Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 aprile 2024| n. 9679.
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
L’azione esperibile, ex art. 1398 c.c., dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto, contro il rappresentante senza poteri della controparte, al fine di essere risarcito del danno sofferto (spese erogate, dispendio di attività, perdita di altri affari, ecc.), non coincide con quella eventualmente proponibile dal medesimo, indipendentemente dal suo atteggiamento psicologico nella conclusione del contratto, per il recupero di beni o somme che il falsus procurator o altri abbiano acquisito senza titolo, in forza del negozio inefficace; ne deriva che l’esperimento di una di tali azioni non è di ostacolo alla proposizione dell’altra.
Ordinanza|10 aprile 2024| n. 9679. L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
Data udienza 27 marzo 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti in genere – Rappresentanza – Contratto concluso dal falso rappresentante (rappresentanza senza poteri) – Risarcimento del danno azione del contraente in buona fede – Azione dello stesso per il recupero di beni o somme acquisiti in forza del negozio inefficace – Compatibilità.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere-Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9306/2019) proposto da:
To.Ma. (C.F.: Omissis), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. Va. Ol. Ra., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’Avv. Pa. Ge.;
– ricorrente –
contro
Vi.To. (C.F.: Omissis);
– intimato –
avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 14/2019, pubblicata in data 8 gennaio 2019, notificata a mezzo PEC in data 10 gennaio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2024 dal Consigliere relatore Trapuzzano Cesare;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto di citazione notificato il 29 novembre 2015, Vi.To. conveniva, davanti al Giudice di Pace di Andria, To.Ma. al fine di sentire pronunciare la risoluzione del contratto di vendita di piante di ulivo concluso il 21 novembre 2011, con la conseguente condanna del convenuto alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di Euro 3.200,00, oltre interessi dalla costituzione in mora del 12 settembre 2012 sino al soddisfo.
Al riguardo, l’attore esponeva: – che, con il suddetto contratto, aveva acquistato dal To.Ma., a ciò autorizzato dalla (…) Srl, 150 piante di ulivo insistenti sul fondo rustico sito in B, contrada “Ch.”, di proprietà della predetta società; – che aveva corrisposto al To.Ma. il prezzo convenuto di Euro 3.200,00, senza aver ricevuto le piante, in quanto estirpate e cedute dal To.Ma. a terzi; – che vani erano stati i tentativi di ottenere la restituzione della somma versata.
To.Ma. non si costituiva in causa ed era dichiarato contumace.
Nel corso del giudizio era notificata l’ordinanza ammissiva della prova per interpello al convenuto contumace, il quale non compariva in udienza per rendere l’interrogatorio formale deferitogli, ed era assunta la prova testimoniale chiesta dall’attore.
Quindi, il Giudice di Pace adito, con sentenza n. 217/2016, depositata il 25 giugno 2016, notificata il 25 luglio 2016, dichiarava To.Ma. inadempiente agli obblighi assunti nei confronti di Vi.To. con il contratto del 21 novembre 2011 e, per l’effetto, lo condannava al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 3.200,00, oltre interessi legali dal 12 settembre 2012 al soddisfo.
2. – Con atto di citazione notificato il 23 settembre 2016, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado To.Ma., il quale eccepiva il proprio difetto di titolarità passiva del rapporto sostanziale sotteso alla vertenza giudiziaria intrapresa, in quanto aveva agito come rappresentante del proprietario del fondo (…) Srl, avendo ricevuto da essa, come da espressi riferimenti contenuti nel contratto, la delega ed autorizzazione a curare e compiere tutte le operazioni propedeutiche necessarie a perfezionare la vendita delle piante di ulivo, sicché unica legittimata passiva alla ripetizione sarebbe stata la (…)
Si costituiva nel giudizio di impugnazione Vi.To., il quale chiedeva che l’appello fosse disatteso, posto che il To.Ma. non aveva alcuna delega per la vendita delle suddette piante, come da raccomandata a.r. del 2 marzo 2015, in cui la (…) aveva negato di aver dato alcun potere di rappresentanza al To.Ma. per la vendita delle piante.
Decidendo sul gravame interposto, il Tribunale di Trani, con la sentenza di cui in epigrafe, respingeva l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia il Tribunale rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che nel giudizio d’appello non vi era stata alcuna mutatio libelli, né l’appellato avrebbe dovuto spiegare appello incidentale per chiedere la conferma della sentenza impugnata; b) che nel giudizio di primo grado erano stati dimostrati il pagamento della somma dovuta a titolo di prezzo per la cessione delle piante e la mancata consegna delle piante; c) che sarebbe stato onere dell’appellante, a fronte della sollevata eccezione, relativa al difetto di titolarità passiva, dimostrare l’effettiva esistenza del mandato con rappresentanza conferito dalla (…); d) che tale prova non poteva essere desunta dal contratto di vendita stipulato il 21 novembre 2011, in quanto intervenuto tra il Vi.To. e il To.Ma.; e) che, peraltro, con raccomandata a.r., il legale rappresentante della (…) aveva negato il conferimento di poteri rappresentativi al To.Ma., rilevando l’estraneità della società alla vicenda contrattuale, né l’acquirente aveva l’onere di richiedere la giustificazione dei poteri rappresentativi al To.Ma. – attraverso la consegna di copia della procura -, poiché l’atto traslativo aveva ad oggetto beni mobili, per cui non era richiesta la forma scritta ad substantiam; f) che, in assenza di potere rappresentativo, il contratto di vendita era inefficace nei confronti della (…), la quale non aveva inteso ratificare l’operato del falsus procurator, mentre era esigibile la pretesa di restituzione verso il To.Ma.; g) che l’avvenuto pagamento della somma concordata a titolo di prezzo di Euro 3.200,00 era stata provata in via documentale e attraverso le prove testimoniali raccolte, oltre che all’esito dell’ingiustificata mancata comparizione del To.Ma. ai fini di rendere l’interrogatorio formale deferitogli; h) che sussisteva la colpa grave dell’appellante, tenuto conto della manifesta infondatezza delle contestazioni sollevate nonché la loro assoluta genericità, oltre che l’assenza di qualsivoglia volontà conciliativa, ai fini della sua condanna al pagamento di una somma equitativamente
determinata, pari al doppio di quella liquidata a titolo di spese giudiziali.
3. – Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, To.Ma.
È rimasto intimato Vi.TO.
4. – Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che, a fronte dell’eccezione di carenza di totalità passiva del rapporto sollevata dall’appellante, avrebbe dovuto essere il To.Ma. a dimostrare il conferimento di un regolare mandato da parte della (…), benché la contemplatio domini fosse prevista proprio nel contratto di vendita del 21 novembre 2011, posto a fondamento della spiegata domanda di ripetizione.
Obietta, ancora, l’istante che il contratto di vendita non avrebbe potuto ritenersi valido ed efficace nei confronti del falsus procurator, contro cui si sarebbe potuta spiegare esclusivamente un’azione di responsabilità extracontrattuale.
2. – Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per avere il giudice d’appello confermato la pronuncia impugnata sulla scorta dell’adesione alla diversa e inammissibile causa petendi dedotta solo in sede di gravame, ossia con riferimento alla responsabilità extracontrattuale del falsus procurator, mentre in primo grado la richiesta di restituzione della somma rivendicata era conseguente alla pronuncia di risoluzione del contratto di vendita.
Osserva l’istante che tale mutamento sarebbe stato fondato altresì sulla inammissibile utilizzazione della lettera raccomandata a.r. del 2 marzo 2015, prodotta dall’appellato solo con l’atto di costituzione nel giudizio di gravame, benché il documento fosse nella disponibilità della parte sin da epoca precedente all’introduzione del giudizio di primo grado e nonostante la debita eccezione all’uopo sollevata, sulla quale il giudice non si era pronunciato.
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
3. – Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112 e 132 c.p.c., per avere il Tribunale sostenuto che l’eccezione in ordine all’illegittimo mutamento della causa petendi fosse eccezione nuova, non formulabile in appello, e per non aver provveduto sulla contestazione della tardività del documento prodotto solo in sede di gravame.
4. – Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere il giudice del gravame omesso ogni pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della produzione della raccomandata a.r. del 2 marzo 2015, depositata dall’appellato solo con la comparsa di costituzione nel giudizio di impugnazione e posta a base della diversa causa petendi introdotta nel giudizio di secondo grado.
E ciò in considerazione della circostanza che lo stralcio di detto documento avrebbe reso incontrovertibile la denunziata estraneità del To.Ma. al contratto indicato da controparte a sostegno delle sue pretese.
4.1. – I suddetti quattro mezzi di critica – che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione, sia in senso giuridico, sia in senso logico – sono infondati.
E questo sebbene la contestazione della titolarità passiva del rapporto sostanziale, sotteso all’avanzata domanda di ripetizione dell’indebito, fosse stata debitamente proposta dall’appellante con l’atto introduttivo del gravame, come debitamente sostenuto dal Tribunale in sede di impugnazione.
Infatti, le contestazioni (con l’atto introduttivo dell’appello), da parte del convenuto contumace (in primo grado), della titolarità del rapporto controverso, come dedotta dall’attore (in primo grado), hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 23721 del 01/09/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3765 del 12/02/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 30545 del 20/12/2017; Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016).
Senonché l’acquirente ha agito, sin dal primo grado di giudizio, nei confronti del suo contraente, in forza del contratto di vendita di piante di ulivo del 21 novembre 2011, per rivendicare la restituzione del prezzo corrisposto in favore di To.Ma., nella misura di Euro 3.200,00, sul presupposto che tale contraente fosse l’unico legittimato passivo ad effettuare la ripetizione, benché – come risultante dal testo negoziale – questi avesse agito quale delegato e autorizzato a curare e compiere tutte le operazioni propedeutiche e necessarie a perfezionare la vendita di piante ricadenti nel terreno sito in B, località “Ch.”, di proprietà della (…) Srl
Ne consegue che, per effetto della contestazione della titolarità passiva del rapporto a cura dell’appellante, nessun mutamento della domanda si è perfezionato, allorché l’appellato ha richiesto che tale condanna fosse confermata, in difetto di alcun potere rappresentativo del To.Ma.
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
Argomento, questo, anch’esso pertinentemente rilevato dal Tribunale.
4.2. – Né è mutato il titolo della pretesa azionata, pur sempre riconducibile alla ripetizione dell’indebito oggettivo, conseguente all’inefficacia sopravvenuta del contratto di vendita per il dedotto inadempimento dell’alienante (quale condictio indebiti ob causam finitam e non già quale condictio indebiti sine causa).
Ed invero, l’acquirente ha agito in ripetizione contro la parte che figurava nel contratto come venditore.
E, quand’anche fosse emersa la qualità di rappresentante del contraente venditore con cui l’acquirente ha concluso il negozio di vendita (il che non è), a fronte dell’inesistenza di tale potere di rappresentanza, la restituzione non poteva che essere richiesta al falsus procurator.
È, infatti, principio consolidato in giurisprudenza che il soggetto che abbia agito quale rappresentante pur senza averne i poteri, ossia in difetto di potere, ovvero che abbia agito oltrepassando i limiti dei poteri conferiti, ossia in eccesso di potere, rientra nella figura del falsus procurator.
Il suo agire illegittimo, per un verso, determina l’inefficacia del contratto concluso con il terzo e, per altro verso, implica la responsabilità risarcitoria in favore del terzo medesimo.
In proposito, la responsabilità del falsus procurator nei confronti del terzo contraente incolpevole, espressamente disciplinata dall’art. 1398 c.c., ha natura extracontrattuale, per culpa in contrahendo, ed il suo fondamento non risiede nel negozio inefficace, ma nel comportamento contrario ai più generali doveri di correttezza e buona fede, connessi al divieto di neminem laedere (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15784 del 07/06/2021; Sez. 2, Sentenza n. 9071 del 15/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 18191 del 28/08/2007; Sez. 3, Sentenza n. 12969 del 29/09/2000; Sez. 3, Sentenza n. 11453 del 12/11/1998; Sez. 2, Sentenza n. 6488 del 16/07/1997; Sez. 3, Sentenza n. 2945 del 28/04/1986).
Nondimeno, a fronte dell’inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator, per mancanza del presupposto legale del potere di rappresentanza, allorquando il dominus abbia escluso ogni volontà di ratifica, la inidoneità del negozio a produrre effetti giuridici diviene definitiva e la prestazione, eseguita in virtù di tale negozio dal preteso acquirente, è soggetta a ripetizione nei confronti di chi nulla doveva ricevere.
In tal caso non si tratta d’indebito soggettivo ex art. 2036 c.c., che ricorre allorché, pur esistendo il vincolo, esso è a carico di un soggetto diverso da quello che ha eseguito il pagamento, ma d’indebito oggettivo, che si ha quando il pagamento venga eseguito con l’animus di adempiere ad una obbligazione laddove non esista in radice vincolo o, pur esistendo, esso non sia esente da eccezioni o riserve che possono paralizzarne l’efficacia (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3178 del 09/10/1958).
