Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 aprile 2024| n. 9904.
Apertura della successione i diritti vantati a titolo ereditario hanno carattere generalmente disponibile
In caso di apertura della successione, i diritti vantati a titolo ereditario hanno carattere generalmente disponibile, anche in ipotesi di verifica circa la validità del testamento ex art. 591, comma 1, n. 3), c.c., in quanto le decisioni che ne derivano non incidono sulla capacità di agire di un soggetto (peraltro non più in vita), ma si limitano ad accertare l’eventuale condizione di minorata capacità di intendere e volere, alla data di redazione del testamento, cosicché esse non rientrano tra le azioni concernenti lo stato o la capacità delle persone.
Ordinanza|11 aprile 2024| n. 9904. Apertura della successione i diritti vantati a titolo ereditario hanno carattere generalmente disponibile
Data udienza 9 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Successioni ‘mortis causa’ – Successione testamentaria – Capacita’ – Di testare – Incapacita’ – In genere apertura della successione – Diritti vantati a titolo successorio – Generale disponibilità – Anche in caso di verifica circa la validità del testamento ex art. 591, comma 1, n. 3), c.c. – Fondamento.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 17157-2020 proposto da:
Mo.Po., elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato GI.DE., rappresentata e difesa dall’avvocato LU.CO., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Mo.Be., Mo.Ac., Mo.Em.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1157/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE depositata il 22/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Apertura della successione i diritti vantati a titolo ereditario hanno carattere generalmente disponibile
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con testamento pubblico del 23 giugno 2000, Mo.Fr., deceduto in data (Omissis), nominava erede universale la sorella Mo.Be., e pertanto l’altra sorella, Mo.Po., conveniva in giudizio l’erede testamentaria per sentire dichiarare la nullità assoluta del testamento in questione, in quanto redatto da soggetto affetto da demenza senile.
Nella resistenza della convenuta, e disposta la chiamata in causa anche dell’altro fratello del de cuius, Mo.Vi., che si costituiva aderendo alle difese della attrice, a seguito del decesso di Mo.Vi., si costituivano anche i suoi eredi, aderendo alle domande del loro dante causa.
Su richiesta delle parti la causa era quindi devoluta ad un collegio arbitrale ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 132/2014.
Il Collegio arbitrale decideva la controversia con lodo del 12 luglio 2016, con il quale era rigettata la domanda attorea nonché la domanda riconvenzionale avanzata anche da Mo.Vi. e tale pronuncia era impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce che con la sentenza n. 1157 del 22 ottobre 2019 ha rigettato il gravame.
I giudici di appello disattendevano il primo motivo di gravame che sosteneva l’incompetenza del collegio arbitrale, atteso il carattere non disponibile del diritto devoluto alla sua cognizione, in quanto la natura patrimoniale dei diritti scaturenti dal testamento consentiva di affermare che si tratti di diritti disponibili, inerendo la verifica della capacità del testatore al riscontro della corretta formazione della volontà negoziale.
Tale motivazione permetteva anche di supplire ad eventuali carenze di motivazione del collegio arbitrale quanto al rigetto dell’eccezione de qua sollevata dinanzi allo stesso.
In relazione al mezzo di impugnazione che atteneva alla mancata valutazione dell’omessa comparizione della convenuta all’interrogatorio formale deferitole sulla circostanza che il de cuius era in cura per demenza senile già nel 2000, la sentenza d’appello rilevava che tale circostanza non aveva carattere decisivo, sicché perdeva anche di rilevanza la condotta della convenuta.
In relazione al quarto motivo di appello, la sentenza escludeva che fosse stato violato il principio in tema di onere della prova in quanto non era stata fornita la dimostrazione che il de cuius fosse affetto da uno stato di demenza senile già nel 2000, tale da rendere invalido il testamento.
La documentazione medica risaliva infatti al 2002, e cioè a due anni dopo la data del testamento, mentre quella di data anteriore nulla riferiva circa le condizioni di salute psichica del de cuius.
Alcuna rilevanza avevano, poi, sia la mancata comparizione dell’erede testamentaria all’interrogatorio formale, sia le dichiarazioni rese dal teste Ga., in quanto questi aveva riferito di avere avuto in cura il de cuius, ma le dichiarazioni in relazione allo stato di demenza senile risalenti al 2000 erano del tutto generiche per potere affermare che vi fosse un’incapacità invalidante già alla data di redazione del testamento.
D’altronde tali deposizioni erano contrastate da quelle del notaio rogante che aveva riferito di non avere riscontrato un’incapacità psichica del testatore il quale aveva preso contezza del testo raccolto confermando che lo stesso corrispondeva alla sua volontà.
Quanto, infine, al motivo con il quale ci si doleva del fatto che il collegio arbitrale non avesse riqualificato la domanda proposta da azione di nullità in azione di annullamento ex art. 591 c.c., la sentenza osservava che quella di nullità è azione ontologicamente diversa da quella di annullamento e quindi correttamente il collegio arbitrale non aveva proceduto ad alcuna riqualificazione.
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2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Mo.Po. sulla base di quattro motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.
3. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 co. 3 c.p.c. in relazione all’art. 806 c.p.c. ed all’art. 1 del d.l. n. 132/2014.
Si assume che l’ambito delle controversie deferibili al collegio arbitrale è limitato a quelle che concernono diritti disponibili. Nel caso in esame gli arbitri erano chiamati a decidere una controversia che investiva l’accertamento delle condizioni psico – fisiche del testatore, con il coinvolgimento di aspetti strettamente attinenti alla sfera umana e giuridica della persona, il che escludeva che la lite potesse essere devoluta al collegio arbitrale.
E’ erronea quindi la diversa conclusione alla quale è pervenuta la Corte d’Appello. Il motivo è infondato.
L’art. 1 del d.l. n. 132/2014 prevede che “Nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d’appello pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa non e’ stata assunta in decisione, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile”.
Analogo riferimento alla natura non disponibile dei diritti si rinviene anche nell’art. 2 del D.Lgs. n. 28/2010, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili che recita che “Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”, il cui successivo articolo 5 prevede come obbligatoria la mediazione nelle controversie tra l’altro, in materia di divisione e successioni ereditarie, patti di famiglia, scelta questa che chiaramente sottende la considerazione che le controversie in materia successoria, anche quando abbiano ad oggetto la verifica circa la validità di un testamento, siano vertenti su diritti di natura disponibile, quali quelli scaturenti dalle pretese successorie, ove si controverta della regolazione della successione in base a testamento ovvero a legge.
Il riferimento alla disponibilità dei diritti è poi rinvenibile anche nella previsione di cui all’art. 1966 c.c., in tema di transazione, istituto questo che pacificamente risulta invocabile anche nelle controversie successorie, ove le parti intendano risolvere in maniera amichevole l’eventuale controversia insorta come altresì confermato dalla previsione di cui al secondo comma dell’art. 764 c.c., che nel riferire di una transazione che pone fine a questioni insorte a causa della divisione, contempla indubbiamente anche quelle questioni che implichino la verifica della validità del titolo testamentario sulla scorta del quale si intenda procedere alla divisione.
La stessa giurisprudenza di questa Corte ha poi riconosciuto la possibilità per le parti di intervenire in via negoziale sulle sorti delle vicende successorie, essendosi infatti sostenuto che (Cass. n. 12685/2014) è possibile anche rinunziare a far valere il testamento, purché vi sia l’accordo di tutti i coeredi, da redigere per atto scritto, a pena di nullità, se nella successione sono compresi beni immobili, ammettendo quindi l’intervento dell’autonomia negoziale, sul presupposto che un accordo siffatto importa una modificazione quantitativa delle quote, tanto dal lato attivo, che da quello passivo, e si risolve in un atto di disposizione delle stesse (conf. Cass. n. 5666/1988).
Risulta quindi confermato il carattere generalmente disponibile dei diritti vantati a titolo di successori o potenziali tali in caso di apertura della successione, carattere che non può essere negato in relazione alla vicenda in esame, in considerazione del fatto che la verifica circa la validità del testamento involge un accertamento in merito alla capacità di intendere e di volere del de cuius, trattandosi non già di adottare statuizioni volte a limitare la generale capacità di agire del testatore, ma di riscontrare con riferimento alla data di redazione del testamento, se ricorresse una condizione di minorata capacità di intendere e di volere, ma senza quindi dover adottare decisioni idonee ad incidere sulla capacità di agire di un soggetto peraltro non più in vita (in termini, Cass. n. 17024/2017, secondo cui le controversie aventi ad oggetto la validità del testamento per incapacità naturale del “de cuius” non rientrano tra le azioni concernenti lo stato o la capacità delle persone, con conseguente facoltatività dell’intervento del Pubblico Ministero in primo grado ed insussistenza di un obbligo di integrazione del contraddittorio nei suoi confronti in appello).
4. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c. in quanto il lodo non fornisce alcuna spiegazione circa il fatto che Mo.Be. non fosse comparsa a rendere l’interrogatorio formale deferitole, quanto alla circostanza che il de cuius era affetto da demenza senile già nel 2000.
La mancata comparizione avrebbe dovuto portare a ritenere come ammessa la circostanza oggetto dell’interrogatorio non reso, e la motivazione offerta sul punto dalla Corte distrettuale è del tutto apparente, essendo invece necessario addivenire ad una sua valutazione unitamente agli altri elementi istruttori.
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Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2727 c.c. in quanto l’onere della prova dell’incapacità del de cuius alla data di redazione dell’atto effettivamente incombe sull’attore, ma può essere assolta anche con il ricorso a prove presuntive.
Nella specie ricorrevano plurimi elementi indiziari che deponevano per l’incapacità del testatore, la cui valutazione combinata non poteva che deporre per l’invalidità della scheda testamentaria. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
Occorre a tal fine richiamare la giurisprudenza di questa Corte che anche di recente ha ribadito che (Cass. n. 4837/2018) la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale non è affetta da vizio di motivazione, atteso che l’art. 232 c.p.c., a differenza dell’effetto automatico di “ficta confessio” ricollegato a tale vicenda dall’abrogato art. 218 del precedente codice di rito, riconnette a tale comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità. Infatti, è stato ribadito che (Cass. n. 9436/2018) la disposizione dell’articolo 232 c.p.c. non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova, aggiungendosi che (Cass. n. 10099/2013) la valutazione, ai sensi dell’art. 232 cod. proc. civ., della mancata risposta all’interrogatorio formale rientra nell’ampia facoltà del giudice di merito di desumere argomenti di prova dal comportamento delle parti nel processo, a norma dell’art. 116 cod. proc. civ.
In particolare, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio stesso quando la parte non si presenti a rispondere senza giustificato motivo, valutando ogni altro elemento probatorio, che non deve risultare “ex se” idoneo a fornire la prova del fatto contestato (poiché, in tal caso, sarebbe superflua ogni considerazione circa la mancata risposta all’interrogatorio), ma deve soltanto fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento del giudice sui fatti dedotti nell’interrogatorio medesimo; l’esercizio di tale potere non può essere censurato in sede di legittimità né per violazione di legge, né per vizio di motivazione.
Posti tali principi, la sentenza d’appello, ha in realtà dato atto del mancato rendimento dell’interrogatorio formale da parte della convenuta ma ha ritenuto che non fosse possibile inferire da tale condotta, unitamente ad altri elementi indiziari valorizzati in ricorso dalla ricorrente, la prova, ancorché per presunzioni, dell’incapacità del testatore.
Risulta, infatti, richiamato il contenuto della documentazione sanitaria versata in atti, evidenziandosi che il riferimento alla demenza senile risultava solo da documenti di due anni successivi alla data del testamento.
Inoltre, la sentenza ha dato puntualmente atto del contenuto della deposizione del teste Ga., affermando che il riferimento all’esistenza della patologia della demenza senile, già nel 2000, era genericamente connotato, posto che mancava una puntuale specificazione delle modalità attraverso le quali tale patologia si estrinsecava, in maniera tale da effettivamente limitare in modo grave la capacità di intendere e di volere del testatore, e ciò alla luce del contrario tenore della deposizione del notaio rogante l’atto di ultima volontà che escludeva che il testatore non fosse apparso in grado di manifestare in maniera consapevole le sue volontà.
Ha, pertanto, ritenuto che la complessiva valutazione del materiale istruttorio, anche a voler accreditare la deposizione del teste Ga., circa l’insorgenza già nel 2000 della demenza senile, portava ad affermare che tale ultima patologia era ancora in una fase iniziale, e priva di quei caratteri di gravità, invece attestati da documentazione sanitaria di ben due anni successiva, dovendo quindi escludersi che il testatore non fosse stato in grado di esprimere in maniera libera e consapevole le proprie determinazioni in ordine alla sua successione.
Le considerazioni del giudice di merito, connotate da intrinseca logicità e coerenza denotano come le stesse siano frutto di una complessiva valutazione del materiale probatorio in atti e che pertanto le critiche mosse nel loro complesso attingano una valutazione di fatto riservata esclusivamente al giudice di merito, come tali insuscettibili di censura in sede di legittimità vieppiù alla luce della più restrittiva formulazione del novellato art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., applicabile alla fattispecie (cfr. sul punto da ultimo Cass. n. 5279/2020, secondo cui in tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo; Cass. n. 1234/2019, a mente della quale è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.).
Apertura della successione i diritti vantati a titolo ereditario hanno carattere generalmente disponibile
5. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 113 c.p.c., in quanto, in applicazione del principio iura novit curia, il giudice ha il potere – dovere di riqualificare I fatti dedotti in giudizio, individuando la norma effettivamente applicabile.
Nella specie, l’azione dedotta in giudizio rientrava evidentemente nella previsione di cui all’art. 591 co. 3 c.c., che dà vita ad un’ipotesi di annullamento del testamento e non di nullità.
Ha errato quindi il giudice di appello nel rigettare il motivo di gravame che sollecitava una riqualificazione della domanda quale domanda di annullamento.
Il motivo è infondato, in quanto, a prescindere dalla corretta qualificazione in diritto della domanda, risulta evidente che la sentenza impugnata abbia ampiamente ed esaustivamente valutato i fatti addotti dall’attrice a sostegno della propria domanda, ritenendo che la causa invalidante dal testamento, rappresentata dall’incapacità naturale del de cuius, non ricorresse.
Ne consegue che avendo la sentenza impugnata deciso sulla scorta dell’esame dei fatti addotti in giudizio, la non corretta qualificazione della domanda quale domanda di nullità, invece che domanda di annullamento, non è in grado di determinare un diverso esito della controversia. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
6. Nulla a disporre quanto alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria l’11 aprile 2024.
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