Attenuante della partecipazione di minima importanza

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|31 maggio 2021| n. 21469.

Non può riconoscersi l’attenuante della partecipazione di minima importanza a colui che, nella commissione di un furto, abbia svolto la funzione di “palo”, in quanto il suo contributo, anche se di importanza minore rispetto a quella dei correi, facilita la realizzazione dell’attività criminosa, rafforzando l’efficienza dell’opera degli esecutori materiali e garantendo loro l’impunità .

Sentenza|31 maggio 2021| n. 21469. Attenuante della partecipazione di minima importanza

Data udienza 25 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola: Associazione a delinquere – Furti in abitazione – Sussistenza di un’organizzazione di persone e mezzi volta alla commissione di delitti contro il patrimonio – Intercettazioni – Attenuanti generiche – Insufficienza della sola incensuratezza dell’imputato – Attenuante del risarcimento del danno – Esclusione in caso di riparazione non integrale – Reiterazione di doglianze già dedotte in sede di appello – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/11/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RENATA SESSA;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TASSONE Kate ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi;
il difensore degli imputati hanno concluso con le rispettive note scritte, riportandosi ai motivi e chiedendo l’accoglimento degli stessi, dopo averli ulteriormente illustrati (come indicato nel “ritenuto in fatto”).

Attenuante della partecipazione di minima importanza

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 6 novembre 2019, la Corte di Appello Bologna, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Piacenza, emessa il 12 novembre 2018, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), esclusa la recidiva per quest’ultimo, ha rideterminato la pena a questi inflitta in anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro 300 di multa – in ordine ai reati a lui ascritti ai capi a) – partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata alla commissione in prevalenza di furti in abitazioni ed esercizi pubblici – ed o) – furto aggravato in abitazione – dell’imputazione, e quella inflitta a (OMISSIS) in anni 5 e mesi 4 di reclusione ed Euro 867 di multa, ritenendo reato piu’ grave quello contestato al capo o); ha confermato nel resto la sentenza.
In particolare, il giudice di primo grado aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 6 mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000 di multa per i reati di cui ai capi a), b), c), d), e), f), g), h), i), I), m) e n) dell’imputazione; (OMISSIS) alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed Euro 800 di multa per i reati di cui ai capi a), b), c), d), e), f), g), h), i), I) e m) dell’imputazione; (OMISSIS) alla pena di anni 6 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000 di multa per i reati di cui ai capi a), o), p), q), r), t) e u) dell’imputazione; (OMISSIS) alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 500 di multa per i reati di cui ai capi a), b), c), d), e), f), n), o) e q) dell’imputazione; (OMISSIS) alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro 300 di multa per i reati di cui ai capi a) ed o) dell’imputazione; (OMISSIS) alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 500 di multa per i reati di cui ai capi a), c), d), e), f), g), h), i), e).
2. Avverso la predetta sentenza, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione gli imputati.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

3. Nell’interesse di (OMISSIS) si deducono sette motivi:
3.1 Con il primo motivo si deduce la mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione nonche’ l’erronea applicazione della norma penale, in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo di cui al capo a) dell’imputazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).
In particolare, si evidenzia come la Corte di Appello abbia ritenuto sussistente il reato di cui all’articolo 416 c.p. in ragione dell’affermata esistenza di una base operativa identificata nella cascina di (OMISSIS), della ripetitivita’ dello schema operativo seguito per l’esecuzione dei furti e dell’utilizzo da parte dei complici di utenze e vetture dedicate esclusivamente al compimento dei reati fine. Invero, attribuendo rilievo all’immobile di proprieta’ dello (OMISSIS) quale base operativa, non tiene conto, la Corte, del fatto che questa fosse la casa di abitazione dell’imputato, e non luogo appositamente reperito per compiervi attivita’ criminose, essendo inoltre incontestato che in quel luogo tali attivita’ non vennero mai commesse. Nulla puo’ desumersi, si specifica, dal fatto che in alcune occasioni vi si trattennero per ore alcuni dei coimputati, giacche’ lo (OMISSIS) era solito ospitare occasionalmente amici. Conferma di cio’ si rinviene, inoltre, considerando che l’abitazione venne monitorata in alcuni giorni, durante i quali, nonostante la presenza di alcuni degli indagati, nessun furto venne commesso.
Non corretta e sufficientemente motivata appare anche l’affermazione secondo la quale in quella abitazione si sarebbero compiute le attivita’ preparatorie dei delitti, svolgendosi solitamente gli incontri presso il “(OMISSIS)” di Piacenza, presso il quale, peraltro, lo (OMISSIS) mai venne invitato e pressoche’ mai si reco’; e, comunque, non e’ emersa dalle attivita’ intercettive l’utilizzo dell’abitazione a tale scopo.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Ancora, si sottolinea la mancanza di motivazione nonche’ di supporto probatorio dell’affermazione secondo cui la casa veniva utilizzata per ricoverarvi la refurtiva frutto degli atti predatori. L’abitazione, difatti, non e’ mai stata oggetto di perquisizione;v6 mai e’ stato rinvenuto alcunche’ dagli inquirenti, nemmeno con riferimento agli arnesi o indumenti utilizzati per il compimento di furti.
Si ritiene errato, inoltre, l’aver la Corte concluso circa la sussistenza di un’associazione a delinquere sulla base della disponibilita’ in capo ai presunti membri di “numerosi veicoli”, alcuni dei quali utilizzati solo per il compimento delle attivita’ delittuose. I veicoli, in realta’, erano in tutto cinque, due in meno rispetto al numero dei presunti membri, e si trattava di autovetture intestate ai presunti membri o ai familiari e utilizzati per la vita di costoro. L’unico mezzo con intestazione fittizia, comunque, oltre a non essere utilizzato dallo (OMISSIS), potrebbe essere ricollegato ad una esigenza/accortezza individuale, non legata a finalita’ associative.
Parimenti, viene ritenuta non decisiva e, comunque, non sufficientemente motivata la considerazione per la quale gli atti posti in essere dagli imputati avrebbero presentato uno schema ripetitivo, caratterizzato dall’individuazione dell’obiettivo, anche attraverso l’effettuazione di sopralluoghi, dall’esecuzione del furto e dalla ricettazione della refurtiva presso un campo nomadi sito nel milanese. Trattasi, difatti, dello schema tipico di qualsiasi condotta furtiva, sempre caratterizzata dalle tre fasi sopra descritte. Il fatto che i beni oggetto di furto siano stati portati, solamente in alcune occasioni, presso lo stesso campo nomadi nel milanese, non costituisce prerogativa del modus operandi dei gruppi associati, non potendosi escludere che i vari soggetti vi si siano rivolti semplicemente perche’ giunti a conoscenza di tale possibilita’, emulando coloro che vi si erano gia’ recati senza incontrare problemi.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

A cio’ si aggiunge il fatto che e’ totalmente assente l’organizzazione gerarchica tipica del modello organizzativo delle associazioni criminose, come e’ atipico rispetto al reato associativo contestato il fatto che i proventi dei furti venissero divisi in parti uguali solo tra coloro che vi prendevano parte.
3.2. Con il secondo motivo si deduce la mancanza, insufficienza e/o contraddittorieta’ della motivazione nonche’ l’erronea applicazione della norma penale in ordine alla ritenuta attribuzione del ruolo di promotore a (OMISSIS) (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).
Richiamando quanto esposto nel motivo precedente, contesta il ricorrente l’avere, la Corte di Appello, fondato l’assunto circa il ruolo di promotore dell’imputato innanzitutto sulla asserita messa a disposizione della casa di abitazione. Si aggiunge, a conferma di cio’, come l’immobile non fosse a disposizione dei correi quando questi era assente, e, che in ogni caso, dopo essersi riuniti presso il “(OMISSIS)”, e prima di recarsi alla cascina, i coimputati avvisavano lo (OMISSIS) per ottenere il suo assenso.
Ancora, si precisa che nell’estate del 2016, periodo in cui si verificarono gli episodi furtivi, (OMISSIS) si recava fuori regione per una settimana per ragioni di lavoro, essendo egli occupato per un’impresa attiva nel settore dell’installazione di impianti di sicurezza, e, oltre a non curarsi di lasciare le chiavi della propria abitazione ad alcuno dei coimputati, si rendeva pressoche’ totalmente irreperibile e non contattava nessuno di questi, cio’ a dimostrazione di non essere parte stabile, e, tantomeno, essenziale del gruppo e, a maggior ragione, di non rivestire alcun ruolo organizzativo di rilievo all’interno della presunta associazione.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Si rileva come sia sfornita di prova l’affermazione della Corte secondo la quale lo (OMISSIS) organizzava l’attivita’ degli altri asseriti consociati. L’ampia mole di intercettazioni ambientali dimostra in modo inequivocabile come l’imputato intrattenesse rapporti telefonici pressoche’ in via esclusiva solo con Avram, senza mai fornire indicazioni e tantomeno impartire ordini agli altri soggetti. Viene ritenuta emblematica in questo senso l’intercettazione del 08.07.2016 svolta sulla vettura Pajaro in uso all’imputato. In quell’occasione Avram manifestava l’esigenza di cercare qualcuno che si occupasse della raccolta della spazzatura allo scopo di individuare possibili obiettivi. Lo (OMISSIS), in tale occasione, rispondeva chiedendo “perche’-” dimostrando di non capire l’esigenza espressa dal complice.
A cio’ si aggiunga come, pur essendo, lo (OMISSIS), soggetto dotato di una specifica esperienza nel settore degli impianti di sicurezza, dalla disamina degli atti d’indagine possa affermarsi con certezza che mai mise a disposizione della banda questa sua competenza. Di conseguenza, alcun ruolo apicale o di rilievo puo’ riconoscersi in capo allo stesso.
Ancora, si evidenzia come dalle indagini emerga che, dai primi di settembre del 2016, (OMISSIS) e (OMISSIS), non si recarono piu’ presso la casa dello (OMISSIS) e, in una loro conversazione, il (OMISSIS) affermava che ” (OMISSIS) e’ andato, lo abbiamo licenziato”. Si fa notare come non sia possibile “licenziare” un consociato, soprattutto se di spicco come e’ stato ritenuto lo (OMISSIS).

