Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 13 settembre 2018, n. 22404.
La massima estrapolata:
E’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa (articolo 2041 del Cc) proposta in via subordinata (articolo 183, comma 6 del Cpc) nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, se si riferisce alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Si tratta, infatti, di una domanda comunque connessa, per incompatibilità, a quella formulata inizialmente.
Sentenza 13 settembre 2018, n. 22404
Data udienza 7 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di Sez.
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez.
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere
Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27702-2012 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI CHIVASSO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 713/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 27/04/2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/11/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. L’ingegnere (OMISSIS), con atto di citazione notificato in data 14 giugno 2006, convenne il Comune di Chivasso innanzi al Tribunale di Torino, chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di Euro 115.814,11, oltre interessi, a titolo di corrispettivo per l’incarico di progettazione della Circonvallazione Sud di Chivasso, come da convenzione del 20 aprile 1988.
Il Comune si costitui’ ed eccepi’, in via principale, il mancato avveramento della condizione prevista dall’articolo 7 della convenzione; in subordine, la nullita’ delle deliberazioni di affidamento dell’incarico, in quanto prive sia della quantificazione dell’ammontare complessivo dovuto per il progetto, sia dei mezzi per farvi fronte, in violazione del Regio Decreto n. 383 del 1934, articoli 284 e 288; in ulteriore subordine, la non debenza al creditore degli interessi legali fino all’avveramento della condizione e, comunque, la prescrizione del relativo credito per tutto il periodo anteriore al quinquennio precedente la domanda.
Con memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1), l’attore propose, in via subordinata, domanda di indennizzo per arricchimento senza causa.
2. Il Tribunale dichiaro’ l’inadempimento del Comune convenuto nei confronti dell’attore e condanno’ il predetto ente al pagamento, in favore del (OMISSIS), dell’importo di Euro 115.814,11, comprensivo degli interessi legali per il periodo dal 18 gennaio 1989 al 31 dicembre 2005, oltre agli oneri fiscali e previdenziali, nonche’ alle spese di lite e a quelle di c.t.u..
3. Avverso la sentenza di primo grado il Comune di Chivasso propose gravame cui resistette l’appellato che, tra l’altro, ribadi’, in via subordinata, la richiesta di pagamento ex articolo 2041 c.c..
4. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 27 aprile 2012, riformo’ la decisione, dichiarando la nullita’ delle delibere di conferimento dell’incarico per contrasto con gli articoli 284 e 288 r.d. n. 382 del 1934 (applicabili ratione temporis) e, pertanto, del contratto di prestazione d’opera professionale in via derivata.
La Corte ritenne, inoltre, inammissibile la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa, trattandosi di domanda nuova e percio’ non proponibile per la prima volta con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1), come tempestivamente eccepito dal Comune; accolse, quindi, l’appello e rigetto’ le domande proposte dal (OMISSIS); confermo’ la sentenza impugnata in punto di spese e compenso’ tra le parti le spese di quel grado di giudizio.
5. Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso il Comune di Chivasso.
Sia i ricorrenti che il controricorrente hanno depositato memorie integrative.
6. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del Regio Decreto n. 383 del 1934, articoli 284, 285 e 288 e si contesta la ritenuta insussistenza dei requisiti di validita’ dell’obbligazione assunta dal Comune di Chivasso nei confronti dell’Ing. (OMISSIS).
7. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 2041 c.c. e articolo 183 c.p.c. e dei principi che regolano l’azione di ingiustificato arricchimento, contestando la ritenuta inammissibilita’ della domanda di indennizzo per arricchimento senza causa perche’ non proposta in citazione ma con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1).
8. All’esito dell’udienza pubblica del 14 dicembre 2016, la Seconda Sezione civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 7079/17 del 20 marzo 2017, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ponendo una questione di massima di particolare importanza che puo’ riassumersi nei termini che seguono:
“Se nel giudizio promosso nei confronti di una Pubblica Amministrazione per l’adempimento di un’obbligazione contrattuale la parte possa modificare la propria domanda in una richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1”.
