Appalto ed il regime probatorio delle variazioni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|31 maggio 2024| n. 15351.

Appalto ed il regime probatorio delle variazioni

In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta, a seconda che le stesse siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore ovvero a quella del committente; mentre nel primo caso, infatti, l’art. 1659 cod. civ. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto “ad substantiam”, nel secondo, invece, l’art. 1661 cod. civ. consente all’appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente.

 

Ordinanza|31 maggio 2024| n. 15351. Appalto ed il regime probatorio delle variazioni

Data udienza 22 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti – Appalto – Variazioni dell’opera appaltata – Regime probatorio – Distinzione – Variazioni dovute all’iniziativa dell’appaltatore e variazioni dovute all’iniziativa del committente – Disciplina applicabile – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere-Rel.

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 11746/2020 R.G. proposto da:

Vi.An., c.f. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Mo.Pi., con domicilio digitale (Omissis);

– ricorrente –

contro

Mi.Fe., c.f. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Si.Fi., con domicilio digitale (Omissis);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 123/2020 della Corte d’appello di Lecce pubblicata il 4 febbraio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 maggio 2024 dal consigliere Cavallino Linalisa;

Appalto ed il regime probatorio delle variazioni

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1438/2016 depositata il 18 marzo 2016 il Tribunale di Lecce, accogliendo la domanda di Mi.Fe., ha condannato Vi.An. a pagare in suo favore Euro 2.000,00 a titolo di corrispettivo residuo dovuto per la realizzazione delle opere di scavo previste nel contratto di appalto del 15 settembre 2009 ed Euro 1.500,00 a titolo di corrispettivo per opere aggiuntive, resesi necessarie in corso d’opera e concordate dalle parti.

2. Vi.An. ha proposto appello, che la Corte d’appello di Lecce con sentenza n. 123/2020 pubblicata il 4 febbraio 2020 ha integralmente rigettato, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

La sentenza ha considerato che erano in contestazione gli elementi relativi alla modifica sui tempi di esecuzione e consegna dei lavori, alle modifiche sulle modalità di sgombero e smaltimento del terreno di risulta dello scavo, al riordino delle pietre in tufo, alla modifica delle dimensioni del ponticello. Ha dichiarato che la sentenza di primo grado aveva precisato che vi era prova documentale dell’esistenza di un sostanziale accordo per ritardare l’esecuzione delle opere ed era evidente che il Tribunale aveva fatto riferimento alla contabilità dei lavori che teneva conto delle modifiche temporali, le cui motivazioni erano state indicate dai testimoni, che avevano confermato che era stato necessario attendere la fine del periodo piovoso; con riferimento alla modifica delle modalità di sgombero, ha dichiarato che era stato lo stesso committente a richiedere quella modifica delle modalità di esecuzione della prestazione, secondo quanto dichiarato dal teste Ci. direttore dei lavori; con riferimento all’accumulo delle pietre di tufo, si trattava di prestazione non prevista dal contratto ma richiesta espressamente dal committente; con riferimento alla modifica del ponticello, era stato dimostrato dai testimoni che la modifica era stata concordata. Di seguito la sentenza ha dichiarato che nel contratto l’unica voce di corrispettivo calcolato a corpo era quella del ponticello, la cui misurazione era stata raddoppiata rispetto alle previsioni contrattuali e la cui variazione di prezzo era stata concordata, per cui ha concluso che tutte le varianti apportate al contratto erano state concordate. Ha rigettato la domanda riconvenzionale riproposta dall’appellante, dichiarando che non avevano riscontro le affermazioni sulla mancata esecuzione delle opere a regola d’arte, che il diverso termine di consegna delle opere era stato concordato sulla base della prova documentale e testimoniale, che non vi era prova di ulteriori voci di danno.

3.Avverso la sentenza Vi.An. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Fe.Mi. ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

All’esito della camera di consiglio del 22 maggio 2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è rubricato “nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice – eccezione di incostituzionalità” e con esso il ricorrente, a fronte del dato che era componente del Collegio e relatore della sentenza impugnata giudice ausiliario, chiede sia sollevata questione di costituzionalità delle disposizioni sulla nomina dei giudici ausiliari di Corte d’appello, in relazione agli artt. 3, 25 co. 1, 106 co. 2 e 111 Cost., facendo riferimento al dato che la questione è già stata sollevata da due ordinanze della Corte di Cassazione ed esponendo gli argomenti che depongono per l’incostituzionalità delle disposizioni.

1.1. Il motivo è infondato, e di ciò ha dato atto lo stesso ricorrente, il quale nella memoria illustrativa ha dichiarato di volere rinunciarvi.

Infatti, a seguito della sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni contenute nel D.L. 69/2013 conv. con mod. nella L. 98/2013 che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi nelle sezioni delle corti d’appello, le corti d’appello potranno continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari finché, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà a una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta a evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass. Sez. 6-2 5-11-2021 n. 32065 Rv. 662813-01, Cass. Sez. 2 11-4-2024 n. 9911, non massimata, per tutte).

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2. Il secondo motivo è rubricato “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente art. 1659 c.c. e art. 2721 c.c. – omessa valutazione di documenti rilevanti per la decisione che hanno formato oggetto di discussione tra le parti nonché incoerente valutazione delle prove raccolte – vizio di motivazione intrinseca ed estrinseca della sentenza”.

Il ricorrente, evidenziato che il contratto di appalto prevedeva corrispettivo a corpo, lamenta che la sentenza impugnata abbia basato la sua decisione esclusivamente sulle prove testimoniali assunte in palese violazione dell’art. 1659 cod. civ., il quale prevede che le variazioni di esecuzione del contratto devono essere provate per iscritto; sostiene che erroneamente la sentenza abbia ritenuto che i lavori aggiuntivi e il ritardo delle opere fossero stati una scelta del committente, in quanto i documenti e le testimonianze davano una diversa dimostrazione dei fatti; aggiunge che la contabilità dei lavori ai quali si riferisce la sentenza non è stata depositata e rileva che l’illegittimità e irrilevanza delle prove testimoniali deriva in generale dall’art. 2722 cod. civ., evidenziando altresì che l’art. 8 del contratto prevedeva la durata dei lavori, la documentazione delle cause di forza maggiore e una penale per il ritardo. Dichiara che il documento del 31 ottobre 2008 relativo al contratto concluso per la costruzione di abitazione rendeva non plausibile la volontà del committente di rinviare fino a luglio 2009 l’esecuzione dello scavo; critica la decisione con riguardo al trasporto del terreno vegetale – che non costituiva una modalità di esecuzione della prestazione ma una prestazione che non era stata adempiuta -, nonché con riguardo allo spostamento del materiale tufaceo, sostenendo che la Corte d’appello abbia errato nel valutare le testimonianze.

3. Il terzo motivo è rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 1659 co. 3 c.c. Lavoro a corpo e non a misura. Rigetto domanda riconvenzionale sui medesimi presupposti censurati innanzi. Omessa valutazione di documenti rilevanti per la decisione che hanno formato oggetto di discussione tra le parti nonché incoerente valutazione delle prove raccolte – vizio di motivazione intrinseca ed estrinseca della sentenza”. Con riguardo ai lavori di ampliamento del ponticello, il ricorrente evidenzia che il teste Ci. non aveva mai affermato che il committente avesse dato il suo consenso al maggiore prezzo del ponticello, in quanto il committente aveva dato assenso all’ampliamento solo perché lo stesso era stato prospettato come necessario affinché i mezzi meccanici avessero maggiore spazio di manovra; poiché l’art. 4 del contratto consentiva di svolgere alternativamente lo scavo a mano o con l’utilizzo di mezzi meccanici, rileva come fosse evidente che il committente avesse consentito all’allargamento del ponte solo nell’interesse dell’appaltatore. Aggiunge che la stessa sentenza ha dichiarato che, nel caso di appalto a corpo, l’appaltatore non ha diritto ad aumento di corrispettivo per le variazioni autorizzate e quindi dichiara essere incomprensibile la ragione per cui debba essere pagata la variazione relativa all’ampliamento del ponticello, per il quale la sentenza medesima ha riconosciuto che il corrispettivo era a corpo; evidenzia che ai sensi dell’art. 7 del contratto l’intero corrispettivo era stato pattuito a corpo, che a fronte della carenza probatoria dell’attore che non aveva depositato gli allegati tecnici, il giudice avrebbe dovuto rigettare la domanda e non ricostruire una verità alternativa basata su prove illegittime; infine lamenta che sia stata rigettata la domanda riconvenzionale, che sarebbe stata accolta se le prove documentali e testimoniali fossero state lette in modo corretto; dichiara che non vi era stato alcun accordo sulla data di fine lavori, che era mancato il trasporto del terreno in altra sede e anche lo spianamento del fondo.

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4. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, sono in primo luogo inammissibili nella parte in cui sono finalizzati a ottenere una diversa ricostruzione dei fatti, in quanto tale non consentita nel giudizio di legittimità.

Il ricorrente, con una serie di argomenti esposti senza linearità, come risulta anche dalla sintesi sopra svolta, in sostanza sostiene l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie e ne propone una lettura diversa da quella eseguita dalla sentenza impugnata, sulla base dell’erroneo presupposto che il giudizio di legittimità costituisca un terzo grado del giudizio, nel quale poter sostenere di non essere obbligato al pagamento del corrispettivo sulla base della riproposizione delle argomentazioni non accolte dal giudice di merito. I motivi non sono formulati nel rispetto delle previsioni dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. in primo luogo perché, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348-bis cod. proc. civ. ratione temporis vigente, essendo stato l’appello proposto dopo l’11-9-2012 e il ricorso per cassazione prima del 28 febbraio 2023, il ricorso per cassazione avrebbe dovuto indicare le ragioni poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202-01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03). Inoltre, entrambi i motivi si risolvono in una serie di critiche alla ricostruzione in fatto eseguita dalla Corte d’appello che non risulta rispettosa del disposto degli artt. 360 co. 1 n.5 e 366 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., secondo i quali il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. Sez. U. 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01, Cass. Sez. 2 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01). Del resto, la sentenza è immune anche da qualsiasi vizio di motivazione evocato nella rubrica dei motivi, in quanto la Corte d’appello ha esaminato in modo ampio e privo di contraddizioni le risultanze istruttorie e ha individuato le testimonianze che ha posto a fondamento della decisione, valutando in modo preciso anche il contenuto delle deposizioni, riportate nella motivazione, così che neppure sotto questo profilo emerge carenza o genericità nel ragionamento svolto. E’ pacifico che spetti al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento e, a tal fine, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. Sez. U 11-6-1998 n. 5802 Rv. 516348-01, per tutte). Non intercettano vizio della motivazione neppure le deduzioni con le quali il ricorrente sostiene che siano state erroneamente valutate la modalità di sgombero del terreno, il mancato trasporto del terreno vegetale e lo spostamento delle pietre di tufo, perché la Corte d’appello ha esplicitato in modo coerente le ragioni della propria interpretazione delle previsioni contrattuali e della condotta delle parti, alle quali il ricorrente contrappone le sue diverse tesi, in termini estranei al sindacato di legittimità.

4.1. Per il resto, i riferimenti del ricorrente ai limiti alla prova testimoniale posti dagli artt. 2721 e ss. cod. civ. sono in primo luogo inammissibili ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ., in quanto il ricorrente neppure allega di avere sollevato le relative eccezioni prima dell’ammissione dei mezzi istruttori e poi di averla riproposta, per cui non può neppure proporre l’eventuale nullità in fase di impugnazione (Cass. Sez. U 5-8-2020 n. 16723 Rv. 658630-01, Cass. Sez. 3 30-32010 n. 7765 Rv. 612420-01).

4.2. Inoltre, i motivi sono infondati nella parte in cui prospettano la violazione dell’art. 1659 cod. civ., perché la sentenza non si è discostata dal principio secondo il quale, in tema di appalto, il regime delle variazioni dell’opera muta, a seconda che le stesse siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore o a quella del committente. Solo nel primo caso l’art. 1659 cod. civ. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto ad substantiam; nel secondo caso, l’art. 1661 cod. civ. consente all’appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni siano state richieste dal committente (Cass. Sez. 2 9-8-2023 n. 24246 Rv. 668728-01, Cass. Sez. 2 15-12-2021 n. 40122 Rv. 663359-01, Cass. Sez. 2 19-92011 n. 19099 Rv. 619188-01). Infatti, la violazione dell’art. 1659 cod. civ. è sostenuta dal ricorrente sulla base della tesi che le variazioni fossero dovute a iniziativa dell’appaltatore, ma la sentenza impugnata ha accertato in fatto, con la ricostruzione delle risultanze istruttorie che il ricorrente non censura in modo ammissibile, che le variazioni erano state concordate dalle parti; per questo, si rimane nell’ambito di applicazione dell’art. 1661 cod. civ. e la prova poteva essere data con tutti i mezzi consentiti.

Appalto ed il regime probatorio delle variazioni

Infine, non sono pertinenti rispetto alla cognizione del giudizio di legittimità neppure gli argomenti con i quali il ricorrente deduce che il contratto prevedeva corrispettivo a corpo, perché la sentenza impugnata ha accertato che l’unica voce di corrispettivo calcolato a corpo prevista dal contratto era quella del ponticello e che la variazione del relativo prezzo era stata concordata sulla base delle testimonianze del direttore dei lavori Ci. e del teste Pr.. Al fine di censurare in modo ammissibile in questa sede la pronuncia, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre la violazione dei canoni di interpretazione del contratto, specificando quali regole fossero state violate dalla Corte d’appello laddove aveva ritenuto che il contratto prevedesse corrispettivo a corpo soltanto per il ponticello. Neppure gli argomenti con i quali il ricorrente contesta che la variazione del prezzo fosse stata concordata possono essere esaminati, in quanto si risolvono in una mera critica all’accertamento di fatto, rimasto del tutto avulso allo schema dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. entro il quale avrebbe dovuto essere veicolato.

5. In conclusione il ricorso è interamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.300,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege. Sussistono ex art.13 co. 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 22 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

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