Corte di Cassazione, penale, Sentenza|26 luglio 2021| n. 29187.
Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, attuata mediante conferimento delle attività produttive economicamente più rilevanti, qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, alla luce della effettiva situazione debitoria della società scissa, rechi consapevole danno al patrimonio aziendale ed alla capacità di soddisfare le ragioni del ceto creditorio nella prospettiva della procedura concorsuale. (Fattispecie in cui la società dichiarata fallita, in stato di pregressa insolvenza, in attuazione di un programma di ristrutturazione aziendale, realizzava plurime operazioni di parziale scissione proporzionale con costituzione di due nuove società, alle quali venivano attribuiti i rami d’azienda relativi alle principali produzioni e parte del patrimonio immobiliare sociale, in assenza di corrispettivo o trasferimento di posizioni debitorie).
Sentenza|26 luglio 2021| n. 29187. Bancarotta fraudolenta per distrazione e la scissione di una società
Data udienza 27 maggio 2021
Integrale
Tag – parola: Misure cautelari – Reati di bancarotta – Sequestro preventivo – Conferma in sede di riesame – Scissione e cessione – Operazioni senza accollo – Limiti realizzabilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTEMBRE Antonio – Presidente
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., LEGALE RAPPRESENTANTE (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/01/2021 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;
lette/sentite le conclusioni del PG VINCENZO SENATORE;
udito il difensore.
Bancarotta fraudolenta per distrazione e la scissione di una società
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Roma – sezione speciale riesame – ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 14 dicembre 2020 a carico della (OMISSIS) s.r.l..
Premette il Tribunale che in data 8/2/2018 e’ stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, promosso da (OMISSIS) s.p.a., nei cui confronti la societa’ era esposta per un debito di oltre 2.700.000 Euro, maturato a partire dall’anno 2004. Nell’ambito delle indagini susseguenti e’ stato accertato che nell’anno 2008 la societa’ aveva proceduto, nell’ottica di una riorganizzazione aziendale, allo scorporo delle tre aree di business a cui era dedita (aventi ad oggetto, rispettivamente, l’attivita’ di noleggio di rimesse di pullmann; l’attivita’ di trasporto nazionale ed internazionale di viaggiatori su strada per conto terzi; l’attivita’ di noleggio di imbarcazioni e natanti), attuata mediante scissione parziale proporzionale e costituzione di due nuove societa’: la (OMISSIS) s.r.l., a cui venne conferito il ramo di azienda relativo al trasporto e noleggio di imbarcazioni e natanti (quindi, tutti i contratti di rete trasporto pubblico e trasporto personale gia’ sottoscritti dalla fallita, tutti gli autobus (OMISSIS), il personale e le attrezzature), e la (OMISSIS) s.r.l., a cui venne conferita la piena proprieta’ dell’immobile sito in (OMISSIS). L’operazione ebbe, secondo il Giudice per le indagini preliminari ed il Tribunale, effetti distrattivi, perche’, in entrambi i casi, non vennero trasferiti alle societa’ beneficiarie i debiti gravanti sui rami d’azienda ceduti (debiti che rimasero, pertanto, in capo alla (OMISSIS) s.r.l.) e perche’ le quote delle societa’ beneficiarie vennero attribuite agli stessi soci della (OMISSIS) s.r.l. ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), proporzionalmente alle quote di partecipazione nella societa’ scissa. E che fosse questo l’intento perseguito dagli artefici dell’operazione sarebbe dimostrato anche dal fatto che, con successivo contratto del 26/3/2010, (OMISSIS), agendo nella duplice veste di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l., dismise anche l’ultimo ramo d’azienda della fallita che non era stato investito dalla scissione (quello avente ad oggetto l’attivita’ di noleggio da rimessa di pullmann con o senza conducenti), trasferendolo alla (OMISSIS) srl al prezzo di Euro 105.000, largamente inadeguato e mai corrisposto, ne’ richiesto ancora alla data del fallimento. La societa’ venne poi posta in liquidazione il 7 giugno 2010.
Il Tribunale, richiamando la motivazione del primo giudice, ha disatteso le doglianza difensive – incentrate sulla mancanza del fumus commissi delicti e dell’eventus damni – sulla base della relazione del curatore fallimentare, il quale avrebbe accertato che l’operazione di scissione (contestata al capo D) e la cessione del 26/3/2010 (contestata al capo E) privarono la (OMISSIS) srl dei beni necessari a garantire l’adempimento delle obbligazioni che ad essa facevano capo, ammontanti, alla data del fallimento, ad Euro 3.519.325 (tale l’entita’ dello stato passivo).
Bancarotta fraudolenta per distrazione e la scissione di una società
2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione solamente la (OMISSIS) SRL.
2.1. Con il primo motivo si deduce la nullita’ dell’ordinanza emessa dal tribunale del riesame per omessa motivazione circa il tipo di sequestro disposto e conseguente compromissione del diritto di difesa, nonche’ del diritto di proprieta’ del ricorrente.
Si era in particolare osservato – nella richiesta di riesame – che dalla lettura del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari non era dato comprendere se l’imposizione del vincolo reale sui rami di azienda fosse stato disposto ai sensi dell’articolo 321, comma 1, c.p.p., trattandosi di cosa pertinente al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, la cui libera disponibilita’ in capo al ricorrente sarebbe in grado di aggravare o di protrarre le conseguenze del reato (come sembrerebbe evincersi dalla pur stringata motivazione del provvedimento), ovvero ai sensi dell’articolo 321, comma 2, trattandosi, di beni di cui e’ consentita la confisca (in questo senso sembrerebbe deporre il riferimento nella motivazione ai rami di azienda come profitto del reato). Ebbene, a fronte di tale deduzione, il provvedimento impugnato omette qualsiasi risposta al quesito sottoposto, limitandosi ad affermare che gia’ la lettura del provvedimento impugnato, ampiamente motivato, da’ ragione di molte delle eccezioni sollevate dalla difesa.
Tale risposta sarebbe stata vieppiu’ necessaria tenuto conto che di recente questa Corte, sezione quinta, con ordinanza del 8 Marzo 2021, ha rimesso alle Sezioni Unite proprio siffatta questione (segnatamente, se il provvedimento di sequestro preventivo di beni finalizzato alla confisca facoltativa richieda la motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del periculum in mora). Da qui l’importanza del corretto inquadramento giuridico del sequestro in questione al fine di consentire l’esercizio pieno del diritto di difesa da parte del soggetto cui i beni sono stati sottratti e la evidenza della rilevanza dell’omissione motivazionale in cui e’ incorso il tribunale.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullita’ dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e omessa motivazione in ordine alla dedotta insussistenza del profitto sequestrabile.
In relazione al sequestro dei rami di azienda riferibili alla odierna ricorrente il giudice della misura ha ritenuto che essi costituiscano profitto illecito, inteso come vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione del fatto di reato, pertanto sottoponibile a vincolo reale, in quanto oggetto di operazioni societarie rese proprio al fine di precludere all’erario la possibilita’ di soddisfacimento. Cio’ in quanto il fallimento della (OMISSIS) SRL e’ avvenuto essenzialmente a causa dell’esorbitante esposizione debitoria maturata nei confronti del fisco, unico creditore, la cui garanzia patrimoniale sarebbe stata pregiudicata dalle operazioni in contestazione, con conseguente possibilita’ (rectius, doverosita’) da parte dello Stato di procedere all’apprensione diretta delle res oggetto di scissione e cessione.
