Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 gennaio 2023| n. 2320.
L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
Essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure.
Ordinanza|25 gennaio 2023| n. 2320. L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
Data udienza 6 ottobre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: SANZIONI – AMMINISTRATIVE – OPPOSIZIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Consigliere
Dott. AMATO Cristina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12994/2019 R.G. proposto da:
COMUNE ALBANELLA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
REGIONE CAMPANIA;
– intimato –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 599/2018 depositata il 04/05/2018;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2022 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.
L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
FATTI DI CAUSA
Nel 2006 la Regione Campania irrogo’ al Comune di Albanella una sanzione di Euro 25.015,00 per la violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 54, per aver superato in tre occasioni, negli anni dal 2001 al 2004, i limiti di emissione degli scarichi provenienti dagli impianti di depurazione comunale.
Il Comune di Albanella propose opposizione all’ingiunzione.
Il Tribunale di Salerno rigetto’ l’opposizione.
Proposto gravame da parte del Comune, la Corte d’Appello di Salerno, nella contumacia della Regione Campania, confermo’ la sentenza di primo grado con diversa motivazione.
La Corte distrettuale rigetto’ il primo motivo di censura, con il quale era stata dedotta la falsa interpretazione ed applicazione della Legge Regionale Campania 10 ottobre 1993, n. 13, articolo 8, osservando che il termine di giorni sessanta per l’emissione dell’ordinanza ingiunzione decorresse dalla ricezione del rapporto e non all’audizione dell’interessato. La Corte d’appello evidenzio’ il diverso non fosse perentorio, ma ordinatorio, potendo l’ente irrogante provvedere all’irrogazione della sanzione nei termini conferenti alle esigenze amministrative, purche’ nei limiti di ragionevolezza correlati della L. n. 689 del 1991, articolo 38.
Il riscontro fattuale delle date degli accertamenti confermava che l’irrogazione della sanzione era avvenuta nei termini previsti dalla legge.
In relazione al profilo dell’elemento soggettivo, la Corte osservo’ che non poteva essere accolta la tesi difensiva, secondo cui il Comune non avrebbe potuto sospendere il servizio di depurazione senza incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio, poiche’ la norma prescrive non il divieto di scarico, bensi’ il rispetto dei limiti di emissione, il superamento dei quali non poteva che comportare la responsabilita’, a titolo di colpa, dell’ente autore dell’illecito.
In ordine alla censura relativa all’entita’ della sanzione, la Corte d’appello ritenne la censura inammissibile sia in quanto inerente a valutazioni di carattere politico, sia perche’ priva di specificita’; in ogni caso, essa era infondata nel merito perche’ l’applicazione della sanzione nel massimo edittale costituiva esercizio del potere discrezionale del Tribunale.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso il Comune di Albanella sulla base di quattro motivi.
La Regione Campania non ha svolto attivita’ difensiva.
L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della Legge Regionale n. 13 del 1983, articolo 8 e della L. n. 689 del 1981, articolo 28, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito erroneamente ritenuto che il termine di giorni sessanta per emettere l’ordinanza ingiunzione, decorrente dal ricevimento del rapporto, avesse natura ordinatoria, laddove la legge regionale individuerebbe un termine perentorio per la conclusione della procedura sanzionatoria, in deroga alle previsioni generali di cui alla L. n. 689 del 1981. Sarebbe, quindi, errata la tesi affermata dalla Corte d’appello, secondo cui la Regione avrebbe potuto emettere l’ordinanza – ingiunzione nel termine di prescrizione quinquennale di cui alla L. n. 689 del 1981, articolo 28, rendendo cosi’ difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, dell’ingiunto di fronte all’esercizio tardivo del potere sanzionatorio.
Il motivo e’ infondato ma la motivazione deve essere corretta, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c..
La questione sollevata dal ricorrente e’ stata gia’ vagliata da questa Corte, con sentenza della Sesta Sezione del 04/06/2021, n. 15720.
E’ stato affermato che il termine, previsto dalla Legge Regionale n. 13 del 1983, articolo 8, comma 2, di sessanta giorni dalla data di ricezione del rapporto, completo di processo verbale e della prova delle seguite contestazioni o notificazioni, unitamente ad eventuali scritti difensivi e documenti presentati dall’interessato, non concerne il limite temporale entro cui deve essere adottato il provvedimento, bensi’ quello entro il quale vanno sentiti gli interessati che, nei modi e nei termini fissati dalla normativa, abbiano fatto pervenire all’autorita’ competente la relativa richiesta di audizione.
L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
In tal senso e’ errata l’affermazione della Corte di merito, secondo cui il termine di sessanta giorni per l’adozione dell’ordinanza decorre dalla ricezione del rapporto e non dall’audizione.
Questa Corte ha, poi, evidenziato che la norma regionale non deroga ma, anzi, conferma la disciplina generale in tema di sanzioni amministrative, come delineata dalla L. n. 689 del 1981, la quale non fissa il termine per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, senza, peraltro, che a tale mancanza possa ovviarsi applicando il termine, peraltro non perentorio, previsto per la conclusione del procedimento amministrativo dalla L. 241 del 1990, articolo 2, in quanto la L. n. 689 del 1981, costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso in sede amministrativa, scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine cosi’ breve. E’, quindi, applicabile il termine quinquennale di cui alla stessa L., articolo 28, ancorche’ detta norma faccia letteralmente riferimento al termine per riscuotere le somme dovute per le violazioni (Cass. 21706 del 2018; Cass. 17526 del 2009).
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 3, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito accertato l’elemento soggettivo della colpa dal semplice superamento del limite di emissione legislativamente previsto, senza tener conto dell’inefficienza del sistema fognario e della circostanza che il Comune si sarebbe adoperato attivato per ottenere finanziamenti per porre rimedio a tale emergenza.
E’ consolidato il principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, della L. n. 689 del 1981, articolo 3, pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, gravando sul trasgressore l’onere di provare di aver agito senza colpa (ex multis Cassazione civile sez. II, 26/09/2019, n. 24081).
Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato che l’inefficienza del sistema fognario non esimeva il Comune dal rispetto dei limiti di emissione, tale da escludere la presunzione di colpa, sicche’ non sussiste la dedotta violazione di legge, ne’ la prova contraria puo’ essere allegata in sede di legittimita’, se non attraverso l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie non dedotto.
L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’articolo 342 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile il motivo di gravame con il quale era stata censurata l’applicazione della sanzione nel suo massimo edittale perche’ “inerente a valutazioni politiche” e per difetto di specificita’ del motivo, nella parte in cui faceva riferimento alla Delib. Giunta Regionale n. 5158 del 2000, nonostante il motivo fosse idoneo a censurare la decisione di primo grado. Peraltro, la Corte distrettuale avrebbe errato nel rigettare nel merito il motivo di appello dopo averne dichiarato l’inammissibilita’ del motivo in quanto priva della potestas iudicandi.
Il motivo e’ fondato.
Preliminarmente e’ opportuno richiamare i consolidati insegnamenti di questa Corte alla cui stregua, per un verso, la specificita’ dei motivi di appello dev’essere commisurata all’ampiezza e alla portata della sentenza impugnata (in termini, tra le tante, Cass. n. 21401/2021) e, per altro verso, ai fini della specificita’ dei motivi d’appello richiesta dall’articolo 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, puo’ sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado; non e’, pertanto, necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purche’ cio’ determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cosi’ Cass. n. 23781/2020).
Essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificita’ dei motivi – previsto dall’articolo 342 c.p.c., comma 1 – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui e’ chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure. (Sez. 3, Sentenza n. 21745 del 11/10/2006).
Tanto premesso, il Collegio osserva che il diretto esame della sentenza di primo grado e dell’atto di appello, operato da questa Corte in ragione della natura processuale della questione posta con il ricorso principale (che, in sostanza, deduce un error in procedendo: cfr. Cass. 20716/18), consente di apprezzare l’idoneita’ delle censure mosse nell’atto di appello a sottoporre a critica adeguata e specifica la decisione impugnata e, quindi, la sufficiente specificita’ delle stesse.
Il Tribunale aveva rigettato il motivo di opposizione con il quale era stata applicato il massimo della sanzione edittale, osservando che la violazione era connotata da particolare gravita’ e si era protratta per un tempo abbastanza lungo.
L’atto d’appello censurava specificamente la decisione di primo grado poiche’ non avrebbe considerato il comportamento del Comune, tenuto per attenuare le conseguenze della violazione, e dei parametri fissati dalla Delib. GR n. 5158 del 2000, che scandisce il procedimento di determinazione della sanzione.
L’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno
Le ulteriori argomentazioni contenute nella sentenza per sostenere il rigetto dell’appello sono state rese in assenza di potestas iudicandi.
Sin dalla sentenza n. 3840 del 20 febbraio 2007, infatti, le Sezioni unite di questa corte hanno chiarito che quando il giudice emette una pronuncia d’inammissibilita’ della domanda si spoglia della propria potestas iudicandi al riguardo, e che se, cio’ nondimeno, quel medesimo giudice si soffermi anche a motivare sul merito, tale motivazione e’ da considerarsi svolta ad abundantiam, onde un’impugnazione sul punto neppure risulterebbe ammissibile (conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015; Cass., Sez. 2, sentenza n. 9319 del 2016).
La sentenza impugnata va, pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
Il giudice di rinvio regolera’ le spese del giudizio di legittimita’.
E’ assorbito il quarto motivo di ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.
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