Appropriazione indebita e la omessa restituzione della cosa alla controparte che ne ha fatto richiesta in pendenza di un rapporto contrattuale

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 1 marzo 2019, n. 8862.

La massima estrapolata:

In tema di appropriazione indebita, la omessa restituzione della cosa alla controparte che ne ha fatto richiesta in pendenza di un rapporto contrattuale non integra, di per se’, il reato di cui all’articolo 646 c.p. in quanto non modifica il rapporto tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione “uti dominus” e l’intenzione soggettiva di interversione del possesso, ma si riflette in un inadempimento di esclusiva rilevanza civilistica.

Sentenza 1 marzo 2019, n. 8862

Data udienza 24 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. COSCIONI Giusep – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS), parte civile;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/09/2016 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. GIUSEPPE COSCIONI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott. MOLINO PIETRO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore della parte civile Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS) per la parte civile che si e’ riportato ai motivi di ricorso, chiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di appello civile;
Udito il difensore dell’imputato, Avv. (OMISSIS) che si e’ associato alle conclusioni del Procuratore generale, chiedendo in subordine il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado che aveva assolto (OMISSIS) dal reato di appropriazione indebita.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore della parte civile (OMISSIS) S.r.l., eccependo che il comportamento dell’imputato aveva perfettamente integrato il reato contestato, non essendo stato considerato che (OMISSIS) fino al (OMISSIS) era il legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., che si era appropriata della merce della (OMISSIS) S.r.l. e che le richieste di restituzione della merce erano precedenti alla suddetta data; una volta ricevute le richieste, (OMISSIS) aveva creato affidamento nella parte offesa, prendendo tempo e facendo in modo che i prodotti entrassero a far parte del magazzino della (OMISSIS) s.r.l., poi ceduto alla (OMISSIS)vet s.r.l..
1.2 Il difensore della parte civile osserva inoltre che la motivazione della Corte di appello era illogica, in quanto l’omessa restituzione dei beni costituiva l’atto tipico del falso proprietario che perfezionava l’interversione del possesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Si deve infatti rilevare che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimita’, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacita’ dimostrativa, con la conseguente inammissibilita’, in sede di legittimita’, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che “…sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito” (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
Il ricorso della parte civile propone censure di merito, chiedendo una diversa valutazione delle risultanze probatorie, non consentita in sede di legittimita’; la motivazione della Corte di appello e’ perfettamente logica, soprattutto nella parte in cui osserva come (OMISSIS) non aveva piu’ la possibilita’ di restituire la merce a partire dal (OMISSIS), essendo stata la (OMISSIS) s.r.l. posta in liquidazione,e che (OMISSIS) non abbia compiuto alcun atto tipico del proprietario, non concretandosi cosi’ alcuna interversione nel possesso.
Sul punto deve essere richiamata la sentenza di questa Corte che ha precisato che “in tema di appropriazione indebita, la omessa restituzione della cosa alla controparte che ne ha fatto richiesta in pendenza di un rapporto contrattuale non integra, di per se’, il reato di cui all’articolo 646 c.p. in quanto non modifica il rapporto tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione “uti dominus” e l’intenzione soggettiva di interversione del possesso, ma si riflette in un inadempimento di esclusiva rilevanza civilistica.” Sez. 2, sentenza n. 12077 del 17/02/2015, Sgroi Rv. 262772).
2. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00 cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.

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