In sede di giudizio di riesame il ricorrente aveva evidenziato che in verita’ nel caso di specie non vi era stato alcun pregiudizio alla garanzia patrimoniale del fisco: le operazioni contestate, invero, erano avvenute in perfetto equilibrio finanziario poiche’ con esse l’odierna ricorrente (OMISSIS) SRL si era accollata tutti i debiti della fallita, compresi quelli tributari. Questi ultimi, tra l’altro, ope legis: secondo consolidato orientamento della Corte di Cassazione civile, infatti, per i debiti tributari della societa’ scissa anteriori alla scissione risponderebbero solidalmente ed illimitatamente le societa’ beneficiarie indipendentemente dalla quota di patrimonio trasferito.
Le operazioni contestate, dunque, non hanno recato alcun profitto alla beneficiaria (OMISSIS) SRL; al contrario hanno accollato alla new.co un debito tributario in responsabilita’ solidale, ragion per cui Equitalia avrebbe potuto in qualsiasi momento azionare il proprio credito sia nei confronti della fallita che dell’odierna ricorrente. La decisione del fisco di non azionare il proprio credito non poteva, e non puo’ oggi, ricadere sulla (OMISSIS) con conseguente vincolo reale sui propri beni. Sul punto, il tribunale del riesame non affronta affatto la questione, limitandosi ad asserire ancora una volta in maniera del tutto apodittica e generica che l’esistenza di un meccanismo legale di tutela alternativo dei creditori della societa’ fallita non esclude la configurabilita’ della bancarotta.
Bancarotta fraudolenta per distrazione e la scissione di una società
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato.
1. Il primo motivo di ricorso e’ generico e non risulta – dalla incontestata sintesi dei motivi di riesame – gia’ proposto nell’impugnazione dinanzi al giudice di merito. Peraltro, il ricorrente si limita, in maniera del tutto generica, a rilevare di avere, nel giudizio di riesame, evidenziato la mancanza di specificita’ del provvedimento cautelare in punto di indicazione della ragione giustificatrice del sequestro – se quella impeditiva o per finalita’ di confisca facoltativa – e a lamentare di non avere ricevuto alcuna risposta al riguardo dal tribunale; ma nell’esporre il motivo, ammette egli stesso, sia pure tra le righe, che nel provvedimento di sequestro vi sono passaggi motivazionali in cui si fa riferimento all’uno e all’altro profilo cautelare, e, cio’ nonostante, non deduce alcunche’ ne’ in ordine al periculum ne’ in ordine alla confiscabilita’ dei beni (salvo fare riferimento all’ordinanza di questa Corte con cui, di recente, e’ stato rimesso alle Sezioni Unite il quesito circa la necessita’ della motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora in caso di confisca facoltativa).
In ogni caso, cio’ che il ricorrente contesta confligge col chiaro contenuto del provvedimento cautelare impugnato, che non consente dubbi sulle finalita’ impeditive e di confisca del disposto sequestro, atteso che nel provvedimento viene anche specificato quale sia il profitto confiscabile in relazione a ciascuna delle distrazioni contestaste e vengono, per altro verso, indicate le ragioni che inducono a ritenere che la libera disponibilita’ dei beni possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato; con la conseguenza che la doglianza (eventualmente) mossa nel giudizio di riesame – in punto di mancanza di specificita’ del provvedimento di sequestro – era, in ogni caso, manifestamente infondata.
2. Col secondo motivo e’ contestata, radicalmente, l’esistenza stessa del reato di bancarotta patrimoniale, atteso che viene confutata l’esistenza di un danno per i creditori quale conseguenza delle operazioni sopra descritte. Tanto perche’, sostiene la ricorrente, le operazioni di cui ai capi D) ed E) “erano avvenute in perfetto equilibrio finanziario”, essendosi la (OMISSIS) s.r.l. accollati tutti i debiti della fallita. Quindi, non sussisterebbe ne’ il fumus commissi delicti ne’ il periculum in mora ne’ l’eventus damni.
Il ragionamento svolto dalla ricorrente poggia su dati assertivi ed e’, per il resto, profondamente sbagliato.