8.1. In particolare la Seconda Sezione ha ritenuto l’infondatezza del primo motivo di ricorso, osservando che la Corte territoriale aveva correttamente dichiarato la nullita’ delle delibere di conferimento dell’incarico per contrasto con il Regio Decreto n. 383 del 1934, articolo 284, dopo aver accertato che le stesse – anche per effetto della condizione prevista dalla clausola che subordinava il saldo al finanziamento dell’opera – non contenevano l’indicazione dell’ammontare del compenso dovuto al (OMISSIS) ne’ dei mezzi per farvi fronte, limitandosi a prevedere i pagamenti a titolo di rimborso spese ed acconto.
Con riferimento al secondo motivo, la Seconda Sezione ha richiamato il principio affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 26128 del 27 dicembre 2010, secondo cui le domande di adempimento contrattuale ed arricchimento senza causa riguardano entrambe diritti etero-determinati e si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto al petitum sia quanto alla causa petendi; di conseguenza, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale devono applicarsi le norme del rito ordinario, ai sensi dell’articolo 645 c.p.c., comma 2, e, quindi, anche l’articolo 183 c.p.c., comma 5 -, e’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa; in ogni altro caso, all’opposto non e’ consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilita’ e’ rilevabile d’ufficio dal giudice.
Come evidenziato dalla Seconda Sezione, tale principio di diritto che trascende il contesto di riferimento costituito dal giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo -, nel giudizio introdotto con domanda di adempimento contrattuale, limita la possibilita’ di proporre la domanda di arricchimento senza causa “alla prima difesa” successiva al solo caso in cui la relativa esigenza sia sorta dal tenore delle avversarie deduzioni, che abbiano introdotto nel giudizio un ulteriore tema di indagine tale da giustificare l’esame di una possibile fattispecie di arricchimento senza causa, e cio’ sul presupposto che il passaggio dalla domanda di adempimento contrattuale a quella di arricchimento senza causa configuri mutatio libelli, che l’articolo 183 c.p.c. non tollera al di fuori dello schema della consequenzialita’, a presidio del regolare svolgimento del processo.
Pur ritenendo la pertinenza e la rilevanza di tale precedente nel presente giudizio – poiche’, in applicazione del ricordato principio, a fronte dell’avversa eccezione di nullita’, l’originario attore avrebbe dovuto proporre la domanda di indennizzo in udienza, secondo quanto disposto dall’articolo 183 c.p.c., comma 5, e non con la successiva memoria autorizzata ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1, e cio’ a prescindere dalla questione se l’eccezione di nullita’ del contratto introduca o non un nuovo tema di indagine, si imporrebbe il rigetto del secondo motivo e, quindi, la conferma della sentenza impugnata, – la Seconda Sezione ha, tuttavia, ravvisato la sussistenza di argomenti che potrebbero condurre ad una decisione di segno opposto nella successiva pronunzia di queste Sezioni Unite n. 12310 del 15 giugno 2015, che – operando un’ampia rivisitazione del tema della modifica della domanda – ha enunciato il principio in base al quale tale modifica e’ consentita anche ove riguardi il petitum o la causa petendi, sempreche’ la domanda cosi’ modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per cio’ solo, si determinino la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte o l’allungamento dei tempi processuali.
Sostenendo che la domanda di arricchimento senza causa, come proposta nel giudizio in esame, sia riconducibile alla nozione di “domanda modificata” ritenuta ammissibile dalla piu’ recente pronuncia delle Sezioni Unite gia’ richiamata (n. 12310 del 2015), anche tenuto conto del fatto che, per giurisprudenza ormai consolidata, il riconoscimento dell’utilitas non costituisce un requisito dell’azione generale di arricchimento nei confronti della P.A., alla luce del principio pure affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza del 26 maggio 1015, n. 10798, la Seconda Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, evidenziando la possibile differente soluzione che discende, nel caso concreto, a seconda che si faccia applicazione di uno o dell’altro dei due principi affermati.
9. Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
10. In prossimita’ dell’udienza pubblica sia i ricorrenti che il controricorrente hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del Regio Decreto n. 383 del 1934, articoli 284, 285 e 288 e si contesta la ritenuta insussistenza dei requisiti di validita’ dell’obbligazione assunta dal Comune di Chivasso nei confronti dell’Ing. (OMISSIS).
In particolare, i ricorrenti sostengono che – contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello – il mezzo per far fronte all’impegno delle spese di progettazione era stato individuato nel futuro finanziamento dell’opera, evento cui la stessa fattibilita’ dell’opera era condizionata, e che l’obbligazione di pagamento del corrispettivo era sorta nel 2003, quando il finanziamento era stato ottenuto. Inoltre, i ricorrenti evidenziano che la convenzione richiamava le tariffe professionali in vigore, cosi’ indicando i criteri per la determinazione dell’onorario a percentuale, mentre al momento del conferimento dell’incarico era ancora ignoto il costo complessivo dell’opera oggetto di progettazione.
1.1. Il motivo e’ infondato.
1.2. La Corte di appello – e in tal senso si e’ espressa pure la Seconda Sezione di questa Corte nell’ordinanza interlocutoria con cui la causa e’ stata rimessa al Primo Presidente – ha accertato che le delibere n. 4 del 9 febbraio 1988 e n. 5 del 10 febbraio 1988 e l’allegata “convenzione per la progettazione della circonvallazione sud, tra il Comune di Chivasso ed i professionisti incaricati” non contenevano l’indicazione del compenso dovuto al professionista incaricato della progettazione – unitamente ad altro tecnico – ne’ dei mezzi per farvi fronte, limitandosi a prevedere pagamenti a titolo di rimborso spese, in anticipo sulle prestazioni professionali, per un totale di L. 60.000.000, regolarmente corrisposti, e che nella convenzione del 20 aprile 1988 era stato ribadito che il saldo delle competenze sarebbe stato corrisposto nel momento in cui il committente avesse avuto a disposizione i finanziamenti per realizzare la predetta opera. In difetto, quindi, della previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei relativi mezzi per farvi fronte, la Corte di appello ha ritenuto sussistente la nullita’ delle delibere di conferimento dell’incarico per contrasto con il Regio Decreto n. 383 del 1934, articolo 284, con conseguente nullita’ della convenzione stipulata tra le parti e, quindi, insussistenza del diritto al compenso da parte dell’ing. (OMISSIS).
1.3. La decisione della Corte territoriale e’ conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di contratto d’opera professionale stipulato da un ente locale.
Come pure posto in rilievo dalla medesima Corte territoriale, il contrasto insorto sulla questione “se la nullita’ dell’atto deliberativo di un ente pubblico locale, col quale viene conferito un incarico professionale di redazione di un progetto per un’opera pubblica, per difetto dei requisiti (previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte) stabiliti dal Regio Decreto 3 marzo 1934, n. 383, articolo 284, determini la nullita’ anche del contratto tra l’ente e il professionista…”, e’ stato composto con la sentenza di queste Sezioni Unite n. 12195 del 10 giugno 2005, con la quale e’ stato affermato che, nel vigore del combinato disposto del Regio Decreto 3 marzo 1934, n. 383, articoli 284 e 288 (Testo unico della legge comunale e provinciale), la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica, e’ valida e vincolante nei confronti dell’ente locale soltanto se contenga la previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte; l’inosservanza di tali prescrizioni determina la nullita’ della delibera, nullita’ che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l’idoneita’ a costituire titolo per il compenso (v. anche Cass., 29/10/2009, n. 22922; Cass. 17/07/2013, n. 17469).
1.4. Va pure osservato che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte territoriale ha chiaramente tenuto conto di quanto previsto dalla clausola convenzionale (articolo 7), secondo cui il saldo delle competenze sarebbe stato corrisposto nel momento in cui il committente avesse ottenuto il finanziamento dell’opera. Tuttavia, la medesima Corte, alla luce del tenore degli atti prodotti dalle parti e da essa esaminati (tra cui la convenzione in parola, e quindi, anche gli articoli 5 e 7 della stessa), ha ritenuto che non era stato previsto l’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei relativi mezzi per farvi fronte (v. sentenza impugnata p. 10); si evidenzia peraltro che il richiamo, per la determinazione del compenso al professionista, alle tariffe professionali contenuto nell’articolo 5 della convenzione tra le parti risulta del tutto generico, stante le variabili previste e consentite dalle stesse, come pure evidenziato dal controricorrente.
1.5. La ricordata valutazione della Corte di merito risulta perfettamente in linea con la ratio del principio espresso da queste Sezioni Unite con riferimento alle norme di cui al Regio Decreto n. 383 del 1934, articoli 284 e sgg. d.