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Si ritiene significativo a provare il coinvolgimento del tutto circostanziale ed occasionale di (OMISSIS), inoltre, il fatto che nonostante gli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS) stessero spostando le proprie attenzioni su territori differenti da quello piacentino, lo (OMISSIS) fosse rimasto totalmente estraneo alle indagini avviate ed ai procedimenti aperti in altre province, all’esito delle quali son state adottate dapprima misure cautelari, quindi condanne, solo a carico di alcuni dei soggetti qui coimputati.
3.3. Con il terzo motivo si deduce l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta utilizzabilita’ degli esiti delle intercettazioni ambientali effettuate presso il domicilio dell’imputato successivamente alla data del 10.06.2016 (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)) per avere, la Corte di Appello, respinto l’eccezione di inutilizzabilita’ delle stesse proposta in sede di appello.
Sul punto si evidenzia come, con riferimento alla proroga della intercettazione ambientale disposta dal P.M., sia la richiesta di questi che il provvedimento autorizzativo del G.I.P., nella loro parte dispositiva, non rechino alcun riferimento alle intercettazioni ambientali, contenendo espressa menzione della sola intercettazione delle conversazioni e comunicazioni telefoniche e l’espresso riferimento ad una modalita’, la localizzazione phone positioning, tipica e utile delle sole intercettazioni telefoniche.
Erra, la Corte di Appello, nel ritenere che sia la richiesta che l’autorizzazione predette siano nelle loro parti dispositive viziate da meri errori non rilevanti, trattandosi, invece, di vizi patologici tali da inficiare la validita’ degli atti e concretanti una vera e propria inutilizzabilita’ patologica, non sanata dalla scelta del rito. Tale circostanza, viene ribadito, assume particolare rilevanza considerando che a quanto emerge dalle suddette intercettazioni ambientali fa riferimento il primo giudice, seguito dal secondo, sia nel tratteggiare la figura dello (OMISSIS) che per motivare la decisione di comminare allo stesso una pena base di anni 5 e mesi 4 di reclusione, ben superiore a quella comminata al coimputato (OMISSIS) per lo stesso reato.
3.4. Con il quarto motivo si deduce la mancanza, insufficienza e/o contraddittorieta’ della motivazione nonche’ l’erronea applicazione della norma penale in ordine alla ritenuta sussistenza a carico dell’imputato del reato fine di cui al capo f) dell’imputazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, dalle investigazioni compiute emerge come nessun ruolo possa essere attribuito allo (OMISSIS) rispetto al fatto in esame, non essendo, questi, stato visto presso il (OMISSIS) insieme agli alti imputati, ne’ (Ndr: testo originale non comprensibile) ricevette o effettuo’ agli stessi telefonate, ne’ che impegno’ celle presenti in zona, ne’ fu visto transitare in prossimita’ di luoghi diversi da quelli ove era ubicata la sua abitazione, ne’ venne utilizzata la sua vettura.
In assenza di tali elementi, la Corte considera responsabile l’imputato sulla base del fatto che, tre giorni dopo il furto in questione, il (OMISSIS) si rivolse a lui apostrofandolo “disossatore di prosciutti” mettendo tale affermazione in relazione al fatto che i danneggiati denunciarono anche la sparizione di generi alimentari.
La Corte ha, inoltre, errato nell’affermare che nel corso della stessa telefonata il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) commentavano il fatto, limitandosi il primo all’espressione citata. Anche volendo ipotizzare l’aver successivamente ricevuto, lo (OMISSIS), un prosciutto frutto del furto commesso da altri, non si vede come per cio’ solo la Corte possa ritenere lo (OMISSIS) responsabile del furto stesso.
3.5 Con il quinto motivo viene dedotta la mancanza, insufficienza e/o contraddittoria motivazione nonche’ l’erronea applicazione della norma penale in ordine alla ritenuta sussistenza a carico dell’imputato dei reati-fine di cui ai capi g) e h) dell’imputazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).
In particolare, la motivazione e’ carente e contraddittoria nell’affermare la responsabilita’ dell’imputato e, allo stesso tempo, ritiene che gli episodi in questione vennero posti in essere da due soli soggetti, individuati in (OMISSIS) e (OMISSIS).
Viene ipotizzato un concorso morale dello (OMISSIS) sulla sola base del fatto che i due autori sopracitati si trovassero, nelle ore precedenti la commissione, presso la casa dello stesso.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Inoltre, in un passaggio successivo, la motivazione contraddice la precedente ipotesi, affermando, pur in assenza di sostegno probatorio, che anche in relazione agli episodi in oggetto sarebbe stato seguito il solito schema operativo, e, cioe’, lo (OMISSIS) avrebbe accompagnato i due autori sul luogo e si sarebbe poi premurato di recuperarli. Tuttavia, alcuna telefonata tra l’imputato e i due autori e’ stata intercettata, nemmeno e’ stato rilevato l’aggancio di alcuna cella telefonica, e, ancora, l’unico mezzo intercettato fu quello in uso al (OMISSIS), sul quale l’imputato non venne notato.
3.6. Con il sesto motivo viene dedotta la mancanza, insufficienza e/o contraddittorieta’ della motivazione nonche’ l’erronea applicazione della norma penale in ordine alla ritenuta sussistenza a carico dell’imputato del reato fine di cui al capo I) dell’imputazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)). Il coinvolgimento dell’imputato in relazione all’episodio di cui al capo di imputazione in oggetto – si lamenta – e’ solo indiziario, essendo rinvenuto esclusivamente nel fatto che il (OMISSIS) si rivolse allo stesso per chiedere lui un cacciavite, pur non essendo provato ne’ se tale cacciavite fu effettivamente utilizzato dagli autori per il compimento dell’azione, ne’, prima ancora, che lo (OMISSIS) lo procuro’ e consegno’ ad essi.
3.7 Con il settimo motivo viene dedotta la mancanza, insufficienza e/o contraddittorieta’ della motivazione e l’erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche nonche’ la violazione del principio di dosimetria della pena in relazione all’articolo 133 c.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).
In particolare, la Corte, condividendo le considerazioni svolte dal primo giudice, ha mancato di motivare circa la mancata concessione delle attenuanti generiche nei confronti dello (OMISSIS), che, peraltro – a differenza degli altri imputati, per i quali il riconoscimento del beneficio e’ avvenuto mediante un travisamento dell’istituto – ad eccezione del successivo e connesso episodio delittuoso del dicembre 2017, giudicato separatamente, aveva sino ad allora condotto una vita irreprensibile, testimoniata dal suo stato di sostanziale incensuratezza. Tale condizione dell’imputato, si aggiunge, non viene considerata nell’applicazione della pena base di anni 5 e mesi 4 di reclusione per il reato di cui al capo a), di molto superiore, e, comunque, oggettivamente eccessiva e sproporzionata rispetto a quella di tutti gli altri imputati essendo, lo (OMISSIS), l’unico soggetto per il quale sussiste la certezza in ordine al fatto che mai si introdusse nelle abitazioni predate.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

4. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti quattro motivi:
4.1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 2 c.p., comma 4, articolo 624 bis c.p., comma 3, e della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 6, lettera b), (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)) per avere, la Corte di Appello, nel rideterminare la pena inflitta all’imputato in primo grado, considerando come fatto di reato piu’ grave il delitto di cui al capo o) dell’imputazione, con gli aumenti previsti per la recidiva e la continuazione, condannato lo stesso alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, specificando come si trattasse di pena poco superiore al minimo edittale.
Manca di considerare, la Corte, come la disposizione relativa all’imputazione di cui al capo o), al momento della commissione del fatto, cioe’ prima della modifica introdotta L. 23 giugno 2017, n. 128, prevedeva una pena pari ad anni 3 di reclusione come minimo edittale. L’applicazione della pena con riferimento specifico al minimo edittale risultante dall’intervenuta modifica, piu’ sfavorevole al reo, viola i principi previsti all’articolo 2 c.p., comma 4 oltre che dall’articolo 7 CEDU, ed affermati dalla recente giurisprudenza di questa corte a Sezioni Unite (Cass. Pen. S.U., sent. 19 luglio 2018, n. 40986 Rv. 273934 – 01).
4.2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione della L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, comma 8, (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)) per avere, la Corte di Appello, pur non sussistendo prova ne’ dell’elemento oggettivo ne’ di quello soggettivo del reato, confermato la condanna inflitta dal giudice di primo grado all’imputato per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione ai danni di (OMISSIS).
Sul punto, riportando giurisprudenza di questa Corte (Cass. Pen., Sez. 3, Sent. n. 28042 del 29/11/2016, Rv. 270279 – 01, Antenori); Cass. Pen.. Sez. 3, Sent. n. 98 del 24/11/1999, Rv. 215061 – 01, De Stasio D.; Cass. Pen., Sez. 3, Sent. n. 2796 del 31/01/1997, Rv. 207289 – 01, Le Rose e Altri), si sostiene che, pur essendo l’imputato pienamente a conoscenza dell’attivita’ di prostituzione della donna, non traendo i propri mezzi di sussistenza dall’attivita’ della stessa, non possa ritenersi responsabile del reato ipotizzato; egli si limitava ad ospitarla e a mantenerla presso la propria dimora) ee le piccole somme che quest’ultima a lui corrispondeva” nient’altro erano che un modo per esprimere riconoscenza all’amante. Trattavasi, difatti, di somme del tutto sproporzionate rispetto ai guadagni del meretricio e, allo stesso tempo, irrisorie rispetto a quanto l’imputato spendeva per mantenerla, di modo che, alla luce della giurisprudenza gia’ richiamata, non riconoscersi l’intenzione dello (OMISSIS) di sfruttare la prostituzione della donna.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

4.3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1 (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)) per avere, la Corte di Appello, nonostante la carenza sia dell’elemento soggettivo che di quello oggettivo, confermato la condanna inflitta dal giudice di primo grado all’imputato perii reato di cui al capo t).
Si e’ ritenuto integrato il reato per avere il Losacco espresso allo Shtjefni la finalita’ della vendita dello stupefacente. Invero, come gia’ evidenziato nell’atto di appello, l’acquisto della droga, quantomeno per l’imputato, era finalizzato all’uso personale e non alla vendita. Diversamente da quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Pen., sez. III, sent. 17 settembre 2015, n. 37629), ne’ in casa, ne’ nell’auto dell’imputato sono stati rinvenuti quegli “elementi ulteriori” per considerare la detenzione di una sostanza destinata alla vendita (quali bilancini di precisione, sostanze idonee a tagliare la sostanza, telefoni cellulari per contattare sedicenti clienti ovvero agende contenenti i numeri telefonici degli stessi).
Nel caso di specie, si evidenzia, ricorrerebbero i presupposti di un mandato all’acquisto collettivo (penalmente non rilevante) effettuato dall’imputato per i componenti di un gruppo, conosciuti dal Losacco, avendo lo stesso affermato di avere gia’ 4 o 5 persone con cui dividere il quantitativo di sostanza.
4.4. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 114 c.p. (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) per non avere, la Corte di Appello, con riferimento al reato di cui al capo r) dell’imputazione, riconosciuto l’attenuante speciale della minima partecipazione. Sottolinea il ricorrente che il corredo probatorio, come anche rilevato dalla stessa Corte, evidenzia un ruolo minore dello stesso rispetto al concorrente (OMISSIS), limitandosi il primo a fungere da palo, fornendo un apporto causale praticamente nullo. In questo senso erra, la Corte di Appello, nel non valutare l’applicazione della circostanza attenuante in analisi.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

5. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti sei motivi:
5.1. Con il primo motivo viene dedotta l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 271, 267 e 268 c.p.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in particolare l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni sottoposte a traduzione, mancando, in ogni verbale di trascrizione delle stesse redatto da Personale dell’Autorita’ di Polizia, l’indicazione della persona che ha provveduto alla traduzione; circostanza che rende impossibile il controllo sulla capacita’ di tradurre dell’interprete o, comunque, un controllo delle fasi di traduzione.
Avendo a mente la sentenza n. 28216/2016 pronunciata da questa Corte, il ricorrente ritiene essersi verificata violazione della disposizione di cui all’articolo 271 c.p.p. nella parte in cui prevede che debbano considerarsi inutilizzabili i risultati delle attivita’ captative ogniqualvolta esse siano eseguite fuori dai casi previsti dalla legge ovvero in violazione di quanto previsto dall’articolo 267 c.p.p., e nell’articolo 268 c.p.p., comma 1, quest’ultimo statuendo che delle operazioni sia redatto apposito verbale, ai sensi dell’articolo 89 disp. att. c.p.p. Cio’ in quanto, anche alla luce di ulteriori disposizioni, sempre richiamate da ricorrente, quali gli articoli 73 e 115 disp. att. c.p.p., risulta esplicita la precisa volonta’ del codice di rito di rendere note le generalita’ dei soggetti terzi della cui collaborazione ci si avvalga nel corso delle indagini, al fine di rendere verificabile da parte della difesa, e sin dalla fase delle indagini preliminari, sia l’attivita’ investigativa che le attivita’ tecniche attraverso le quali la stessa si e’ svolta.
5.2 Con il secondo motivo viene dedotta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 405 c.p.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in particolare l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni effettuate oltre il termine massimo per le indagini preliminari previsto in sei mesi dallo stesso articolo. Si evidenzia che risalendo, la prima iscrizione nel registro delle notizie di reato, al 14 aprile 2016, sarebbero inutilizzabili le intercettazioni effettuate oltre il 14 ottobre 2016 (trattasi, in particolare, delle captazioni riguardanti (OMISSIS) e non il Doda, che per la loro incidenza potrebbero comunque aggravare la posizione del ricorrente, cosi testualmente in ricorso).
5.3. Con il terzo motivo viene dedotta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 271 c.p.p., comma 1 e articolo 268 c.p.p., comma 3 (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in particolare l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, compiutamente indicate nel ricorso, il cui inizio aveva avuto origine presso i locali della Caserma dei Carabinieri di Piacenza e non presso la Procura della Repubblica, come disposto dal decreto di intercettazione adottato dal P.M. in data 25 maggio 2016, a dimostrazione che la registrazione di tali dati sia stata effettuata presso il reparto dei Carabinieri e non presso la Procura della Repubblica, e cio’, in assenza di autorizzazione derogatoria.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