Sicché l’azione che un contraente, il quale abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto, può esperire contro il rappresentante senza poteri della controparte, a norma dell’art. 1398 c.c., al fine di essere risarcito del danno sofferto (spese erogate, dispendio di attività, perdita di altri affari, ecc.), non coincide con l’azione che il medesimo contraente può eventualmente proporre, indipendentemente dal suo atteggiamento psicologico nella conclusione del contratto, per il recupero di beni o somme che il falsus procurator od altri abbiano senza titolo acquisito, in forza del negozio inefficace (nella specie, delle somme versate a titolo di prezzo di acquisto delle piante di ulivo). E l’esperimento dell’una delle indicate azioni non è di ostacolo alla proposizione dell’altra (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5371 del 18/06/1987; Sez. 1, Sentenza n. 3376 del 12/10/1976).
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
Nella fattispecie, non è stata fatta valere una responsabilità a titolo risarcitorio del rappresentante senza potere, bensì una responsabilità conseguente alla conclusione del contratto e all’acquisizione, nel patrimonio del venditore, della somma concordata a titolo di prezzo della vendita.
4.3. – A tale effetto, non ha avuto un peso decisivo il documento prodotto dall’appellato nel giudizio d’appello, all’esito della contestazione della titolarità passiva formulata dal To.Ma. con l’atto di gravame (ossia la raccomandata a.r. del 2 marzo 2015, con la quale la (…) comunicava la propria estraneità alla vendita, per non aver conferito alcun potere rappresentativo a To.Ma. in ordine alla cessione delle piante di ulivo presenti nel proprio fondo).
E tanto perché il richiamo a tale documento è avvenuto, da parte del Tribunale, solo in via rafforzativa dell’assunto secondo cui sarebbe stato onere dell’appellante dimostrare l’effettiva esistenza del potere rappresentativo, carenza che nella fattispecie avrebbe precluso l’accoglimento della “eccezione” in ordine al difetto di legittimazione passiva sulla domanda di ripetizione dell’indebito oggettivo.
Ebbene, poiché il terzo contraente, sin dall’origine del giudizio, ha preteso di addossare alla propria controparte gli effetti del negozio con questi concluso, ne discende che, all’esito della contestazione – a cura dell’asserito rappresentante – della tenutezza a provvedere alla ripetizione, proprio in ragione dei poteri rappresentativi di cui questi avrebbe goduto, avendo in tesi agito spendendo il nome del rappresentato, sarebbe stato onere dello stesso asserito rappresentante fornire la prova dell’avvenuto conferimento di detti poteri, in applicazione del principio sulla distribuzione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. (oltre che dei corollari di vicinitas della prova e negativa non sunt probanda).
Questo perché, nella fattispecie, la sussistenza del potere di rappresentanza, ai fini di inibire la pretesa restitutoria, ha assunto il ruolo di fatto impeditivo della pretesa medesima.
Per contro, nell’ipotesi inversa in cui il terzo agisca contro il rappresentato e quest’ultimo contesti l’esistenza dei poteri rappresentativi in capo a colui che ha agito, per suo conto e in suo nome, l’onere della prova circa l’esistenza dei poteri in questione incombe sul terzo contraente che pretenda di addossare sul rappresentato gli effetti del contratto concluso a suo nome, quale fatto costitutivo della pretesa azionata (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 15454 del 21/07/2020; Sez. 3, Sentenza n. 6689 del 17/12/1981; Sez. 2, Sentenza n. 1660 del 12/03/1980; Sez. 3, Sentenza n. 3961 del 24/08/1978; Sez. L, Sentenza n. 3788 del 29/07/1978; Sez. 3, Sentenza n. 4460 del 25/11/1976; Sez. 3, Sentenza n. 372 del 08/02/1974; Sez. 1, Sentenza n. 246 del 03/02/1971; Sez. 3, Sentenza n. 3598 del 26/10/1968; Sez. 3, Sentenza n. 13 del 07/01/1964; Sez. 3, Sentenza n. 2694 del 10/10/1963; Sez. 1, Sentenza n. 2868 del 20/12/1951).