Bancarotta fraudolenta per distrazione e la scissione di una società
2.1. Occorre in primo luogo sottolineare che nessun argomento e’ stato speso per confutare l’ipotesi accusatoria formulata al capo E), laddove si contesta agli amministratori della (OMISSIS) s.r.l. di avere, in data 26/3/2010, spogliato la societa’ suddetta dei beni scampati alla scissione, cedendoli, senza alcuna contropartita, alla (OMISSIS) s.r.l. (il riferimento e’ all’attivita’ di noleggio da rimessa di pullmann e alle dotazioni strumentali). Cio’ che la ricorrente sostiene, pur errando, in ordine alla scissione, non tocca l’autonomo contratto di compravendita, stipulato due anni dopo ed avente, come effetto, quello di trasferire ad altra societa’ i residui beni della fallita, che non sono stati mai pagati. In relazione a detta ipotesi delittuosa si e’ formato, pertanto, preclusione cautelare che giustifica, gia’ da solo, il provvedimento impugnato.
2.2. Quanto alla scissione, l’ordinanza impugnata – e, prima ancora, il decreto del Giudice per le indagini preliminari – danno atto che la scissione a favore di (OMISSIS) s.r.l. avvenne senza accollo dei debiti da parte della beneficiaria, nemmeno di quelli inerenti al ramo d’azienda ceduto. Inutilmente, pertanto, la ricorrente insiste nella diversa prospettazione esposta nel ricorso, dal momento che i giudici di merito hanno accertato il contrario e non e’ dimostrato, ne’ dedotto, il travisamento della prova. In realta’, la ricorrente ricollega il trasferimento dei debiti alla beneficiaria – in regime di solidarieta’ con la societa’ scissa – alla previsione del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 173, comma 13, secondo cui le societa’ beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito erariale sorto anteriormente alla scissione. La ricorrente richiama, infatti, la conforme e incontestata giurisprudenza civile, con la quale e’ stato affermato che per i debiti tributari della societa’ scissa anteriori alla scissione rispondono solidalmente e illimitatamente le societa’ beneficiarie, indipendentemente dalla quota di patrimonio trasferita (ex multis, cass. civ., n. 23342 del 16/11/2016).
2.2. Prima ancora di esaminare, nelle specifico, le deduzioni della ricorrente occorre sviluppare alcune riflessioni in ordine all’iniziativa assunta – nel 2008 e nel 2010 – dagli amministratori della (OMISSIS) s.r.l. per far fronte – apparentemente – alla conclamata insolvenza dell’impresa. Non v’e’ dubbio che i soci di enti collettivi abbiano il diritto di procedere alla divisione del patrimonio sociale mediante costituzione di nuove societa’ e attribuzione alle stesse di tutto o parte del patrimonio dell’ente, al fine di realizzare interessi personali dei soci o dell’ente stesso. Tale operazione, che e’, in astratto, perfettamente lecita e puo’ essere sospinta dalle piu’ varie necessita’ (risolvere conflitti tra soci, ridefinire gli assetti societari, riorganizzare le attivita’ d’impresa, affrontare situazioni di crisi) deve fare i conti, pero’, con i vincoli posti dalla legge a protezione dei creditori e dei terzi che sono entrati in contatto con l’impresa, al fine di evitare che strumenti legali si trasformino in mezzi per deprimere i diritti dei terzi. Pertanto, se in condizioni ordinarie le operazioni di trasformazione societaria (scissione, scorporo, fusione, incorporazione) possono essere realizzate, esclusa pur sempre la fraudolenza, in completa autonomia, spettando ai creditori la facolta’ di accettare la trasformazioni od opporsi ad essa (articolo 2503 cod. chi., richiamato dall’articolo 2506-ter c.c.), tale possibilita’ subisce rilevanti condizionamenti nelle situazioni di crisi o di vera e propria insolvenza societaria, allorche’ i riassetti societari e i connessi movimenti del patrimonio sono idonei a incidere significativamente sulle garanzie dei creditori e sulla soddisfazione dei loro diritti. Anche nelle situazioni di crisi o di insolvenza, infatti, il patrimonio dell’imprenditore seppur insufficiente rispetto alle obbligazioni da soddisfare – rappresenta pur sempre la garanzia generica dei crediti e anche nelle situazioni di crisi si pone la necessita’ di assicurare il paritario concorso dei creditori sui beni del debitore, salvi i diritti di preferenza ad essi accordati. E’ questo il motivo per cui la legge fallimentare, trattando, in apposita sezione (sezione terza del capo terzo), “degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori”, contempla la revocabilita’ – in considerazione della loro offensivita’ – di una molteplicita’ di atti che incidono sui diritti dei creditori (o perche’ sottraggono loro dei beni, o perche’ alterano la par conditio creditorum) e sancisce la irrevocabilita’ di altri atti, se posti in essere alle condizioni stabilite dalla legge stessa: tra cui, oltre agli atti necessari allo svolgimento dell’attivita’ caratteristica, gli atti posti in essere in esecuzione di un “piano attestato di risanamento” (atto di un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili che appaia idoneo a consentire il risanamento della intera esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria), ovvero gli atti posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo (articolo 67, comma 2, lettera c) e d)). E sempre per lo stesso motivo la legge fallimentare consente alle imprese – al fine di favorire la loro uscita controllata dalla crisi – di stipulare con i creditori “accordi di ristrutturazione dei debiti”, sottoposti al vaglio dell’Autorita’ Giudiziaria, con cui viene contrattata, coi creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, una soluzione concordata dell’indebitamento, a condizione che l’accordo sia idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso (L. Fall., articolo 182 bis).
Bancarotta fraudolenta per distrazione e la scissione di una società
Da tali previsioni – certamente influenti sul giudizio di competenza del giudice penale, per il carattere unitario dell’ordinamento giuridico – si trae la conferma che l’impresa in crisi non ha piu’ l’ampia liberta’ riconosciutagli dallo statuto dell’impresa, ma, oltre a dover agire con prudenza aggiuntiva, deve, allorche’ determina spostamenti del proprio patrimonio, tenere conto del particolare contesto in cui si sviluppa la sua attivita’ e delle “opportunita’” offerte – ut suora – dall’ordinamento (opportunita’ che rappresentano altrettanti indici della direzione in cui – secondo il legislatore – e’ auspicabile si muova); e comunque astenersi da comportamenti aventi impatto negativo sui diritti dei creditori: o nel senso di diminuire la garanzia per loro rappresentata dal patrimonio dell’impresa, o nel senso di attuare politiche discriminatorie tra coloro che hanno aspettative su quel patrimonio. Numerose pronunce di questa Corte hanno di conseguenza ravvisato la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione nella scissione di una societa’, successivamente dichiarata fallita, qualora tale operazione, in se’ astrattamente lecita, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la societa’ al momento della scissione, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo le tutele previste dagli articoli 2506 e seg. c.c. di per se’ idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie (cass., n. 27930 del 1/7/2020; sez. 5, n. 20370 del 10/4/2015; sez. 5. N. 13522 del 21/1/2015).
Tali pronunce hanno messo in chiaro che la bancarotta fraudolenta (nelle forme della distrazione o della dissipazione, ovvero nella determinazione dolosa del dissesto) non consiste soltanto – com’e’ ovvio – nella dismissione di beni senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale (in questo senso, specificamente, Cass., n. 17965 del 22/1/2913), ma e’ integrata pure da attivita’ e comportamenti che, sebbene corrispondenti all’esercizio di facolta’ legittime riconosciute dall’ordinamento all’imprenditore, tuttavia rechino consapevolmente danno all’impresa, in quanto la liceita’ di ogni operazione dipende dai suoi riflessi sul patrimonio dell’imprenditore, sulla “salute” dell’impresa e sulla capacita’ dei beni aziendali di soddisfare le ragioni del ceto creditorio.
2.3. Nella specie, nessuna incongruenza o illogicita’ e’ ravvisabile nella motivazione dell’ordinanza impugnata, che ha ravvisato profili di illiceita’ nella scissione della (OMISSIS) s.r.l., attuata col trasferire a due societa’ di nuova costituzione le principali attivita’ d’impresa, senza trasferire alle stesse i relativi debiti, rimasti integralmente a carico della societa’ scissa. Va rilevato, innanzitutto, che – contrariamente all’assunto della ricorrente – la societa’ fallita non era gravata solo dall’ingente debito tributario, per oltre 2.700.000, ma anche da altri debiti, tant’e’ che lo stato passivo, formato in sede fallimentare, ha raggiunto la cifra di Euro 3.519.325. Il che vuol dire che la (OMISSIS) s.r.l. era gravata di “altri debiti”, per circa 800.000 Euro, rispetto ai quali non opera la previsione dell’articolo 173 cit. e rispetto ai quali le societa’ beneficiarie hanno assunto responsabilita’ solidale “nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad esse assegnato” (articolo 2506 quater c.c.).
A tanto conseguono plurime conseguenze negative per i creditori della (OMISSIS) s.r.l.. Essi, per agire nei confronti delle societa’ beneficiarie devono – per far valere i loro crediti di natura non tributaria – in primo luogo escutere la societa’ scissa, non essendo stato trasferito alle beneficiarie nessuno dei debiti della prima (la responsabilita’ delle beneficiarie e’, in questo caso, sussidiaria per entrambe, dal momento che obbligata principale e’ rimasta la (OMISSIS) s.r.l.); devono munirsi di apposito titolo nei confronti delle beneficiarie, che accerti la misura dell’obbligo insorto a carico di queste ultime per effetto della scissione; devono agire nei confronti di piu’ coobbligati, laddove, come presumibile, non sia capiente il patrimonio netto trasferito ad ognuna delle due beneficiarie (fermo restando che devono agire, previamente, nei confronti della (OMISSIS) s.r.l.). Da cio’ si arguisce che, con la scissione di cui si discute, la posizione dei creditori della (OMISSIS) s.r.l. ha subito – giusto il rilievo del Tribunale – un mutamento nettamente peggiorativo. Altre conseguenze negative si sono determinate, poi, per la totalita’ del ceto creditorio, atteso che una parte rilevante dei beni della (OMISSIS) s.r.l. e’ stata posta al servizio di una diversa realta’ imprenditoriale, senza che vi sia stato un corrispondente alleggerimento della sua posizione debitoria; inoltre, la (OMISSIS) s.r.l. ha perso il controllo sulla destinazione dei beni attribuiti alle beneficiarie, esponendosi al rischio, nient’affatto teorico, che i beni trasferiti – su cui, seppur in via sussidiaria, avrebbero potuto rivalersi i suoi creditori – siano destinati ad altre finalita’, oltre a subire, in prospettiva, la concorrenza dei creditori delle beneficiarie. Ne’ e’ senza rilievo, per giudicare della liceita’ della scissione, il fatto – rimarcato da entrambi i giudici di merito – che, poco dopo l’operazione del 2008, anche la parte dei beni rimasta nella disponibilita’ della fallita fu trasferita, senza corrispettivo, ad una delle beneficiarie (la (OMISSIS) s.r.l.). In maniera del tutto logica, sotto il profilo del fumus, e’ stato quindi desunto che lo scopo vero della trasformazione in parola (la scissione, appunto) non fu quello di dar corso ad una riorganizzazione societaria, in vista di un proficuo proseguimento dell’attivita’ d’impresa, ma di lasciare ai creditori una scatola vuota, del tutto inservibile in funzione degli scopi cui e’, per legge, destinato il patrimonio dell’impresa.
Consegue a tanto l’infondatezza del ricorso e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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