L’azione di simulazione e quella revocatoria in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 marzo 2024| n. 7121.

L’azione di simulazione e quella revocatoria in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio

L’azione di simulazione (assoluta o relativa) e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, possono essere proposte in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio, con la differenza che, nel primo caso, l’attore rimette al potere discrezionale del giudice l’inquadramento della pretesa fatta valere sotto una species iuris piuttosto che l’altra, mentre, nel secondo, richiede espressamente che il giudice prima valuti la possibilità di accogliere una domanda e, solo nell’eventualità in cui questa risulti infondata (o, comunque, da rigettare), esamini l’altra.

Ordinanza|15 marzo 2024| n. 7121. L’azione di simulazione e quella revocatoria in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio

Data udienza 8 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ patrimoniale – Conservazione della garanzia patrimoniale – Revocatoria ordinaria (azione pauliana); rapporti con la simulazione – In genere azione revocatoria – Azione di simulazione – Proposizione nello stesso giudizio – Alternatività o subordinazione – Configurabilità – Effetti relativi alle conseguenti valutazioni del giudice.
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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere Rel.

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 916/2021 R.G. proposto da:

Na.Ma., Tr.Fe., elettivamente domiciliati in Roma, (…), presso lo studio dell’avvocato BE. LU. (…) rappresentati e difesi dall’avvocato MA. MA. (…), giusta procura speciale in calce al ricorso.

-ricorrenti-

contro

Da.Su. + Altri Omessi, quest’ultima in qualità di procuratore della madre Da.Ma., elettivamente domiciliati in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato DI. ME. ST., rappresentati e difesi dall’avvocate AL. SA. (…) giusta procura speciale allegata al controricorso.

– controricorrenti-

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2451/202C depositata il 21/09/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2024 dal Consigliere dr.ssa STEFANIA TASSONE.

L’azione di simulazione e quella revocatoria in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio

FATTI DI CAUSA

1. Na.Ma. e Tr.Fe. propongono ricorso per cassazione, affidato a otto motivi ed illustrato da memoria, avverso la sentenza n. 2451/2020 del 21 settembre 2020 e notificata il 22 ottobre 2020, con cui la Corte d’Appello di Venezia rigettava il loro appello contro la sentenza del 7 settembre 2018 con cui il Tribunale di Treviso aveva accolto l’azione revocatoria, avente ad oggetto la compravendita dell’unico immobile di proprietà della Na.Ma. al Tr.Fe., proposta da Da.Ma., Da.Su., suoi creditori, in forza di due sentenze passate in giudicato, di somme prestatele anni prima da una parente defunta, di cui erano divenuti gli eredi.

Resistono con controricorso Da.Su., quale procuratrice della madre Da.Ma..

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ.

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

L’azione di simulazione e quella revocatoria in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “Violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 e 4, cod. proc. civ. Omessa pronuncia. Nullità del procedimento e della sentenza”.

Deducono che gli odierni resistenti, in primo grado attori, avevano proposto le domande di revocatoria e di simulazione, non in via subordinata, ma alternativa, pur essendo le due domande in tal modo poste tra loro ontologicamente incompatibili.

Lamentano di aver eccepito detta incompatibilità, con conseguente declaratoria di inammissibilità delle domande, nella conclusionale sia di primo grado (ove solo la Na.Ma. era costituita) sia di appello, ma che la corte territoriale ha omesso di pronunciare sull’eccezione, incorrendo in error in procedendo.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “Violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115, 116, 163 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ. Errata applicata dell’inversione dell’onere della prova. Omesso esame di un fatto decisivo”.

Lamentano che Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto non provata la provenienza dalla vendita dell’immobile della provvista utilizzata dalla Na.Ma. per l’estinzione dei propri debiti, rigettando così l’eccezione di estinzione di debiti scaduti. La corte territoriale ha erroneamente ritenuto che l’onere della prova di queste circostanze fosse a carico della debitrice Na.Ma. e, per altro verso, ha erroneamente omesso di considerare come pagato il prezzo della compravendita, in quanto, indipendentemente dalla produzione degli estratti conto bancari, ha omesso di valorizzare la non contestazione ex adverso di tale dirimente circostanza.

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3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “Violazione, errata o falsa applicazione degli artt. 2701 cod. civ., 214 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ.”.

