Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 luglio 2022| n. 21751.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
Si staglia ben oltre il minimo motivazionale la spiegazione del convincimento raggiunto dalla corte circa la quantificazione dell’assegno divorzile, valutato come elemento riquilibratore delle condizioni dei coniugi e non finalizzato alla permanenza delle condizioni endoconiugali, quando abbia tenuto conto del reddito del marito raggiunto grazie alle rinunce ad una propria carriera bilanciate dalla non assoluta ed esclusiva dedizione della moglie alla famiglia.
Ordinanza|8 luglio 2022| n. 21751. Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
Data udienza 1 luglio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Cessazione civile del matrimonio – Sentenze suscettibili di riserva di impugnazione ex artt. 340 e 361 cod. proc. civ. – Sentenza di condanna generica ex art. 278 cod.proc. civ. e quelle di cui all’art. 279 comma 2 n. 4 cod. proc. civ. – Assegno di divorzio – Funzione perequativo compensativa – Notevole sproporzione reddituale tra gli ex coniugi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28474/2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI SALERNO;
– intimati –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1027/2021 depositata il 08/07/2021;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2022 dal Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
La Corte di appello di Salerno con sentenza nr 14/2015 rigettava l’appello proposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) avverso la pronuncia del Tribunale di Salerno nr. 2831/2013 che aveva dichiarato la cessazione civile del matrimonio ritenendo infondata l’eccezione di intervenuta riconciliazione fra i coniugi eccepita dalla parte convenuta.
Il giudice del gravame rilevava che le censure di appello si erano incentrate sulla questione della riconciliazione senza criticare la mancata considerazione, da parte del primo giudice,anche del profilo processuale dedotto in merito all’assenza di una pronuncia definitiva circa lo status,malgrado la stessa fosse stata eccepita, aspetto in ordine al quale doveva considerarsi formato un giudicato implicito per mancata impugnazione sul punto.
Osservava, per quanto attiene alla prospettata riconciliazione, che le critiche sollevate in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori non erano fondate non rinvenendosi in esse le condizioni, che,secondo la giurisprudenza di legittimita’, debbono riscontrarsi per poter provare ricostituita la comunione di vita sottolineando che l’elemento della coabitazione, posto a base del primo motivo di gravame, assumeva un carattere neutro.
Condivideva a pieno le ragioni che avevano condotto il primo giudice a ritenere le circostanze dedotte generiche e insufficienti a dimostrare la qualificata convivenza richiesta ai fini della conciliazione aggiungendo a tali considerazioni la significativa circostanza dell’aspro e articolato contenzioso processuale in corso dal 2001 fra le parti che aveva comportato l’instaurazione di ben oltre 20 procedimento civili mai interrotti neppure nel periodo in cui secondo la prospettazione dell’appellante sarebbe intervenuta la riconciliazione.
Avverso tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria cui resiste con controricorso (OMISSIS) che eccepisce l’inammissibilita’ della riserva di ricorso per cassazione ex articolo 361 e comunque la sua infondatezza nel merito.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente in relazione alla decisione nr. 14/2015 deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e degli articoli 91, 113 c.p.c., articolo 276 c.p.c., comma 1, articolo 279 c.p.c., articolo 329 c.p.c., comma 2, articolo 342 c.p.c., articolo 354 c.p.c., comma 2 e articolo 346 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3); nullita’ della sentenza e/o del procedimento in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, per aver la Corte di appello ritenuto “coperto da giudicato” la questione processuale e rigettato l’eccezione di inammissibilita’ e improcedibilita’ del ricorso di divorzio che sarebbe disceso dall’evocata riconciliazione dei coniugi.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 157 c.c. e degli articoli 112, 113, 115, 116, 183 e 227 c.p.c., nonche’ della L. n. 898 del 1970, articolo 3, comma 4, e ss.mm.ii., omessa pronuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, per avere la Corte di appello violato il principio di non contestazione ex articolo 115 c.p.c., e le preclusioni del codice di rito, in relazione alla eccepita riconciliazione al fine di avversare la domanda di divorzio proposta dal (OMISSIS).
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 157 c.c. e degli articoli 113 e 116 c.p.c., nonche’ della L. n. 898 del 1970, articolo 3, comma 4, e ss.mm.ii., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, sostenendo che la pronuncia impugnata, in ordine all’invocata riconciliazione si discosterebbe dai principi di diritto sanciti dalla piu’ recente giurisprudenza di legittimita’.
Preliminare all’esame dei motivi si pone la questione processuale relativa all’ammissibilita’ della riserva d’impugnazione non contenuta a verbale ma notificata dalla ricorrente avverso la pronuncia nr. 14/2015 della Corte di appello di Salerno.
La ricorrente, in primo luogo, sostiene la validita’ della riserva di cassazione ex articolo 361 c.p.c., notificata al procuratore costituito con atto il 4 giugno 2015 avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Salerno confermativa della sentenza del Tribunale sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
Afferma infatti che la novella dell’articolo 361 c.p.c., comma 1, introdotta con il Decreto Legislativo n. 40 del 2006, ha previsto espressamente la riserva facoltativa contro sentenze che decidono su di una o alcune domande senza definire il giudizio contro le sentenze non definitive qual e’ la pronuncia sullo status espressamente qualificata tale dal Tribunale di Salerno disponendo con separata ordinanza, la prosecuzione in giudizio per le altre domande proposte.
Sottolinea che – non essendo previsto a livello normativo appello immediato nei riguardi della pronuncia resa in sede di appello contemplata da una norma speciale, la L. n. 898 del 1970, articolo 4 comma 12, unicamente nei confronti della sentenza del Tribunale e quindi insuscettibile di applicazione analogica – la riserva operata avverso la sentenza della Corte di appello nr. 14/2015 sarebbe pienamente legittima.
L’assunto non puo’ essere condiviso.
Giova ricordare che le sentenze suscettibili di riserva di impugnazione, ai sensi degli articoli 340 e 361 c.p.c., sono solo quelle relative alla condanna generica, di cui all’articolo 278 c.p.c. e quelle di cui all’articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 4, che tanto la rubrica dell’articolo 340, quanto quella dell’articolo 361, qualificano sentenza non definitiva.
La caratteristica della sentenza non definitiva, alla luce delle richiamate disposizioni, e’ quella di non esaurire integralmente il giudizio, disponendo, il medesimo giudice che la emette e nel corso del medesimo provvedimento, che il processo prosegua.
Recentemente le S.U. di questa Corte con sentenza nr. 10242/2021 le quali, superando il predetto criterio “sostanzialistico” (considerato non in grado di offrire un criterio certo di distinzione), hanno chiarito, sullo specifico punto, che “ai fini dell’individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte tra le stesse parti, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa”.
Orbene, la sentenza n. 14/2015 della Corte di appello di Salerno, come si evince chiaramente dall’esame della stessa, aveva come unico oggetto la domanda sullo status, del quale il giudice del gravame era stato investito con l’appello immediato e si conclude con la formula “definitivamente pronunciando” e la liquidazione delle spese giudiziali a dimostrazione della conclusione di quel giudizio svoltosi alla stregua della L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 9.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
Va precisato che l’articolo 361 c.p.c., che consente di differire il ricorso per cassazione contro le sentenze non definitive, non e’ attinto dal divieto operato dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 4, comma 9 (nella formulazione introdotta dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 8), che, in tema di procedimento di divorzio, si limita a disporre “Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza e’ ammesso solo appello immediato…”.
Tale norma che apportando deroga e, dunque, facendo eccezione alle regole generali del codice di rito, e’ anche insuscettibile di applicazione analogica, ai sensi dell’articolo 14 preleggi.
In questo quadro non si puo’ parlare di una sentenza parziale non avendo il Collegio territoriale alcuna altra domanda da decidere,diversamente da quanto si verifica avanti al Tribunale, ove e’ espressamente attribuita alle parti la facolta’ di scegliere tra l’appello immediato e la riserva di impugnazione.
Una volta esclusa la natura parziale della pronuncia non e’ configurabile avverso la stessa il differimento del ricorso percassazione mediante riserva ai sensi dell’articolo 361 c.p.c..
Va peraltro sottolineato che la qui impugnata sentenza (n. 14/2015 della Corte territoriale), in conseguenza del fatto di aver esaurito la materia del contendere devoluta al Giudice che l’ha emessa, possiede tutti gli indici di definitivita’ individuati dalla recente decisione delle S.U. sopra richiamata,per esplicita indicazione desunta dal suo contenuto intrinseco,in relazione ai correlati indici formali, si e’ determinata nel senso del rigetto dell’appello e della liquidazione delle spese del gravame.
Da quanto sopra consegue che la ricorrente avrebbe dovuto proporre ricorso per cassazione, a pena di decadenza, nel termine di cui all’articolo 325 c.p.c., ovverosia entro il 22/06/2015 per effetto della notifica eseguita in data 23/4/2015, o al piu’ tardi, in data 18/05/2016 con lo spirare del termine di cui all’articolo 327 c.p.c., non assumendo alcun rilievo la riserva nei termini in cui e’ stata presentata, la quale non ha avuto alcun effetto preclusivo in merito al passaggio in giudicato della sentenza n. 14/15 della Corte di appello.
(OMISSIS) impugna per cassazione sulla base di due motivi la pronuncia della Corte di appello di Salerno nr. 1027/2021,con cui in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Salerno, e’ stato rideterminato l’assegno divorzile in Euro 3000,00 a far data dall’emanazione della sentenza impugnata.
Il giudice di appello, premesse brevi considerazioni sui mutamenti giurisprudenziali intervenuti in merito all’assegno divorzile in relazione ai parametri di riferimento da prendere in considerazione e sul diverso ruolo che gioca ora il tenore di vita nell’ambito del giudizio di separazione rispetto a quello divorzile incentrato sulla valorizzazione del contributo dato alla crescita del patrimonio familiare,rilevava che la ricorrente, “anche se inopportunamente si era allontanata dalla casa familiare” in qualita’ di madre e di moglie aveva dedicato buona parte della sua esistenza ad educare e curare i figli e l’organizzazione familiare,diversamente non si sarebbe compreso come il (OMISSIS) il quale aveva dichiarato in sede di comparizione di guadagnare Euro 30.000,00 al mese potesse dedicarsi ai suoi impegni lavorativi se non delegando le incombenze familiari alla moglie cosi’ come l’educazione.
Su queste basi ha riconosciuto il diritto della (OMISSIS) a percepire un assegno divorzile.
Rilevava che ai fini della determinazione di tale emolumento non era necessario procedere ad ulteriori accertamenti rispetto a quelli espletati nell’ambito della separazione non richiedendosi ai fini della quantificazione del contributo l’applicazione di un principio di proporzionalita’ rispetto al reddito del coniuge onerato senza dimenticare quanto gia’ riconosciuto dal (OMISSIS) in sede di comparizione personale che rende superfluo ogni ulteriore verifica. La Corte di appello ha ritenuto che l’apporto al patrimonio familiare potesse quantificarsi nella misura di Euro 3000,00 mensile.
La ricorrente censura la decisione sotto un duplice profilo.
Con il primo deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c., nonche’ della L. n. 898 del 1970, articolo 5, commi 6 e 9 e ss.mm.ii., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” dolendosi in particolare che la Corte di appello, pur riconoscendo il contributo dato dalla ricorrente in qualita’ di madre all’organizzazione familiare consentendo al marito di dedicarsi esclusivamente al lavoro raggiungendo i livelli reddituali dichiarati, non avrebbe apprezzato adeguatamente l’entita’ di tale contributo ritenendo ininfluente ai fini in esame la disparita tra l’entita’ dei due patrimoni.
Afferma infatti che la Corte si sarebbe limitata a stabilire una misura in via equitativa senza dare conto dell’applicazione dei criteri dell’articolo 5, che avrebbero imposto la valutazione dell’assoluta mancanza di redditi propri e l’impossibilita’ di procurarli, del provato stato di salute della durata del matrimonio e della circostanza di aver provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio con l’erogazione dell’assegno di mantenimento a lei destinato nella misura di Euro 7000,00.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 190 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.
Sostiene controparte che la Corte d’Appello di Salerno sarebbe incorsa in errore avendo trattenuto la causa in decisione senza concedere i termini di cui all’articolo 190 c.p.c..
(OMISSIS), con controricorso, eccepisce l’inammissibilita’ e l’infondatezza del ricorso.
Il primo motivo e’ inammissibile.
Va preliminarmente rilevato che l’aspetto controverso attiene unicamente al quantum dell’assegno divorzile avendo l’odierno controricorrente omesso di impugnare la decisione di appello in merito all’an.
Va altresi’ rilevato, sempre in via preliminare, che il motivo di doglianza si incentra su di una non sufficiente valorizzazione della componente compensativa non apprezzata nella maniera adeguata senza tenere nel debito conto della “notevolissima entita’ di detti patrimoni”.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
Cio’ premesso prima di procedere all’esame del motivo occorre svolgere qualche breve considerazione che discende dalle recenti evoluzioni giurisprudenziali.
Giova ricordare che l’assegno di divorzio deve essere riconosciuto, non in rapporto al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura anzitutto idonea a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, secondo un criterio di normalita’, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente piu’ debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021).
La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non e’ finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente piu’ debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287; Cass., 23/01/2019, n. 1882).
La differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del “tenore di vita matrimoniale”, non e’ decisiva, isolatamente considerata, ai fini della determinazione dell’assegno perche’ l’entita’ del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per se’, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234/2019).
Lo squilibrio rileva “come precondizione fattuale” (Cass. 32398/2019), quando risulti che esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due (Cass. 21926/2019).
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, e dei principi di diritto suesposti, posto che non e’ specificamente censurato il presupposto della notevole sproporzione reddituale tra gli ex coniugi, accertato dai Giudici di merito, questi ultimi, pur dando atto di allontanamenti dalla casa coniugale dell’odierna ricorrente, definiti inopportuni, hanno valorizzato la funzione compensativa dell’assegno divorzile, dando rilievo al contributo dato dall’ l’ex moglie alla famiglia ed ai figli, e alle fortune del marito rese possibili unicamente delegando le incombenze familiari alla moglie.
In detto contesto, il giudice del merito ha ritenuto di quantificare l’assegno divorzile nell’importo di Euro 3.000,00 mensili, alla luce delle circostanze concrete emerse tenendo conto da un lato che non era stati dimostrati sacrifici professionali in nome della famiglia in assenza di una specifica formazione professionale e, dall’altro, di una dedizione alla famiglia non assoluta.
L’apprezzamento espresso dal giudice del merito non e’ sindacabile in questa avendo la Corte di appello con motivazione che si colloca ben al di sopra del minimo costituzionale, spiegato le ragioni del suo convincimento.
Il secondo motivo e’ parimenti inammissibile.
La L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 15, dispone che “L’appello e’ deciso in Camera di consiglio”.
Tale scelta legislativa in favore del rito camerale non risulta limitata, contrariamente a quanto sostenuto dall’avversa difesa, al solo appello in materia di status.
Ne deriva che e’ pianamente applicabile alla fattispecie l’insegnamento secondo il quale “nei procedimenti di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale deve essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio, tuttavia, trattandosi di procedimenti caratterizzati da particolare celerita’ e semplicita’ di forme, ad essi non sono applicabili le disposizioni proprie del processo di cognizione ordinaria e, segnatamente, quelle di cui all’articolo 189 c.p.c. (Rimessione al collegio) e articolo 190 c.p.c. (Comparse conclusionali e memorie)” (Cass. civ. Sez. I, 12 gennaio 2007, n. 565; 2015 nr. 26200).
Il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto giustifica la valutazione della censura in termini di inammissibilita’.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello nr. 14/2015 e quello proposto avverso la sentenza della Corte di appello nr. 1027/2021 vanno dichiarati inammissibili.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo grado di giudizio che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto.
Dispone per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
Assegno di divorzio e funzione perequativo compensativa
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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