Con la conseguenza che, avendo il terzo contestato la spendita del nome (contestazione posta a fondamento dell’esperimento dell’azione di ripetizione direttamente verso la propria controparte), l’onere della prova in giudizio della sua sussistenza (recte della ricorrenza della contemplatio domini) incombeva sulla parte che ha affermato di avere assunto la veste di rappresentante, indagine, questa, che – involgendo accertamenti di fatto – è devoluta al giudice di merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22616 del 10/09/2019; Sez. 1, Sentenza n. 7510 del 31/03/2011; Sez. 2, Sentenza n. 25247 del 29/11/2006; Sez. 2, Sentenza n. 16025 del 14/11/2002; Sez. 1, Sentenza n. 1253 del 16/06/1965; Sez. 3, Sentenza n. 1778 del 28/06/1963).
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
Nel caso in disputa, infatti, il terzo contraente ha accertato la realtà secondo i dettami della diligenza e delle comuni norme di prudenza e, per l’effetto, non fidandosi dell’apparenza dovuta solo all’abusivo comportamento dell’agente, qualificatosi peraltro quale mero “delegato” – e non già rappresentante – della (…), ha agito direttamente contro tale contraente, pretendendo la ripetizione dell’indebito.
Solo mediante la difesa formulata con l’atto introduttivo dell’appello la controparte ha prospettato di avere agito in nome e per conto della (…), senza dare la prova del conferimento del potere rappresentativo ai fini di confutare la carenza di rappresentanza su cui è stata imperniata l’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo.
D’altronde, come innanzi anticipato, il conferimento del potere rappresentativo non poteva reputarsi dimostrato in via presuntiva in ragione del tenore del contratto scritto, in cui vi era il richiamo alla mera delega, all’autorizzazione e all’interesse della società, ma non vi era alcun riferimento alla contemplatio domini, ossia alla spendita del nome della società (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 433 del 12/01/2007; Sez. 2, Sentenza n. 25247 del 29/11/2006; Sez. 3, Sentenza n. 8699 del 17/06/2002; Sez. 2, Sentenza n. 14530 del 08/11/2000; Sez. 1, Sentenza n. 10523 del 07/12/1994; Sez. L, Sentenza n. 8832 del 27/11/1987).
Ne discende che la stipulazione del contratto nell’interesse e per conto di un terzo avrebbe integrato al più un’ipotesi di mandato senza rappresentanza ex art. 1705, primo comma, c.c., per effetto del mero conferimento del potere gestorio (e con la realizzazione di una interposizione reale di persona), rispetto al quale la pretesa alla restituzione della somma versata, a cura dell’altro contraente, poteva essere esercitata solo verso il mandatario che ha ricevuto il pagamento del prezzo, stante che esclusivamente nei rapporti tra il solvens e l’accipiens dell’indebito pagamento (che ha materialmente incassato la somma corrisposta e che ne era l’effettivo destinatario) si può prospettare un problema di ripetizione di quanto pagato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18622 del 22/09/2015; Sez. 1, Sentenza n. 19208 del 30/09/2005).
Per l’effetto, in mancanza di alcuna dimostrazione dell’effettiva rappresentanza, l’azione di ripetizione di indebito oggettivo è stata correttamente accolta nei confronti del solo soggetto che ha ricevuto la somma che si assumeva essere non dovuta, quale passivamente legittimato, come si evince dalla formulazione letterale dell’art. 2033 c.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5268 del 28/02/2024; Sez. 2, Sentenza n. 4042 del 14/02/2024; Sez. 2, Sentenza n. 3596 del 08/02/2024; Sez. 1, Sentenza n. 25170 del 07/12/2016; Sez. 3, Sentenza n. 7871 del 06/04/2011; Sez. 3, Sentenza n. 13829 del 23/07/2004; Sez. 3, Sentenza n. 11073 del 15/07/2003).
In conseguenza, la produzione documentale avvenuta in sede di gravame – di cui è stata reclamata la tardività e inammissibilità -, non ha avuto un peso dirimente.
All’esito, la pronuncia impugnata non presenta alcun vizio giuridico, contrariamente all’assunto del ricorrente.
5. – Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 93-ter (recte 96, terzo comma) c.p.c., per avere il Tribunale disposto la condanna ulteriore al pagamento della somma di Euro 4.860,00, a titolo di risarcimento danni per l’instaurazione di un’impugnazione temeraria, su una causa di valore pari ad Euro 3.300,00 (recte Euro 3.200,00), pur non essendovi alcuna condotta processuale ascrivibile a dolo o colpa grave dell’appellante, ovvero una condotta negligente che avesse determinato un allungamento dei tempi del processo, essendosi l’appellante limitato a dedurre l’insussistenza della propria legittimazione passiva, mentre tale atteggiamento avrebbe piuttosto dovuto imputarsi alla controparte, che aveva prodotto in appello un documento inammissibile.
Né – ad avviso del ricorrente – vi sarebbe stata alcuna motivazione a sostegno della valutazione equitativa volta a quantificare la somma dovuta a titolo di responsabilità aggravata, sicché detta somma si sarebbe tradotta in una forma di ritorsione a carico dell’appellante per aver proposto appello e per non aver accolto la proposta conciliativa espressa dal giudice.
6. – Con il sesto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per avere il Tribunale disposto la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 93-ter (recte 96, terzo comma) c.p.c., senza alcuna motivazione effettiva, avendo richiamato mere affermazioni di principio sulla manifesta infondatezza e sull’assenza di qualsivoglia volontà conciliativa, ai fini di ritenere integrata la colpa grave nella proposizione dell’appello, senza concretizzare tali affermazioni rispetto al quadro processuale di specie.
6.1. – Le doglianze quinta e sesta – che, in ragione della loro connessione, possono essere affrontate congiuntamente – sono inammissibili.
Quanto all’aspetto dell’an, l’accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7222 del 04/03/2022; Sez. 2, Sentenza n. 327 del 12/01/2010; Sez. 1, Sentenza n. 5337 del 08/03/2007; Sez. 1, Sentenza n. 13071 del 08/09/2003).
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha dato sufficiente contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto che vi fosse la colpa grave dell’appellante e segnatamente ha richiamato – per un verso – le argomentazioni sulla manifesta infondatezza delle contestazioni sollevate in sede di gravame e sulla loro assoluta genericità, perché sfornite di alcun supporto probatorio, e – per altro verso – il contegno processuale assunto in sede di gravame, avendo l’appellante rifiutato la proposta conciliativa avanzata dal giudicante, come da dichiarazioni rese all’udienza del 26 novembre 2018.
Elementi, questi, utilizzati come fattori sintomatici dell’atteggiamento dilatorio e scarsamente collaborativo assunto. Solo all’esito il Tribunale ha provveduto alla liquidazione di una somma equitativamente determinata nella misura del doppio delle spese giudiziali.
Ora, in tema di responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma, c.p.c., costituisce indice di mala fede o colpa grave – e, quindi, di abuso del diritto di impugnazione – la proposizione di un’impugnazione con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione, ovvero senza avere adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione, non compiendo alcuno sforzo interpretativo, deduttivo ed argomentativo per mettere in discussione, con criteri e metodo di scientificità, il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata, sia pure solo con riferimento alla fattispecie concreta (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 32001 del 28/10/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 4430 del 11/02/2022; Sez. 6-1, Ordinanza n. 18512 del 04/09/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 29462 del 15/11/2018).
6.2. – Anche sotto il profilo del quantum, in tema di responsabilità aggravata, il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., aggiunto dalla l. n. 69 del 2009, disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una “somma equitativamente determinata”, non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo, al contrario dell’art. 385, quarto comma, c.p.c., che, prima dell’abrogazione ad opera della medesima legge, stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari.
Pertanto, la liquidazione in concreto della somma in via equitativa rientra nel potere discrezionale del giudice e non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione dia adeguatamente conto del processo logico e valutativo seguito (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 36362 del 29/12/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8943 del 18/03/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 26435 del 20/11/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 17902 del 04/07/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012), come nel caso in esame.
L’azione esperibile dal contraente che abbia confidato senza colpa nell’efficacia del contratto contro il rappresentante senza poteri
Detta misura, infatti, può essere calibrata anche sull’importo delle spese processuali o su un loro multiplo (nella fattispecie sull’importo pari al doppio delle spese liquidate), con l’unico limite della ragionevolezza.
Ed invero, la quantificazione è stata ancorata ed ha assunto una valenza puramente conseguenziale rispetto alla demarcazione del comportamento processuale censurato.
7. – In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese e compensi di lite, poiché la controparte del ricorrente soccombente è rimasta intimata.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 27 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.
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