La presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore
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La presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 maggio 2024| n. 13786.

La presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall'articolo 2054, comma 1, del Cc, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e, dunque, non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l'indagine sull'imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fini del concorso di colpa, ai sensi dell'articolo 1227, comma 1, del Cc, ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. In particolare, in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, in caso di investimento di un pedone, la lettura combinata dell'articolo 2054 del Cc - che pone una regola nella quale la prevenzione è prevalentemente a carico del conducente del veicolo investitore - e dell'articolo 1227 del Cc esige da parte del giudice di merito che si svolga uno specifico accertamento delle rispettive colpe in relazione alla particolarità del singolo caso in esame.

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L’accoglimento dell’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto non è subordinato alla presentazione di un’offerta formale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 maggio 2024| n. 13789.

L'accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. non è subordinato alla presentazione di un'offerta formale della controprestazione, ai sensi degli artt. 1208 e 1209 c.c., essendo a tal fine idonea anche la sola manifestazione di volontà di adempiere del promissario acquirente.

Possono esistere patti parasociali che non si conformano al modello tipizzato
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Possono esistere patti parasociali che non si conformano al modello tipizzato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13561.

Possono esistere patti parasociali che non si conformano al modello tipizzato dell'articolo 2341-bis del Cc. Tuttavia, per essere ritenuti patti parasociali, e dunque meritevoli di tutela giuridica analoga a quella riconosciuta espressamente ai patti indicati dall'articolo 2341-bis del Cc, occorre che il loro contenuto sia comunque finalizzato a regolare il comportamento che i soci intendono tenere all'interno della società nell'esercizio della funzione organica che essi svolgono per effetto della qualità rivestita. In altre parole, le obbligazioni contenute nel patto parasociale, cui certamente la società interessata è per definizione estranea, debbono tuttavia essere finalizzate a regolare il comportamento che i soci intendono vincolarsi a tenere nel momento in cui eserciteranno i poteri amministrativi loro spettanti all'interno dell'ente per effetto dell'esercizio della relativa qualità. Tale condizione è assolutamente necessaria per poter qualificare la pattuizione come patto parasociale: necessaria, si può aggiungere per completezza, ma non sufficiente, poiché il contenuto dell'obbligo regolato dal patto, per esser parasociale, deve comunque essere riconducibile al perseguimento di quegli effetti di stabilizzazione della governance societaria cui si riferisce espressamente l'articolo 2341-bis del Cc, che ha tipizzato la "causa" dei patti stessi, enucleandone le finalità e, per conseguenza, anche definendo l'ambito della relativa meritevolezza dell'interesse perseguito ai sensi dell'articolo 1322 del Cc.

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La denuncia di nullità del lodo arbitrale per inosservanza delle regole di diritto “in iudicando”

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13604.

La denuncia di nullità del lodo arbitrale per inosservanza delle regole di diritto "in iudicando" è ammissibile solo se circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; ne consegue l'inammissibilità del motivo di ricorso con il quale per mezzo dell'impugnazione per nullità del lodo si contesti la valutazione dei fatti dedotti e delle prove acquisite nel corso del procedimento arbitrale perché tale valutazione è negozialmente rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri.

I motivi dell’impugnazione devono non solo indicare il quantum appellatum ma anche il quia
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I motivi dell’impugnazione devono non solo indicare il quantum appellatum ma anche il quia

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13565.

I motivi dell'impugnazione - prima e dopo il 2012 - devono non solo indicare il quantum appellatum, ma anche il quia: il motivo d'appello deve allora individuare le parti di cui l'appellante chiede la riforma e gli errori, in iudicando o in procedendo, da cui esse sono affette. In breve, si può dire, schematizzando, che il motivo di appello è specifico quando, esaminato ex ante, è idoneo a privare la sentenza impugnata della sua base logico-giuridica. Insomma, è motivo specifico quello che, valutato ex ante, ossia prima ancora della verifica di fondatezza, possiede l'attitudine a scardinare la ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata. La specificità si riassume, dunque, in ciò, tra il motivo e la sentenza impugnata deve correre una relazione di incompatibilità, di reciproca esclusione, nel senso che, ipotizzato il motivo come fondato, allora la sentenza impugnata è necessariamente errata. Non è superfluo aggiungere che il concetto di specificità del motivo di appello e che il legislatore del 2022 ha non solo espressamente ripristinato ma anche ampiamente rafforzato, non manifesta alcunché di formalistico od eccessivamente rigido e severo, ed anzi esso costituisce valorizzazione dei poteri delle parti, il che è perfettamente in armonia con principi basilari del nostro processo civile, quali il principio dispositivo, che si realizza anche attraverso la necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ed il principio del contraddittorio

Soccombenza reciproca determinata e la parte maggiormente soccombente valore delle domande parzialmente accolte
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Soccombenza reciproca determinata e la parte maggiormente soccombente valore delle domande parzialmente accolte

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13611.

In un processo con pluralità di domande contrapposte, in caso di soccombenza reciproca determinata dal parziale accoglimento di tali domande, al fine di individuare la parte maggiormente soccombente occorre confrontare il valore delle domande parzialmente accolte (e quindi non quello delle domande rispettivamente rigettate), cosicché deve ritenersi maggiormente soccombente la parte la cui domanda accolta sia di minor valore.

In ordine alla scelta della scuola se d’ispirazione religiosa o laica presso cui iscrivere i figli
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In ordine alla scelta della scuola se d’ispirazione religiosa o laica presso cui iscrivere i figli

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13570.

Il contrasto insorto tra genitori legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, in ordine alla scelta della scuola (se d'ispirazione "religiosa" o "laica") presso cui iscrivere i figli, deve essere risolto in considerazione dell'esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori a una crescita sana ed equilibrata, e importa una valutazione di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, che può ben essere fondata sull'esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa. Secondo l'orientamento della Cedu, del resto, alcune limitazioni sulle modalità di coinvolgimento del minore in una pratica religiosa scelta da uno dei genitori non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e preservare il superiore interesse del minore.

In sede di legittimità è possibile censurare la violazione in ordine alle presunzioni
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In sede di legittimità è possibile censurare la violazione in ordine alle presunzioni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13569.
In sede di legittimità è possibile censurare la violazione dell'articolo 2729 del Cc e dell'articolo 2727 del Cc solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva, oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso. In ogni caso non è ravvisabile la violazione dell'articolo 2727 del Cc se le doglianze sollevate tendono, in realtà, a una rivalutazione del merito, censurando l'accertamento in fatto operato sulla base delle risultanze istruttorie.

Il vizio di motivazione apparente della sentenza
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Il vizio di motivazione apparente della sentenza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13600.

Il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando la stessa, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a fare conoscere il ragionamento svolto dal giudice per la formazione del suo convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie e ipotetiche congetture

La rinuncia all’azione richiede un mandato ad hoc senza che sia sufficiente quello ad litem
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La rinuncia all’azione richiede un mandato ad hoc senza che sia sufficiente quello ad litem

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13636.

La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente quello ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate.