Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 febbraio 2024| n. 4955.

Azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa ed il canone della verità

In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, il canone della verità si atteggia diversamente in ipotesi di esercizio del diritto di cronaca, per il quale è richiesta la continenza dei fatti narrati tanto in senso formale quanto in senso sostanziale, e di esercizio del diritto di critica, il quale non si concreta nella mera narrazione dei fatti, ma nell’espressione di un giudizio (necessariamente soggettivo) rispetto ai fatti stessi; perciò, non può pretendersi che l’opinione sia assolutamente obiettiva, potendo essere la stessa esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente, purché non leda l’integrità morale del soggetto. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sulla erronea premessa che il canone della verità si atteggia nella stessa maniera nell’ambito della cronaca e della critica, aveva affermato la natura diffamatoria, determinata dall’accostamento e accorpamento di notizie (anche vere), di un articolo di stampa nel quale i giornalisti riportavano contestualmente, così ponendole in connessione tra loro, la notizia delle irregolarità nello svolgimento di un concorso da ricercatore e quella degli appalti universitari “d’oro” presso la medesima università, circostanza fatte oggetto di una inchiesta penale e di indiscutibile interesse pubblico).

Ordinanza|23 febbraio 2024| n. 4955. Azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa ed il canone della verità

Data udienza 13 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Diffamazione a mezzo stampa – Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale – Esercizio del diritto di critica e diritto di cronaca(giornalismo d’inchiesta) – Differenze – Parametro della “verità” dei fatti nell’ambito del diritto di critica – Requisiti dell’interesse pubblico e della verità anche putativa dei fatti narrati – Omessa analisi – Affermazione della lesività in modo non legittimo

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliera Rel.

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17686/2021R.G. proposto da

(…) Spa (già Gruppo Editoriale (…) Spa), in persona del rappresentante legale pro tempore, Ma.Ez.,Bi.Ma. e Pi.Ca., tutti rappresentati e difesi, giuste procure speciali alle liti in calce al presente ricorso, dagli avv.ti Vi.Ri. e Al.Pi., elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, (…)

– ricorrenti-

contro

Gu.Re., rappresentato e difeso dall’Avv. Gi.Be., come da procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso il suo studio (pec: (…)

-resistente-

avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA n. 2830/2021 depositata il 19/04/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 novembre2023 dalla Consigliera Irene Ambrosi.

Azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa ed il canone della verità

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 2010 Gu.Re. (in qualità di Magnifico Rettore dell’Università di Roma (…)) conveniva dinanzi al Tribunale di Roma il Gruppo Editoriale (…) Spa come società editrice del quotidiano (…), Ma.Ez.(in qualità di direttore responsabile) ed i giornalisti autori degli articoli, Bi.Ma. e Pi.Ca., assumendo la pretesa lesività di tredici articoli pubblicati sul quotidiano (…) tra il mese di ottobre 2007 ed il mese di gennaio 2008, e di ulteriori due articoli pubblicati sul medesimo quotidiano nel mese di giugno 2009 – chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale asseritamente subito (quantificato in euro 400 mila), alla sanzione pecuniaria (quantificata in euro 20 mila) ed alla alla pubblicazione della sentenza, oltre alle spese di lite. Si costituivano con distinti atti, da un lato, il Gruppo Editoriale (…) Spa con Ma.Ez., dall’altro i convenuti giornalisti, Bi.Ma. e Pi.Ca., chiedendo tutti il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda, condannava i convenuti Bi.Ma. ePi.Ca. a corrispondere all’attore, a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 12, L. 47/1948, l’importo di Euro 5.000,00 ciascuno; rigettava nel resto la domanda e compensava le spese di lite.

Per quanto ancora qui di rilievo, affermava il giudice di primo grado: “Nel merito la domanda è fondata nei ristretti limiti risultanti dall’esposizione seguente. Va rilevato innanzitutto che, pur denunciando, l’attore, il contenuto di ben 13 articoli pubblicati su “(…)’ nell’arco temporale dal 4.10.2007 al 25.6.2009, in realtà solo il primo merita di essere considerato, giacche i successivi si limitano, in definitiva, a riferire gli sviluppi dell’indagine giudiziaria avviata dalla Procura della Repubblica di Roma, e l’attore non svolge alcuna apprezzabile contestazione in merito ad eventuali difformità tra i fatti esposti dal quotidiano e le effettive risultanze di quell’indagine”.

2. Avverso la sentenza del Tribunale, il Gruppo Editoriale (…) Spa, Ma.Ez., Bi.Ma. e Pi.Ca. proponevano appello avanti alla Corte d’Appello di Roma; si costituiva l’appellato proponendo, a sua volta, appello incidentale.

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La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2830/2020, accogliendo l’appello incidentale proposto da Gu.Re. e respingendo invece quello principale, riformava la sentenza del Tribunale di Roma, così stabilendo: “in riforma della sentenza 10041/2015 del Tribunale di Roma, condanna il Gruppo Editoriale (…) Spa, Ma.Ez., Pi.Ca. e Bi.Ma., in solido tra loro, al pagamento a Gu.Re. della somma di Euro 30.000,00 oltre interessi legali secondo i tassi vigenti sulla predetta somma previamente devalutata al 4 ottobre 2007, e successivamente via via rivalutata annualmente”, condannando, altresì, gli appellanti principali al pagamento delle spese di lite sia del primo che del secondo grado.

Per quanto ancora di interesse, la Corte d’appello ha ritenuto che “il carattere diffamatorio di uno scritto non può essere escluso sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi invece giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento anche all’accostamento e l’accorpamento di notizie, ove utilizzate nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale avuto riguardo al tono complessivo e alla titolazione dell’articolo” e, sulla scorta di ciò, ha evidenziato quelli che, secondo la propria ricostruzione, sarebbero i messaggi notiziali “ulteriori”, derivati dagli accostamenti/accorpamenti operati dagli autori. Inoltre, la Corte Territoriale ha accolto anche il

motivo di appello incidentale vertente sulla prova del danno lamentato da Gu.Re., ritenendolo sufficientemente dimostrato tramite il ricorso alle presunzioni, e quantificandolo in Euro 30.000,00.

3. Avverso la sentenza di appello, (…) Spa, Ma.Ez., Bi.Ma. e Pi.Ca. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi; ha resistito con controricorso Gu.Re..

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La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.

La parte ricorrenteha depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso i ricorrenti lamentano:

1.1. Con il primo motivo, “la violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) di norme di diritto (artt. 21 Cost., 2043 c.c., 51 e 595 c.p. e 11 L. 8 febbraio 1948 n. 47) e dei principi elaborati della giurisprudenza in tema di risarcimento dei danni da lamentata diffamazione a mezzo stampa, con particolare riferimento alla verifica della sussistenza del parametro della “verità” dei fatti nell’ambito del diritto di critica”; in particolare, deducono che la Corte di Appello ha stabilito che l’accostamento e l’accorpamento di notizie (anche vere come riferite dall’articolo del 4 ottobre 2007) può produrre un messaggio notiziale ulteriore dai contorni diffamatori, visto che il canone della verità si atteggerebbe nella stessa maniera, ad avviso della Corte, nell’ambito della cronaca e della critica, e che, così motivando, questa sarebbe incorsa in un evidente errore di diritto, da rintracciarsi nel mancato apprezzamento della verità di tutti i fatti sottesi alla critica dei giornalisti, avendo, invece, valorizzato soltanto la circostanza che “la prima riunione della Commissione esaminatrice che ha poi attribuito il posto da ricercatrice alla figlia del rettore si sia svolta irregolarmente presso lo studio privato del prof. Di.Pa.” e sminuito la circostanza che il prof. Di.Pa. fosse membro della C.P.C. Spa cui erano stati affidati i lavori di progettazione e realizzazione del parcheggio interrato nell’Ateneo romano. Si trattava di due notizie vere e come tali avrebbero dovuto essere considerate dalla Corte romana nell’ambito di articoli volti non solamente a riportare fatti di cronaca ma soprattutto a superarli mediante approfondimenti e interpretazioni. Evidenziano che ciò che Corte di Appello definiva”accostamento e accorpamento di notizie” altro non è che la manifestazione di legittime perplessità dei giornalisti che si stavano occupando di fatti rilevantissimi che coinvolgevano il sistema universitario capitolino e che in tale peculiare contesto non poteva non destare l’attenzione dei giornalisti, oltre al rapporto di parentela tra l’allora Rettore dell’Ateneo, Gu.Re. e la candidata, Arch. Gu.Ma., anche la particolare composizione della Commissione giudicante, di cui faceva parte, tra gli altri, il Prof. Di.Le., che, non solo era professore associato della Facoltà di Architettura dell’Università “(…)” di Roma, ma era anche Presidente della “C.P.C. Compagnia progetti e costruzioni” Spa cui erano stati affidati i lavori di progettazione e realizzazione del parcheggio interrato dello stesso Ateneo romano.