1.6. Per mera completezza, va anche posto in rilievo che, in relazione al Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 aprile 1989, n. 144 – che commina non piu’ la nullita’ del contratto concluso dall’ente locale senza la previsione di spesa e l’indicazione dei mezzi per farvi fronte bensi’ la non riferibilita’ del rapporto obbligatorio, ai fini della controprestazione, all’ente, con l’imputazione alla sfera giuridica diretta e personale dell’amministratore o del funzionario degli effetti, ai predetti fini, dell’attivita’ contrattuale dagli stessi posta in essere in contrasto con i dettami contabili inerenti alla gestione degli enti locali – queste Sezioni Unite hanno ribadito la necessita’ che la registrazione dell’impegno contabile e’ ineludibile, con conseguente irrilevanza della previsione di copertura con finanziamento pubblico (Cass., sez. un., 18/12/2014, n. 26657).
1.7. Con riferimento, infine, alla doglianza con cui i ricorrenti lamentano che la Corte di merito non abbia tenuto conto della previsione contenuta nel Regio Decreto n. 383 del 1934, articolo 285 – secondo cui “Quando si tratti di opera di notevole importanza il progetto esecutivo deve essere preceduto da un progetto di massima che consenta la valutazione della entita’ della spesa in relazione alla possibilita’ di farvi fronte” – ritengono queste Sezioni Unite che, come gia’ rilevato dalla Seconda Sezione di questa Corte, la censura proposta non risulta sussumibile nel prospettato vizio di violazione di legge, riferendosi la stessa ad una erronea ricognizione della fattispecie concreta da parte della Corte di appello senza tener conto delle successive delibere approvate dal Comune (v. Cass. 16/07/2010, n. 16698; Cass., ord., 12/10/2017, n. 24054).
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 2041 c.c. e articolo 183 c.p.c. e dei principi che regolano l’azione di ingiustificato arricchimento, contestando la ritenuta inammissibilita’ della domanda subordinata di indennizzo per arricchimento senza causa perche’ non proposta in citazione ma con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1).
Al riguardo i ricorrenti rappresentano di aver formulato tale domanda con la predetta memoria, a seguito dell’eccezione di nullita’ della delibera di incarico e del contratto relativo sollevata dal Comune di Chivasso nella comparsa di risposta, e, comunque, sulla base di circostanze di fatto gia’ allegate nell’atto introduttivo con riferimento alla domanda di adempimento contrattuale; deducono, altresi’, di aver riproposto la domanda in parola nella comparsa di costituzione in appello.
3. La questione rimessa all’esame di queste Sezioni Unite che, come gia’ sopra evidenziato, consiste nello stabilire “se nel giudizio promosso nei confronti di una Pubblica Amministrazione per l’adempimento di un’obbligazione contrattuale la parte possa modificare la propria domanda in una richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1”, rileva proprio per l’esame del secondo motivo.
4. Questa Corte si e’ piu’ volte pronunciata sulla questione se la proposizione della domanda di azione di arricchimento costituisca, ove formulata dopo che sia stata proposta azione di adempimento contrattuale, emendatio o mutatio libelli e se e in che termini la proposizione di una tale domanda incorra nelle preclusioni previste dal codice di rito.
4.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, nel comporre il contrasto di giurisprudenza relativamente alla novita’ della domanda di indennizzo per arricchimento senza causa rispetto a quella originariamente proposta di adempimento contrattuale, con la sentenza 22 maggio 1996 n. 4712, pronunciata in un giudizio iniziato in primo grado nel 1986 e, quindi, disciplinato dalle norme processuali di cd. vecchio rito, anteriori cioe’ alle modifiche di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, hanno affermato che la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova – come tale inammissibile a norma dell’articolo 184 c.p.c. in difetto di accettazione del contraddittorio -, in quanto dette domande non sono intercambiabili e non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, riguardando entrambe diritti cosiddetti “eterodeterminati” (per l’individuazione dei quali e’ indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente tra loro ed identificano due distinte entita’), e l’attore, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene giuridico diverso (indennizzo, anziche’ il corrispettivo pattuito), cosi’ mutando l’originario petitum, ma, soprattutto, introduce nel processo gli elementi costitutivi della nuova situazione giuridica (proprio impoverimento ed altrui locupletazione e, in caso di domanda di arricchimento proposta contro la P.A., anche il riconoscimento della utilitas della prestazione), che erano privi di rilievo, invece, nel rapporto contrattuale (in senso v. pure Cass. 29/09/1997, n. 9507; Cass. 29/01/1998, n. 915; Cass. 6/10/1999, n. 11123; Cass. 12/06/2000, n. 7979; Cass. 20/12/2001, n. 16063; Cess. 27/11/2001, n. 15028; Cass. 29/03/2001, n. 4612; Cass. 24/10/2003, n. 16005; Cass. 11/05/2003, n. 7378; Cass. 2/12/2004, n. 22667; Cass. 26/05/2004, n. 10168; Cass. 2/08/2007 n. 17007).