Lamentano che la corte territoriale non ha ritenuto provata la circostanza che la Na.Ma. aveva dovuto pagare numerosi debiti scaduti, in quanto ha invece erroneamente ritenuto che alcuni documenti non fossero idonei a provare l’estinzione dell’obbligazione, senza considerare che le controparti non avevano né disconosciuto la veridicità o la genuinità delle scritture private dimesse, molte quietanzate, a prova dell’estinzione dei debiti della ricorrente, né promosso querela di falso avverso dette scritture.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano “Violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 2702 cod. civ., 115, 116, 163, 183 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Violazione del principio di non specifica contestazione. Omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 5, cod. proc. civ.”.

Nuovamente lamentano che la corte territoriale non ha considerato, ai fini della relevatio ab onere probandi a favore della debitrice Na.Ma., il comportamento di non specifica contestazione delle controparti.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano “Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4, cod. proc. civ. Pronuncia extrapetita. Nullità del procedimento e della sentenza. Violazione di legge, errore e falsa applicazione degli artt. 2727, 2719, 115, 116 in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ.”.

Deducono che la corte d’appello ha inammissibilmente sollevato d’ufficio un’eccezione propria, mai formulata da controparte, costituita dalla sussistenza di un credito della Na.Ma. verso il fratello Na.Ma., che, nella tesi della corte, avrebbe potuto costituire, se riscosso, fonte della provvista per fare fronte ai pagamenti.

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6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano “Violazione, errata e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ.”.

Lamentano che la corte di merito ha posto a base della propria decisione esclusivamente la circostanza della mancata produzione dell’estratto conto bancario da parte della Na.Ma., ritenendo che la mancata prova dell’incasso dell’assegno della vendita comportasse la mancata prova della provenienza dalla vendita della provvista utilizzata per estinguere i suoi debiti; l’art. 2901 cod. civ., però, non richiede specificamente che l’estinzione dei debiti avvenga manibus debitoris, essendo sufficiente, secondo un richiamato precedente di legittimità, che l’estinzione dei debiti trovi nel preteso revocando negozio la loro fonte, potendo provvedervi direttamente anche l’altro contraente.

7. Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano “Violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 272, 2729 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ. Omesso esame di un fatto decisivo, carenza assoluta di motivazione”.

Lamentano che, pur in assenza di specifica contestazione, la corte d’appello ha ritenuto non provata l’estinzione di debiti della Na.Ma. scaduti ed ha omesso di considerare che era incontroverso tra le parti che la Na.Ma. non possedeva nessun altro bene, salvo quello di cui alla compravendita oggetto di causa.

8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti denunciano “Errata condanna alle spese ed errata applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, DPR n. 115/2002. Illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 24, 111 Cost. anche in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU. Si impugna il capo della sentenza che ha: a) condannato i sig.ri Na.Ma./Tr.Fe. al pagamento delle spese; b) condannato i sig.ri Na.Ma./Tr.Fe. al versamento di un ulteriore contributo unificato”.

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Deducono che la corte territoriale ha adottato una motivazione del tutto diversa rispetto a quella del giudice di prime cure, perché ha esaminato nel merito l’eccezione, non esaminata in primo grado, di asserita irrevocabilità dell’atto, costituendo esso l’unico mezzo per fare fronte al pagamento di debiti scaduti; ne deriverebbe che la corte ha quindi accolto uno dei motivi d’appello, costituito dal mancato esame della suddetta eccezione, ed ha esaminato l’eccezione prima omessa, salvo poi rigettarla ritenendola indimostrata; in questo contesto sarebbe dunque stata corretta la compensazione delle spese.

Chiedono inoltre che questa Corte voglia sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2022, n. 115 (come modificato dalla legge n. 228/2012) per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 24, 11 Cost. e degli artt. 6 e 13 della CEDU.

