Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 7 novembre 2018, n. 50134
La massima estrapolata:
L’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo (art. 186, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sotto-prodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante su chi intende far valere la sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria. Nella specie, non risultavano soddisfatte le condizioni che le terre e rocce da scavo richiedono per rientrare nella categoria dei c.d. sottoprodotti con conseguente integrazione del reato previsto dall’articolo 255, comma 3, del D.L.vo n. 152/2006.
Sentenza 7 novembre 2018, n. 50134
Data udienza 13 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11-10-2017 della corte di appello di Trieste;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli che ha concluso per l’annullamento senza rinvio sul trattamento sanzionatorio con rideterminazione pena in 20 giorni di arresto Rigetto nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la corte di appello di Trieste ha confermato quella emessa dal tribunale di Udine che, a seguito di giudizio abbreviato, lo aveva condannato, con la diminuente del rito e con la concessione delle circostanze attenuanti generiche, esclusa la recidiva, alla pena di mesi uno di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali, con la sostituzione della pena con mesi due di liberta’ controllata, per il reato previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 255, comma 3, perche’ non ottemperava all’ordinanza emessa dal Sindaco di (OMISSIS) in data 22.11.2013 e notificata in data 2.12.2013 con la quale gli veniva ordinato di provvedere entro 30 giorni dalla notifica alla rimozione e allo smaltimento di rifiuti provenienti da attivita’ di edilizia depositati in maniera incontrollata su un terreno identificato al (OMISSIS) in (OMISSIS) in frazione (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS), attivita’ per la quale otteneva due proroghe scadenti il 16.4.2014. Accertato in (OMISSIS).
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola due motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonche’ il vizio di motivazione su punti decisivi per il giudizio (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 255, comma 6 e articolo 192, comma 3, nonche’ in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 134-bis e 135.
Premette che il reato contestato e’ la mancata ottemperanza all’ordinanza ex Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 192, 3 comma, Sindaco di (OMISSIS) che imponeva l’asporto di “rifiuti” (in realta’ terre pure e rocce) dal cantiere sito in localita’ (OMISSIS) ove la societa’, di cui l’imputato era amministratore, stava realizzando un intervento edilizio.
La difesa ed il PM in primo grado avevano concluso per l’assoluzione, argomentando la richiesta sulla scorta dell’evidente illegittimita’ ed arbitrarieta’ dell’ordinanza sindacale (ancorche’ mai impugnata in sede amministrativa) che aveva classificato come “rifiuti” materiali invece del tutto puri (terre e rocce, prodotti dall’escavazione in loco) che avrebbero dovuto essere poi utilizzati sempre in sito per il livellamento dell’area circostante il complesso edilizio.
La tesi non e’ stata condivisa dai Giudici del merito.
Osserva il ricorrente che dalla classificazione quali “rifiuti” ovvero quali “sottoprodotti” dei materiali contestati deriva la possibilita’ ed il relativo potere di emettere l’ordinanza di cui all’articolo 255 TU.
Se si trattasse infatti di “sottoprodotti” puri ed incontaminati, come in effetti doveva ritenersi nel caso di specie, e non di “rifiuti”, non sarebbe stato possibile al sindaco mettere l’ordinanza di cui all’articolo 192 TU, che si riferisce espressamente al deposito di “rifiuti” con la conseguenza che non poteva ritenersi integrata la contravvenzione di cui al Decreto Legislativo cit., articolo 255.
Tra l’altro, il Giudice penale avrebbe dovuto, in via autonoma, a la legittimita’ dell’atto amministrativo, posto che tale atto costituiva presupposto della valutazione sulla sussistenza del reato contestato.
Il Tribunale di Udine avrebbe dovuto preliminarmente vagliare se l’ordinanza sindacale fosse legittima poiche’ riguardante ipotesi effettivamente riferita all’abbandono di rifiuti, unica situazione che avrebbe consentito l’emissione dell’ordinanza sindacale.
La Corte territoriale, a fronte dello specifico motivo d’appello, si e’ limitata a richiamare pedissequamente il contenuto dell’ordinanza e a ritenere corretta la valutazione del tribunale, incorrendo pertanto nei vizi di violazione di legge e di motivazione denunciati.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza e l’erronea interpretazione della legge penale ed il vizio di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all’articolo 442 c.p.p., comma 2, ed alla eccessiva quantificazione della pena.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale ha bensi’ applicato la pena base di mesi due di reclusione, ma eccedendo nella quantificazione in violazione dei criteri di cui all’articolo 133 c.p..
E’ del tutto evidente che, pur volendo ritenere accertato il reato contestato, la relativa pena avrebbe dovuto essere ricondotta in sede di appello ed in base allo specifico motivo di impugnazione ai minimi assoluti per la irrilevante portata della violazione e dell’elemento soggettivo (grado di colpa assolutamente inesistente e prossimo comunque allo zero ed inoffensivita’ dei materiali oggetto del contestato deposito).
Sul punto la Corte di appello, limitandosi ad affermare che la pena era giusta, e’ incorsa nel vizio di motivazione denunciato.
Inoltre, ed a tutto concedere, la sentenza di appello e’ stata emessa in data 20 ottobre 2017, successivamente alla entrata in vigore del novellato articolo 442 c.p.p. (applicabile secondo il principio del favor rei) che in caso di giudizio abbreviato impone, e non semplicemente consente discrezionalmente, una riduzione secca della pena della meta’ (anziche’ di un terzo come nel caso di specie) in caso di contravvenzione.
La pena avrebbe dunque dovuto essere conseguentemente diminuita ex lege alla pena finale di gg. venti di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato limitatamente al secondo motivo.
Il primo motivo e’ invece infondato.
2. Con doppia e conforme motivazione, rispetto alla quale il ricorrente non si e’ minimamente confrontato, i Giudici del merito, con accertamento di fatto adeguatamente motivato in ordine alla qualificazione come rifiuti del materiale in loco, hanno affermato che l’ordinanza inottemperata era chiara nel fondare le ragioni che avevano indotto il Comune a ritenere rifiuti quelle terre (due grandi cumuli di terra coperti da vegetazione incontrollata unitamente a materiale di cantiere su mappati risultanti esclusi dall’area di cantiere) e a ordinarne lo smaltimento, con pulizia dell’area e messa in pristino della stessa.
La Corte d’appello ha poi affermato che le terre e rocce da scavo, per rientrare nella categoria dei c.d. sottoprodotti, necessitano di condizioni che, nel caso di specie, non risultavano soddisfatte.
Nel pervenire a tale conclusione, di per se’ sufficiente per radicare l’affermazione di responsabilita’, la Corte di appello si e’, nella sostanza, uniformata al principio di diritto secondo il quale l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo (Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 186), nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sotto-prodotti e non a quello dei rifiuti, e’ subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operativita’, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336).
Dal testo della sentenza impugnata si evince poi che lo stesso ricorrente non aveva dubitato della natura dei rifiuti dei “materiali di risulta”, desumendosi tale dato dalla stessa ordinanza, tant’e’ che era stata persino prodotta una fattura di pagamento per lo smaltimento di una modestissima quantita’ dei rifiuti in contestazione.
3. Il secondo motivo e’ fondato.
La Corte di cassazione ha affermato che, in tema di giudizio abbreviato, l’articolo 442 c.p.p., comma 2, come novellato dalla L. n. 103 del 2017 – nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze e’ diminuita della meta’, anziche’ di un terzo come previsto dalla previgente disciplina – si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4, in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio piu’ favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, Rv. 271752).
Da cio’ consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, potendo essere adottati, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., i provvedimenti necessari mediante la riduzione della meta’ della pena base (un mese e quindici giorni di arresto = 22 giorni per arrotondamento per difetto) e procedendo alla conversione, gia’ disposta dal giudice del merito, della pena detentiva nella sanzione sostitutiva della liberta’ controllata, pari a giorni quarantaquattro.
Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in giorni quarantaquattro di liberta’ controllata. Rigetta nel resto il ricorso.
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