Il vizio di abnormità sussiste quando sia frutto in astratto di legittimo potere e che però esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 16 luglio 2018, n. 32508.

La massima estrapolata

Il vizio di abnormità sussiste quando sia frutto in astratto di legittimo potere e che però esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.

Sentenza 16 luglio 2018, n. 32508

Data udienza 5 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di:
1) (OMISSIS), n. a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 03/11/2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13 novembre 2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como, all’esito dell’udienza camerale fissata ai sensi dell’articolo 409 cod. proc. pen. sull’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dalla persona offesa (OMISSIS), ha disposto l’archiviazione del procedimento avente ad oggetto i reati di sequestro di persona e di violenza sessuale di gruppo aperto nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS). Trattandosi di fatti risalenti e non essendo stato possibile acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni rese dalla persona offesa nonostante l’esaustivita’ delle indagini svolte, il g.i.p. ha osservato come quelle fossero l’unica fonte di prova e apparissero inidonee a sostenere l’accusa in giudizio per i gravi reati ipotizzati perche’ imprecise, confuse e caratterizzate da diverse incongruenze.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore della persona offesa deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo si eccepisce questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 410-bis cod. proc. pen., come introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, per violazione degli articoli 3, 24 Cost. e articolo 111 Cost., commi 6 e 7, nella parte in cui non prevede la possibilita’ di proporre ricorso per cassazione per tutti i motivi di illegittimita’ patologica della motivazione del provvedimento impugnato, salvo che questa possibilita’ sia invece desumibile in via interpretativa in base alla legge vigente.
4. In linea con l’interpretazione da ultimo proposta, con il secondo motivo di ricorso – e con ulteriori argomentazioni svolte nella memoria difensiva datata 28 marzo 2018 – si deduce la nullita’ dell’ordinanza impugnata per apparenza/inesistenza della motivazione e comunque per illogicita’/contraddittorieta’ della stessa.
Sotto il primo profilo, si osserva come la ritenuta inidoneita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa a sostenere l’accusa in giudizio sarebbe affermazione apodittica ed in alcun modo motivata, non dando atto il giudice delle pretese imprecisioni ed incongruenze delle stesse.
Sotto il secondo profilo, si osserva che, diversamente da quanto allegato nell’ordinanza, sussisterebbero in atti numerosi elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, in alcun modo valorizzate – e nemmeno richiamate – dal g.i.p.
5. Con il terzo motivo si sostiene l’abnormita’ del provvedimento impugnato perche’, lungi dall’aver effettuato una valutazione di adeguatezza degli elementi di prova raccolti a sostenere l’accusa in giudizio, il g.i.p. avrebbe fatto una valutazione prognostica, allo stato degli atti, dell’esito del processo, indebitamente anticipando un giudizio sulla responsabilita’ penale che e’ demandato all’autorita’ funzionalmente competente a rendere il giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile essendo stato proposto ricorso per cassazione avverso un provvedimento non impugnabile in sede di legittimita’.
2. Appare logicamente preliminare – giacche’ se fosse fondato sarebbe assorbente – il secondo motivo di ricorso.
Com’e’ noto l’articolo 410-bis cod. proc. pen. – introdotto dalla L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 33, e nella specie pacificamente applicabile in forza del principio tempus regit actum – prevede che contro l’ordinanza di archiviazione emessa all’esito dell’udienza celebrata ai sensi dell’articolo 409 cod. proc. pen. si possa proporre reclamo al tribunale in composizione monocratica per i soli motivi di nullita’ di cui all’articolo 127 c.p.p., comma 5, vale a dire in relazione alle violazioni delle regole del contraddittorio stabilite nei commi 3 e 4 di tale disposizione.
La riforma ha modificato sul punto la previgente disciplina soltanto in relazione all’individuazione del giudice competente per l’impugnazione e non anche con riguardo alla natura della stessa ed ai motivi deducibili. Ed invero, gia’ il precedente articolo 409 c.p.p., comma 6, che pure stabiliva la ricorribilita’ per cassazione del provvedimento, derogando all’articolo 606 cod. proc. pen. limitava i motivi di ricorso ai medesimi casi di nullita’ previsti dall’articolo 127 c.p.p., comma 5.
La suddetta limitazione e’ stata sempre pacifica nella giurisprudenza di questa Corte, che gia’ negli anni immediatamente successivi all’approvazione del codice di rito (v. Sez. U, n. 24 del 09/06/1995, Bianchi, Rv. 201381), ha ripetutamente osservato come il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di archiviazione emesso all’esito dell’udienza camerale sia consentito nei soli casi di mancato rispetto delle regole poste a garanzia del contraddittorio formale, con conseguente impossibilita’ di censurare le valutazioni poste a fondamento dell’ordinanza di archiviazione (di recente, v. Sez. 6, n. 23048 del 04/04/2017, Magliola, Rv. 270488; Sez. 7, ord. n. 28532 del 18/05/2017, Recano e aa., Rv. 270469; Sez. 5, n. 14564 del 07/03/2017, Cavallari, Rv. 269720; Sez. 4, n. 51557 del 16/11/2016, Ricci e aa., Rv. 268343).
2.1. Se, dunque, la nullita’ del provvedimento per mancanza (o apparenza) della motivazione e, a fortiori, la manifesta illogicita’ o contraddittorieta’ della medesima, non potevano essere dedotte in sede di legittimita’ nemmeno quando la Corte di cassazione era, per legge, il giudice dell’impugnazione dell’ordinanza di cui all’articolo 409 cod. proc. pen., allo stesso modo cio’ non e’ possibile fare oggi che e’ stato individuato quale giudice del gravame il tribunale in composizione monocratica, mantenendosene ferma la natura di impugnazione a critica vincolata, e cio’ tanto avanti al suddetto organo giurisdizionale, quanto avanti alla Corte di legittimita’.
Ed invero, il principio di tassativita’ delle impugnazioni sancito dall’articolo 568 c.p.p., comma 1, esclude che possano darsi casi di impugnazione diversi da quelli previsti dalla legge e lo scopo della riforma attuata sul punto dalla L. n. 103 del 2017, nell’ottica della semplificazione delle procedure e della riduzione del carico di lavoro della Corte suprema, era di sottrarre al giudice di legittimita’ la competenza a decidere sulle impugnazioni in parola (la Relazione al d.d.l. n. 2798, – in Atti parlamentari, Camera dei Deputati, 17 legislatura – definisce “il ricorso per cassazione un mezzo eccessivo rispetto alla funzione connessa all’esame dei vizi che attengono alla mera violazione del contraddittorio camerale in sede di procedimento di archiviazione”).
2.2. A nulla rileva il richiamo all’articolo 111 Cost., comma 7, che prevede la ricorribilita’ per cassazione per violazione di legge delle sentenze e dei provvedimenti in materia di liberta’ personale. Trattandosi di una garanzia limitata ai casi in cui il provvedimento giurisdizionale chiude definitivamente ed in modo irrevocabile la vicenda giudiziaria sulla regiudicanda – oltre che alle ipotesi in cui il medesimo incide sul diritto inviolabile della liberta’ personale, particolarmente tutelato dall’articolo 13 Cost. – lo stesso non puo’ trovare applicazione nei riguardi di un provvedimento di archiviazione, essendo noto che esso spiega effetti rebus sic stantibus, potendo la riapertura delle indagini essere disposta dallo stesso giudice, a norma dell’articolo 414 cod. proc. pen., su richiesta del pubblico ministero motivata dall’esigenza di nuove investigazioni (cfr. Sez. 6, n. 12522 del 24/02/2015, M. e a., Rv. 262954).
3. Esclusa la ricorribilita’ per cassazione del provvedimento, deve ritenersi inammissibile, perche’ irrilevante prima ancora che manifestamente infondata, la questione dedotta con il primo motivo.
Deve innanzitutto osservarsi come la legittimita’ costituzionale dei limiti posti dall’articolo 410-bis cod. proc. pen. – peraltro, come si e’ visto, in termini assolutamente identici a quanto in avveniva in forza della previgente disciplina all’impugnabilita’ dell’ordinanza di archiviazione emessa all’esito dell’udienza camerale celebrata ai sensi dell’articolo 409 cod. proc. pen. possa semmai essere valutata dal giudice dell’impugnazione indicato per quel provvedimento e non gia’ da un’autorita’ giudiziaria che, come la Corte di cassazione, non ha competenza sul punto.
In secondo luogo, va rimarcato che questa Corte ha piu’ volte dichiarato la manifesta infondatezza di analoghe questioni sollevate con riguardo all’identica previsione precedentemente contenuta nell’articolo 409 c.p.p., comma 6. Si e’ di fatti dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale di tale disposizione, sospettata di contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui limita il ricorso per cassazione ai soli casi di nullita’ per difetto del contraddittorio, non potendo ravvisarsi alcuna violazione ne’ del diritto di difesa (che si esplica nei modi e nelle forme stabilite dal legislatore), ne’ dei principi del giusto processo (stante l’intrinseca differenza tra le sentenze e gli altri provvedimenti – tra cui quelli che dispongono l’archiviazione – sforniti di uno specifico valore decisorio diverso da quello rebus sic stantibus), ne’ del principio di uguaglianza, in quanto il predetto limite alla facolta’ di impugnazione opera nei confronti di tutte le parti processuali (Sez. 6, n. 12522 del 24/02/2015, M. e a., Rv. 262954; Sez. 6, n. 436 del 05/12/2002, dep. 2003, Mione, Rv. 223330; Sez. 6, n. 3896 del 26/10/1995, dep. 1996, Rv. 204002). Piu’ di recente sono stati esclusi profili di dubbio sulla conformita’ costituzionale della disciplina anche con riferimento ad ulteriori aspetti, essendosi affermato la manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, in relazione agli articoli 10, 11 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, con riferimento all’articolo 11 della Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, nella parte in cui non ha modificato la disciplina dell’archiviazione, prevedendo il diritto della persona offesa, sancito nella direttiva citata, di ottenere il riesame della decisione sul non esercizio dell’azione penale, in quanto l’ordinamento interno prevede un equilibrato sistema di controllo in ordine alla decisione del pubblico ministero di non esercitare l’azione penale, che si compendia nel provvedimento motivato che un diverso organo emette a seguito di riesame (Sez. 4, n. 50067 del 10/10/2017, Del Rio e aa., Rv. 271351). In altra, precedente, occasione, scrutinandosi il medesimo profilo con identica conclusione, si e’ osservato come il diritto della vittima di reato di chiedere il “riesame della decisione di non esercitare l’azione penale” previsto dalla citata direttiva trovi riscontro, nell’ordinamento interno, nella previsione del controllo giurisdizionale del G.i.p. – il quale, in caso di inerzie o di lacune investigative, puo’ ordinare ulteriori indagini (articolo 409 c.p.p., comma 4) o, in caso di dissenso dalla richiesta del P.M., puo’ disporre che lo stesso entro dieci giorni formuli l’imputazione (art.
409 c.p.p., comma 5) – nonche’ nella possibilita’ per la persona offesa di chiedere la prosecuzione delle indagini indicando l’oggetto dell’investigazione suppletiva ed i relativi elementi di prova a norma dell’articolo 410 c.p.p., comma 1, (Sez. 2, n. 25754 del 09/05/2017, Landolfo e aa., Rv. 270663).
4. Inammissibile e’ anche il terzo motivo.
Nel tentativo di aggirare le conseguenze derivanti dal principio di tassativita’ dei mezzi d’impugnazione previsto dall’articolo 568 c.p.p., comma 1, la ricorrente ha da ultimo dedotto l’abnormita’ del provvedimento. La categoria, di origine giurisprudenziale, dell’abnormita’ e’ stata da tempo elaborata, come e’ noto, proprio al fine di consentire di porre rimedio, con il ricorso per cassazione, a provvedimenti giudiziari non altrimenti impugnabili e ritenuti tuttavia profondamente sbagliati ed ingiusti, di regola per la violazione di norme processuali.
In assenza di definizione normativa del concetto di atto abnorme suscettibile d’autonoma impugnazione – che, per la difficolta’ di tipizzazione, anche il legislatore del 1988 ha preferito non disciplinare nel codice di rito, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i confini – questa Corte, con plurime decisioni assunte a Sezioni Unite (v. in particolare: Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, Minervini; Sez. U, Sentenza n. 5307/2008 del 20/12/2007, Battistella; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a.) ha individuato la categoria, connotandola, per un verso, in negativo – nel senso che non puo’ definirsi abnorme l’atto che costituisce mera violazione di norme processuali – e, per altro verso, in positivo. Da quest’ultimo punto di vista si e’ affermato che e’ affetto da vizio di abnormita’, sotto un primo profilo (c.d. strutturale), il provvedimento che, per singolarita’ e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si e’ posto in luce come sussista abnormita’ (c.d. funzionale) quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilita’ di proseguirlo (cosi’, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., Rv. 243590), potendosene ravvisare un sintomo nel fenomeno della c.d. regressione anomala del procedimento ad una fase anteriore (cosi’, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 5307/2008 del 20/12/2007, Battistella; v. anche Sez. 2, n. 7320/2014 del 10/12/2013, Fabozzi, Rv. 259158; Sez. 2, n. 29382 del 16/05/2014, Veccia, Rv. 259830; Sez. 2, n. 2484/2015 del 21/10/2014, Tavoloni e a., Rv. 262275).
4.1. Nel caso di specie e’ evidente come non ci si trovi di fronte ad alcuna delle cause di abnormita’ enucleate dalla giurisprudenza.
Sotto il profilo strutturale, l’ordinanza di archiviazione impugnata e’ stata pacificamente adottata in un caso espressamente previsto dalla disciplina normativa e il g.i.p. – che ha effettuato un giudizio di non idoneita’ degli elementi di prova raccolti a sostenere l’accusa in giudizio, secondo il parametro normativo consacrato nell’articolo 125 disp. att. c.p.p. – non ha evidentemente ecceduto dai poteri conferitogli, essendosi limitato ad operare la valutazione impostagli dalla legge in relazione all’unica fonte di prova a carico.
Quanto al profilo funzionale – per vero non oggetto di doglianza in ricorso basti osservare come l’impossibilita’ di proseguire il procedimento che consegue ad un provvedimento di archiviazione sia la conseguenza ordinaria dell’atto processuale in parola e non gia’ un effetto anomalo derivante da un atto processuale abnorme. In ogni caso – come gia’ si e’ rilevato – trattandosi di provvedimento a stabilita’ limitata, lo stesso non e’ definitivamente preclusivo della procedibilita’, essendo appunto possibile disporre la riapertura delle indagini ai sensi dell’articolo 414 cod. proc. pen. Ritenere diversamente, del resto, significherebbe – in contrasto con la lettera e la ratio della legge processuale considerare sempre ricorribile in cassazione il provvedimento (decreto od ordinanza) di archiviazione.
5. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, che – a tutela dei diritti o della dignita’ degli interessati – sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.

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