4.2. Anche successivamente a tale arresto delle Sezioni Unite, si rinviene un orientamento minoritario – soprattutto, ma non solo, in tema di domanda ex articolo 2041 c.c. proposta dall’opposto nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo -, che si polarizza su due essenziali varianti argomentative: 1) l’una, che valorizza la natura del procedimento in cui la domanda e’ inserita, ovvero quello di opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’articolo 645 c.p.c., il quale sarebbe proprio finalizzato ad esaminare la fondatezza della domanda del creditore; in base, quindi, a tutti gli elementi offerto’ dallo stesso, e contrastati dall’ingiunto (Cass. 23.6.2009 n. 14646); l’altra – maggiormente seguita – che sottolinea, non tanto il tipo di procedimento adottato, quanto il fatto che nel giudizio siano gia’ presenti tutti gli elementi costitutivi dell’azione di indebito arricchimento, considerata, quindi, come una diversa qualificazione dei fatti gia’ introdotti (Cass. 15/04/2010, n. 9042; Cass. 18/11/2008, n. 27406; Cass. 14/06/2000, n. 8110; Cass. 28/11/1997, n. 12009).
Con sentenza 27/12/2010, n. 26128, queste Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi in tema della proponibilita’, da parte dell’opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, della domanda di ingiustificato arricchimento, ai sensi dell’articolo 2041 c.c., quale domanda riconvenzionale, in considerazione della sua posizione sostanziale di attore, e non di convenuto, nel giudizio conseguente all’opposizione, hanno affermato il principio cosi’ massimato: “Le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entita’ del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonche’, ove l’arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al petitum (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo). Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’articolo 645, comma 2, e, dunque, anche l’articolo 183 c.p.c., comma 5, e’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non e’ consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilita’ e’ rilevabile d’ufficio dal giudice”.
Il percorso argomentativo seguito da queste Sezioni Unite nella sentenza in parola, richiamata pure nell’ordinanza interlocutoria n. 7079 del 2017 della Seconda Sezione, puo’ cosi’ sinteticamente schematizzarsi: a) le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa sono strutturalmente e tipologicamente diverse, integrando, quest’ultima, rispetto a quella originariamente formulata, una domanda nuova; b) tali domande differiscono quanto al petitum, costituito nella prima dal pagamento del corrispettivo pattuito e nella seconda dall’indennizzo, e quanto alla causa petendi, essendo estranei all’azione contrattuale gli elementi dell’impoverimento e dell’altrui locupletazione, che costituiscono i presupposti dell’azione generale di arricchimento (si evidenzia che la pronunzia in parola richiama anche l’ulteriore presupposto dell’utilitas da parte dell’ente, la cui natura di elemento integrativo dell’azione di arricchimento e’ stata successivamente esclusa dalla sentenza delle Sezioni Unite del 26 maggio 2015, n. 10798); c) si tratta, quindi, di domande non intercambiabili e che non “costituiscono articolazioni di un’unica matrice”, poiche’ i fatti costitutivi che rispettivamente le individuano “identificano due distinte entita’, nessuna delle quali puo’ dirsi potenzialmente contenente l’altra e potenzialmente in essa contenuta”, d) nel passaggio dall’una all’altra azione in parola non puo’ parlarsi di semplice emendatio libelli, ma di vera e propria mutatio, consentita all’attore nei limiti fissati dall’articolo 183 c.p.c., comma 5; e) tali limiti ineriscono anzitutto alla fase della formazione del thema decidendum, consentendo la modifica della domanda originaria soltanto come conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, il quale abbia cosi’ introdotto nel giudizio un nuovo tema di indagine; f) vi sono altresi’ limiti temporali per l’esercizio di tale facolta’, che deve ritenersi consentito nell’udienza fissata per la comparizione delle parti e la trattazione, perche’ questa rappresenta il primo atto difensivo utile, in quanto temporalmente successivo a quello che ne determina la proponibilita’; nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il limite temporale preclusivo alla proponibilita’ della domanda di arricchimento senza causa deve farsi risalire alla comparsa di costituzione e risposta dell’opposto, che e’ il primo atto difensivo di quest’ultimo, a seguito delle difese contenute nell’atto di opposizione a d.i. dell’opponente; g) al di fuori di tali ristretti termini, la domanda di ingiustificato arricchimento non puo’ essere proposta nel giudizio originato da un’azione contrattuale e la sua tardiva proposizione e’ soggetta al rilievo officioso, indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte, in quanto il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato – applicabile anche nel giudizio di opposizione a d.i. – e’ finalizzato a tutelare non solo l’interesse di parte ma anche l’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo.
5. Con la sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, queste Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto sulla questione relativa alla modificabilita’, con la memoria prevista dall’articolo 183 c.p.c., comma 5 (nella formulazione ratione temporis applicabile), della domanda costitutiva ex articolo 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo), hanno affrontato in termini piu’ generali il tema dello ius variandi, operando un’ampia rivisitazione dello stesso alla luce dei mutamenti del quadro normativo di riferimento ad opera del legislatore – anche costituzionale – e dei corrispondenti mutamenti nella giurisprudenza di legittimita’, soprattutto a Sezioni Unite (pure se non specificamente riferibili alla problematica da esaminare in quella sede) riguardanti, in una prospettiva piu’ generale, non solo la disciplina dei nova nel processo ma anche le problematiche ad essa collegate, “nella consapevolezza che l’esegesi della normativa processuale deve sempre salvaguardare la coerenza circolare del sistema e che l’intervento nomofilattico compositivo e’ necessario quante volte occorra riportare a sintesi univoca e manifesta il tormentato processo di adeguamento della ermeneutica giuridica al contesto legislativo e culturale in trasformazione”.
La sentenza muove da una ricognizione della struttura dell’udienza di cui all’articolo 183 c.p.c.evidenziando che, in relazione all’esercizio dello ius variandi, la giurisprudenza afferma il tradizionale principio secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide ne’ sulla causa petendi ne’ sul petitum, mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono mutatio libelli, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e piu’ ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, cosi’ ponendo al giudice un nuovo tema d’indagine e spostando i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo.
Si sottolinea nella sentenza in parola che tale principio e’ pero’ solo in apparenza uniformemente applicato, in quanto sottende una realta’ piu’ frastagliata in relazione a diverse fattispecie, in base ad “una logica del caso per caso”.
Nella medesima sentenza si evidenzia poi che non e’ dato rinvenire un esplicito divieto di domande nuove nell’ambito dell’udienza di cui all’articolo 183 c.p.c. paragonabile a quello espresso nell’articolo 345 c.p.c., per il giudizio di appello, e che l’art.189 c.p.c., in tema di rimessione della causa al collegio, prevede che il giudice istruttore invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’articolo 183”, in tal modo ribadendo, ove vi fossero dubbi, che a norma dell’articolo 183 c.p.c. le parti possono cambiare le domande e conclusioni avanzate nell’atto introduttivo in maniera sensibilmente apprezzabile (quindi non limitata a mere qualificazioni giuridiche o precisazioni di dettaglio).