5.4. Con il quarto motivo viene dedotta l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 266 e 267 c.p.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in particolare l’inutilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni, compiutamente indicate nel ricorso, nel cui decreto autorizzativo del G.I.P. e’ omessa l’indicazione dei giorni per i quali era stata ammessa l’intercettazione. Cio’ dovendosi ritenere, a parere del ricorrente, perche’ l’autorizzazione concessa senza l’indicazione del termine non e’ idonea a consentire la prosecuzione dell’attivita’ oltre la singola giornata, il minimo ontologicamente desumibile dall’articolo 267 c.p.p., comma 3, lettera.
5.5. Con il quinto motivo viene dedotta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 267 c.p.p., comma 3 (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in particolare l’inutilizzabilita’ delle captazioni telefoniche relative al RIT 111/2016 e 144/2016 autorizzate per i 15 giorni successivi al decreto genetico del 24 maggio 2016, essendo, la proroga del 14 giugno 2016/tardiva di ben 7 giorni rispetto all’originario dies ad quem (7 giugno 2016).
5.6. Con il sesto motivo viene dedotta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 24 Cost., articolo 546 c.p.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)) nonche’ la mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) con riferimento alla conferma del giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti del reato e quelle attenuanti generiche, nonostante l’accoglimento dei motivi di impugnazione dell’imputato volti ad ottenere l’esclusione della recidiva. Si precisa come la Corte abbia, da un lato, escluso ogni applicazione della recidiva, dall’altro, omesso di palesare qualsivoglia considerazione a sostegno della implicita irrilevanza attribuita al venir meno della stessa, con il riconoscimento nel giudizio di bilanciamento di una equivalenza tra le attenuanti generiche e le contestate aggravanti del reato.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

6. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti due motivi:
6.1. Con il primo motivo vengono dedotti i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) per violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per essere, la motivazione, carente in punto di partecipazione dell’imputato all’associazione per delinquere di cui al capo a) dell’imputazione.
In particolare, si lamenta che la Corte di Appello non ha ne’ affrontato ne’ smentito gli argomenti sostenuti nell’atto di appello proposto dal ricorrente, che militavano nel senso dell’occasionalita’ dell’azione del (OMISSIS) e quindi della sua assoluzione del reato di cui al capo a), non avendo, peraltro, la sentenza di primo grado, fornito alcuna prova circa la sua consapevolezza dell’esistenza del sodalizio e della sua volontaria adesione al fine associativo delinquenziale. Difatti, dopo aver richiamato per relationem quanto affermato dal giudice di primo grado, in ordine alla sussistenza degli elementi fattuali dell’ipotesi associativa, la Corte territoriale concentrava le proprie argomentazioni sulla figura dei correi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) omettendo di pronunciarsi sui gia’ richiamati argomenti relativi al (OMISSIS).
6.2. Con il secondo motivo vengono dedotti i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) per violazione dell’articolo 125, comma 3, per essere, la motivazione, carente ed illogica in punto dosimetria della pena.
In particolare, si lamenta che la sentenza impugnata ha respinto le doglianze difensive relative all’eccessivo trattamento sanzionatorio sostenute nell’atto di appello, non ravvisando alcun motivo per effettuare una diversa quantificazione, essendo stato, l’imputato, tratto in arresto in flagranza del reato di furto in abitazione in data (OMISSIS). Sul punto, si evidenzia che erra la Corte nel giungere a tale conclusione, fondandosi esclusivamente su fatti occorsi dopo l’intervenuta lettura del dispositivo (6 novembre 2019), nelle more del termine per la stesura della motivazione, laddove il sopraggiungere di nuove circostanze attenenti la pericolosita’ non puo’ costituire oggetto di valutazione da parte del giudice di secondo grado (Cass. Pen., Sez. V, 17 marzo 2000, n. 1520).

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

7. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti tre motivi:
7.1. Con il primo motivo viene dedotta l’erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. nonche’ l’illogicita’ e la manifesta contraddittorieta’ della motivazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)) per avere, il G.I.P., prima, e la Corte di Appello, poi, ritenuto sussistente il reato di cui al capo a) pur in mancanza dei requisiti richiesti per la sua configurazione, trattandosi, come si evince dalle acquisizioni in fatto, la cui indicazione e’ specificamente riportata alle pagine 3 e 4 del ricorso, di un numero non cosi’ cospicuo di episodi di furto, effettuati in un ristretto lasso temporale, in mancanza di un legame permanente e stabile prescindente dai reati-fine e di un programma criminoso indeterminato. Si contesta altresi’ il ruolo di organizzatore attribuito all’ (OMISSIS) solo sulla base di due intercettazioni ambientali captate a casa di (OMISSIS).
7.2. Con il secondo motivo viene dedotta l’erronea applicazione dell’articolo 62 bis c.p., nonche’ la contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)) per avere, la Corte di Appello, negato sia il riconoscimento delle circostanze attenuanti che la rimodulazione in termini piu’ contenuti della pena inflitta in continuazione. Si evidenzia come sul punto la Corte territoriale si sia limitata a manifestare il dissenso in relazione alle circostanze attenuanti richieste, rilevando l’esistenza di altra condanna a carico dello (OMISSIS) per reati dello stesso tipo e il ruolo apicale al medesimo attribuito.
7.3. Con il terzo motivo viene dedotta l’erronea applicazione dell’articolo 99 c.p., nonche’ l’illogicita’ e la manifesta contraddittorieta’ della motivazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)) per avere, la Corte di Appello, confermato il trattamento sanzionatorio applicato dal giudice di primo grado e non escluso la recidiva contestata, senza tener conto che la medesima circostanza era stata, invece, esclusa, a parita’ di precedenti penali, dalla medesima Sezione della Corte territoriale nell’ambito del parallelo procedimento penale n. 4116/2017 R.G.N. R. – n. 755/2019 R.G. concluso con sentenza emessa in data 23 marzo 2019.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

8. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti quattro motivi:
8.1. Con il primo motivo viene dedotta l’erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. con riferimento alla ritenuta configurabilita’ dell’elemento oggettivo del reato associativo, nonche’ la violazione di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 192 c.p.p., comma 1, per avere, la Corte di Appello, riconosciuto e confermato la sussistenza dell’associazione di cui al capo a) in assenza della prova in ordine a tutti gli elementi costitutivi del delitto di associazione a delinquere in capo allo stesso (vincolo associativo tendenzialmente stabile e permanente tra tre o piu’ soggetti, indeterminatezza del programma criminoso ed esistenza di una stabile struttura risultante dall’organizzazione di uomini e mezzi funzionale a realizzare gli obiettivi dell’associazione, Cass. Pen. Sez. V, 8 maggio 2013, n. 19783). In questo senso si evidenzia l’errore della Corte di Appello nell’aver mancato di ritenere rilevante, per l’esclusione del reato in questione, la presenza di contrasti all’interno del gruppo, i relativi movimenti, cosi’ come l’esistenza di critiche e momenti di sospensione dell’attivita’, considerando il concetto di stabilita’ del vincolo associativo legato piu’ alla finalita’ illecita non predeterminata nel tempo che alla sua durata temporale.
8.2. Con il secondo motivo viene dedotta l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 416 con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato associativo, nonche’ la violazione di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 192 c.p.p., comma 1.
In particolare, la Corte territoriale, attraverso una ricostruzione generale e non individualizzata dei fatti di processo, ha ravvisato in capo a tutti gli imputati, compreso il (OMISSIS), la prova dell’affectio societas scelerum, affermando come ciascuno di essi avesse la consapevolezza di operare per l’attuazione del programma criminoso finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti: cio’ nonostante fosse stato accertato che il (OMISSIS) non conoscesse buona parte dei presunti associati, fosse l’unico a viaggiare sull’autovettura di proprieta’, utilizzasse un’utenza telefonica a lui stesso intestata e non partecipasse alla spartizione dei bottini ricavati dai furti.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

8.3. Con il terzo motivo viene dedotta l’erronea applicazione dell’articolo 62 bis c.p. e la manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in ragione di prevalenza sulle contestate circostanze aggravanti, nonche’ la violazione di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella commisurazione della pena da infliggere in relazione all’articolo 133 c.p.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).
In particolare, si censura l’avere, la Corte di Appello, respinto l’assunto difensivo circa la concedibilita’ delle attenuanti generiche in ragione sia dello stato di incensuratezza dell’imputato al momento del fatto, sia del suo comportamento collaborativo, resipiscente ed ammissivo, dallo stesso tenuto, basandosi sui precedenti penali risultanti dal casellario e sulle circostanze che hanno individuato il reato piu’ grave.
Si evidenzia altresi’ l’incoerente applicazione della attenuante che ha visto il riconoscimento della stessa, invece, in capo ad altri coimputati, pur in assenza di qualsivoglia spunto di pentimento, al solo fine di mitigare la pena, che, per l’effetto della recidiva, sarebbe stata troppo gravosa.
8.4. Con il quarto motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 6 e la manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, nonche’ la violazione di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella commisurazione della pena da infliggere in relazione all’articolo 133 c.p.p. (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

In particolare, si evidenzia come la Corte di Appello di Bologna abbia mancato di valorizzare il comportamento ristorativo dell’imputato, che, ancora in fase di indagini preliminari (24 maggio 2018), indirizzava, per mezzo del proprio difensore, ad ogni persona offesa dei fatti-reato ammessi in data (OMISSIS), una lettera di scuse nella quale rappresentava il suo dispiacere per quanto accaduto in seguito alle proprie condotte furtive, ed offriva una somma di denaro a titolo di risarcimento dei danni patiti. Lettere che, pur essendo state ricevute, sono rimaste tutte prive di riscontro1salvo quella rivolta a (OMISSIS), che ha manifestato la volonta’ di accettare la somma propostale a titolo di risarcimento del danno.
9. Decreto Legge n. 137 del 2020, Ex articolo 23, comma 8, le parti hanno cosi’ concluso:
9.1.il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte, Dott.ssa K. Tassone, ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi;
9.2.il difensore dell’imputato (OMISSIS), avv. (OMISSIS), ha insistito nei motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;
9.3. il difensore dell’imputato (OMISSIS), avv. (OMISSIS), ha concluso chiedendo in via principale l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e in via subordinata l’annullamento con rinvio;
9.4.i difensori dell’imputato (OMISSIS), avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno illustrato ulteriormente i motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;
9.5.il difensore dell’imputato (OMISSIS), avv. (OMISSIS), nel controdedurre agli argomenti del P.G., ha concluso per l’accoglimento del ricorso non ritenendo fondati i rilievi del P.G..

 

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CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili perche’ aventi ad oggetto censure non consentite in sede di legittimita’, o meramente reiterative delle questioni proposte con l’atto di appello e disattese dalla Corte di merito con argomenti adeguati, ovvero manifestamente infondate; per ciascuno di essi verranno qui di seguito indicate le rispettive, specifiche, ragioni di inammissibilita’.
1. Il ricorso presentato da (OMISSIS).
1.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio argomentativo nonche’ l’errata applicazione della norma di cui all’articolo 416 c.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo di cui al capo a) dell’imputazione in ragione dell’esistenza di una base operativa identificata nella cascina dello (OMISSIS), della ripetitivita’ dello schema operativo seguito per l’esecuzione dei reati fine e, da ultimo, dell’utilizzo da parte dei complici di utenze e vetture dedicate esclusivamente al compimento dei reati fine.
Il motivo e’ inammissibile: innanzitutto tende ad estrapolare singole affermazioni contenute nella sentenza impugnata riflettenti segmenti della complessiva ricostruzione della vicenda associativa, e mediante una siffatta, peraltro astratta, modalita’ confutativa pretende di sovvertire la impostazione del giudice di merito, che affonda le sue radici in precisi addentellati probatori, di volta in volta indicati, offrendo una propria lettura delle risultanze processuali, a tratti proponendo una sorta di ricostruzione alternativa; e cio’ a fronte di ben piu’ ampia e complessa ricostruzione della Corte territoriale, che e’ giunta alla conferma della pronuncia di primo grado mediante la esposizione di una pluralita’ di elementi ritenuti, con motivazione essente dai vizi denunciati, sintomatici dell’esistenza di un gruppo associativo, elementi che vanno, peraltro, anche oltre quelli indicati dal ricorrente.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Prendendo le mosse dalle censure del primo dei riportati elementi che, a parere del ricorrente, la Corte di Appello ha ritenuto decisivi per la sussistenza del reato in questione, va osservato come non sia stato giustamente ritenuto rilevante il fatto, giustificativo della frequentazione della cascina da parte dei coimputati, che l’identificata base operativa fosse in realta’ la casa di abitazione dello (OMISSIS), circostanza evidentemente non sufficiente di per se’ a far degradare tale sito a luogo in cui questi ospitava occasionalmente degli amici, e i coimputati a meri amici, frequentatori occasionale della casa.
Lungi questa Corte dall’addentrarsi in osservazioni di fatto non ammesse in questa sede, e’ opportuno, pero’, specificare come non sia sufficiente, per la contestazione del procedimento argomentativo seguito dal giudice, una semplice ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettive e soggettive fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe’ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, Mannile F. Rv. 278237 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260409 – 01).
Trattasi, peraltro, sotto certi aspetti, di elementi nuovi, non risultanti dalla incontestata sintesi dei motivi di appello contenuta nella pronuncia impugnata – che fanno si’ riferimento alla richiesta di assoluzione dell’imputato dal reato di cui al capo a), senza alcun riferimento, pero’, a contestazioni sull’individuata base operativa del gruppo o sull’assenza di attivita’ delittuose ivi commesse, in particolare, sul fatto che nei giorni in cui vi si trovavano alcuni degli indagati nessun furto venne commesso – e, comunque, non vagliabili di ufficio in questa sede perche’ implicanti valutazione in fatto.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Ancora, quanto alla circostanza secondo cui nella cascina della (OMISSIS) si svolgessero le attivita’ preparatorie dei delitti e venisse riposta la refurtiva frutto degli atti predatori, manca il ricorrente di confrontarsi con l’impugnata sentenza che, sul punto, sottolinea come varie volte gli operanti avessero verificato la presenza di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) “i quali la’ si recavano per incontrare (OMISSIS) ma anche per incontrarsi tra loro, in assenza di (OMISSIS), nonche’ per coordinarsi, organizzare e seguire l’attivita’ delinquenziale”, e come “dalle intercettazioni – specificamente indicate nel provvedimento impugnato – fosse emerso che tale luogo era utilizzato per occultare la refurtiva ma anche gli indumenti, gli attrezzi e gli strumenti utilizzati per commettere i furti, anche in assenza di (OMISSIS)”.
Anche le censure riferite alla ritenuta disponibilita’ di veicoli in capo ai membri del sodalizio criminoso, quale elemento indicativo del delitto associativo, sono da ritenersi aspecifiche. Il ricorrente, di nuovo, omette di confrontarsi con l’impugnata sentenza, nella quale la Corte di Appello giustifica il proprio assunto in primo luogo constatando, al contrario di quanto da questi sostenuto, la disposizione in capo agli imputati di tre autovetture – non intestate ad alcuno di essi ma a prestanomi – utilizzate per trasportare i correi, l’attrezzatura e la refurtiva; inoltre, che gli stessi si preoccupavano che dette autovetture potessero circolare regolarmente e avessero le caratteristiche per non dare nell’occhio, con cio’ richiamando le intercettazioni sul punto nelle quali, in particolare, lo (OMISSIS) discuteva con il (OMISSIS) sul progetto di acquistare una vettura da intestare ad un prestanome per i furti ed un’altra da intestare a se stessi da utilizzare per le attivita’ lecite.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Anche la ritenuta sussistenza, da parte del giudice di appello, di uno schema ripetitivo presentato dagli atti posti in essere dagli imputati, risulta, a parere del ricorrente, non decisiva e comunque non sufficientemente motivata. Analogamente a quanto detto in ordine alle censure sopra indicate, questa Corte si limita sul punto ad osservare come, nuovamente il ricorrente abbia mancato di dialogare con l’impugnata sentenza che ha offerto compiuta motivazione al riguardo; rispetto alla quale a nulla potrebbe rilevare la contestazione per la quale lo schema seguito nel caso di specie sarebbe tipico di qualsiasi condotta furtiva, sempre caratterizzata dalle fasi di individuazione dell’obiettivo, esecuzione del furto e ricettazione della refurtiva anche nel caso in cui essa e’ commessa da piu’ persone in concorso e non quale esecuzione di un piu’ ampio disegno riconducibile ad un contesto associativo, trattasi all’evidenza di mera annotazione astratta, e non disarticolante. La Corte di Appello, invero, non individua generiche fasi come riportate dal ricorrente, ma fa riferimento a concrete modalita’ esecutive utilizzandole per argomentare e valutare la prova dell’associazione per delinquere, con specifico riferimento a soggetti e luoghi. Cio’, seguendo l’insegnamento di questa Corte per il quale – anche se con riferimento specifico al tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti – “nonostante l’autonomia del reato-mezzo, che puo’ sussistere anche nel caso in cui il programma non sia attuato, quando vengono commessi delitti rientranti nel programma, il giudice puo’ legittimamente argomentare dalla loro commissione e dalle specifiche modalita’ esecutive per valutare la prova dell’associazione per delinquere” (Sez. 6, Sentenza n. 8046 del 08/05/1995, Valente ed altri, Rv. 202033 – 01). E cio’ e’ vieppiu’ calzante nel caso di specie in cui la valutazione relativa al modus operandi fa parte di una ben piu’ ampia ricostruzione operata nelle pronuncia impugnata, al fine di dare conto dei molteplici aspetti deponenti per la sussistenza di una vera e propria associazione e non dell’ipotesi del mero concorso in una pluralita’ di reati analoghi.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Anche con riferimento agli assunti circa la rivendita dei beni oggetto di furto nel medesimo campo rom milanese, ritiene questa Corte di ripetere le considerazioni gia’ svolte supra circa le censure innovative e in fatto, – non risultanti dalla incontestata sintesi dei motivi di appello contenuta nella pronuncia impugnata – prospettate dal ricorrente, risoltesi nella proposta di interpretazione alternativa dei fatti rispetto a quella prospettata dalla Corte di Appello e dei primo giudice. Affermando che tale condotta non caratterizzi il modus operandi del gruppo associato, non potendo escludersi che i vari soggetti vi si siano via via recati in virtu’ di un’emulazione di coloro che vi si erano gia’ recati senza incontrare problemi, si pone una semplice ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo, invece, e come gia’ anticipato, il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe’ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, Mannile F. Rv. 278237 01; Sez. 5, Sentenza n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260409 – 01).
Il riferimento all’assenza di una organizzazione gerarchica, la cui mancanza non avrebbe consentito, a parere del ricorrente, l’individuazione della fattispecie di reato di cui al capo a) e’ manifestamente infondato. Basti sul punto richiamare quanto disposto da questa Corte che precisa come “(p)er la configurabilita’ del delitto di associazione per delinquere non e’ necessaria una vera e propria organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di cariche, essendo sufficiente l’esistenza di un vincolo non circoscritto a determinati delitti ma esteso ad un generico programma delittuoso”.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

(Sez. 6, Sentenza n. 5500 del 30/03/1998 Rv. 210520 – 01, Pareglio E e altri; sul punto anche Sez. 6, Sentenza n. 7440 del 11/03/1992, Rv. 190879 – 01). Cio’ nondimeno si e’ dato conto delle ragioni poste a base del ruolo di promotore dello (OMISSIS) e dell’ (OMISSIS), come delineatosi anche attraverso gli esiti delle intercettazioni.
Da ultimo, e’ manifestamente infondato anche il rilievo relativo alla spartizione degli utili derivanti dai furti, divisi in parti uguali solo tra coloro che vi prendevano parte, anomala, a parere del ricorrente, nei contesti associativi come quello individuato nel caso di specie. Posta l’autonomia tra il profitto derivante dal delitto di associazione per delinquere e quello prodotto dai reati fine (Sez. 3, Sentenza n. 44912 del 07/04/2016, Bernasconi, Rv. 268772 – 01) costituito, il primo, dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme di questi ultimi, per la configurazione del reato in questione non si richiede affatto una partecipazione degli associati ad un’eguale, o quanto meno proporzionale, divisione degli utili conseguiti dall’organizzazione, giacche’, cio’ che conta e’ la sussistenza di un vincolo associativo permanente e, percio’, la consapevolezza di ciascun aggregato di essere impegnato a dare il proprio contributo al perseguimento dei fini illeciti dell’associazione, in un rapporto di stabile collaborazione tra i vari componenti (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 7063 del 05/05/1995, Correnti ed altri, Rv. 201907).
1.2. Con il secondo motivo l’imputato deduce il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale con riferimento al ruolo di promotore a lui attribuito. Il motivo e’ palesemente inammissibile perche’ deduce elementi di fatto non valutabili in sede di legittimita’ ed e’, comunque, aspecifico, tenuto conto peraltro che allo (OMISSIS) e’ ascritto non solo il ruolo di promotore ma anche quello di organizzatore.
Riguardo le considerazioni circa la mancata messa a disposizione della cascina quale base operativa della banda, si richiama quanto gia’ espresso con riferimento al primo motivo, con l’aggiunta che gli ulteriori elementi – le deduzioni, cioe’, atte a contestare l’affermata frequentazione della cascina da parte dei coimputati, anche in assenza dello (OMISSIS), a sottolineare i rapporti telefonici intercorsi esclusivamente con uno dei coimputati, ad evidenziare la mancata messa a disposizione del gruppo della propria esperienza nel settore degli impianti di sicurezza, la cessazione dell’attivita’ criminale nell’agosto del 2016 – si risolvono tutti in aspetti fattuali, la cui considerazione da parte di questa Corte implicherebbe valutazioni di merito, per questo non vagliabili in questa sede.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Diversamente da quanto si deduce coi vizi dedotti, si osserva che in ogni caso il giudice di appello ha correttamente e puntualmente individuato ed indicato le intercettazioni aventi ad oggetto le conversazioni dell’imputato con l’ (OMISSIS) – a cui lo stesso ruolo viene contestato – relative all’effettuazione di sopralluoghi, a discussioni circa il miglior modo per fare ingresso nelle abitazioni, all’acquisizione di informazioni, a confronti circa la fiducia da essi riposta nei sodali chiamati “allievi”, al fatto che lo (OMISSIS) si facesse promotore di nuovi colpi, individuando nuovi obiettivi, al suo essere conosciuto all’interno del campo nomadi frequentato per rivendere la refurtiva. Tutti elementi oggetto di un’argomentazione che, oltre a rinnegare l’omessa motivazione censurata, e’ coerente con gli insegnamenti di questa Corte sul punto che in primo luogo richiedono, per affermarsi qualita’ di “promotore” od “organizzatore”- la prova del ruolo in concreto svolto da coloro cui tale qualifica viene attribuita, atteso che i compartecipi di un’associazione non possono, in modo automatico, essere ritenuti tali (sul punto, ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 25698 del 15/06/2011, Brusaferri, Rv. 250515 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3137 del 19/12/2014, Terracchio, Rv. 262487 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 19191 del 07/02/2013, P.G., Rv. 255132 – 01). In secondo luogo, quanto affermato dal giudice di merito, rientra nelle caratteristiche del rivestito ruolo di promotore come tratteggiate da questa Corte, che individua tale figura non solo in chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando attorno a se’ le prime adesioni e consensi partecipativi, ma anche colui che rispetto ad un gruppo gia’ costituito, contribuisce alla potenzialita’ pericolosa dello stesso, provocando ulteriori adesioni, sovraintendendo alla complessiva attivita’ di gestione di esso assumendo funzioni decisionali (cfr. ex multis Sez. 6, Sentenza n. 45168 del 29/10/2015, Cidoni, Rv. 265524-01;Sez. 2, Sentenza n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268962 – 01). Nel resto il motivo presenta argomenti del tutto marginali e congetturali, privi di efficacia dirimente.
1.3. Il terzo motivo eccepisce l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni ambientali effettuate presso il domicilio del ricorrente successivamente alla data del 10.6.16, per essere state svolte in virtu’ di una richiesta di proroga del P.M. ed una autorizzazione del G.I.P. entrambe viziate. Queste, difatti, recano il riferimento alle captazioni ambientali nella sola parte motiva, limitandosi, quella dispositiva, a menzionare le intercettazioni delle conversazioni e comunicazioni telefoniche. Sul punto, ritiene questo collegio di specificare come in alcuna violazione di legge sia incorsa la Corte di Appello, della quale si condividono gli assunti, facendo proprio il principio affermato dalla Sesta Sezione di questa Corte in relazione ad una fattispecie corrispondente a quella oggetto di deduzione, secondo cui “il contenuto di un provvedimento del Gip”, si afferma, “deve essere tratto dal tenore complessivo dello stesso ed e’ del tutto priva di rilievo una eventuale omissione o carenza della sua parte dispositiva” (Sez. 6, Sentenza n. 1459 del 01/04/1997, Cannizzaro, Rv. 208291 – 01) In particolare, nell’affermare tale principio, questa Corte ha ritenuto pienamente valide – in un caso quindi speculare a quello in esame le intercettazioni telefoniche effettuate sulla base di un decreto con il quale il G.I.P. aveva autorizzato sia intercettazioni telefoniche che ambientali, anche se nella parte dispositiva si faceva espresso riferimento solo a queste ultime, dal momento che il tenore complessivo del provvedimento inequivocabilmente induceva a ritenere che il Gip aveva inteso riferirsi ad entrambe.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

E cio’ di la’ dell’ulteriore annotazione, che pure e’ pertinente al caso in esame secondo cui, in tema di intercettazioni di comunicazioni, qualora in sede di legittimita’ venga eccepita l’inutilizzabilita’ dei relativi risultati, e’ onere della parte indicare specificamente non solo l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato, ma anche la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv.243416; Sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, Giorgini, Rv. 266774); mentre la difesa non ha indicato quale sia il contenuto delle specifiche intercettazioni coinvolte dalla eccezione, ne’ la loro incidenza sul perimetro cognitivo generale del compendio probatorio (sicche’ risulterebbe addirittura inibito il preliminare giudizio sulla rilevanza della questione, cfr. Sez. 1 -, Sentenza n. 4071 del 04/05/2018 Ud. (dep. 30/01/2020) Rv. 278583 – 03).
1.4. Con il quarto motivo, deducendo i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), si contesta il ritenuto coinvolgimento oltre ogni ragionevole dubbio del ricorrente nel reato di cui al capo f) dell’imputazione. Il motivo e’ inammissibile in quanto meramente reiterativo di motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti dal giudice di secondo grado, e comunque, impostato in fatto. Le censure del ricorrente, difatti, si riducono a prospettare una alternativa valutazione delle investigazioni compiute, adducendo elementi di fatto non valutabili in questa sede, trattandosi, peraltro, di questioni dedotte con l’atto di appello e gia’ esaminate – e ritenute infondate con argomenti rispecchianti le emergenze processuali puntualmente indicate a sostegno – dal giudice del gravame (cfr. pagg.14 e 15 della sentenza impugnata)
1.5. Anche il quinto motivo con il quale, deducendo i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), si contesta il ritenuto coinvolgimento oltre ogni ragionevole dubbio del ricorrente nei reati di cui ai capi g) ed h) dell’imputazione, e’ inammissibile. Alla stregua di quanto concluso per il motivo precedente, anche quello in questione ha ad oggetto censure che, di la’ della formale proposizione dei vizi sopra indicati, contestano la valutazione fattuale operata dal giudice di appello, riproponendo, peraltro, quanto gia’ esaminato e ritenuto infondato dallo stesso (cfr. pagg. 15 e 16 della sentenza impugnata), e sono pertanto anch’esse inammissibili.

 

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1.6. Col sesto motivo si contesta il ritenuto coinvolgimento oltre ogni ragionevole dubbio del ricorrente nel reato di cui al capo I) dell’imputazione. Il motivo e’ inammissibile avendo ad oggetto, analogamente a quelli precedenti, aspetti implicanti valutazioni in fatto e relativi al compendio probatorio, in quanto tali non suscettibili di esame in questa sede. Ancora, sulla scia di quanto gia’ sopra detto, trattasi di contestazioni corrispondenti a quelle gia’ esaminate dal giudice di merito e ritenute infondate dallo stesso (cfr. pag. 17 della pronuncia impugnata), anche per questo inammissibili.
1.7. Anche il settimo ed ultimo motivo e’ inammissibile. Con tale motivo, deducendo i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), il ricorrente censura la condivisione, da parte della Corte di Appello, delle considerazioni svolte dal primo giudice riguardo alla determinazione della pena e, in particolare, alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Erra il ricorrente nell’affermare che “la corte emiliana non ha speso un solo rigo per motivare la mancata concessione delle attenuanti generiche richieste da (OMISSIS)”, mancando di confrontarsi con l’impugnata sentenza nella quale, invece, la Corte di Appello, dopo aver affermato di non ravvisare alcuna ragione per riconoscere le attenuanti generiche, richiamando l’ulteriore furto in abitazione del 2017, giustifica la condivisione delle argomentazioni del primo giudice facendo riferimento “all’importanza del ruolo svolto da (OMISSIS) essendo emerso che egli svolgeva un ruolo particolare, era coordinatore e promotore poiche’ discuteva con (OMISSIS) dei possibili futuri obiettivi, effettuava perlustrazioni ed era addetto alla “logistica”, non solo quale custode degli strumenti ed attrezzature necessari per commettere reati ma altresi’ incaricato di muoversi sul territorio (non destando sospetti in quanto li’ residente) per portare sul luogo del reato e poi recuperare materiali con la refurtiva e l’attrezzatura utilizzata nonche’ di effettuare la vendita della refurtiva approfittando di vecchie, e quindi affidabili, conoscenze in Milano; dunque si condivide la determinazione della pena”. Anche a non voler considerare l’erroneita’ del riferimento all’incensuratezza sostanziale dell’imputato contenuto nel ricorso (avendo lo stesso ricorrente, nel motivo in esame, fatto riferimento a precedenti condanne – oltre alla gia’ citata condanna relativa all’arresto in flagranza per furto in abitazione nel dicembre del 2017, il ricorrente ne menziona un’altra risalente al 2004, per omesso versamento di ritenute previdenziali -), giova sottolineare come sia lo stesso testo dell’articolo 62-bis, modificato dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito nella L. 24 luglio 2008, n. 125, a prevedere che ai fini della concessione dell’attenuante in parola non sia piu’ sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato. Sul punto, relativamente al confronto con l’avvenuta concessione delle medesime attenuanti al coimputato (OMISSIS), si ritiene utile riportare quanto affermato dalla Terza Sezione di questa Corte nella sentenza n. 40322 del 2016 per la quale “non sussiste disparita’ di trattamento nel caso di concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore di un imputato e non del concorrente nello stesso reato, purche’ venga fornita logica ed adeguata motivazione in ordine alla diversa valutazione della gravita’ dei fatti rispettivamente contestati e della capacita’ a delinquere manifestata dagli imputati” (Sez. 3, Sentenza n. 40322 del 23/06/2016, C., Rv. 268276 01).

 

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Tutto cio’ premesso, ritiene questa Corte espletata adeguata motivazione da parte della corte territoriale anche al riguardo, avendo questa specificato, pur seguendo il giudice di primo grado, gli elementi decisivi ai fini della connotazione negativa della personalita’ dell’imputato.
2. Il ricorso proposto da (OMISSIS).
2.1. Il primo motivo e’ manifestamente infondato. Deducendo il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), il ricorrente lamenta che la Corte di Appello, nel riformare in punto di pena la sentenza di condanna nei confronti dell’imputato, considerando come fatto di reato piu’ grave il delitto di cui al capo o) della rubrica, ha quantificando una pena base pari ad anni 4 e mesi 6 di reclusione. In particolare, l’avere la Corte specificato come la pena irrogata fosse di poco superiore al minimo edittale previsto dall’articolo 624-bis c.p., comma 3, e’ indicativo, a parere del ricorrente, dell’erroneo riferimento alla versione di tale disposizione modificata dalla L. n. 128 del 2017 e non a quella vigente precedentemente, in data corrispondente al tempus commissi delicti, piu’ favorevole al reo, prevedendo quale minimo edittale una pena di anni 3 di reclusione. Cio’ premesso, ritiene questa Corte che alcuna violazione di legge, in particolare del corollario di cui all’articolo 2 c.p., comma 4, sia ravvisabile. Difatti, non risulta affatto che il giudice di appello abbia inteso fare riferimento alla pena come aumentata dalla L. n. 128 del 2017, essendosi egli limitato, nel giustificare la congruita’ della pena come rideterminata, ad affermare che essa fosse “di poco superiore al minimo edittale previsto dall’articolo 624 bis c.p., comma 3”, e cio’ e’ giustificabile se si considera che la pena media edittale rispetto a quella applicabile alla fattispecie in esame – che va da anni tre ad anni dieci – e’ pari ad anni sei e mesi sei di talche’ quella indicata dalla Corte territoriale di anni quattro e mesi sei e’ nettamente inferiore a quella media e puo’ in definitiva definirsi una pena di poco superiore a quella minima tenuto conto della forbice edittale. Ne discende la manifesta infondatezza del vizio denunciato nei termini suindicati, risultando meramente congetturale l’argomento che lo sorregge.

 

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2.2. Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), viene contestata la condanna dell’imputato in ordine al reato di cui al capo u) dell’imputazione (favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione), per carenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato. Il motivo e’ inammissibile perche’ eccepisce elementi fattuali la cui valutazione non e’ consentita in sede di legittimita’, e, peraltro, meramente reiterativi delle questioni gia’ proposte con l’atto di appello e disattese dal giudice di merito (in appello peraltro si riconducevano le somme di danaro elargite dalla donna all’imputato a prestito, mentre in ricorso c i parla di contributo per le spese). Manifestamente infondata e’ poi la violazione di legge prospettata, avendo la Corte di Appello correttamente applicato la norma di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, comma 8, corredando i propri assunti con la giurisprudenza di legittimita’ sul punto (cfr. pag.22 della pronuncia impugnata).
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 ritendo non sussistente la responsabilita’ dell’imputato per il reato di cui al capo t) per carenza dell’elemento oggettivo e soggettivo. Tale motivo e’ manifestamente infondato.
L’applicazione della citata norma da parte del giudice di appello e’ coerente con l’interpretazione della stessa fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte. Erra, infatti, il ricorrente nel fare riferimento, per sostenere il proprio assunto, agli orientamenti di legittimita’ che richiedono, affinche’ un quantitativo di sostanza possa essere considerato detenuto ai fini di vendita, ulteriori elementi (quali, ad esempio, bilancini di precisione, sostanze idonee a tagliare la sostanza, confezionamento della sostanza in modalita’ tali per cui possa essere venduta), o per i quali non e’ possibile ritenere sussistente l’ipotesi della detenzione ai fini di cessione dello stupefacente semplicemente sulla base del mero dato ponderale del peso della sostanza o dalle dosi ricavabili da essa. Il capo d’imputazione, premessa giuridica in cui inquadrare la fattispecie concreta, difatti, ha ad oggetto non tanto la detenzione finalizzata alla vendita, quanto l’effettiva cessione di stupefacenti grammi 19,64 di cocaina consegnati dall’imputato a Losacco Giuseppe a seguito del pagamento di Euro 500 – trattasi di prospettazioni distinte seppur disciplinate dalla medesima disposizione. La Corte di Appello ha correttamente applicato alla fattispecie concreta il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 avendo ritenuto provata l’effettiva consegna della sostanza stupefacente attraverso servizio di O.C.P. e i contenuti delle intercettazioni. Il riferimento al mandato all’acquisto collettivo, infine, costituisce doglianza del tutto nuova non risultando esso dalla incontestata sintesi dei motivi di appello contenuta nella pronuncia impugnata – dalla quale si evince, invece, il riferimento all’acquisto per uso personale, motivatamente escluso dalla corte territoriale – non vagliabile di ufficio in questa sede non solo e non tanto perche’ implicante valutazione in fatto, ma innanzitutto perche’ la ricostruzione alternativa offerta rimane affidata a mere congetture introduttive di una diversa valutazione.

 

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2.4. Il quarto motivo, che lamenta l’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 114 c.p. relativamente al capo r) dell’imputazione (furto aggravato), avendo il ricorrente svolto il ruolo di “palo”, oltre che nuovo, e’ manifestamente infondato.
Basti sul punto richiamare l’insegnamento di questa Corte per il quale “l’attenuante di cui all’articolo 114 c.p. non puo’ trovare applicazione nel fatto di colui che nella commissione di un furto svolge la funzione del cosiddetto (Sez. 2, Sentenza n. 12046 del 20/06/1975, Testa, Rv. 131690 – 01) con la specificazione che, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente circa l’apporto causale dato da tale ruolo, “l’opera del cosiddetto palo anche se puo’ essere d’importanza minore rispetto a quella degli esecutori materiali del reato, non puo’ considerarsi minima agli effetti del citato articolo – 114 c.p. -, in quanto facilita la realizzazione dell’attivita’ criminosa e rafforza l’efficienza della opera prestata dai correi, garantendo l’impunita di questi.” (Sez. 2, Sentenza n. 1080 del 13/10/1970, Di Luciano, Rv. 116070 – 01, nello stesso senso Sez. 2, Sentenza n. 1238 del 24/10/1972, Anastasi, Rv. 123194 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2513 del 16/12/1969, Fanzani, Rv. 115265 – 01).
Ed invero, la cooperazione consistita nel fungere da “palo” mentre altro soggetto si appresta ad eseguire il delitto,e’ incompatibile con l’attenuante di cui all’articolo 114 c.p., tenuto conto della nozione della “minima” partecipazione prevista da quest’ultima norma, da non confondere con la minore efficienza causale attribuita al “palo” (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 8247 del 18/06/1992 Rv. 191527 – 01).

 

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Ed invero, piu’ in generale, questa Corte ha piu’ volte avuto modo di affermare che in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’articolo 114 c.p., non e’ sufficiente una minore efficacia causale dell’attivita’ prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto e’ necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale cosi’ lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell'”iter” criminoso (cfr. in particolare, Sez. 4, Sentenza n. 49364 del 19/07/2018, Rv. 274037 – 01).
3. Il ricorso proposto da (OMISSIS).
3.1. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni tradotte dall’albanese o da idiomi stranieri effettuate senza indicare le generalita’ dell’interprete, costituendo cio’ inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 271, 267 e 268 c.p.p.. Tale motivo e’ manifestamente infondato. Ritiene questa Corte di condividere gli assunti esposti dalla Corte d’appello nell’impugnata sentenza. Premetteva la Corte di Appello come nel giudizio abbreviato fossero rilevabili e deducibili solo le nullita’ di carattere assoluto e le inutilizzabilita’ c.d. patologiche, ravvisabili in relazione a quegli atti in cui l’assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell’ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell’imputato. La dedotta mancata indicazione del nominativo dell’interprete, tuttavia, non rientra ne’ in ipotesi di nullita’, tassativamente previste ex articolo 177 c.p.p. ne’, in virtu’ dell’articolo 271 c.p., tra le ipotesi di inutilizzabilita’, previste da tale disposizione in caso di violazione degli articoli 267 e 268 c.p.p..
Si esprime in questo senso questa Corte nella sentenza, tra le altre, n. 7030 del 16/01/2020, nella quale si afferma che “Promessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalita’ dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, non e’ causa di inutilizzabilita’ dei risultati di tali operazioni, essendo tale sanzione prevista solo per i casi tassativamente indicati dall’articolo 271 c.p.p. ” (Sez. 5, Sentenza n. 7030 del 16/01/2020, Polak, Rv. 278659 – 01; nello stesso senso Sez. 5, Sentenza n. 15472 del 19/01/2018, Kochev, Rv. 272683 – 01 gia’ citata dall’impugnata sentenza); esegesi questa che anche questo Collegio ritiene di preferire, rispetto alla minoritaria sostenuta da qualche sentenza di segno contrario (cfr. ad es. Sez. 3, n. 31454 del 04/11/2015 Cc. (dep. 21/07/2016) Rv. 267738 – 01) che riflette l’impostazione difensiva) poggiando essa, tra l’altro, le sue basi sull’insegnamento delle Sezioni Unite secondo cui “la violazione delle disposizioni sulla redazione del verbale poste dall’articolo 89 disp. att. c.p.p. non comporta l’inutilizzabilita’ dei risultati dell’intercettazione”, ostandovi il principio di tassativita’ che governa la sanzione processuale, e, dunque, l’assenza di riferimenti in tal senso nell’articolo 271 c.p.p. (Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008, Carli).

 

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Contribuisce, inoltre, nel caso di specie, alla manifesta infondatezza del motivo il fatto che l’impugnata sentenza abbia specificato come l’indicazione degli ausiliari/interpreti sia – in ogni caso – riportata nel fascicolo delle indagini (aff. 114/135) e che cio’ non e’ stato contestato dal ricorrente, che, invece, ha concentrato i propri assunti unicamente sul verbale di esecuzione delle intercettazioni.
3.2. Il secondo motivo e’ inammissibile perche’ generico. Con tale motivo il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni effettuate oltre il 14.10.2016, indicando tale data quale termine massimo per la durata delle indagini preliminari, fissato in sei mesi ex articolo 405 c.p.p., decorsi dalla prima iscrizione nel registro delle notizie di reato datata 14.04.2016. Manca pero’ il ricorrente di precisare a quali reati ed imputati attiene l’iscrizione, che si indica come prima, da cui avrebbe dovuto computarsi il termine di scadenza delle indagini.
Ad ogni modo, contrariamente all’insegnamento di questa Corte per il quale “e’ onere della parte, a pena di inammissibilita’ del motivo per genericita’, indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare” (Sez. 6, Sentenza n. 13213 del 15/03/2016, Giorgini, Rv. 266774 – 01; sulla scia di quanto disposto da Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv.243416), il ricorrente si limita a dedurre una solamente possibile incidenza sulla posizione del (OMISSIS) – che letteralmente “potrebbe essere aggravata in conseguenza del loro utilizzo”- delle risultanze delle intercettazioni – peraltro riguardanti il solo (OMISSIS) e non anche il (OMISSIS) – intervenute successivamente alla indicata scadenza. E’ evidente che, secondo il principio sopra enunciato, una siffatta impostazione rende del tutto inammissibile l’eccezione di inutilizzabilita’, che non solo non specifica gli esatti termini della questione sollevata ma rimane affidata, sul versante della rilevanza della stessa, a mera prospettazione ipotetica.
3.3. Anche il terzo motivo e’ inammissibile perche’ aspecifico. Con tale motivo, deducendo il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all’articolo 271 c.p.p., comma 1 e articolo 268 c.p.p., comma 3, il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche ed ambientali – compiutamente indicate nel ricorso – il cui inizio abbia avuto origine presso i locali della caserma dei Carabinieri di Piacenza e non presso la Procura della Repubblica, come disposto, invece, dal decreto di intercettazione adottato dal P.M. in data 25 maggio 2016. Cio’, tuttavia, fondando su mere deduzioni desunte dall’interpretazione degli atti, sulla cui base si afferma che “le operazioni sono state svolte dai c.c. e solo quelle di ascolto e trascrizione si sono svolte in Procura. In caso contrario, non si capirebbe perche’ verbalizzare l’inizio ed il termine delle operazioni presso il reparto dei Carabinieri”.

 

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Trattasi di assunto opposto a quanto sostenuto dal giudice di secondo grado che, respingendo tali deduzioni, gia’ proposte con l’atto di appello, non ravvisava alcuna violazione normativa, concludendo che “l’articolo 268 c.p.p., comma 3 si riferisce unicamente alle attivita’ di registrazione delle conversazioni intercettate, attivita’ che nel caso in esame risulta essere stata svolta nei locali della procura”, corredando tale assunto con riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte a riguardo pertinente (citando, innanzitutto, Sez. 1, Sentenza n. 52464 del 08/11/2017 Ud. (dep. 16/11/2017) Rv. 271541 – 01 secondo cui condizione necessaria per l’utilizzabilita’ delle intercettazioni e’ che l’attivita’ di registrazione – che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che i file audio registrati non siano trasmessi automaticamente dagli apparecchi digitali adoperati per le captazioni tra presenti, ma siano periodicamente prelevati dalla polizia giudiziaria incaricata delle operazioni e riversati “a mano” nel sever dell’ufficio requirente; nonche’ Sez. U, Sentenza n. 36359 del 26/06/2008 Cc. (dep. 23/09/2008) Rv. 240395 – 01 secondo cui condizione necessaria per l’utilizzabilita’ delle intercettazioni e’ che l’attivita’ di registrazione – che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attivita’ di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati cosi’ registrati, che possono dunque essere eseguite “in remoto” presso gli uffici della polizia giudiziaria (In motivazione questa Corte ha precisato, con riguardo all’attivita’ di riproduzione – e cioe’ di trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario -, che trattasi di operazione estranea alla nozione di “registrazione”, la cui “remotizzazione” non pregiudica le garanzie della difesa, alla quale e’ sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali).

 

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Il motivo e’ inammissibile anche per altro profilo. Come anticipato con riferimento al motivo che precede, e’ arresto pacifico che, in tema di intercettazioni di comunicazioni, qualora in sede di legittimita’ venga eccepita l’inutilizzabilita’ dei relativi risultati, e’ onere della parte indicare specificamente non solo l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato, ma anche la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare (cfr. Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv.243416; Sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, Giorgini, Rv. 266774, gia’ richiamate supra). La difesa, di nuovo, ha mancato di indicare quale fosse il contenuto delle specifiche intercettazioni coinvolte dalla eccezione, ne’ ha indicato la loro incidenza sul perimetro cognitivo generale del compendio probatorio, sicche’ risulta inibito il preliminare giudizio sulla rilevanza della questione.
3.4. Il quarto motivo, con cui si eccepisce l’inutilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni, compiutamente indicate nel ricorso, nel cui decreto autorizzativo del G.I.P. e’ omessa l’indicazione dei giorni per i quali era stata ammessa l’intercettazione, ritenendo che tale circostanza non consentisse la prosecuzione dell’attivita’ oltre la singola giornata, minimo ontologicamente desumibile dalla lettera dell’articolo 267 c.p.p., comma 3, e’ manifestamente infondato. Ritiene questa Corte di ribadire quanto osservato dalla Corte di Appello nell’affermare l’infondatezza della gia’ proposta eccezione. In particolare, il giudice di secondo grado motivava il proprio assunto adducendo che la mancata indicazione della durata dell’operazione intercettata, in difetto di specifica previsione di nullita’, costituisce mera irregolarita’ e, a conferma di cio’, riportava l’insegnamento di questa coorte per il quale “… e’ pur vero che nel decreto e’ necessario indicare la durata delle operazioni, ma e’ evidente che, quando questo termine non sia stato specificato, la durata e’ commisurata al tempo massimo stabilito dall’articolo 267 c.p.p., comma 3 e, cioe’, quindici giorni: non sussiste, pertanto, alcuna inutilizzabilita’ (in senso conforme sez. 2 n. 0 6365 del 25/06/1996 ud. 04/04/1996 rv. 205376 ric. Berti). L’inutilizzabilita’ e’ riferita dall’articolo 271 c.p.p. all’esecuzione delle intercettazioni fuori dei casi consentiti dalla legge o all’inosservanza dell’articolo 267. Tale ultima violazione sussiste, pero’, in relazione alla durata soltanto nel caso in cui sia stato superato il limite massimo di quindici giorni e non quando esso non sia stato specificato, poiche’, in questo caso, il provvedimento e’ integrato ex lege dal dettato normativo. L’articolo 271 collega – nella prima parte del comma 1 del citato articolo 271 – l’inutilizzabilita’ all’espletamento delle operazioni fuori dei casi consentiti, nozione che si pone in sintonia con quella successiva della violazione dell’articolo 267 e articolo 268, commi 1 e 31; inosservanza, quest’ultima, che deve presentare il carattere dell’illegalita’, intesa nel senso di statuizione giurisdizionale contra legem ” (cosi’ Sez. 2, n. 26015 del 04/05/2001, Berlingeri, Rv. 21990501).
3.5. Il quinto motivo, che deduce l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche, specificamente indicate nel ricorso, effettuate in un lasso temporale – dal 7 al 13 giugno 2016 – non coperto dal decreto autorizzativo datato 24.5.2016, dovendosi individuare tale data quale dies a quo per il calcolo dei 15 giorni della sua valenza, con conseguente dies ad quem da individuarsi nel 7.6.2016, ed essendo, la successiva proroga, datata 14.6.2016, tardiva di 7 giorni rispetto alla scadenza, e’ anch’esso manifestamente infondato. Ritiene questa Corte di condividere quanto affermato dalla Corte di Appello nel rilevare l’infondatezza – anche – di tale eccezione, gia’ proposta con l’atto di appello. In particolare, il giudice di secondo grado motivava il proprio assunto riportando quanto affermato da questa Corte nella gia’ citata sentenza n. 26015 del 04/05/2001 per la quale “il termine di quindici giorni non va riferito al momento in cui il provvedimento d’intercettazione e’ adottato ma a quello diverso in cui la relativa attivita’ e’ concretamente iniziata: l’articolo 267 c.p.p., comma 3, infatti, menziona in modo espresso “la durata delle operazioni” (Sez. 2, n. 26015 del 04/05/2001, Berlingeri, Rv. 21990501, nonche’ Sez. 1, n. 31828 del 20/06/2018 Ud. (dep. 18/07/2019) Rv. 276719 – 01, secondo cui il termine di durata delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni decorre dal momento di effettivo inizio delle operazioni e non da quello di emissione del provvedimento autorizzativo, atteso che le modalita’ ed i tempi delle stesse, una volta autorizzate, sono rimesse al pubblico ministero il quale puo’ legittimamente sospendere detto termine per apprezzabili ragioni funzionali alle indagini, riprendendo lo stesso a decorrere, una volta cessata la causa di sospensione, dalla riattivazione della captazione, senza necessita’, in costanza dei presupposti di legge, di una nuova richiesta di autorizzazione all’intercettazione), con la conseguenza che si risolve in una mera irregolarita’, l’indicazione nel decreto autorizzativo del termine di durata “decorrente dal giorno dell’autorizzazione”; trattasi all’evidenza di dicitura non idonea a incidere su quelle che sono le previsioni normative e sul dato di fatto su cui esse vanno ad incidere non puo’ che essere il momento effettivo dell’inizio delle operazioni.
3.6. Il sesto motivo, con il quale il ricorrente contesta la conferma da parte della Corte di Appello del giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti del reato e quelle attenuanti generiche operato dal primo giudice, a seguito dell’intervenuta esclusione della recidiva, e’ manifestamente infondato.

 

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Ed invero, come ha gia’ avuto modo di affermare questa Corte argomenti condivisi da questo Collegio, il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, puo’, senza (peraltro) incorrere nel divieto di “reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purche’ questo sia accompagnato da adeguata motivazione (Sez. 4 -, Sentenza n. 29599 del 07/10/2020, Rv. 279712 – 01; Sez. U, Sentenza n. 33752 del 18/04/2013, Rv. 255660 01) e, nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo aver escluso la recidiva non gia’ per la insussistenza dei precedenti penali ma per la non omogeneita’ dei precedenti reati di resistenza a pubblico ufficiale e di falsita’ materiale con quelli oggetto di giudizio, ha ritenuto di confermare la pena irrogata in primo grado, e il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza ivi operato, dando conto delle ragioni di tale sua decisione in motivazione (cfr. pagg. 23 e 24 della pronuncia impugnata in cui nel ribadire la valutazione del primo giudice ha posto l’accento soprattutto sulla gravita’ della condotta).
4. Il ricorso proposto da (OMISSIS).
4.1. Il primo motivo, che deduce il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta partecipazione dello stesso all’associazione per delinquere di cui al capo a) dell’imputazione, e’ inammissibile, non confrontandosi, le deduzioni proposte, con il testo dell’impugnata sentenza.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Il ricorrente, in particolare, lamenta come la Corte di Appello, ritenuti sussistenti gli elementi fattuali dell’ipotesi associativa, non abbia fatto alcun riferimento al (OMISSIS) nell’argomentare sul ruolo dei partecipi al sodalizio e sulle ragioni per cui ha ritenuto gli stessi avvinti dall’affectio societatis, mancando di affrontare e confutare gli argomenti sul punto sollevati con l’atto di gravame. All’opposto, sono piu’ d’uno i punti in cui la persona del ricorrente viene richiamata dal giudice di merito nell’esporre le argomentazioni circa la sussistenza dell’associazione e, in particolare, la di lui partecipazione al progetto criminale. Segnatamente, trattasi dei riferimenti alla verificata presenza del (OMISSIS) presso la cascina dello (OMISSIS), al ruolo da lui rivestito nello schema operativo dei reati-fine, quale autore materiale degli stessi; e ancora, del richiamo alle conversazioni intercettate tra l’imputato e lo (OMISSIS) circa le caratteristiche e i progetti di futuri acquisti delle vetture in utilizzo al gruppo e, da ultimo, al ruolo del (OMISSIS) nelle operazioni di sopralluoghi preventivi per la ricerca di luoghi idonei ove realizzare i furti risultante dalle riportate intercettazioni, anche ambientali. Non ha rilievo, al riguardo, il lamentato silenzio su specifiche deduzioni prospettate con il gravame, essendo queste disattese dalla motivazione complessivamente considerata, e, in particolare, dagli elementi appena richiamati, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive ove essa deve ritenersi implicitamente assorbita nella complessiva ricostruzione incompatibile con gli argomenti della difesa; e’ in altri termini sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione (cfr. ex multis, Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019,Sirica,Rv. 27674101;Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Centoealtri, Rv. 25964301; Sez. 5, Sentenza n. 607 del 14/11/2013, Maravalli, Rv. 258679 – 01).
4.2 n secondo motivo che deduce vizio argomentativo con riferimento alla conferma della quantificazione della pena irrogata in primo grado, avendo, la Corte di Appello, fondato tale giudizio su fatti avvenuti oltre la data della decisione del giudizio, e cioe’, nelle more del termine per la stesura della motivazione – trattasi, in particolare, dell’arresto del (OMISSIS) in flagranza del reato di furto in abitazione avvenuto in data (OMISSIS) e’ manifestamente infondato.
Indipendentemente dalle precisazioni operate dal ricorrente circa l’effettiva datazione dell’arresto e gli sviluppi del procedimento cautelare concernente il giudizio per tale reato, due sono gli elementi che determinano l’infondatezza evidente del motivo in scrutinio.
In primo luogo, erra il ricorrente nel sostenere che la motivazione dell’impugnata sentenza, in punto di dosimetria della pena, sia omessa o, comunque, fondata esclusivamente sul citato arresto. La Corte di Appello, invero, ha condiviso e richiamato le considerazioni svolte dal primo giudice sul punto – cosi’ confluendo, le due motivazioni, ai fini del controllo di congruita’ della motivazione, in un risultato organico ed inscindibile, integrandosi a vicenda (Sez. 5, Sentenza n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 236181 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 789 del 10/11/1980, Mazza, Rv. 147528 – 01) -, essendo peraltro evidente che il richiamo e’ stato effettuato con riferimento al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, comprensivo anche del punto sul bilanciamento delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti in termini di equivalenza, ritenuto congruo dal giudice di secondo grado e non ulteriormente riducibile; di talche’ il motivo sul punto e’ inammissibile per aspecificita’, stante l’esaustivita’ della motivazione al riguardo, di la’ del riferimento all’arresto intervenuto successivamente alla deliberazione della sentenza.
5. Il ricorso proposto da (OMISSIS).

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

5.1. Il primo motivo, che contesta la ritenuta sussistenza del reato di associazione per delinquere di cui al capo a) dell’imputazione, e’ inammissibile perche’ le doglianze in esso contenute risultano meramente ripetitive rispetto a quelle dell’atto di appello, e cio’ nonostante la Corte territoriale le abbia compiutamente trattate e – anche implicitamente – disattese, oltre che – di la’ del formale richiamo ai vizi denunciati – prevalentemente impostate sul fatto.
Riguardo alle censure aventi ad oggetto l’individuazione della cascina dello (OMISSIS) quale base operativa del gruppo e il riferimento ai veicoli in uso agli imputati quali indici rivelatori dell’esistenza del sodalizio contestato, ritiene questa Corte pertinenti le argomentazioni gia’ espresse sul punto con riferimento al ricorso del coimputato (OMISSIS), alle quali, percio’, si rimanda.
Priva di rilievo e’ poi la considerazione per la quale “la durata dell’associazione”, si legge nel ricorso, “corrisponde al lasso di tempo in cui si collocano i pretesi reati fine, ad eccezione del capo n); a partire dall’agosto 2016, l’asserita compagine delittuosa interruppe ogni attivita’ illecita, mentre gli imputati vennero arrestati nel dicembre 2017”, laddove la sentenza impugnata da’ conto delle alterne vicende della vita dell’associazione precisando che l’interruzione registratasi nell’autunno del 2016 non smentisce gli elementi gia’ posti in evidenza – anche nella pronuncia di primo grado espressamente richiamata al riguardo – i quali portano ad affermare l’esistenza e la perduranza del vincolo associativo, tant’e’ che l’attivita’ riprendeva con l’esecuzione dell’ennesimo furto per il quale diversi dei sodali, tra i quali l’ (OMISSIS), furono tratti in arresto in flagranza di reato.
Non rilevano, infine, le osservazioni circa l’attribuzione all’imputato del ruolo di promotore/organizzatore, essendo anch’esse meramente ripetitive rispetto a quanto gia’ dedotto in appello ed essendo esse, comunque, imperniate sulla valutazione del contenuto probatorio di conversazioni intercettate, il cui vaglio implicherebbe, peraltro, considerazioni fattuali non operabili in sede di legittimita’ (fermo restando che la Corte territoriale ha, in ogni caso, offerto adeguata motivazione anche al riguardo, cfr. pag. 10 della pronuncia impugnata).
Posta l’inammissibilita’ del motivo in oggetto per le ragioni gia’ esposte, ritiene questa Corte di specificare che, laddove si lamenti la mancanza di rispondenza delle valutazioni compiute dal giudice di merito alle acquisizioni processuali, siffatta doglianza puo’ essere dedotta in punto di motivazione tramite il vizio di travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorieta’ della motivazione rispetto ad essi sia percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006 – dep. 20/07/2006, Stojanovic, Rv. 23416701, Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006 – dep. 14/06/2006, Francia, Rv. 23409901); con il risultato di porre a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca “individuazione” e di specifica “rappresentazione” degli atti processuali che intende far valere, onere da assolvere nelle forme di volta in volta piu’ adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice). Nulla di tutto cio’ si ravvisa nel presente motivo di ricorso, nel quale, come gia’ esposto, e’ palese l’inidoneita’ del riportato assunto a dimostrare quanto si deduce con il motivo in oggetto.

 

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5.2. Il secondo motivo, che lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti e, di conseguenza, la mancata rimodulazione del trattamento sanzionatorio determinato ex articolo 81 c.p., e’ inammissibile perche’ generico. Il ricorrente, difatti, si limita a qualificare la soluzione del giudice di appello, senza alcuna specificazione, come “incondivisibile, oltreche’ contraddittoria con le risultanze documentali acquisite agli atti” per essersi la Corte territoriale limitata a manifestare il dissenso in relazione alle circostanze attenuanti generiche richieste, rilevando l’esistenza di altra condanna per reato dello stesso tipo e il ruolo apicale attribuito al ricorrente.
In tema di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, difatti, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013, Sanmarco, Rv. 255568 – 01).
5.3. Il terzo ed ultimo motivo e’ inammissibile. Deducendo l’erronea applicazione dell’articolo 99 c.p. oltre che l’illogicita’ e la manifesta contraddittorieta’ della motivazione, il ricorrente contesta la mancata esclusione della recidiva. Unico elemento posto a fondamento della doglianza e’ l’avvenuta esclusione della circostanza in questione, a parita’ di precedenti penali, da parte della medesima Sezione della Corte territoriale nella sentenza emessa in data 23 marzo 2019 nell’ambito del parallelo procedimento penale n. 4116/2017 R.G.N.R. – n. 755/2019 R.G.. La Corte di Appello, tuttavia, e’ chiara nel motivare il proprio assunto circa la ritenuta recidiva nel caso di specie, facendo riferimento alle precedenti condanne dell’imputato per furto in abitazione e per detenzione illegale di armi e ricettazione. Ancora, gia’ il giudice del gravame evidenziava come “il fatto che a conclusione diversa sia giunto il GUP presso il tribunale di Piacenza allorche’, con la sentenza citata pronunciata il 13/07/2018, ha escluso la recidiva per (OMISSIS), non influisce minimamente sulla valutazione nel presente processo”, indicando anche le ragioni di tale sua conclusione. Dunque, e’ evidente come il ricorrente abbia, nel presente motivo di ricorso, omesso di confrontarsi criticamente con le argomentazioni del giudice di appello, reiterando censure gia’ da questi compiutamente disattese e per questo precluse all’esame di questa Corte.

 

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6. Il ricorso proposto da (OMISSIS).
6.1. Il primo motivo, con il quale il ricorrente contesta l’individuazione, da parte della Corte di Appello, degli elementi costitutivi del reato di cui al capo a) dell’imputazione e, in particolare, della stabilita’ del vincolo associativo, e’ inammissibile. Il ricorrente adduce una “erronea, o quantomeno opinabile lettura del comportamento tenuto dagli imputati”, essendo presenti dati, a suo parere, probatoriamente certi e indicativi, in segno contrario, di occasionalita’, contingenza, rudimentalita’, determinatezza degli atti predatori, ed assenza di un affidamento reciproco tra i correi. Di la’ della formale proposizione del vizio sotto la specie della violazione dell’articolo 416 c.p., astrattamente idonea a costituire oggetto di valutazione in sede di legittimita’, e’ evidente che le censure del ricorrente si riducono a prospettare un errore nella ricostruzione del fatto (esse in buona parte coincidono con quelle proposte nell’interesse di (OMISSIS) in ordine alle quali si e’ gia’ sopra detto). In tema di ricorso per cassazione, tuttavia, non e’ possibile dedurre come motivo il “travisamento del fatto” (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 4675 del 17/05/2006, P.G., Rv. 235656 – 01), giacche’ e’ preclusa la possibilita’ per il giudice di legittimita’ di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, in altre parole, e’ inammissibile il ricorso con il quale si esibiscono direttamente alla Corte di cassazione elementi di prova che si assumono dimostrativi del vizio di una errata valutazione probatoria (ex multis Sez. 6, Sentenza n. 28703 del 20/04/2012, P.G., Rv. 253227 – 01). Cio’ che sarebbe stato consentito, invece, e’ la deduzione del “travisamento della prova” nei casi in cui si ritiene che il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato
di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest’ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano.

 

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6.2. Anche il secondo motivo e’ inammissibile. Con tale motivo viene contestata, con riferimento al capo a) dell’imputazione, la ritenuta sussistenza dell’affectio societas scelerum anche in capo all’imputato, pur in presenza, a parere del ricorrente, di elementi probatori inequivoci in senso contrario. Trattasi, in particolare, del fatto che il (OMISSIS) non conoscesse buona parte degli associati, che fosse l’unico a viaggiare sull’autovettura di proprieta’ ed utilizzasse un’utenza telefonica a lui stesso intestata, e a non partecipare alla spartizione dei bottini ricavati dai furti. Alla stregua di quanto osservato con riferimento al motivo precedente, quanto contestato, lamentando una “lettura assolutamente distorta del comportamento concorsuale e della volonta’ dell’imputato”, e richiedendo per di piu’ una valutazione fattuale, e’ inammissibile (laddove peraltro la arte territoriale ha evidenziato ben altri elementi ai fini della configurazione della partecipazione anche del (OMISSIS), cfr. pagg. 10, 11 e 12 della pronuncia impugnata).
6.3. Il terzo motivo con cui il ricorrente contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – in ragione di prevalenza sulle contestate circostanze aggravanti – adducendo il proprio stato di incensuratezza, oltre che il comportamento collaborativo assunto, resipiscente ed ammissivo, e’ manifestamente infondato.
E’ principio pacifico nella giurisprudenza di questa arte quello per cui la concessione od il diniego delle attenuanti generiche ex articolo 62 bis c.p., analogamente al giudizio di comparazione tra queste e le circostanze aggravanti, di cui all’articolo 69 c.p., rappresentino prerogativa del potere discrezionale del giudice di merito (con riferimento all’articolo 62-bis cfr., ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 46954 del 04/11/2004, P.G. in proc. Palmisani ed altro, Rv. 230591 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna e altri, Rv. 227142 – 01; riguardo all’articolo 69 c.p. cfr. ex multis Sez. 5, Sentenza n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 – 02; Sez. 2, Sentenza n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450 – 01; Sez. U, Sentenza n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 – 01) che sfugge al sindacato di legittimita’ qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, quindi sia sorretto da sufficiente motivazione.
Cio’ posto, ritiene questo Collegio che le deduzioni del ricorrente siano quindi inammissibili, avendo, il giudice di appello, con una compiuta e non contraddittoria motivazione, dato conto degli elementi ritenuti di valore decisivo per sostenere l’impossibilita’ di valutare le attenuanti generiche prevalenti rispetto alle aggravanti che hanno caratterizzato il reato individuato come piu’ grave, facendo tra l’altro espresso riferimento ai precedenti penali, anche per fatto omogeneo, risultanti a carico dell’imputato.
Riguardo a quest’ultimo elemento, va precisato che non rileva, a differenza di quanto assume il ricorrente, la asserita incensuratezza di questi al momento del fatto. Si richiama, difatti, l’insegnamento secondo cui il giudice, nel decidere se concedere o meno le attenuanti generiche, puo’ tener conto, ai fini della valutazione della capacita’ a delinquere del reo ex articolo 133 cod, peni anche di condanne penali successive alla commissione del reato giudicando. Ed infatti al n 2 del capoverso dell’articolo 133 c.p. l’antecedenza al reato e’, letteralmente, prevista per la condotta e la vita del colpevole e non per i precedenti penali (e giudiziari), che vengono in considerazione per il solo fatto che risultano’j’a’rico
nel momento nel quale il giudice deve determinare la pena in ordine al reato giudicando (Sez. 5, Sentenza n. 713 del 27/11/1978, Miola, Rv. 140879 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2361 del 07/11/1973, Rv, 126477, Sez. 5, n. 1260 del 30/11/1970, Rv. 116871; nonche’, piu’ di recente, Sez. 2, n. 24207 del 14/03/2013, Rv. 256486 e Sez. 5, Sentenza n. 33847 del 19/04/2018, Rv. 273627 – 01).

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

La correttezza di tale interpretazione balza evidente se si considera che, mentre per la condotta e la vita del reo di cui al numero 1 del comma 2 dell’articolo 133 c.p., essendo il riferimento, genericamente operato, appunto, alla vita e alla condotta, in genere, del reo, la sua limitazione al pregresso, ovvero a cio’ che si pone come antecedente, in senso lato, del fatto giudicando, trova ragione proprio nell’estensione del concetto preso in considerazione, tant’e’ che la condotta successiva – oltre che contemporanea – e’ considerata dal numero 3 dell’articolo 133 c.p. ma nei limiti in cui essa si riferisca al fatto-reato oggetto di valutazione, per quanto riguarda, invece, i precedenti penali e giudiziari, che si risolvono in fatti specifici attribuiti all’imputato che hanno per di piu’ avuto un riconoscimento giudiziario, non si pone la necessita’ di circoscrivere il rilievo a quelli antecedenti ne’ si giustificherebbe una tale limitazione, trattandosi, in entrambi i casi, sia per quelli antecedenti che per quelli successivi, di fatti che non attengono al reato oggetto di giudizio e che vengono quindi in considerazione per il solo fatto che risultino a carico dell’imputato nel momento nel quale il giudice deve determinare la pena (che possono essere indicativi, in maniera ben piu’ qualificata della generica condotta di vita, della capacita’ a delinquere); e cio’ e’ vieppiu’ evidente allorquando i criteri di cui all’articolo 133 c.p. entrano in gioco in sede di valutazione della riconoscibilita’ o meno delle attenuanti generiche, non avendo l’articolo 62-bis c.p., u.c., nel fare espresso riferimento alle condanne precedenti per altri reati risultanti a carico dell’imputato, la cui assenza non e’ di per se’ sufficiente per riconoscersi le attenuanti generiche, affatto circoscritto la valutazione a quelle antecedenti al reato.
Alcuna violazione di legge, e, in particolare, alcuna errata applicazione dei parametri normativi dettati dall’articolo 133 c.p., da ultimo, e’ rinvenibile nell’avvenuta concessione delle attenuanti generiche a coimputati pur in assenza di qualsivoglia pentimento ed al solo fine di mitigare la pena che per l’effetto sarebbe stata troppo gravosa. Trattasi, si ripete, di valutazione discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimita’ se non per essere frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico non sorretto da sufficiente motivazione. Sul punto, in particolare, si ritiene utile riportare nuovamente quanto affermato dalla Terza Sezione di questa Corte nella sentenza n. 40322 del 2016 per la quale “non sussiste disparita’ di trattamento nel caso di concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore di un imputato e non del concorrente nello stesso reato, purche’ venga fornita logica ed adeguata motivazione in ordine alla diversa valutazione della gravita’ dei fatti rispettivamente contestati e della capacita’ a delinquere manifestata dagli imputati”. (Sez. 3, Sentenza n. 40322 del 23/06/2016, C., Rv. 268276 – 01).
6.4. Il quarto motivo, che contesta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, e contiene doglianze gia’ oggetto dell’atto di appello ritenute infondate dal giudice, e’ manifestamente infondato. Alla stregua di quanto previsto dalla disposizione in questione, ritiene il ricorrente che le lettere di scuse e l’offerta di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno indirizzate – ancora in fase di indagini preliminari ed allegate in occasione della presentazione di istanza ex articolo 299 c.p.p. come dal medesimo ricorrente specificato – alle persone offese dei fatti-reato ammessi in data 30.4.2018, siano indicative del comportamento attivo dallo stesso tenuto, volto a risarcire il danno subito dalle persone offese e, in ogni caso – avendo solo una di queste, la sig. (OMISSIS), riscontrato e manifestato la volonta’ di accettare la suddetta offerta – ad elidere o attenuarne efficacemente le conseguenze.

 

Attenuante della partecipazione di minima importanza

Con specifico riferimento ai reati che offendono il patrimonio, si ritiene utile specificare che “(l)e due circostanze attenuanti del reato contenute nell’articolo 62 c.p., n. 6 (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso) hanno sfere di applicazione generalmente autonome: l’una e’, infatti, correlata al danno inteso in senso civilistico, e cioe’ alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile;
l’altra si collega, invece, al danno cosiddetto criminale, cioe’ alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Ne consegue che le due fattispecie, (…) non sono tra loro fungibili ne’ possiedono reciproca capacita’ integratrice, con la conseguenza che il parziale risarcimento del danno, che non attenui il reato secondo la prima previsione, non puo’ essere valutato nemmeno con riferimento alla seconda ipotesi.” (Sez. 3, Sentenza n. 31841 del 02/04/2014, Vonella, Rv. 260290 – 01). Cio’ posto, ritenuta la non fungibilita’ delle situazioni contemplate dalla norma, concorda questa Corte con le considerazioni del giudice di appello circa il mancato riconoscimento dall’attenuante in questione “non risultando che l’imputato abbia riparato il danno ne’ che si sia attivato per elidere o attenuare le conseguenze dannose”. In particolare, se con riferimento alla riparazione del danno, cio’ e’ coerente con la regola che richiede “ai fini della configurabilita’ della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, (che) il risarcimento del danno deve essere integrale” (Sez. 2 -, Sentenza n. 51192 del 13/11/2019, Pellegrino, Rv. 278368 – 02), situazione non rinvenibile nel caso di specie, essendo quello offerto dal ricorrente un “parziale risarcimento” – cosi’, peraltro, la Corte di Appello lo ha qualificato nell’incontestata sintesi dei motivi di appello -, basti ribadire che il parziale risarcimento del danno non e’ invocabile, al contrario di quanto indicato dal ricorrente, in via alternativa quale ravvedimento operoso; e cio’ di la’ dell’ulteriore annotazione secondo cui la circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, richiede che la condotta resipiscente dell’agente sia spontanea (cfr. Sez. 5, n. 17226 del 09/12/2019 Ud., dep. 05/06/2020, Rv. 279167 – 01, secondo cui la circostanza attenuante del ravvedimento operoso, di natura soggettiva, richiede che la condotta resipiscente, posta in essere dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato, sia spontanea e determinata da motivi interni, senza pressioni o costrizioni e non influenzata da fattori quali l’arresto e lo stato di detenzione).
7. Dalle argomentazioni svolte deriva la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi proposti con la conseguente condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dai ricorsi, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita’ delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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