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1.2. Con il secondo motivo, la “violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360, n. 3, c.p.c.): di norme di diritto (artt. 21 Cost., 2043 c.c., 51 e 595 c.p. e 11 L. 8 febbraio 1948 n. 47) e dei principi elaborati della giurisprudenza in tema di risarcimento dei danni da lamentata diffamazione a mezzo stampa, con particolare riferimento alla verifica della sussistenza del parametro della “continenza” nell’ambito del diritto di critica”; nello specifico, i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata è altresì viziata per violazione e/o erronea applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di critica giornalistica, con riferimento alla sussistenza del requisito della continenza (formale e sostanziale) e, più nello specifico, laddove, al fine di valutare la pretesa capacità diffamatoria dello stile adoperato dai giornalisti Bi.Ma. ePi.Ca., la Corte d’appello ha ritenuto che “il carattere diffamatorio di uno scritto non pu p escluso sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi invece giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento anche all’accostamento e l’accorpamento di notizie, ove utilizzate nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale avuto riguardo al tono complessivo e alla titolazione dell’articolo”.

1.3. Con il terzo motivo, la “violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) degli artt. 1223, 2043 e 2059 c.c. laddove la Corte di Appello ha ritenuto provata la sussistenza del danno non patrimoniale in via presuntiva in carenza di ogni allegazione avversaria, senza avere la Corte svolto una preventiva valutazione circa la sussistenza di un nesso di causalità effettivamente immediato e diretto tra il danno non patrimoniale lamentato e gli articoli contestati”; i ricorrenti contestano che, con la sentenza impugnata, il giudice d’appello abbia ritenuto fondato “il motivo di appello incidentale con riferimento alla prova del danno subito dal Rettore” affermando che “appare senz’altro legittimo il ricorso alle presunzioni per dimostrarlo (vedi tra le altre Cass. sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017; sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7594 del 28/02/2018). Va, quindi, tenuto conto, come allegato dall’appellante incidentale, del ruolo rivestito dallo stesso, Rettore di uno dei più grandi Atenei italiani, dell’ampia diffusività della notizia pubblicata su periodico di tiratura nazionale – notizia ripetuta sul giornale per più giorni – e della gravità dei fatti falsamente raccontati, che inducono a ritenere che l’articolo possa aver determinato un danno alla sua immagine sia professionale che personale”. Insistono nel sostenere che la prova, nella specie, non era stata offerta dal prof. Gu.Re., come evidenziato anche dal giudice di prime cure.

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1.4. Con il quarto motivo, la “violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) dell’art. 12 legge n. 47/1948”; lamentano i ricorrenti in proposito, e sempre quale diretta conseguenza dei primi tre motivi di ricorso, il vizio della sentenza impugnata laddove la Corte di Appello ha confermato la condanna dei giornalisti Pi.Ca. e Bi.Ma. al pagamento di una somma a titolo di riparazione pecuniaria; invero, la condanna alla sanzione pecuniaria ad opera del giudice civile, come noto, presuppone necessariamente il preventivo accertamento del reato di diffamazione e, quindi, il dolo dell’autore, assente nella fattispecie in esame, anche considerando l’effettivo intento critico dei giornalisti.

2. Il primo motivo, così come prospettato e sopra sinteticamente riassunto, è fondato nei limiti e nei sensi di cui in motivazione.

2.1. In via preliminare, va disattesa la duplice eccezione di inammissibilità sollevata dall’odierno resistente a proposito del motivo di ricorso in esame.

Va osservato al riguardo che, per un verso, non è stato violato il criterio sancito dall’art. 366 c.p.c., avendo parte ricorrente debitamente allegato al ricorso per cassazione i documenti richiamati nell’atto di impugnazione.

Per altro verso, contrariamente a quanto eccepito dall’odierno resistente, il lamentato vizio di violazione e falsa applicazione non è volto ad ottenere un nuovo accertamento dei fatti, bensì alla corretta individuazione delle norme e dei principi giurisprudenziali deputati a dettare la disciplina e regolare gli effetti della diffamazione a mezzo stampa in punto di sindacato della verità giornalistica in un contesto di critica per come enucleato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. in tale prospettiva, tra le altre, Cass. Sez. L., 23/09/2016, n. 18715, Cass. Sez. 3, 13/03/2018 n. 6035 e, di recente, Cass. Sez. U. 12/11/2020, n. 25573).

In tal guisa la censura proposta si pone in modo coerente rispetto ai principi ripetutamente affermati, anche di recente, da questa Corte, secondo cui le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Viceversa, non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1, 14/01/2019 n. 640).

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2.2. Tanto premesso, e venendo all’esame del motivo di ricorso, va preliminarmente rammentato – e salvo quanto di qui a breve si dirà in tema di giornalismo d’inchiesta – che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi, e che, per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre, tuttavia, che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Cass. Sez. 3, 06/04/2011 n. 7847, Cass. Sez. 3, 26/10/2017, Ordinanza n. 25420; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 3, 21/07/2023 n. 21892).

Ebbene, in tema di responsabilità aquiliana da diffamazione a mezzo stampa, il significato di verità oggettiva della notizia va inteso in un duplice senso, potendo tale espressione essere intesa non solo come verità del fatto oggetto della notizia, ma anche come verità della notizia come fatto in se, e quindi indipendente dalla verità del suo contenuto; in quest’ultima ipotesi, peraltro, occorre che tale propalazione costituisca di per sé un “fatto’ così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe certamente meno al suo compito informativo se lo tacesse, fermo restando che il cronista ha inoltre il dovere di mettere bene in evidenza che la verità non si estende al contenuto del racconto e di riferire le fonti per le doverose e conseguenti assunzioni di responsabilità. Questi doveri, inoltre, debbono essere adempiuti dal cronista contestualmente alla comunicazione, in modo da garantire la fedeltà dell’informazione che, nella specie, consiste nella rappresentazione al lettore o all’ascoltatore della esatta percezione che egli ha avuto del fatto (Cass. Sez. 3, 19/01/2007 n. 1205).

Inoltre, in tema di bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, ferma restando la distinzione tra l’esercizio del diritto di critica (con cui si manifesta la propria opinione, la quale non può pertanto pretendersi assolutamente obiettiva e può essere esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente, purché non leda la integrità morale del soggetto) e di quello di cronaca (che può essere esercitato purché sussista la continenza dei fatti narrati, intesa in senso sostanziale – per cui i fatti debbono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva – e formale, con l’esposizione dei fatti in modo misurato, ovvero contenuta negli spazi strettamente necessari), qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base dei soli criteri indicati, richiedendosi, invece, un bilanciamento tra l’interesse individuale alla reputazione e quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita. Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè nell’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto dalla stessa e, quindi, fuori di essa, ma dell’interpretazione di quel fatto, interesse che costituisce, assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per la invocabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica (Cass. Sez. 3, 06/08/2007 n. 17172).

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2.3. Alla luce dei precedenti ricordati, vale evidenziare come la sentenza oggetto di impugnazione abbia del tutto erroneamente applicato i principi di diritto che presiedono all’esercizio del diritto di critica, sulla altrettanto erronea premessa della ritenuta equivalenza tra cronaca e critica giornalistica.