9. Il primo motivo è infondato.

Anzitutto perché non tiene conto del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui (tra le tante, cfr. Cass. 17867/2007 e Cass., 21083/2016) “l’azione di simulazione (assoluta o relativa) e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, possono essere posposte entrambe nello stesso giudizio in forma alternativa tra loro o, anche, eventualmente in via subordinata l’una all’altra, senza che la possibilità di esercizio dell’una precluda la proposizione dell’altra. L’unica differenza tra la formulazione delle due domande in via alternativa, piuttosto che in via subordinata l’una all’altra, risiede esclusivamente nella circostanza che, nel primo caso, è l’attore a rimettere al potere discrezionale del giudice la valutazione delle pretese fatte valere sotto una species iuris piuttosto che l’altra, mentre nella seconda ipotesi si richiede, espressamente, che il giudice prima valuti la possibilità di accogliere una domanda e, solo nell’eventualità in cui questa risulti infondata (o, comunque, da rigettare), esamini l’ulteriore richiesta”; ed ancora: “nello stesso giudizio possono essere proposte, in forma alternativa o subordinata, due diverse richieste tra loro incompatibili senza che con ciò venga meno l’onere della domanda e il dovere di chiarezza che l’attore è tenuto a osservare nelle proprie allegazioni; ne consegue che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che accolga una delle domande come sopra proposte, in quanto il rapporto di alternatività e di subordinazione tra esse esistente non esclude che ciascuna di esse rientri nel petitum” (Cass. 16876/2010).

9.1. Inoltre, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, la corte d’appello è pervenuta ad accogliere l’azione revocatoria, svolgendo una analitica motivazione e dando conto del proprio convincimento, in cui va ravvisato un rigetto implicito della coesistente azione di simulazione.

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10. Il secondo motivo è infondato.

La odierna ricorrente Na.Ma., unica convenuta costituita in primo grado, aveva eccepito, quale fatto impeditivo dell’azione revocatoria ex adverso esperita, di aver dovuto pagare dei debiti scaduti.

Sulla cd. esenzione dalla revocatoria questa Corte ha già avuto modo di affermare che “Non è soggetto a revoca -ex art. 2901, comma 3, cod. civ. – l’adempimento di un debito scaduto, in quanto atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora. L’esenzione deve essere estesa anche all’alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità necessaria all’adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per lo scopo (Cass., 20/04/2018, n. 9816).

L’onere della prova grava, secondo i principi generale di cui all’art. 2697 cod. civ., sul debitore/venditore, che deve dimostrare quanto allegato con l’eccezione, da qualificarsi come eccezione in senso stretto (Cass., 12/07/2023, n. 19963; Cass., 13/08/2015, n. 16793; Cass., 28/02/2019, n. 5806).

Il che, del resto, ben si comprende in ragione sia della natura impeditiva della fattispecie di esenzione, sia del principio di vicinanza della prova; potendo risultare, per il creditore che agisca per la revocatoria, estremamente difficile, se non del tutto impossibile, fornire la prova del fatto negativo della “non destinazione” del prezzo al pagamento di debiti scaduti del disponente (Cass., 14/02/2023, n. 4589; Cass., 07/06/2013, n. 14420).

Orbene, dalla lettura della impugnata sentenza emerge che la corte territoriale ha correttamente applicato tali principi al caso deciso, mentre, per altro verso, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità la valutazione delle prove a tal fine offerte dalla parte, rispetto alle quali la corte d’appello ha svolto le sue valutazioni di merito, sostenute da congrua ed adeguata motivazione (Cass., 02/02/2022, n. 3119; Cass., 20/08/2018, n. 20803, secondo cui il sindacato di legittimità comunque precluso, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito; ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229).

10.1. L’ulteriore censura che compone il motivo, relativa alla mancata considerazione dell’asserita non contestazione della controparte, è in parte inammissibile ed in parte infondata.

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E’ inammissibile, là dove i ricorrenti prospettano che gli odierni resistenti, originari attori in revocatoria, “si sono limitati in citazione a contestare specificamente la pretesa fittizietà del pagamento … solo nel più limitato alveo della domanda di simulazione, ma non nell’ambito dell’azione revocatoria, così non contestandolo, neppure in prima udienza”, senza tuttavia trascrivere o perlomeno riassumere il relativo passaggio dell’atto di citazione e dunque incorrendo in violazione dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ.

Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio e accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, a elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., Sez. Unite, 27/12/2019, n. 34469; Cass., 27/07/2017, n. 18679; Cass., 15/07/2015, n. 14784).

E’ infondata, là dove non tiene conto degli insegnamenti di questa Corte, secondo cui, affinché possa effettivamente essere ravvisato un comportamento processuale di non contestazione “in tema di prova civile, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica – in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento” (Cass., 24/11/2010, n. 23816).

Il principio è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite, che hanno rilevato che “la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta possa rendere superflua la prova del fatto allegato dall’attore e hanno precisato che “ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo” (Cass., Sez. Un., 16/02/2016, n. 2951).