Al fine di una maggiore comprensione della effettiva portata del cambiamento ammissibile ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., nella sentenza de qua si osserva che, in rapporto alla domanda originaria, nell’economia della suddetta norma risultano previsti altri tre tipi di domande: le domande “nuove”, le domande “precisate” e le domande “modificate”. Si evidenzia, con riguardo alle domande “nuove”, che, pur non riscontrandosi un espresso divieto come quello di cui all’articolo 345 c.p.c., questo puo’ essere implicitamente desunto dal fatto che risultano specificamente ammesse per l’attore le domande e le eccezioni “che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”, ben potendo l’affermazione suddetta leggersi nel senso che sono (implicitamente) vietate tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che per l’attore rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto. Si afferma che domande “precisate” sono le stesse domande introduttive che non hanno subito modificazioni nei loro elementi identificativi, ma semplici precisazioni, per tali intendendosi tutti quegli interventi che non incidono sulla sostanza della domanda iniziale ma servono a meglio definirla, puntualizzarla, circostanziarla, chiarirla. Si specifica che “la vera differenza tra le domande “nuove” implicitamente vietate e le domande “modificate” espressamente ammesse non sta… nel fatto che in queste ultime le “modifiche” non possono incidere sugli elementi identificativi, bensi’ nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali-, o, se si vuole, di domande diverse che pero’ non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternativita’”. Si rimarca che, “con la modificazione della domanda iniziale l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata piu’ rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio”.
La sentenza n. 12310 del 2015 perviene quindi, alle seguenti conclusioni: a) la modifica della domanda iniziale puo’ riguardare anche gli elementi identificativi oggettivi della stessa, a condizione che essa riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia a questa collegata, regola, questa, ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo e in particolare al rapporto di connessione per “alternativita’” o “per incompatibilita’”; b) una siffatta interpretazione risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, posto che, non solo non incide negativamente sulla durata del processo nel quale la modificazione interviene, ma determina, anzi, una indubbia incidenza positiva piu’ in generale sui tempi della giustizia, in quanto e’ idonea a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto, invece di determinare la potenziale proliferazione dei processi, c) la concentrazione favorita da tale interpretazione risulta inoltre maggiormente rispettosa della stabilita’ delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti, nonche’ della effettivita’ della tutela assicurata, sempre messa in pericolo da pronunce meramente formalistiche; d) una simile interpretazione non determina alcuna “sorpresa” per la controparte ne’ ne mortifica le potenzialita’ difensive, in quanto l’eventuale modifica avviene sempre in riferimento e in connessione alla medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte e’ stata chiamata in giudizio e a tale parte e’, in ogni caso, assegnato un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio.
Conclusivamente, con la sentenza in parola, e’ stato espressamente affermato il seguente principio di diritto: “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’articolo 183 c.p.c.puo’ riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda cosi’ modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per cio’ solo si determini la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’articolo 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”.
6. Il principio appena riportato risulta essere stato ribadito da successive decisioni di legittimita’, con riferimento ad un variegato ambito oggettivo, non circoscritto al solo diritto contrattuale, pur se talvolta esso e’ stato richiamato a conforto di una decisione la cui ratio non collima del tutto con le indicazioni interpretative offerte dalla richiamata pronuncia del 2015 e si conforma, in realta’, a convincimenti gia’ acquisiti da tempo.
Al riguardo si fa riferimento, a mero titolo esemplificativo, in tema di modificazione della domanda da parte dell’attore nel giudizio regolato dal cd. rito societario, alla decisione di questa Corte del 3 gennaio 2017, n. 29, in cui si afferma che, nel rito societario gia’ disciplinato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2003, le domande nuove che l’attore puo’ proporre ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera b), devono essere conseguenza “delle difese proposte dal convenuto”, in tale ampia espressione dovendosi ricomprendere ogni possibile deduzione difensiva di quest’ultimo, e, quindi, non solo le eccezioni, in senso stretto o lato, ma anche le mere difese. In senso sostanzialmente conforme si e’ espressa la sentenza di questa S.C. del 19 gennaio 2016, n. 816, secondo cui nel rito societario gia’ disciplinato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2003, la modificazione della domanda, ivi consentita tramite la memoria ex articolo 6, puo’ riguardare anche uno o entrambi i suoi elementi oggettivi (petitum e causa petendi), sempre che la domanda cosi’ modificata riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in lite o sia ad essa collegata, sicche’, qualora la parte abbia chiesto, con l’atto di citazione, l’accertamento della nullita’ di un contratto di intermediazione finanziaria, e’ ammissibile la proposizione, con la suddetta memoria, della domanda di risarcimento del danno, ove, in particolare, non siano mutati gli elementi di fatto introdotti in giudizio.
In tema di mutamento quantitativo della domanda originaria, si richiama pure la sentenza di questa Corte. n. 26782 del 22 dicembre 2016, con la quale e’ stato affermato che la modificazione della domanda ammessa ex articolo 183 c.p.c. puo’ riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda cosi’ modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per cio’ solo, si determini la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile il mutamento quantitativo della domanda riconvenzionale proposta dall’opponente a decreto ingiuntivo e riconnessa all’intervenuta rescissione del contratto rispetto alla precedente domanda di risoluzione, trovando la richiesta del riconoscimento di un maggiore importo fondamento nella medesima situazione sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo).
In punto di ammissibilita’ della domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2050 c.c., formulata dopo un’iniziale domanda risarcitoria fondata sulla violazione del generale dovere del neminem laedere di cui all’articolo 2043 c.c., si e’ altresi’ espressa questa Corte con la sentenza n. 10513 del 17 marzo 2017, applicando argomentatamente il principio espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12310 del 2015.
7. Osserva il Collegio che, pur se l’applicazione dell’uno o dell’altro dei principi affermati con le decisioni di queste Sezioni Unite n. 26128/10 e n. 26168/2015 sopra ricordate e’, in tesi, foriera di soluzioni contrastanti con riferimento al caso concreto all’esame, come prospettato nell’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione, va, tuttavia, evidenziato che non sussiste un reale contrasto tra dette due sentenze. Ed invero, la decisione piu’ recente, prendendo le mosse dalle questioni sottoposte al suo esame, persegue l’obiettivo di adeguare alla mutata realta’ normativa l’intera disciplina processuale in tema di nova e di ridefinire la fase della trattazione a tale riguardo; ha, quindi, una portata ben piu’ ampia della prima delle ricordate decisioni, la quale, oltre a riferirsi ad un ambito ben specifico e, per cosi’ dire, settoriale, si fonda sul criterio della diversita’ di petitum e causa petendi fra le due domande in quel giudizio proposte, criterio che, invece, la piu’ recente delle sentenze in parola dichiara espressamente di voler superare e disattendere.
8. Ritiene il Collegio che va data continuita’ all’indirizzo indicato con la sentenza di queste Sezioni Unite n. 12310 del 2015, proprio per la valenza sistematica, in tema di esercizio dello ius variandi nel corso del processo, della decisione da ultimo richiamata, che, superando in senso evolutivo il precedente criterio della differenziazione di petitum e causa petendi su cui si basava il precedente orientamento cui pure si e’ fatto riferimento, sposta l’attenzione dell’interprete dall’ambito circoscritto di una valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda modificata rispetto a quella iniziale, in una prospettiva di piu’ ampio respiro, volta alla verifica che entrambe tali domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice e rispetto alla quale la domanda modificata sia piu’ confacente all’interesse della parte.
Milita in tal senso, altresi’, la considerazione che l’interpretazione adottata in questa sede risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, in quanto non solo incide sulla durata del processo in cui la modificazione interviene ma influisce positivamente anche sui tempi della giustizia in generale, in quanto favorisce la soluzione della complessiva vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice in un unico contesto, evitando la proliferazione dei processi.
8.1. Occorre, pertanto, verificare se, come pure evidenziato dal Collegio rimettente, la domanda di arricchimento senza causa, come proposta nel giudizio all’esame con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, sia riconducibile alla nozione di “domanda modificata” ritenuta ammissibile con la sentenza n. 12310 del 2015.
Al riguardo si osserva che va accertato se, tra la domanda inizialmente proposta e quella poi successivamente formulata con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, sussista quel rapporto di connessione per “alternativita’” od “incompatibilita’” cui si fa riferimento in quella decisione.
Nella specie, entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di indebito arricchimento) si riferiscono indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale; sono attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (pur se, nell’una, come corrispettivo di una prestazione svolta e, nell’altra, come indennizzo volto alla reintegrazione dell’equilibrio preesistente tra i patrimoni dei soggetti coinvolti); sono legate da un rapporto di connessione “di incompatibilita’”, non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, ai sensi dell’articolo 2042 c.c., e tale nesso giustifica ancor di piu’ il ricorso al simultaneus processus.
9. Il secondo motivo di ricorso risulta, pertanto, fondato in base al seguente principio di diritto: “E’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex articolo 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilita’) a quella inizialmente formulata”.
10. In conclusione, va rigettato il primo motivo e accolto il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie in secondo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
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