Di conseguenza, non è stata fatta corretta applicazione del criterio della verità sotto un duplice profilo: in primo luogo, stabilendo che l’accostamento e l’accorpamento di notizie può produrre una falsificazione della realtà storica, la Corte territoriale ha affermato erroneamente che il canone della verità si atteggia nella stessa maniera nell’ambito della cronaca e della critica; in secondo luogo, pur riportando in modo integrale le espressioni ritenute diffamatorie, dalle quali risultava la notizia delle irregolarità nello svolgimento sia del concorso da ricercatore de quo sia degli appalti universitari “d’oro” in Sapienza, ne ha tratto conseguenze giuridiche del tutto erronee, limitando alle sole fonti giornalistiche il ragionamento probatorio, sebbene le circostanze oggetto degli articoli di giornale erano emerse da indagini amministrative che avevano determinato l’invio degli ispettori ministeriali in Università quanto al concorso di ricerca, e da indagini della Procura di Roma che avevano determinato l’intervento della Guardia di Finanza in merito alle procedure d’appalto (cfr. pag. 5 e 6 della sentenza impugnata).

Va osservato, in proposito, che la stessa qualificazione giuridica offerta dalla Corte di appello in termini di diritto di critica, oltre a risultare erronea sotto il profilo funzionale della sua equiparazione al diritto di cronaca, risulta non del tutto conforme a diritto, non avendo il giudice territoriale ricostruito e poi definito l’intera vicenda in termini di giornalismo d’inchiesta.

Ritiene, in proposito, il collegio, che la qualificazione giuridica di un fatto, così come emerge nella sua realtà storica dagli atti del processo di merito e dallo stesso contenuto della sentenza impugnata, ben può costituire oggetto di riesame e di nuova valutazione da parte del giudice di legittimità, al di là ed a prescindere dalle doglianze contenute nei motivi di ricorso.

Nella specie, risulta del tutto evidente che la fattispecie concreta avrebbe dovuto essere ricondotta, oltre che all’interno della più ampia categoria del diritto di critica, in quella, più specifica, del giornalismo d’inchiesta, come incontestabilmente emerge dalla stessa motivazione della sentenza impugnata – nel corpo della quale si dà atto dello sviluppo di un inchiesta penale durata due anni e dell’invio di ufficiali della Guardia di Finanza presso la sede dell’Università al fine di accertare eventuali irregolarità amministrative e/o eventuali fattispecie di reato in relazione ai fatti esposti dai due giornalisti ed aventi ad oggetto contenuti di indiscutibile interesse pubblico.

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Come già chiarito da questa Corte, il giornalismo di inchiesta rappresenta una particolare forma di esercizio del diritto di cronaca, espressione della libertà di manifestazione del pensiero, di cui all’art. 21 Cost., caratterizzato proprio dal fatto che l’acquisizione della notizia avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte del professionista, senza la mediazione di fonti esterne – non essendo, in particolare, mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni fornite da un soggetto terzo, che si dichiara informato dei fatti (in argomento, funditus, Cass. n. 30522/2023). A tale, del tutto peculiare forma di giornalismo, intesa quale species più rilevante della attività di informazione, connotata (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, va riconosciuta (Cass. 16236/2010) ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l’esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell’attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l’altro, menzionati nella L. 3 febbraio 1963, n. 69 e nella Carta dei doveri del giornalista. (in argomento, cfr. Corte EDU, sentenza Goodwin contro Regno Unito del 27 marzo 1996).

2.4. Nella fattispecie in esame, il giudice di appello ha del tutto omesso di valutare la fattispecie concreta alla luce di tali principi, e cioè di considerare, attraverso i criteri che gravitano nell’orbita della diversa dimensione del giornalismo d’inchiesta, la tipologia dei fatti sottesi alla critica dei giornalisti, sminuendone addirittura la valenza di verità oggettiva – come riferita dagli stessi e come sostanzialmente riconosciuto dalla stessa Corte territoriale – quale presupposto della parte critica dei loro testi, ritenendoli immotivatamente lesivi della reputazione del Gu.Re., all’epoca Rettore dell’università, sol perché posti in correlazione tra loro.

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Osserva, in proposito, il collegio come gli odierni ricorrenti avessero riferito sia della circostanza, vera, secondo cui la prima riunione della Commissione esaminatrice – che avrebbe poi attribuito il posto di ricercatore alla candidata, figlia del rettore – si fosse svolta (verrebbe da aggiungere, in proposito, non del tutto comprensibilmente) non nella sede istituzionale, presso l’università, ma nello studio privato del prof. Di.Pa., sia di quella, altrettanto vera, secondo cui il medesimo prof. Di.Pa. risultava essere uno dei titolari della società per azioni, la “Compagnia progetti e costruzioni”, a cui erano stati affidati i lavori per la progettazione e realizzazione del parcheggio interrato dello stesso ateneo.

Non erra la Corte territoriale nell’osservare che “il carattere diffamatorio di uno scritto non può essere escluso sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi invece giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento anche all’accostamento e l’accorpamento di notizie, ove utilizzate nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale avuto riguardo al tono complessivo e alla titolazione dell’articolo”. L’errore in cui incorre il giudice di merito è, di converso, quello di limitare la propria analisi, una volta esaminati i fatti secondo un criterio olistico e non soltanto atomistico (in argomento, sia pur in relazione ad una diversa fattispecie di responsabilità, Cass. Sez. 3, 02/09/2022 n.25884), alla luce dei principi del diritto applicabili al diritto di cronaca e non a quello di critica -rectius, per quanto sinora esposto, del giornalismo d’inchiesta – il cui stesso ubi consistam è rappresentato proprio dalla congerie di interpretazioni che una pluralità di fatti veri (specie se dal loro resoconto siano poi scaturite, come nella specie, approfondite indagini penali, al di là ed a prescindere dal relativo esito) può consentire al lettore di formarsi in assoluta libertà ed autonomia una propria personale opinione e di formulare un proprio giudizio in relazione a quei medesimi fatti.

2.4. L’insanabile contraddittorietà della motivazione in relazione alla tipologia di resoconto giornalistico ravvisabile nella specie, ed il conseguente errore di diritto in relazione al parametro della veridicità dei fatti e opinioni critiche impone la cassazione della sentenza impugnata, avendo il giudice d’appello infondatamente rimproverato ai giornalisti un carente approfondimento “sulla stretta correlazione tra l’aggiudicazione dell’appalto alla C. Spa al quale avrebbe concorso in qualche modo il prof. Gu.Re., e l’attribuzione del posto alla figlia di quest’ultimo” (pag. 8 della sentenza impugnata) attribuendo loro un onere del tutto incompatibile con il giornalismo d’inchiesta, e cioè quello di dimostrare la verità non soltanto dei fatti storici riportati, ma anche della relativa ed univoca connessione logica (che sarebbe poi risultata oggetto di indagini penali), così violando gli ulteriori principi (oltre a quelli già esposti) enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte a fondamento del rapporto tra la fattispecie della diffamazione e la scriminante dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, anche sotto il profilo dell’esercizio del diritto di critica e del giornalismo d’inchiesta su fatti di cronaca di interesse pubblico.

Nei già descritti limiti del controllo affidato alla Corte di cassazione, nel caso di specie, dall’esame dei passaggi della sentenza impugnata (in particolare, punto 6 della motivazione) emerge con evidenza come la corte territoriale abbia del tutto pretermesso l’applicazione dei criteri sinora indicati in tema di diritto di critica e di giornalismo d’inchiesta, non avendo compiutamente analizzato in tale, ben diversa ottica, i requisiti dell’interesse pubblico e della verità, anche putativa, dei fatti narrati, affermandone conseguentemente la lesività in modo non legittimo.

3. Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso, discende l’assorbimento dei restanti motivi e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà alla luce dei principi sopra ricordati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

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P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 13 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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