Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 4 giugno 2018, n. 24856.
Le massime estrapolate:
L’elemento soggettivo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e’ rappresentato dal dolo specifico di favorire l’evasione fiscale di terzi, va rilevato che siffatto atteggiamento della volonta’ e’ legittimamente ricavabile, quanto alla tipologia di reato ora in questione, da elementi sintomatici di sicuro valore dimostrativo quali la sistematicita’ della condotta, la finalita’ ordinariamente tipica per la quale e’ stato formato il documento attestante la operazione fittizia nonche’ l’elevato ammontare finanziario degli importi indicati nei documenti in questione.
Si tratta di elementi che, sulla base di una valutazione basata sul canone dell’id plerumque accidit, non consente di dubitare sul fatto che lo scopo per il quale era stata predisposta la emissione della numerosissima serie di fatture relative ad operazioni inesistenti non fosse altro che quello di consentire ai destinatari di queste ultime di beneficiare, in sede di dichiarazioni fiscali, degli abbattimenti di reddito corrispondenti ai costi fittiziamente documentati con le predette fatture; che, d’atra parte, la prova della esistenza del dolo specifico non debba necessariamente risultare dalla obbiettiva certezza della direzione finalistica della condotta dell’imputato, ma possa anche essere desunta dalla esistenza di elementi indiziari, purche’ caratterizzati dalla pluralita’, univocita’ e concordanza (fattori questi ricorrenti quanto al caso di specie, atteso che la predisposizione delle numerose fatture relative ad operazioni inesistenti non ha trovato una diversa attendibile giustificazione di fronte ai giudici del merito, se non quella, appunto, di consentire un indebito abbattimento dei redditi attraverso la indicazione di costi non altrimenti documentabili).
In relazione alle fattispecie di sequestro per equivalente – nelle quali non vi e’ una immediata e materiale corrispondenza ed inerenza fra il bene da sottoporre alla misura di sicurezza patrimoniale ed il diretto profitto riveniente dalla commissione del reato di tal che, in occasione del preordinato decreto di sequestro non vi e’ la necessita’ di individuare specificamente i beni da apprendere materialmente essendo sufficiente che sia indicato il complessivo valore da acquisire.
Sentenza 4 giugno 2018, n. 24856
Data udienza 17 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 6254/14 della Corte di appello di Milano del 16 marzo 2016;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa MARINELLI Felicetta, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ di tutti i ricorsi;
sentiti, altresi’, per il ricorrente (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), del foro di Roma, per la ricorrente (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), del foro di Milano, l’avv. (OMISSIS), del foro di Milano, per il ricorrente (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), del foro di Bologna, i quali hanno tutti insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 16 marzo 2016, ha parzialmente riformato la sentenza con la quale il precedente 12 maggio 2014 il Tribunale di Monza, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito ordinario, aveva dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS) in ordine ai reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di piu’ reati in materia tributaria (in particolare emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti e successiva presentazione di dichiarazioni tributarie fraudolente tramite l’utilizzazione delle fatture di cui sopra) ed in relazione ai reati fine – limitatamente alle fatture emesse successivamente alla data del 7 agosto 2006, essendo stata dichiarata la prescrizione delle analoghe condotte commesse in precedenza – e li aveva, pertanto, condannati, affermata la continuazione fra i reati contestati, escluse le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la recidiva a carico della (OMISSIS), alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione il (OMISSIS) ed alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione la (OMISSIS).
Con la medesima sentenza il Tribunale di Monza aveva, a sua volta, dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il solo reato tributario a lui contestato, avendolo infatti assolto dal reato associativo per non avere commesso il fatto, e, pertanto, lo aveva condannato, concesse in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 2 di reclusione.
A carico dei predetti venivano altresi’ applicate dal Tribunale di Monza le sanzioni accessorie e veniva disposta la confisca per equivalente dei beni gia’ oggetto di sequestro preventivo per effetto della ordinanza del Gip del Tribunale di Monza del 21 gennaio 2011.
Come dianzi accennato la sentenza del giudice di primo grado, impugnata dai tre imputati, era oggetto di parziale riforma da parte della Corte di appello, la quale, rilevata la intervenuta prescrizione dei reati relative alla emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi sino a tutto il 2007, proscioglieva i prevenuti rispetto ad essi e rideterminava, pertanto, le residue pene a carico dei medesimi nella misura di anni 5 di reclusione quanto al (OMISSIS), anni 4 e mesi 5 di reclusione quanto alla (OMISSIS) e anni uno e mesi 11 di reclusione quanto al (OMISSIS), confermando nel resto la impugnata sentenza.
Avverso la decisione emessa dalla Corte territoriale hanno interposto ricorso per cassazione i tre imputati, articolando i seguenti motivi di impugnazione.
L’imputato (OMISSIS) ha dedotto tre motivi di impugnazione, qui di seguito riassunti: il primo motivo ha ad oggetto la ritenuta violazione di legge, nella specie l’articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 24 Cost., ed e’ argomentato sulla base della illegittimita’ della sentenza di appello nella parte in cui in essa non e’ stata dichiarata la nullita’ del capo di imputazione contestato al (OMISSIS) per la sua indeterminatezza, non essendo state in esso indicate analiticamente tutte le fatture relative ad operazioni inesistenti della quali il (OMISSIS) stesso, quale titolare della (OMISSIS) Srl, avrebbe fatto uso nelle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni di imposta indicati nel capo di imputazione; il secondo motivo di impugnazione concerne la errata applicazione che la Corte territoriale avrebbe fatto della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis, in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2; infine il terzo motivo di impugnazione riguarda il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta integrazione del reato contestato anche nel caso in cui le fatture utilizzate siano relative non ad operazioni oggettivamente inesistenti ma ad operazioni solo soggettivamente inesistenti.
L’imputata (OMISSIS), ha, a sua volta, articolato anch’essa tre motivi di ricorso: il primo ha ad oggetto, sotto il profilo della violazione di legge ovvero del vizio di motivazione la ordinanza dibattimentale, resa in data 30 aprile 2014, con la quale il Tribunale di Monza ebbe a revocare ammissione dell’esame del teste, indicato nella lista presentata dalla difesa della predetta, (OMISSIS), sebbene detta testimonianza gia’ fosse stata debitamente ammessa ed il Tribunale per due volte gia’ aveva autorizzato la citazione del teste medesimo per essere sentito in dibattimento; il secondo motivo di impugnazione della (OMISSIS) ha ad oggetto la violazione di legge ed il vizio di motivazione che colpirebbe la sentenza impugnata nella parte in cui e’ esplicitata la valutazione delle dichiarazioni rese dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla ritenuta partecipazione della (OMISSIS) alla associazione per delinquere di cui al capo di imputazione; infine il terzo motivo di doglianza della ricorrente riguarda la violazione di legge ed il vizio di motivazione relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed, invece, il riconoscimento a carico della imputata della aggravante della recidiva.
Il ricorrente (OMISSIS) ha affidato le sue censure a sei motivi di ricorso – i primi tre riguardanti piu’ direttamente il reato specificamente tributario, il seguente l’associazione per delinquere, gli ultimi due il trattamento sanzionatorio – il cui contenuto e’ qui di seguito sintetizzato: ad avviso del ricorrente la sentenza impugnata avrebbe fatto cattivo governo dell’articolo 429 c.p.p. e la stessa sarebbe altresi’ viziata nella sua motivazione, non essendo stata accolto il motivo di gravame relativo alla nullita’ del capo di imputazione per la sua indeterminatezza, dovuta al fatto che non vi era nella rubrica contestata al prevenuto, con particolare riferimento alla imputazione di cui al capo b), la specificazione delle singole fatture che il (OMISSIS) avrebbe fittiziamente emesso; con il secondo motivo di impugazione la sentenza della Corte territoriale e’ criticata nella parte in cui, con motivazione mancante, contraddittoria o comunque illogica, ovvero con inosservanza delle norme di legge, sono state ritenute relative ad operazioni inesistenti tutte le fatture emesse dalle societa’ indicate in rubrica; con il terzo motivo di impugnazione e’ dedotta la violazione di legge nonche’ la contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata quanto all’accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo – costituito dal dolo specifico diretto a consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto – in capo al prevenuto; con il quarto motivo il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, con motivazione viziata e comunque facendo cattivo governo delle disposizioni legislative pertinenti, abbia ritenuto sussistere l’ipotesi del reato associativo; il quinto motivo di ricorso e’ relativo, sempre con riferimento alla violazione di legge ovvero il difetto di motivazione, alla mancata concessione in favore del (OMISSIS) delle circostanze attenenti generiche; infine il sesto motivo di impugnazione concerne la doglianza, sviluppata sotto il profilo anche qui della violazione dell’articolo 322-ter c.p. ovvero della carenza di motivazione, in ordine alla disposta confisca di quanto gia’ oggetto del sequestro preventivo disposto a suo danno nel corso delle indagini preliminari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I tre ricorsi sono tutti inammissibili, essendo risultati i relativi motivi ora direttamente inammissibili ora, comunque, manifestamente infondati.
Prendendo le mosse dalle censure formulate dal (OMISSIS) rileva il Collegio, quanto alla prima di esse, che la medesima non ha pregio.
Infatti il capo di imputazione contestato al prevenuto e’ adeguatamente specifico nell’indicare le condotte contestate all’imputato attraverso il generale richiamo alle fatture ed ai documenti di trasporto emessi, in un determinato lasso temporale, dalla tre societa’ (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) per forniture eseguite in favore della (OMISSIS) srl, societa’ della quale il (OMISSIS) era titolare, e da quest’ultima indicate quali documenti comprovanti poste passive di reddito, nelle dichiarazioni formate dalla medesima in sede tributaria.
Come, infatti, questa Corte ha gia’ precisato, in fattispecie avente significativi elementi di analogia con la presente, in tema di reati tributari, la mancanza nel capo di imputazione di una specifica e analitica indicazione di tutte le fatture ritenute falsificate o contraffatte non comporta alcuna genericita’ o indeterminatezza della contestazione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, allorche’ tali documenti siano agevolmente identificabili attraverso il richiamo ad una categoria omogenea che ne renda comunque possibile la individuazione (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 10 febbraio 2014, n. 6102).
Passando al secondo motivo dedotto dal (OMISSIS) si osserva che esso si fonda, essenzialmente sulla ritenuta esistenza di una prassi nello specifico mercato in cui operava l’imputato, cioe’ quello del commercio dei materiali e dei rottami ferrosi, nel quale frequentemente chi, al fine di trasformarli, acquistava i materiali in questione da privati, era posto da costoro nella condizione di non potere documentare l’avvenuto acquisto, non essendo disposti, o comunque nella possibilita’, i cedenti di emettere fattura per le avvenute vendite, sicche’ l’acquirente, onde dimostrare l’esistenza delle effettive poste passive inerenti all’esercizio della sua impresa in quanto finalizzate al reperimento della materia prima, e’ di fatto costretto a ricevere fatture relative a prestazioni soggettivamente inesistenti, da inserire come costi sostenuti, nelle dichiarazioni tributarie.
Da tanto il ricorrente parrebbe far derivare la insussistenza del reato, stante la irrilevanza ai fini tributari della operazione compiuta, cioe’ della indicazione nelle dichiarazioni dei redditi, o a fini iva, di fatture che, in quanto relative ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, riguardano comunque costi effettivamente sostenuti dal dichiarante, sebbene non riferibili, sotto il profilo della derivante entrata finanziaria, al soggetto che le fatture abbia emesso.
La tesi non ha fondamento; invero la fattispecie di reato contestata al (OMISSIS), cioe’ la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, non distingue tra ipotesi riconducibili alla inesistenza oggettiva della prestazione documentata con la fatture falsamente emessa ovvero alla sua inesistenza solamente soggettiva (cfr., in tal senso, in motivazione: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 7 maggio 2015, n. 19012, in fattispecie espressamente concernente l’iva); ne’ puo’ ritenersi che – essendo le fatture con le quali e’ stata documentata la componente passiva di reddito, relative a costi effettivamente sostenuti – il risultato della operazione sarebbe caratterizzato, sotto il profilo fiscale, da una sostanziale invarianza del gettito tributario.
Infatti dalla complessa operazione in questione ne deriva la indebita sottrazione a tassazione di elementi positivi di reddito, che, invece, dovrebbero andare a comporre il totale imponibile.
Invero, posto che, secondo la interpretazione data da questa Corte alla L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis, come modificato a seguito della entrata in vigore del Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, convertito, con modificazioni, con L. n. 44 del 2012 (a tale proposito si rileva che la intervenuta modifica normativa non incide sulla rilevanza della norma quanto al caso di specie, atteso che, essendosi per effetto di essa verificata una situazione – sia pure meramente virtuale – di maggior favore nei confronti del prevenuto, la norma sopravvenuta va sicuramente applicata anche alle fattispecie pregresse rispetto alla entrata in vigore della sua modificazione: in tal senso si veda, in motivazione, ad esempio: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 16 ottobre 2012, n. 40559, nonche’, sia pure con riferimento alla applicazione in materia direttamente tributaria, quanto previsto dal CIT. Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 3), la regola della indeducibilita’ dei componenti negativi del reddito relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi, prevista, appunto, dalla L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis, modificato come sopra indicato, trova applicazione anche per i costi esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, trattandosi di costi comunque riconducibili ad una condotta criminosa (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 26 ottobre 2015, n. 42994), ne deriva la illegittimita’ dell’abbattimento dell’imponibile attraverso l’utilizzo di costi documentati con fatture relative ad operazioni anche solo soggettivamente inesistenti.
Con riferimento al terzo motivo di impugnazione, ribadita la sostanziale indifferenza quanto al caso di specie della natura meramente soggettiva ovvero oggettiva della fittizieta’ delle operazioni documentate dalle fatture di cui al capo di imputazione contestato al (OMISSIS), va detto che in realta’, nella motivazione della sentenza impugnata la Corte di Milano ha posto in evidenza come la circostanza che le fatture emesse in favore della impresa gestita dal (OMISSIS) fossero solo soggettivamente riferite ad operazioni inesistenti e’ un postulato indimostrato sostenuto dalla difesa del ricorrente, non risultando tale elemento da alcuna affidabile risultanza processuale.
Per tale motivo anche ultima la censura dedotta dal ricorrente non e’ destinata ad avere miglior sorte delle precedenti.
Passando, ora, alla impugnazione proposta dalla (OMISSIS), osserva la Corte, quanto al primo motivo di impugnazione – avente ad oggetto sia la legittimita’ della ordinanza con la quale e’ stata revocata da parte del Tribunale di Monza l’ammissione del teste della difesa (OMISSIS) che il rigetto della richiesta di riapertura della istruttoria per sentire nel corso del giudizio di appello il medesimo teste – che il Giudice di primo grado ha ritenuto di dovere revocare l’ammissione del teste in quanto, una volta risultato che a carico dello stesso erano emersi indizi di colpevolezza, la sua mancata risposta alla reiterata convocazione in giudizio doveva essere intesa quale rifiuto a sottoporsi all’esame.
A tale proposito va considerato che il motivo di impugnazione e’ stato prospettato in maniera del tutto generica; invero, ai fini della sua ammissibilita’ la ricorrente avrebbe dovuto precisare, cosa da lei assolutamente non fatta, in che termini la deposizione del teste in questione, in relazione al quale significativamente nella sentenza di appello si segnala il fatto che non era stato indicato il titolo in base al quale egli sarebbe stato a conoscenza dei fatti sui quali era stato chiamato a deporre, avrebbe potuto avere una valenza se non decisiva quanto meno significativamente rilevante ai fini della adozione della sentenza.
In assenza di elementi in tale senso la prospettata doglianza della ricorrente si pone, con riferimento alla sua portata sostanziale ai fini del decidere, come una astratta postulazione senza che ne sia stata evidenziata la effettiva rilevanza per la dimostrazione della ipotesi difensiva formulata dalla ricorrente.
Relativamente al secondo motivo di impugnazione proposto dalla difesa della (OMISSIS), se ne rileva la inammissibilita’ essendo lo stesso volto non tanto a confutare la tenuta logica delle argomentazioni spese dalla Corte territoriale onde dimostrare la partecipazione, con ruolo primario, della imputata al sodalizio criminoso imbastito con il coimputato (OMISSIS) quanto ad introdurre una diversa ricostruzione dei fatti, alternativa a quella fatta propria dai giudici del merito e da questi plausibilmente dimostrata con ricchezza di elementi come si desume dalla lettura della sentenza impugnata.
L’apporto dato dalla (OMISSIS) alla struttura associativa emerge sia dalla attribuzione a questa di una funzione gerarchicamente rilevante nella attribuzione dei compiti ai vari soggetti sottoposti, sia dal fatto che la (OMISSIS), su di un piano di sostanziale parita’ con il (OMISSIS), fosse la referente di tali soggetti anche in relazione a scelte operative di notevole importanza, come dimostrato dal fatto, evidenziato dalla sentenza della Corte territoriale, che fossero indifferentemente ora la (OMISSIS), la quale materialmente operava li’ dove era la sede di diverse fra le societa’ emittenti le fatture relative alle operazioni fittizie, ora il (OMISSIS) a dare disposizioni in ordine al prelievo delle somme di danaro ricevute in pagamento delle prestazioni di cui alle fatture di cui sopra e per la restituzione di tali somme ai falsi acquirenti dei materiali fatturati; cosi’ come indubbiamente sintomatico di un ruolo non meramente esecutivo ma connotato da responsabilita’ direttive e’ il fatto che sia stata la (OMISSIS) ad impartire indicazioni sulle modalita’ di comportamento che dovevano essere seguite in occasione di talune rapine subite da personale delle societa’ facenti capo agli odierni imputati; modalita’ che per le loro singolari caratteristiche, tali da non consentire la denunzia dei fatti avvenuti alla Autorita’ costituita, appaiono indubbiamente dimostrative della piena consapevolezza della complessiva illiceita’ delle operazioni che avevano condotto alla disponibilita’ della liquidita’ finanziaria oggetto della violenta sottrazione.
Con riferimento al terzo motivo di impugnazione, riferito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla attribuzione a carico delle (OMISSIS) della aggravante della recidiva, va detto, quanto al primo corno della censura, che parte ricorrente parrebbe giustificare la illegittimita’ in parte qua della sentenza della Corte territoriale sulla sola base del fatto che la stessa non abbia valorizzato, al fine clemenziale invocato, il dato della “sostanziale incensuratezza” della prevenuta.
Ora, anche a voler prescindere dal fatto che la Corte territoriale ha positivamente giustificato la immeritevolezza da parte della (OMISSIS) della misura di mitigazione della sanzione in ragione del dato, comune anche al (OMISSIS), che i fatti si sono sviluppati oltre che in un arco temporale assai ampio anche in un contesto soggettivo assai diffuso, come emerge dal considerevole numero delle compagini sociali e dei relativi amministratori coinvolti, tale da evidenziare l’esistenza di una effettiva sistematicita’ criminosa nel comportamento della donna, con realizzazione di utili illeciti assai cospicui, va detto che il concetto di “sostanziale incensuratezza”, cioe’, in altre parole, di reale esistenza di almeno un pregiudizio penale a carico di chi tale condizione vorrebbe valorizzare a proprio vantaggio, non appare in alcun modo suscettibile di costituire ex se una valida base di giudizio ai fine della espressione di quella valutazione di obbiettiva meritevolezza su cui fondare la riconoscibilita’ del beneficio delle circostanze attenuanti generiche.
Relativamente alla ascrivibilita’, peraltro di scarsa incidenza ai fini della dosimetria della pena, della aggravante della recidiva a carico della (OMISSIS) va ribadito l’insegnamento secondo il quale l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneita’ della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacita’ a delinquere del reo (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 8 maggio 2015, n. 19170), avendo, in sostanza, la pregressa condotta criminosa evidenziato la esistenza di una perdurante inclinazione del soggetto al delitto che ha costituito fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 10 luglio 2017, n. 33299).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente esercitato il potere discrezionale di cui sopra, come tale non sindacabile in sede di legittimita’ ove lo stesso non sia frutto di scelte illogicamente arbitrarie ovvero giuridicamente viziate, evidenziando come il pur risalente precedente penale gravante sulla (OMISSIS), proprio per la sua specificita’ e la sua aderenza rispetto al caso ora in esame, appaia indicativo di una particolare esperienza della imputata maturata nel settore dei reati tributari e, pertanto, della valenza criminogena di essa anche in relazione alla imputazione ora in scrutinio e della conseguente maggiore pericolosita’ e capacita’ criminale della ricorrente, soggetto non alieno a indirizzare verso la reiterazione del crimine le proprie pregresse competenze acquisite.
Con riferimento, infine, alla impugnazione del (OMISSIS) va detto che, con riferimento al primo motivo di ricorso, con il quale e’ censurata la sentenza di appello con riferimento alla risposta data al motivo di gravame relativo alla ritenuta genericita’ ed indeterminatezza del capo di imputazione riguardante il reato tributario, valgono, onde dimostrarne la inammissibilita’, le considerazioni gia’ svolte in relazione all’analogo motivo di impugnazione formulato dalla difesa del (OMISSIS).
Con il secondo motivo di impugnazione il (OMISSIS) ha contestato la legittimita’ della sentenza della Corte territoriale, sostenendo che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, non tutte le fatture emesse dalle societa’ a lui facenti capo erano state emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto una parte di esse corrispondeva ad effettive operazioni di cessione di materiali ferrosi compiute da tali enti.
Va a tale proposito rilevato che, essendo indiscussa e riconosciuta dallo stesso (OMISSIS) la prassi di emettere fatture di favore relative ad operazioni inesistenti, sarebbe stato onere del ricorrente fornire elementi quanto meno indiziari per evidenziare la effettivita’, invece, di una parte delle operazioni documentate con le fatture in questione; la Corte ha, con deduzione logicamente ineccepibile, desunto la fittizieta’ di tutte le fatture, nessuna esclusa (ed a tale riguardo si segnala come l’unico caso in cui e’ effettivamente risultata la esistenza di un carico di materiale ferroso inviato da una delle imprese facenti capo al (OMISSIS), la (OMISSIS), ad un’altra impresa, nella specie la ditta di tale (OMISSIS), questa evenienza e’ da collocare temporalmente in un periodo estraneo a quello di cui alla contestazione sollevata in danno dell’odierno ricorrente), dal fatto che non sia emersa, con riferimento all’epoca dei fatti sub iudice, la esistenza di alcuna struttura aziendale che avrebbe potuto, sia pure in parte, giustificare lo svolgimento ad opera delle numerose societa’ create dal (OMISSIS) di una attivita’ commerciale reale nel campo del commercio dei materiali ferrosi e, dato di per se’ dirimente di ogni perplessita’, non e’ neppure emersa, sia pure a livello informale, alcuna documentazione in entrata dei materiali che sarebbero stati poi ceduti dal (OMISSIS), o meglio dalla imprese a lui facenti capo, ai successivi clienti.
Ne’ vale osservare che – trattandosi di acquisti compiuti dalle imprese del (OMISSIS) “in nero” – essi non potevano essere documentati; invero la esistenza di tali acquisti “in nero” avrebbe potuto giustificare la assenza di una contabilita’ ufficiale, ma appare difficilmente compatibile con una minima forma di organizzazione aziendale ritenere che di tale attivita’ commerciale delle predette imprese, proprio per la riferita non sporadica episodicita’ di tali operazioni ancorche’ sostanzialmente clandestine, non sia esistita una qualche documentazione, sebbene ad uso meramente interno.
Ad ogni modo, in assenza di qualsivoglia documentazione, non vi sono elementi per ritenere ingiustificata – in contrasto con gli altri elementi di fatto dei quali i giudici di merito hanno debitamente tenuto conto – la considerazione fatta propria dalla Corte territoriale secondo la quale neppure in parte le fatture emessa dal (OMISSIS) corrispondessero ad operazioni effettivamente realizzate.
Il terzo motivo della impugnazione proposta dal (OMISSIS) attiene alla ritenuta carenza di motivazione nonche’ alla ritenuta violazione di legge in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato tributario a lui contestato.
Sul punto, rifermato che l’elemento soggettivo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e’ rappresentato dal dolo specifico di favorire l’evasione fiscale di terzi (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 7 maggio 2010, n. 17525), va rilevato che siffatto atteggiamento della volonta’ e’ legittimamente ricavabile, quanto alla tipologia di reato ora in questione, da elementi sintomatici di sicuro valore dimostrativo quali la sistematicita’ della condotta, la finalita’ ordinariamente tipica per la quale e’ stato formato il documento attestante la operazione fittizia nonche’ l’elevato ammontare finanziario degli importi indicati nei documenti in questione.
Si tratta di elementi che, sulla base di una valutazione basata sul canone dell’id plerumque accidit, non consente di dubitare sul fatto che lo scopo per il quale era stata predisposta la emissione della numerosissima serie di fatture relative ad operazioni inesistenti non fosse altro che quello di consentire ai destinatari di queste ultime di beneficiare, in sede di dichiarazioni fiscali, degli abbattimenti di reddito corrispondenti ai costi fittiziamente documentati con le predette fatture; che, d’atra parte, la prova della esistenza del dolo specifico non debba necessariamente risultare dalla obbiettiva certezza della direzione finalistica della condotta dell’imputato, ma possa anche essere desunta dalla esistenza di elementi indiziari, purche’ caratterizzati dalla pluralita’, univocita’ e concordanza (fattori questi ricorrenti quanto al caso di specie, atteso che la predisposizione delle numerose fatture relative ad operazioni inesistenti non ha trovato una diversa attendibile giustificazione di fronte ai giudici del merito, se non quella, appunto, di consentire un indebito abbattimento dei redditi attraverso la indicazione di costi non altrimenti documentabili), e’ acquisizione gia’ largamente diffusa nella giurisprudenza di questa Corte (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 25 marzo 2015, n. 12537; idem, Sezione 6 penale, 12 novembre 1992, n. 10917).
Riguardo al quarto motivo di impugnazione, con il quale e’ contestata la sentenza della Corte territoriale in punto di motivazione in relazione alla sussistenza della associazione per delinquere, in particolare con riferimento alla posizione degli amministratori formali delle societa’ emittenti le fatture, va segnalato che la Corte territoriale, e prima di essa il Tribunale di Monza, nel descrivere i compiti attribuiti ai numerosi sodali degli odierni imputati, ne ha segnalato, oltre che la diretta funzionalita’ agli specifici scopi delittuosi della associazione per delinquere, anche la natura eminentemente fiduciaria, tale da far escludere che la medesima non fosse da ascrivere al complessivo perseguimento delle finalita’ criminose della associazione.
E’ ben vero, che molti dei compiti attribuiti a tali soggetti avevano un contenuto sostanzialmente esecutivo e gli stessi erano privi di autonoma capacita’ decisoria, ma, tuttavia, data la peculiarita’ di tali compiti, primi fra tutti quello relativo alla materiale redazione dei documenti riguardanti le operazioni fittizie, la riscossione dei prezzi formalmente versati per le forniture falsamente documentate e l’immediato prelevamento delle ingenti somme di danaro dai conti bancari intestati alla predette societa’ al fine della sollecita restituzione all’apparente acquirente di quanto da questi formalmente pagato, non si giustificano se non con la consapevolezza di partecipare attivamente ad un sodalizio criminoso.
Non appare, pertanto, giustificata la censura dedotta dal ricorrente in ordine alla motivazione fornita da parte della Corte territoriale relativamente alla integrazione del numero minimo di associati ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 416 c.p..
Passando, a questo punto, alle censure riguardanti il trattamento sanzionatorio inflitto al (OMISSIS), rileva il Collegio che la prima di esse e’ del tutto destituita di fondamento.
Il ricorrente si lagna della mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche; a tale proposito la Corte – ribadite le considerazioni svolte in relazione alla analoga censura formulata dalla (OMISSIS) in ordine alla motivazione svolta dalla Corte territoriale onde argomentare il proprio giudizio negativo relativamente alla meritevolezza, anche, del (OMISSIS) riguardo al predetto beneficio – rileva che il comportamento processuale del condannato (elemento del quale in sede di ricorso per cassazione egli lamenta la mancata considerazione da parte della Corte milanese), da inquadrarsi nell’ambito degli elementi rilevanti ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in quanto rientrante nel novero delle condotte susseguenti al reato, puo’ essere considerato come elemento significativo ai fini del riconoscimento del beneficio in discorso nel caso in cui lo stesso sia indicativo di un sostanziale ed ampio atteggiamento di resipiscenza rispetto ai precedenti comportamenti criminosi ovvero nel caso in cui lo stesso abbia comportato una qualche effettivo snellimento della attivita’ processuale attraverso condotte collaborative dell’imputato che abbiano determinato il superamento di eventuali formalita’ procedurali non indispensabili ovvero abbiano determinato l’acquisizione da parte degli organi giudiziari di elementi conoscitivi rilevanti ai fini del decidere diversamente di piu’ complicato accesso.
Nel caso di specie la Corte milanese ha rilevato, con affermazione non oggetto di sostanziale smentita in sede di ricorso per cassazione, che nel comportamento del (OMISSIS), cosi’ come in quello della (OMISSIS), non erano ravvisabili elementi da cui desumere un reale ravvedimento, mentre per cio’ che attiene alla attivita’ collaborativa del prevenuto, stante la natura complessivamente documentale del materiale probatorio, costituito dalle numerose fatture emesse dalle societa’ del (OMISSIS), e la obbiettivita’ dei restanti elementi di giudizio (in particolare la inesistenza della struttura aziendale riferibile a dette societa’ che potesse giustificare un regime commerciale cosi’ intenso quale quello apparentemente risultante dalla predetta documentazione), non puo’ affermarsi che le dichiarazioni parzialmente confessorie del (OMISSIS), gia’ attinto da indizi di colpevolezza tali, per la loro gravita’, da avere giustificato la emissione di una misura cautelare a suo carico, abbiano fornito un qualche rilevante impulso sia alle indagini che, successivamente, al processo.
Del tutto giustificata anche nel suo caso, pertanto, la decisione assunta con la sentenza impugnata di non concedere al (OMISSIS) il beneficio delle circostanze attenuanti generiche.
Venendo, infine, all’ultimo motivo di impugnazione, con il quale e’ stato contestato il mancato ridimensionamento della entita’ della confisca per equivalente disposta, relativamente ai beni in sequestro, a seguito della dichiarata responsabilita’ dell’imputato ora ricorrente, ridimensionamento in ipotesi legato alla sproporzione fra il valore di tali beni e l’ammontare del profitto conseguito dal (OMISSIS) a seguito della attivita’ criminosa, osserva la Corte, in primo luogo, con riferimento alla entita’ del profitto conseguito, che la circostanza che al (OMISSIS) sia stato contestato anche il reato associativo fa si’ che egli debba rispondere, in relazione al profitto derivante da tale specifico delitto – idoneo a determinare appunto un autonomo profitto distinto da quello proprio dei singoli reati scopo (Corte di cassazione, Sezione 2 penale 16 giugno 2017, n. 30255; idem Sezione 3 penale, 25 ottobre 2016, n. 44912), dell’intero vantaggio patrimoniale conseguito, quale effetto della attivita’ svolta in comune, dalla struttura associativa, posto che la comunione degli intenti criminosi giustifica anche la solidarieta’ nella riferibilita’ a ciascuno dei partecipanti dei complessivi vantaggi conseguiti.
In secondo luogo va precisato che, in relazione alle fattispecie di sequestro per equivalente – nelle quali non vi e’ una immediata e materiale corrispondenza ed inerenza fra il bene da sottoporre alla misura di sicurezza patrimoniale ed il diretto profitto riveniente dalla commissione del reato di tal che, in occasione del preordinato decreto di sequestro non vi e’ la necessita’ di individuare specificamente i beni da apprendere materialmente essendo sufficiente che sia indicato il complessivo valore da acquisire (fra le molte: Corte di cassazione, Sezione 2, 9 settembre 2015, n. 36464) – le eventuali questioni riguardanti la singolare individuazione dei beni suscettibili di essere confiscati, previa puntuale determinazione del loro valore globale nonche’ di quello di ciascuno di essi, e’ rimessa alla fase esecutiva della pronunzia giurisdizionale e le eventuali questioni riferibili alla congruita’ dei valori in tal modo attribuiti ai beni in questione ed alla corrispondenza di essi all’ammontare del profitto conseguito tramite la commissione dei reati in relazione ai quali e’ stata disposta la confisca rientra, come correttamente divisato dalla Corte di Milano, nella competenza funzionale del giudice della esecuzione.
Alla complessiva dichiarazione di inammissibilita’ dei tre ricorsi di cui sopra, consegue, visto l’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
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