Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 giugno 2018, n. 26612.
La massima estrapolata:
In tema di stupefacenti, ai fini dell’accertamento del fatto di lieve entita’, il giudice e’ tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), senza preclusioni derivanti dalla eterogeneita’ delle sostanze o dalle modalita’ organizzate dell’agire, potendosi ravvisare l’ipotesi del fatto lieve soltanto qualora detti elementi siano dimostrativi di una contenuta potenzialita’ offensiva della condotta.
Sentenza 11 giugno 2018, n. 26612
Data udienza 23 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. VIGNA Maria S – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/03/2017 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Maria Sabina Vigna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Filippi Paola che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza limitatamente all’applicazione della misura di sicurezza;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 marzo 2017, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Forli’ all’esito di giudizio abbreviato in data 12 luglio 2016 nei confronti di (OMISSIS), ha concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche, ridotto la pena inflitta ad anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 8.000 di multa, revocato la pena accessoria dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena e dichiarato (OMISSIS) interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. La sentenza di primo grado e’ stata confermata nel resto.
(OMISSIS) e’ stato condannato per avere illecitamente detenuto 100 grammi di cocaina a fini di spaccio.
Il compendio probatorio si fonda sulla perquisizione eseguita all’interno della abitazione del ricorrente, all’esito della quale, all’interno di una stampante situata nella camera da letto dell’imputato, era rinvenuto un involucro di cellophane contenente 100 grammi di cocaina; in aggiunta si rinvenivano una bilancia elettronica di precisione, un rotolo di cellophane e alcuni sacchetti verosimilmente utili al confezionamento delle dosi.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:
2.1. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Il diniego del riconoscimento della lieve entita’ del fatto e’ stato motivato esclusivamente avendo riguardo alla quantita’ di sostanza rinvenuta e non, invece, formulando un giudizio complessivo che tenga conto di tutti gli elementi previsti dalla norma.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di omessa verifica dei presupposti e delle connotazioni di concretezza della pericolosita’ sociale dell’imputato legittimante l’applicazione della misura di sicurezza. La Corte d’appello di Bologna ha confermato la misura di sicurezza prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86applicata dal giudice di primo grado senza esplicitare concretamente quali fossero gli elementi dai quali dedurre la pericolosita’ sociale dell’imputato. L’imputato, alla sua prima esperienza giudiziaria, e’ figlio convivente di una cittadina italiana ed e’ radicato con la famiglia nel territorio italiano da anni, lavora regolarmente ed e’ titolare di permesso di soggiorno.
Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto verificare l’applicabilita’ all’imputato del divieto di espulsione ai sensi del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19, comma 2, lettera d), come integrato dalla sentenza della Corte Costituzionale 376 del 27 luglio 2000, che vieta l’espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalita’ italiana.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato limitatamente alla disposta espulsione dal territorio dello Stato, mentre deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
2. Il primo motivo e’ inammissibile poiche’ il ricorrente propone censure costituenti mera replica delle deduzioni gia’ mosse col ricorso in appello e non si confronta con le – adeguate – risposte date dalla Corte distrettuale, con cio’ omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
2.1. La fattispecie di reato prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (trasformata da ipotesi circostanziale in delitto autonomo per effetto del Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, articolo 2, convertito con modificazioni con L. 21 febbraio 2014, n. 10), e’ ravvisabile nei casi di minima offensivita’ penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo dello stupefacente, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione e segnatamente dai mezzi, dalle modalita’ e dalle circostanze dell’azione.
In linea con il chiaro enunciato testuale del citato articolo 73, comma 5, la quantita’ delle sostanze costituisce soltanto uno dei dati sintomatici della non lieve entita’ del fatto, comunque da valutare nel contesto delle ulteriori circostanze e peculiarita’ del caso di specie, alla luce del prudente apprezzamento del giudice.
In tale senso e’ l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte espresso nella sentenza n. 35737/2010 (del 24/06/2010, RG. in proc. Rico, Rv. 247911), la’ dove, nel ribadire il principio gia’ affermato a composizione allargata (v. Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv. 216668) – secondo il quale l’ipotesi in parola “puo’ essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensivita’ penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalita’, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio” -, ha nondimeno osservato come la questione circa l’applicabilita’ o meno della norma in parola “non possa essere risolta in astratto, stabilendo incompatibilita’ in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per caso, con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e concrete circostanze”.
2.2. Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto secondo il quale, in tema di stupefacenti, ai fini dell’accertamento del fatto di lieve entita’, il giudice e’ tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), senza preclusioni derivanti dalla eterogeneita’ delle sostanze o dalle modalita’ organizzate dell’agire, potendosi ravvisare l’ipotesi del fatto lieve soltanto qualora detti elementi siano dimostrativi di una contenuta potenzialita’ offensiva della condotta (Sez. 6, n. 29132 del 09/05/2017, Merli, Rv. 270562).
2.3. Di tali condivisibili principi ha fatto corretta applicazione il Collegio del gravame nella decisione in verifica, la’ dove ha congruamente argomentato la ritenuta insussistenza dei presupposti dell’articolo 73, comma 5, valorizzando la circostanza che la condotta aveva ad oggetto 100 grammi di droga “pesante” del tipo cocaina, con un elevato principio attivo, da cui erano ricavabili 190 dosi commerciali.
Non e’ invero revocabile in dubbio che il dato quali-quantitativo dello stupefacente detenuto dal (OMISSIS) costituisca un elemento di per se’ sintomatico di un’offesa non modesta al bene giuridico protetto dalla norma connesso al rischio di diffusivita’ delle sostanze stupefacenti; rischio obbiettivamente elevato a fronte del numero di dosi ricavabili dalla droga in possesso del ricorrente.
3. Coglie, invece, nel segno la censura formulata nel secondo motivo di ricorso laddove denuncia il vizio di motivazione in punto di omessa verifica dei presupposti e delle connotazioni di concretezza della pericolosita’ sociale dell’imputato legittimante l’applicazione della misura di sicurezza.
3.1. Ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero ex cit. D.P.R., articolo 86 e’ necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita’ sociale del condannato, in conformita’ all’articolo 8 CEDU in relazione all’articolo 117 Cost., ma anche l’esame comparativo della condizione familiare dell’imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare (Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017 Rv. 271257).
3.2. La motivazione della sentenza impugnata appare, sul punto, contraddittoria poiche’, pur valorizzando la circostanza che (OMISSIS) e’ incensurato, soggiorna in Italia da lungo tempo e ha un reddito lecito, dispone la applicazione della misura di sicurezza unicamente in considerazione del dato qualitativo e quantitativo della sostanza stupefacente rinvenuta nella disponibilita’ dell’imputato senza dare conto delle ragioni per cui lo stesso debba ritenersi prevalente sugli altri sopra indicati.
Cosi’ facendo la Corte territoriale incorre nel vizio denunciato, non avendo proceduto ad una valutazione in concreto della pericolosita’ sociale dell’imputato, come imposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 58 del 24.2.1995.
La Corte, inoltre, non prendendo in considerazione la condizione familiare del ricorrente, non si e’ conformata al principio di diritto piu’ volte espresso da questa Corte di legittimita’ secondo il quale la misura di sicurezza deve soggiacere ad un giudizio di compatibilita’ con i principi stabiliti dall’articolo 8 CEDU, secondo cui l’espulsione – pur essendo espressione del potere di sovranita’ dello Stato – non deve comunque provocare ingiustificate ingerenze nella vita privata e familiare perche’ la particolare forza di resistenza, rispetto alla normativa ordinaria successiva, della regola di cui all’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, tende a premunire l’individuo contro ingerenze arbitrarie da parte dei pubblici poteri (vedasi Sez. 3, n. 30493 del 24/06/2015, Taulla, Rv 264804) che impone vada accertata intanto la pericolosita’ sociale dello straniero condannato alla stregua degli indici menzionati dall’articolo 133 c.p. e poi che debba essere compiuta una valutazione di compatibilita’ con i principi stabiliti dall’articolo 8 CEDU (vedasi Sez. 4 n. 50379 del 25/11/2014, Xhaferri, Rv. 261378, che, ribadito il principio che vada operato in tal caso un esame comparativo della condizione familiare dell’imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare).
3.3. La sentenza deve, quindi, essere annullata, sul punto, perche’ la Corte di appello di Bologna proceda, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato di (OMISSIS), ad una valutazione in concreto della pericolosita’ sociale dello stesso, alla stregua dei criteri sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta espulsione dallo Stato del ricorrente a pena espiata e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.
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