011; Cass., n. 20613/2013; Cass., n. 6159/2018).
Il principio discende dall’ art. 436, comma 3, cod. proc. civ., il quale, per effetto dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 447 bis, comma 2, cod. proc. civ., si applica anche ai giudizi, come il presente, in tema di locazione.
Si è poi ulteriormente precisato che il principio, affermato per l’appello principale, va applicato anche all’appello incidentale (v. Cass. 19/01/2016, n. 837).
7.1. La corte di merito ha dunque fatto buon governo dei suddetti principi, applicandoli al caso sottoposto al suo esame, in cui l’appello incidentale di GR verso G. e stato tempestivamente proposto, ma non notificato, sottolineando in motivazione che né nelle fasi anteriori, ivi compresa quella incidentale di inibitoria, né con le note di trattazione scritta dell’udienza di discussione G. ha allegato di avere mai notificato la sua comparsa contenente l’appello incidentale e men che meno ne ha fornito prova.
Infondate sono dunque le considerazioni, contenute nel motivo di ricorso, secondo cui tutte le parti erano costituite in giudizio, dal momento che la mancata notifica (e la mancata prova in giudizio del fatto che essa sia avvenuta) non è causa di nullità, cioe di un vizio sanabile con l’avvenuta costituzione in giudizio delle parti, ma è causa di improcedibilità, cioè di un vizio comunque non sanabile, neppure a seguito della costituzione delle parti.
7.2. Risulta infine irrilevante e privo di pregio il fatto che G. abbia “dovuto anche depositare istanza di correzione di errore materiale sul punto” (v. p. 20 del ricorso), in quanto allegato in maniera del tutto generica, in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. ed in assenza di correlazione con quanto motivato dalla corte territoriale nel ritenere improcedibile l’appello incidentale; che poi, in allegato a tale istanza di correzione di errore materiale, G. abbia prodotto le ricevute telematiche relative alla notifica alle controparti dell’appello incidentale allo scopo di cercare di ovviare all’omessa produzione nel corso del giudizio, è evenienza parimenti irrilevante, dato che tale produzione è tardiva, essendo intervenuta dopo la pronuncia della sentenza nel giudizio di appello.
8. In conclusione, vanno rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso, mentre va accolto il secondo; l’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze, comunque in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione del principio di diritto indicato al par. 6 della motivazione.
9. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’8 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2024.
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