Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività
Articolo

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 maggio 2024| n. 14411.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all'espletamento ed alla consistenza dell'attività, è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il "quantum debeatur", senza incorrere nella violazione dell'articolo 112 del Cpc, essendo altresì specificato che la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell'ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell'ingiunzione, non ha - costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista - valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex articolo 2697 del Cc, ove vi sia contestazione da parte dell'opponente in ordine all'effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all'applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste. Al fine, inoltre, di determinare il suddetto onere probatorio a carico del professionista e di investire il giudice del potere - dovere di verificare la fondatezza della contestazione mossa dall'opponente, non è necessario che quest'ultima abbia carattere specifico, essendo sufficiente anche una contestazione di carattere generico, ma sempre con la necessità di specificamente contestare, in presenza di una parcella, quali voci della stessa si assumano però non svolte

Nella valutazione delle condizioni economiche dei coniugi ai fini della valutazione e quantificazione dell’assegno di mantenimento
Articolo

Nella valutazione delle condizioni economiche dei coniugi ai fini della valutazione e quantificazione dell’assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 maggio 2024| n. 14378.

Nella valutazione delle condizioni economiche dei coniugi ai fini della valutazione e quantificazione dell’assegno di mantenimento, oltre ai redditi da lavoro ed il patrimonio immobiliare, devono essere prese in considerazione anche le iscrizioni pregiudizievoli sul patrimonio di uno dei due, dal momento che tali azioni modificano la potenzialità economica del coniuge interessato, riducendola.

La decadenza del committente dall’azione di garanzia per i vizi e difformità dell’opera
Articolo

La decadenza del committente dall’azione di garanzia per i vizi e difformità dell’opera

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14569.

In tema di contratto di appalto, la decadenza del committente dall'azione di garanzia per i vizi e difformità dell'opera, prevista dall'art. 1667 c.c., non è rilevabile d'ufficio, pertanto la relativa eccezione deve essere proposta dal convenuto ai sensi dell'art. 167 c.p.c., a pena di decadenza, nella comparsa di risposta da depositarsi almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione.

Articolo

La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14624.

La quietanza, anche quando é contenuta in un atto notarile, non dimostra l'effettivo versamento dell'IVA da parte dell'acquirente al venditore. Infatti, in tutti i casi in cui è indispensabile l'emissione della fattura, l'IVA deve essere indicata separatamente dal prezzo e, di conseguenza, la quietanza non può costituire una rinuncia implicita al suo pagamento.

La compensazione impropria o atecnica
Articolo

La compensazione impropria o atecnica

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14156.

La compensazione impropria o atecnica sussiste quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico rapporto e - diversamente dalla compensazione "propria" di cui agli articoli 1241 e seguenti del Cc, che presuppone autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti (i quali si estinguono per quantità corrispondenti fin dal momento in cui vengono a coesistere) - dà luogo a un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. Questa compensazione impropria, pur potendo generare un risultato analogo a quello della compensazione propria, non è soggetta alla disciplina tipica - sia processuale sia sostanziale - della compensazione regolata dagli articoli 1241 e seguenti del Cc e il giudice può peraltro procedere all'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. L'operatività della compensazione, quindi, presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti, sicché tale istituto non trova applicazione in presenza di obbligazioni scaturenti dal medesimo rapporto giuridico, ancorché complesso, o da rapporti accessori: in questi casi ha invece luogo il diverso fenomeno della cosiddetta compensazione impropria o atecnica, il qual si risole in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare ed avere, come tale sottratto alla applicazione delle compensazione vera a propria.

Nel procedimento per l’attribuzione giudiziale del cognome
Articolo

Nel procedimento per l’attribuzione giudiziale del cognome

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14121.

Nel procedimento per l'attribuzione giudiziale del cognome, trovando applicazione il principio di prossimità, è territorialmente competente il giudice del luogo di residenza del minore, in quanto maggiormente idoneo a valutare le sue esigenze, non solo per lo stretto collegamento con il luogo in cui si trova il centro degli affetti, degli interessi e delle relazioni dello stesso, ma anche per la possibilità di procedere in qualsiasi momento al suo ascolto, adempimento imprescindibile in tutti i procedimenti che lo riguardano.

Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
Articolo

Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14167.

La presunzione di rinunzia prevista dall'articolo 346 del Cpc riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, peraltro, non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall'articolo 359 del Cpc. In osservanza del principio di specificità dei motivi di gravame, in particolare, la riproposizione delle istanze istruttorie in appello deve essere specifica, dovendo la parte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, riprodurre nel suo atto di costituzione in appello le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, essendo inammissibile una riproposizione generica con rinvio agli atti del procedimento di primo grado.

Articolo

L’impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l’impugnazione differita è inammissibile

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|21 maggio 2024| n. 14113.

L'impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l'impugnazione differita è inammissibile, ma non preclude, dopo la sentenza definitiva, l'esercizio del potere di impugnare anche quella non definitiva.

Il soggetto successore a titolo universale ed il ricorso per cassazione 
Articolo

Il soggetto successore a titolo universale ed il ricorso per cassazione 

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 14005.

Il soggetto che abbia proposto impugnazione con ricorso per cassazione nell'asserita qualità di successore, a titolo universale, di colui che era stato parte nel precedente grado di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam, per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma è altresì tenuto, a pena d'inammissibilità, a fornire la prova, con riscontri documentali - la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio, è rilevabile d'ufficio - delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla successione nel processo ai sensi dell'articolo 110 del Cpc. In difetto di tale prova resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto ad agire, il cui onere incombe ex articolo 2697 del Cc sulla parte che tale diritto eserciti

Il ricorrente per cassazione e la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale
Articolo

Il ricorrente per cassazione e la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 14027.

Il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 e seguenti del Cc, non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. Al riguardo, inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra.