Corte di Cassazione, sezione penale, Sentenza 21 giugno 2019, n. 27707.
La massima estrapolata:
L’albergatore che incassa l’imposta di soggiorno assume la veste di incaricato di pubblico servizio come agente contabile nei confronti del comune e, pertanto, commette il reato di peculato ove ometta di versare le somme ricevute nell’adempimento di tale funzione pubblica, atteso che quel denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso della consegna all’incaricato dell’esazione e a esso non può essere data alcuna diversa destinazione.
Sentenza 21 giugno 2019, n. 27707
Data udienza 26 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/06/2018 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Angelillis Ciro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), in sost. dell’Avv. (OMISSIS), che si e’ riportata al ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/6/2018 la Corte di appello di Milano ha confermato quella del Tribunale di Milano in data 30/9/2015, con cui (OMISSIS) e’ stato riconosciuto colpevole del delitto di peculato in relazione al mancato versamento delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno dalla struttura alberghiera (OMISSIS), gestita dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l., di cui il (OMISSIS) era legale rappresentante.
2. Ha presentato ricorso il (OMISSIS) tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in merito all’individuazione sia dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato di peculato.
Sotto il primo profilo rileva che sarebbe occorsa una condotta di espropriazione e di impropriazione delle somme, cio’ che nel caso di specie non sarebbe potuto ravvisarsi, in quanto il ricorrente da un lato aveva predisposto una struttura amministrativa gestionale, per la cura delle incombenze relative alla riscossione e al riversamento delle somme introitate a titolo di imposta di soggiorno, e dall’altro si era trovato nell’impossibilita’ di far fronte all’obbligo di versamento, avendo perduto ogni legittimazione gestionale, dopo l’omologa del piano di ristrutturazione del debito e nella fase della sua attuazione, durante la quale era intervenuta la diffida da parte del Comune di Milano.
In tal modo non si sarebbe potuta ravvisare alcuna interversione del possesso, fermo restando che tutte le attivita’ di pagamento erano sottoposte al controllo del Tribunale e della (OMISSIS), principale creditore, e che il ricorrente aveva anche messo a disposizione beni personali perche’ il piano andasse a buon fine.
Sotto il secondo profilo avrebbe dovuto considerarsi che il ricorrente non aveva inteso sottrarsi al pagamento con piena coscienza dell’antidoverosita’ del comportamento, essendo a suo carico semmai ravvisabile negligenza nella cura degli aspetti legati alla gestione dell’imposta di soggiorno, essendosi fidato di coloro che aveva all’uopo delegato, in assenza della volonta’ di trattenere o impiegare indebitamente le somme riscosse, inserite in un fondo evidenziato in un conto a parte della situazione contabile oggetto della omologa.
A fronte di cio’ la Corte aveva fornito una motivazione illogica che rendeva la decisione incompiuta e non adeguata alle reali risultanze processuali, essendosi decontestualizzato il riferimento all’incameramento delle somme rispetto al momento storico in cui la condotta, pur qualificata come volontaria, si sarebbe attuata.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione nella parte in cui la Corte non aveva tenuto conto di numerosi aspetti emersi dalla documentazione prodotta, non dando rilievo alle limitazioni funzionali del ricorrente ed ai suoi sforzi di approntare idonee cautele anche mediante coinvolgimento di soggetti con qualifiche specifiche.
In particolare la Corte aveva erroneamente valutato il tema dell’assunzione del tecnico Dottorini, avendo rilevato che all’epoca il regime di incasso si era instaurato, ma senza considerare che per la quasi totalita’ i versamenti avrebbero dovuto essere effettuati successivamente.
La Corte non aveva valutato l’alternativa ipotesi ricostruttiva incentrata sulla mancanza di poteri gestori in capo al ricorrente, fornendo una motivazione laconica e meramente riproduttiva degli assunti del giudice di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. La Corte ha sottolineato come sulla base della disciplina regolamentare, attuativa di disposizioni legislative, fosse stata istituita dal Comune di Milano l’imposta di soggiorno, gravante sulla clientela di strutture ricettive, con l’attribuzione al gestore delle stesse del compito di provvedere all’incasso all’atto del saldo del corrispettivo -, al loro accantonamento e alla successiva trasmissione delle somme all’Ente, nel quadro di un rapporto intercorrente esclusivamente tra l’Ente e la clientela, nell’ambito del quale il gestore della struttura assume la veste non di sostituto di imposta, bensi’ di responsabile del versamento e di agente contabile, quale soggetto che maneggia denaro pubblico ed e’ tenuto a riversarlo nelle casse dell’ente pubblico.
Si tratta di analisi corrispondente a quella che ha condotto all’affermazione secondo cui il gestore di struttura ricettiva residenziale che procede alla riscossione dell’imposta di soggiorno per conto dell’ente comunale assume la veste di incaricato di pubblico servizio, dovendo essere considerato alla stregua di un agente contabile che svolge attivita’ ausiliaria nei confronti dell’ente impositore e strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente tra il Comune e il cliente della struttura: su tali basi si e’ rilevato che il denaro entra nella disponibilita’ dell’amministrazione al momento dell’incasso, costituendo condotta appropriativa ogni imputazione di somme riscosse alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico (Cass. Sez. 6, n. 32058 del 17/5/2018, rv. 273446).
