La condotta di acquisto o detenzione di piccole dosi di sostanza stupefacente per uso personale riveste carattere di illecito penale, benche’ non punibile, e l’uso personale dove essere in ogni caso previamente accertato, operando come esimente

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 4 giugno 2018, n. 24869.

La massima estrapolata:

La condotta di acquisto o detenzione di piccole dosi di sostanza stupefacente per uso personale riveste carattere di illecito penale, benche’ non punibile, e l’uso personale dove essere in ogni caso previamente accertato, operando come esimente (in contrasto con l’attuale tenore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75).
Pertanto, posto che la destinazione ad uso di terzi inerisce alla struttura del reato di cui costituisce elemento essenziale (l’elemento soggettivo), e’ evidente che, ove non si provi o si ipotizzi concretamente tale destinazione, l’acquirente o detentore non potra’ che assumere la qualita’ di persona informata sui fatti o, nella fase processuale, di testimone essendo irrilevante, a tal fine, che egli sia soggetto a sanzioni di tipo amministrativo.

Sentenza 4 giugno 2018, n. 24869

Data udienza 15 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/04/2016 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CIRIELLO ANTONELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BALDI FULVIO che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per entrambi;
uditi i difensori presenti avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 08.04.2016 la Corte d’appello di Venezia ha confermato, quanto alla responsabilita’, la condanna di (OMISSIS) alla pena di tre anni e sette mesi e dieci giorni di reclusione, nonche’ ad Euro 14.000 di multa, per plurimi episodi di cessioni di stupefacenti del tipo hashish ed eroina (agli articoli 81, 110 e 112 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 80), in esecuzione di medesimo disegno criminoso, a soggetti anche minorenni, tutti identificati, tra il giugno e il luglio del 2007, e di (OMISSIS) alla pena di sei mesi di reclusione, nonche’ ad Euro 1.200 di multa, per aver ceduto a (OMISSIS), nei primi giorni di luglio 2007, una piccola quantita’ di hashish (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 bis).
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, separatamente, tramite i rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento.
2.1.1. (OMISSIS), in particolare, ha dedotto con il primo motivo il vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, in relazione agli articoli 157, 161 c.p.p., articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 180 c.p.p., avendo l’imputata ricevuto la notifica della fissazione dell’udienza preliminare presso il proprio difensore di fiducia sebbene avesse in precedenza eletto domicilio presso la Comunita’ terapeutica ove la stessa era stata tradotta per essere sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Si duole la difesa che l’eccezione, sollevata tempestivamente davanti al G.U.P. e poi reiterata innanzi la Corte d’appello, sarebbe stata erroneamente rigettata dalla corte sul presupposto che l’allontanamento dell’imputata dalla Comunita’ e l’omessa elezione di un nuovo domicilio avrebbero reso impossibile la notifica nelle forme di cui all’articolo 161 c.p.p., consentendo la stessa presso lo studio del difensore ai sensi del comma 4 della disposizione, contrariamente alla regola per la quale l’elezione di domicilio, in quanto atto negoziale, conserverebbe la propria efficacia finche’ non intervenga una nuova manifestazione di volonta’ della parte. Pertanto, nella prospettazione difensiva, la notifica al difensore, in presenza di un’elezione di domicilio, avrebbe determinato la nullita’ della vocatio in jus e, conseguentemente, di tutti gli atti successivi, ivi compresa l’ordinanza dichiarativa della contumacia e le sentenze conclusive dei precedenti gradi di giudizio (evidenziando, altresi’, la difesa come la (OMISSIS), a seguito dell’allontanamento dalla Comunita’ terapeutica, fosse tornata a vivere presso la propria residenza, nota agli organi procedenti e risultante dagli atti, sicche’ la notificazione non poteva comunque avvenire presso il difensore ai sensi dell’articolo 161 c.p.p., comma 4 in presenza di un domicilio noto, ancorche’ non formalmente comunicato).
2.1.2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione ed il vizio di violazione legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, in relazione all’articolo 192 c.p.p., commi 1 e 3, nel ritenere decisive, ai fini dell’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputata, le dichiarazioni rese da alcuni soggetti “chiamanti in reita’”, in quanto tali inutilizzabili, prive di credibilita’ soggettiva alla luce dell’interesse personale dei dichiaranti nonche’ mancanti di riscontri esterni individualizzanti.
La Corte d’appello, inoltre, avrebbe erroneamente circoscritto la doglianza della difesa alle sole dichiarazioni rese dai soggetti attinti poi da procedimento penale, operando cosi’ una interpretazione in male partem della censura stessa, che si riferiva a tutte le dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni testimoniali, posto che tutti i dichiaranti rivestivano una posizione assimilabile nella sostanza a quella di coindagati, a prescindere dal dato formale.
Avrebbe errato, altresi’, la Corte territoriale nel ritenere generica la censura giacche’ nell’atto di appello era stato specificamente individuato l’interesse personale dei dichiaranti ad “alleggerire” la propria posizione processuale.
2.1.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per avere escluso la sussunzione delle condotte nella fattispecie piu’ lieve del comma 5, pur riconoscendo astrattamente la compatibilita’ dell’istituto con le cessioni continuative nel tempo ed effettuate anche nei confronti di soggetti minori, non tenendo conto degli aspetti valorizzati a tal fine dalla difesa, come la minima quantita’ delle dosi cedute, l’assenza di apparato organizzativo, il ruolo di consumatrice della cedente e irrazionalmente argomentando sulla non particolare gravita’ della condotta ex articolo 133 c.p..
2.1.4. Con il quarto motivo la difesa rileva il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 112 c.p., articolo 417 c.p.p., comma 1, lettera b), ed il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata argomentando in motivazione rispetto ad una circostanza aggravante (articolo 112 c.p., comma 1, n. 4) diversa da quella contestata (articolo 112 c.p., comma 1, n. 2).
2.1.5. Con il quinto motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 ed il vizio di motivazione, sul rilievo che il Giudice di secondo grado avrebbe ritenuto, con motivazione carente e contraddittoria, provata la consapevolezza, da parte della (OMISSIS), della minore eta’ di alcuni cessionari semplicemente perche’ intratteneva rapporti ripetuti nel tempo con “stessi e perche’ si avvaleva della mediazione del fratello minorenne, non essendo tale elemento sufficiente a dimostrare la conoscenza circa la destinazione dello stupefacente e la consapevolezza delle condizioni soggettive dei destinatari.
2.1.6. Con il sesto motivo la ricorrente ha rilevato il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, atteso che il Giudice di seconde cure, pur ridimensionando il quadro a carico dell’imputata, assolvendo la stessa rispetto a talune cessioni, non ha conseguentemente applicato una corrispondente diminuzione dell’aumento di pena previsto per la continuazione.
2.2.1. (OMISSIS) con il proprio ricorso ha, invece, dedotto il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 530 c.p.p., in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, affermando la sua responsabilita’ sulla sola base delle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS), soggetto passivo dell’unica cessione effettuata a titolo gratuito dall’imputato, ritenendole attendibili sebbene caratterizzate da genericita’, imprecisione e contraddittorieta’ in relazione alle circostanze di luogo e di tempo, nonche’ provenienti da soggetto comunque coinvolto nell’ambiente criminoso del traffico di stupefacenti, ed in quanto tali inidonee a fondare il giudizio sulla responsabilita’ del ricorrente oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto un ulteriore vizio di violazione di legge, nonche’ un vizio di motivazione, in relazione all’articolo 121 c.p.p., avendo la Corte rigettato la richiesta di disapplicazione della recidiva specifica avanzata dalla difesa con memoria per motivi aggiunti sull’erroneo presupposto della tardivita’ della stessa. La Corte territoriale, difatti, sarebbe incorsa in errore nel ritenere che l’atto di appello non avesse devoluto alla sua cognizione il tema della valutazione della recidiva contestata, atteso che i motivi di gravame avevano ad oggetto la condanna dell’imputato e, di conseguenza, anche gli elementi afferenti la dosimetria della pena, la quale e’ stata peraltro oggetto di motivi aggiunti. Nella prospettazione difensiva, anche a voler giudicare intempestivi i motivi aggiunti in quanto depositati successivamente alla data della prima udienza, l’atto difensivo andava comunque considerato quale memoria ex articolo 121 c.p.p. e dunque valutato da parte del Giudice di secondo grado, posto che la scelta del rito abbreviato non osta al deposito di memorie difensive.
2.2.3. Con il terzo motivo la difesa ha denunciato il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 581 c.p.p., lettera a), giacche’ la Corte d’appello avrebbe ritenuto che il ricorrente non avesse devoluto alla propria cognizione il tema della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva, sebbene la relativa richiesta fosse gia’ stata avanzata dalla Pubblica Accusa nelle proprie conclusioni.
2.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto il difetto di motivazione in ordine all’aumento di pena operato per la recidiva, essendosi Imitata ad affermare l’impossibilita’ di disapplicare d’ufficio la recidiva per tardivita’ dei motivi aggiunti presentati dalla difesa ed applicando – quindi – una pena eccessivamente severa rispetto alla gravita’ del fatto, nonostante la condotta del (OMISSIS) fosse di modesta entita’.
2.2.5. Con il quinto motivo la difesa ha rilevato il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 bis, in cui sarebbe incorso il giudice territoriale nel rigettare la richiesta di sostituzione della pena con quella dei lavori di pubblica utilita’, ritenendo che i precedenti dell’imputato fosse ostativi alla concessione del beneficio in parola e che, comunque, il difensore non fosse in possesso di una procura speciale per richiederli, giacche’ nella prospettazione difensiva, tale potere discenderebbe in capo al difensore dalla stessa specialita’ del rito scelto, e risultando i precedenti penali del (OMISSIS) a tal punto risalenti nel tempo da non costituire una valida motivazione al diniego del beneficio il quale, al contrario, sarebbe dovuto essere concesso in virtu’ dell’esiguita’ del fatto – reato.
2.2.6. Con il sesto motivo il ricorrente ha, invece, domandato la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato in virtu’ dell’intervenuta prescrizione, essendo trascorsi ben nove anni dalla consumazione dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati sulla base delle argomentazioni che seguono.
3.1. l’inammissibilita’ del primo motivo formulato dalla ricorrente, con il quale ella deduca nullita’ della notifica della fissazione dell’udienza preliminare che le sarebbe stata inviata presso lo studio del difensore di fiducia, nonostante, all’atto della scarcerazione, avesse eletto domicilio presso la comunita’ terapeutica (ove la stessa era stata tradotta al fine di scontare la misura cautelare degli arresti domiciliari) poiche’ la notificazione presso il domicilio eletto risultava impossibile in quanto la stessa se ne era allontanata senza comunicare alcunche’, scaturisce dalla giurisprudenza costante questa corte che ha, da tempo, evidenziato come il mancato reperimento dell’imputato presso il domicilio dichiarato ovvero del domiciliatario da lui indicato, nel caso in cui le informazioni raccolte nel vicinato non diano esito alcuno, si sostanzia in una situazione di inidoneita’ o insufficienza della dichiarazione, rendendo cosi’ legittima la notifica mediante consegna al difensore, senza che sia consentito dar corso agli adempimenti di cui all’articolo 157 c.p.p., comma 8, (Sezioni Unite n. 28451 del 19 luglio 2011 Sez. 5, n. 42399 del 18/09/2009, Dona’; Sez. 2, n. 38768 del 10/11/2006, Buongiorno).
3.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la (OMISSIS) si duole del fatto che avrebbe errato la corte a fondare la condanna sulle deposizioni di soggetti che, in quanto spacciatori a loro volta, erano interessati ad addossare tutte le responsabilita’ alla stessa ricorrente e pertanto non erano credibili, e’ parimenti inammissibile.
In generale la questione della dedotta inutilizzabilita’ nonche’ inattendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie rese in sede di sommarie informazioni testimoniali da soggetti che la difesa definisce “chiamanti in reita’” in ragione della loro veste di acquirenti dello stupefacente ceduto, sebbene non formalmente indagati, risulta gia’ affrontata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 21832 del 5 giugno 2007, secondo cui l’acquirente di modiche quantita’ di sostanza stupefacente – qualora non siano emersi elementi indicativi di uso non personale – deve essere sentito nel corso delle indagini preliminari come persona informata sui fatti.
La contraria opinione, difatti, sembra riportarsi tralaticiamente ad un diverso contesto normativo (L. n. 685 del 1975) nel quale la condotta di acquisto o detenzione di piccole dosi di sostanza stupefacente per uso personale rivestiva carattere di illecito penale, benche’ non punibile, e l’uso personale doveva essere in ogni caso previamente accertato, operando come esimente (in contrasto con l’attuale tenore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75).
Pertanto, posto che la destinazione ad uso di terzi inerisce alla struttura del reato di cui costituisce elemento essenziale (l’elemento soggettivo), e’ evidente che, ove non si provi o si ipotizzi concretamente tale destinazione, l’acquirente o detentore non potra’ che assumere la qualita’ di persona informata sui fatti o, nella fase processuale, di testimone essendo irrilevante, a tal fine, che egli sia soggetto a sanzioni di tipo amministrativo. (Cass., Sez. 4, 21.2/27.4.2001, Fontana) con la conseguente piena utilizzabilita’ delle dichiarazioni rese in tal veste (Cass., Sez. 6, 16.6/17.9.2003, Fabrizio ed altri; 30.3/3.6.2004, Dentale ed altri).
Del resto la corte di merito, uniformandosi a tali principi, ha pure chiarito che i testi acquirenti hanno rilasciato dichiarazioni del tutto sovrapponibili e coerenti che, si rafforzano a vicenda e che trovano riscontro nell’essere stati, alcuni cessionari, oggetto di controlli con rinvenimento di sostanze stupefacenti non appena usciti dall’appartamento dell’imputata (cfr. diffusamente sentenza impugnata pag. 30-31).
3.3. Anche il terzo motivo di ricorso con il quale la ricorrente si duole che la corte illogicamente avrebbe escluso l’ipotesi piu’ lieve del comma 5 (valorizzando la gravita’ delle cessioni a minori), nonostante la minima quantita’ delle dosi cedute, il minimo apparato organizzativo, e nonostante l’applicazione del minimo della pena deponesse in tal senso, e’ inammissibile.
La Corte di Appello, sul punto, ha ampiamente ed adeguatamente motivato – con argomentazioni che si sottraggono a qualsiasi censura di carenza e contraddittorieta’ sulle ragioni per le quali ha ritenuto di escludere la sussunzione dei fatti nella lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 evidenziando come la ricorrente, per la quantita’ delle cessioni, dovesse necessariamente disporre di rilevanti e significativi quantitativi di stupefacente (a differenza di altri imputati cui, per le stesse ragioni e con logica coerenza anche interna, la circostanza viene riconosciuta, v. pag. 28 e 32 sent. impugnata).
3.4. Il quarto motivo di ricorso, con il quale sostanzialmente la ricorrente deduce la nullita’ della contestazione della circostanza aggravante di cui all’articolo 112 c.p., perche’ il capo di imputazione non indicherebbe esplicitamente quale tra le diverse circostanze previste dalla norma sia effettivamente in contestazione (evidenziando altresi’ che dalla lettura del capo di imputazione sembrerebbe contestata la circostanza di cui all’articolo 112 c.p., comma 1, n. 2 che riguarda la attivita’ di organizzatrice e dirigente della struttura concorsuale partecipata, e che, se cosi’ fosse, sarebbe stata omessa la motivazione relativamente a tale circostanza in entrambe le sentenze di merito, mentre risulta presente un riferimento alla circostanza di cui a n. 4, che nella prospettazione difensiva non sarebbe contestata), e’ altresi’ inammissibile.
Si tratta infatti di una contestazione non formulata in precedenza dalla ricorrente nell’atto di appello, nel quale ci si limita ad affermare apoditticamente l’insussistenza dell’aggravante e l’inadeguatezza della motivazione sul punto, sicche’ si deve ritenere che il relativo motivo di ricorso sia inammissibile, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., u.c., in quanto proposto per vizio di violazione di legge non dedotto con i motivi di appello.
3.5. Del pari inammissibile il quinto motivo, con il quale, dolendosi del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza disattendendo la prospettazione difensiva e ritenendo che la ricorrente fosse consapevole della minore eta’ di alcuni cessionari, tenuto conto che i rapporti erano reiterati e avevano come intermediari talvolta minori tra cui il fratello minore della ricorrente, propone una lettura dei fatti alternativa a quella, logicamente motivata (cfr. pag. 31 e 32), dalla corte di merito, preclusa come e’ nota al sindacato di legittimita’ allorche’ la sentenza impugnata rispetti come nel caso di specie una coerenza logica (cfr. ex multis sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
3.6. Il sesto motivo di ricorso, infine, e’ anch’esso inammissibile, giacche’ la corte di appello, applicando un aumento di pena per la continuazione pari ad un anno e cinque mesi, a fronte di un aumento di un anno e sei mesi originariamente applicato dal Tribunale, ha dimostrato di aver tenuto conto del mutato quadro accusatorio in capo alla ricorrente e risultando, come e’ noto, la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientrare nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p., come nel caso di specie) e’ censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, cio’ che qui deve senz’altro escludersi (sez. 2, n. 45312 del 03/11/2015; sez. 4 n. 44815 del 23/10/2015).
4. Inammissibili, del pari, sono i motivi proposti dal ricorrente (OMISSIS).
4.1. Manifestamente infondato, per genericita’, il primo motivo con il quale la difesa non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, ove si evidenziava come il cessionario (OMISSIS) avesse dimostrato di conoscere il luogo di residenza e l’ubicazione dell’abitazione dell’imputato, avesse collocato in una epoca antecedente e prossima all’ottobre del 2006 gli acquisti di stupefacente e avesse altresi’ individuato le modalita’ di contatto, il prezzo al grammo e i quantitativi, risultando logico ed adeguato il giudizio di credibilita’ formulato argomentatamente dai giudici di merito (che hanno logicamente ritenuto non credibile la versione alternativa formulata dall’imputato che presupporrebbe come il cessionario, pur avendo ricevuto lo stupefacente a titolo gratuito lo avesse poi accusato).
4.2. Del pari inammissibile il secondo motivo, avendo la Corte di appello correttamente motivato la esclusione della richiesta di disapplicazione della recidiva avanzata dalla difesa, in quanto tardiva, in violazione dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, risultando pacificamente tale disapplicazione non ritualmente richiesta nei motivi di appello, bensi’ con memoria” depositata in data 02.02.2016 e, dunque, successivamente alla prima udienza tenutasi davanti alla Corte in data 18.09.2015.
4.3. Anche il terzo motivo di ricorso incorre nel vizio di genericita’, atteso che con esso il ricorrente deduce il vizio di violazione dell’articolo 581 c.p.p., lettera a) in relazione ad un profilo, quale la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva, che non risulta dedotto nell’atto di appello, ne’ nei motivi aggiunti, senza peraltro precisare in cosa si sostanzi la asserita violazione da parte la Corte.
4.4. Il quarto motivo di ricorso, relativo alla pena risulta del pari inammissibile, giacche’ la sentenza impugnata e’ sufficientemente motivata ed argomentata in punto di dosimetria della pena, attraverso puntuali riferimenti agli specifici precedenti penali dell’imputato, alla personalita’ dello stesso e alla condotta successiva ai fatti di cui ci si occupa, costituendo un corretto esercizio del potere discreazionale di determinazione della pena da parte del giudice in conformita’ ai principi richiamati sub 3.6.
4.5. Manifestamente infondati, infine, il quinto motivo ed il sesto motivo. La sentenza impugnata, difatti, motiva esaustivamente la decisione della Corte di non concedere la sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita’, non soltanto per ragioni relative ai precedenti penali dell’imputato ma altresi’ con riguardo alla condotta tenuta dallo stesso successivamente alla commissione del reato, essendosi l’imputato nuovamente reso responsabile di plurimi fatti delittuosi sempre in materia di violazione della legge sugli stupefacenti.
Infine, quanto al sesto motivo, giova ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 22 novembre 2000, De Luca, RV. 217266) hanno, invero, affermato che l’inammissibilita’ del ricorso per Cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p..
Ne consegue, pertanto, che la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso prevale su quella di estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la sentenza di secondo grado.
Ne consegue che entrambi i ricorsi sono inammissibili.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

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