Si è inoltre precisato (Cass., 18/07/2016, n. 14652) che “l’onere di contestazione -la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova- sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ignoti” (Cass., 13/02/2013, n. 3576) cosicché, nel caso di specie, essendo invero la vicenda della compravendita dell’unico immobile di proprietà Na.Ma. al di lei coniuge Tr.Fe., nei suoi aspetti di dettaglio estranea alla sfera di diretta conoscibilità degli allora attori oggi resistenti, i ricorrenti avrebbero dovuto suffragare la deduzione della violazione del principio di non contestazione con l’indicazione delle circostanze che avevano reso tale dato noto alle loro controparti.

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11. Il terzo motivo, in disparte il non marginale rilievo per cui inammissibilmente sollecita a questa Corte un riesame delle risultanze probatorie documentali, precluso in sede di legittimità (v. Cass., 17/02/2022, n. 5271; Cass., 28/09/2016, n. 19150), è infondato.

Secondo orientamento largamente maggioritario, questa Corte ha avuto modo di affermare che le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse nè la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 cod. civ., nè quella processuale di cui all’art. 214 cod. proc. civ., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo (Cass., 07/10/2020, n. 21554; Cass., 09/03/2020, n. 6650; conformi Cass., Sez. Un., 15169/2010; Cass., 23155/2014; Cass., 76/2010; Cass., 19354/2005).

12. Il quarto motivo è infondato per le medesime ragioni svolte in sede di scrutinio del secondo motivo.

12.1. L’ulteriore censura che lo compone, secondo cui la corte territoriale non avrebbe spiegato perché le fatture del difensore non possono costituire prova in favore dei propri clienti, è parimenti infondata, visto che critica solo la prima parte della motivazione resa a p. 6 dell’impugnata sentenza, la quale, invece, ulteriormente motiva in ordine alla irrilevanza della sola fattura “in assenza di documentazione comprovante il trasferimento delle somme ivi indicate come pagate”.

13. Il quinto motivo è inammissibile.

Il rilievo circa l’esistenza di un debito della Na.Ma. nei confronti del fratello è stato svolto dalla corte territoriale ad abundantiam, ma la sentenza si consolida sulle restanti rationes decidendi non censurate (l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa: Cass., 06/07/2020, n. 13880; Cass., 14/08/2020, n. 17182; Cass.,

24/10/2019, n. 27339; Cass., 14/10/2020, n. 22183; Cass., 13/06/2018, n. 15399)

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14. Il sesto motivo è inammissibile.

Non solo sollecita una rilettura del fatto e delle risultanze probatorie di causa, preclusa in sede di legittimità, ma -come già rilevato per il quinto motivo- censura soltanto un passaggio della più ampia motivazione dell’impugnata sentenza, che pertanto si consolida sulle restanti rationes decidendi non censurate dagli odierni ricorrenti.

15. Il settimo motivo è inammissibile, là dove sollecita questa Corte ad un riesame di fatti e di documentazione, indicata nel contenuto del motivo, precluso in sede di legittimità.

E’ inoltre infondato quanto alla invocazione della pretesa non contestazione, per le ragioni già esposte in sede di scrutinio del secondo e del quarto motivo.

16. L’ottavo motivo è inammissibile.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in riferimento al regolamento delle spese di giudizio, il controllo di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (Cass., 31/08/2020, n. 18128).

Per il resto, costante orientamento di questa Corte afferma che la compensazione, totale o parziale, delle spese di giudizio costituisce una facoltà discrezionale del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nel concorso di giusti motivi. Pertanto, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se e in quale misura debba darsi luogo alla compensazione. La pronuncia in merito alla compensazione delle spese soggiace al sindacato di legittimità solo quando il giudice, a giustificazione della disposta compensazione, “enunci motivi palesemente e macroscopicamente illogici od erronei, tali da inficiare, per la loro inconsistenza ed erroneità, lo stesso procedimento formativo della volontà decisionale” (Cass., 24/03/2021, n. 8274).

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 20/02/2020, n. 23353) hanno inoltre precisato che l’obbligo di versare un importo ulteriore rispetto all’importo del contributo unificato risponde ad un obbligo di legge, posto dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2022, n. 115, rispetto al quale il giudice si limita ad attestare la sussistenza dei presupposti applicativi.

17. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

18. Le spese seguono la soccombenza.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’8 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2024.

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