3. Cio’ posto, deve ritenersi che la Corte sia correttamente pervenuta alla conclusione della configurabilita’ a carico del ricorrente del delitto di peculato a lui contestato, a fronte del dato pacifico che presso la struttura (OMISSIS), gestita dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l., di cui il ricorrente era legale rappresentante, erano state incassate tra il settembre 2012 e il giugno 2013 somme a titolo di imposta di soggiorno pari ad Euro 42.997,00, che non erano state poi riversate al Comune, neanche dopo specifica diffida.
4. Deve invero rimarcarsi l’infondatezza, alla luce del citato e condiviso arresto della giurisprudenza di legittimita’, dell’assunto difensivo incentrato sulla non configurabilita’ di una condotta di espropriazione e impropriazione delle somme, dovendosi in realta’ dare rilievo alla veste assunta dal responsabile della struttura al momento dell’incasso di somme, fin dall’origine di pertinenza dell’ente comunale, il cui mancato accantonamento e riversamento costituisce di per se’ indebita appropriazione.
D’altro canto lo stesso ricorrente ha dato conto di aver piena consapevolezza della disciplina dell’imposta di soggiorno, non avendo per contro dimostrato, secondo quanto affermato dalla Corte, con rilievi in realta’ immuni da vizi logici, di aver effettivamente operato per assicurare la tempestiva trasmissione di quanto incassato all’ente comunale,
Sono invero infondate tutte le deduzioni volte ad asseverare la creazione di una struttura dedicata, a fronte della quale sarebbe stato ascrivibile al ricorrente solo un difetto di cura e di attenzione, qualificabile in termini di colpa: in particolare la Corte ha sottolineato come la fase di incasso fosse stata attuata anche prima dell’introduzione di una nuova figura professionale, senza che nulla fosse stato nel contempo riversato, a fronte della consapevolezza da parte del ricorrente degli oneri di riversamento gravanti sul gestore della struttura, fermo restando che anche nel periodo successivo la stessa consapevolezza del ricorrente implicava non una generica attribuzione di compiti ma la precisa scelta gestionale di accantonare e riversare senza indugi quanto incassato, scelta che non illogicamente la Corte ha ritenuto essere nella sostanza mancata.
D’altro canto sono inconferenti tutti i rilievi volti ad attribuire alla pendente procedura di controllo e di concordato la sostanziale impossibilita’ di adempiere, per la mancanza di una libera disponibilita’ dei conti.
Sul punto la Corte ha con ineccepibili rilievi osservato che il versamento di quanto incassato non avrebbe potuto considerarsi alla stregua di un atto di straordinaria amministrazione e soprattutto che le somme non appartenevano ab origine al ricorrente e alla struttura ricettiva, divenendo poi oggetto di una successiva corrispondente obbligazione, ma erano immediatamente di pertinenza dell’ente e formavano oggetto di una voce strutturalmente separata, in alcun modo suscettibile di confondersi e disperdersi nel restante patrimonio e rimanere cosi’ assoggettate ai corrispondenti limiti gestionali, costituendo invece ontologicamente denaro pubblico.
Al contrario proprio la commistione avrebbe dovuto posti alla base dell’illecito fenomeno appropriativo, qualificabile come peculato.
5. Non assumono dunque alcun rilievo rispetto al quadro delineato dalla Corte ne’ i profili gestionali ne’ quelli connessi alla procedura di concordato, non potendosi ipotizzare un limite ab extrinseco al ritrasferimento di somme non di pertinenza del soggetto sottoposto al controllo.
E’ del resto agevole rilevare come, a rigore, nella prospettiva evocata dal ricorrente, ogni somma incassata a titolo di imposta di soggiorno dalla struttura sottoposta a concordato non avrebbe potuto in alcun modo essere trasmessa all’ente comunale, cio’ che non puo’ in alcun modo ammettersi.
6. Alla resa dei conti deve escludersi che la Corte abbia omesso di valutare elementi difensivamente dedotti o che abbia formulato incongrue o travisanti valutazioni in ordine alla configurabilita’ dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del delitto contestato, essendo stati esaminati tutti i profili rilevanti per giustificare la conclusione formulata e per escludere la rilevanza degli addotti impedimenti.
Generiche e volte a prospettare diverse valutazioni di merito, ma esulanti dalla sfera del giudizio di legittimita’, risultano d’altro canto le deduzioni incentrate sugli sforzi compiuti, anche con proprie risorse patrimoniali, nell’ambito della procedura di concordato, e parimenti generiche risultano quelle relative alla mancata consapevolezza da parte del ricorrente della veste soggettiva assunta, invero inerente all’incarico di responsabile del versamento, in assenza della prospettazione specifica di profili di ignoranza incolpevole e inevitabile.
7. In conclusione, dovendosi escludere sia violazioni di legge sia vizi di motivazione, il ricorso risulta infondato e deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply