Adempimento spontaneo della controprestazione di un’obbligazione di pagamento sottoposta a condizione sospensiva ma non avveratasi

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 aprile 2024| n. 9731.

Adempimento spontaneo della controprestazione di un’obbligazione di pagamento sottoposta a condizione sospensiva ma non avveratasi

In caso di adempimento spontaneo della controprestazione di un’obbligazione di pagamento sottoposta a condizione sospensiva ma non avveratasi, è proponibile l’azione di ingiustificato arricchimento in ragione dell’inefficacia ab origine del titolo contrattuale, che rende priva di giustificazione l’attribuzione patrimoniale per fatto non imputabile al contraente adempiente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, rilevato il mancato avveramento di una delle condizioni sospensive a cui era subordinato il contratto, aveva rigettato la domanda di adempimento proposta in via principale e dichiarato inammissibile l’azione di arricchimento, proposta in via subordinata, rilevando la sussistenza, tra le parti, di un contratto valido, ancorché inefficace).

Ordinanza|10 aprile 2024| n. 9731. Adempimento spontaneo della controprestazione di un’obbligazione di pagamento sottoposta a condizione sospensiva ma non avveratasi

Data udienza 17 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti in genere – Requisiti (elementi del contratto) – Requisiti accidentali – Condizione (nozione, distinzione) – In genere inefficacia del contratto per mancato avveramento della condizione sospensiva – Adempimento spontaneo della controprestazione dell’obbligazione di pagamento sottoposta a condizione sospensiva non avveratasi – Azione di arricchimento – Proponibilità – Sussistenza – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere Rel.

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24258/2020 R.G. proposto da:

Im. Srl, in persona del rappresentante in atti indicato, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato Pl.Al., rappresentata e difesa dall’avvocato Ad.Fr.;

-ricorrente-

contro

Al. Srl, in persona del rappresentante in atti indicato, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CASALI EMILIO MARCO;

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1468/2020 depositata il 16/06/2020;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dalla Consigliera ANTONELLA PELLECCHIA.

Adempimento spontaneo della controprestazione di un’obbligazione di pagamento sottoposta a condizione sospensiva ma non avveratasi

FATTI DI CAUSA

1. Im. Srl conveniva in giudizio la Al. Spa, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 200.000, oltre interessi, in adempimento dell’obbligazione assunta con contratto del 15 aprile 2008, fondando la pretesa sul disposto di cui all’articolo 1453 c.c., ma in subordine chiedendo la condanna della convenuta per arricchimento senza causa. A fondamento della propria pretesa, parte attrice deduceva che aveva stipulato con Al. un accordo con cui si obbligava a realizzare, secondo un tracciato concordato ed esterno al centro abitato, la tratta viaria denominata Bretella Ovest di Pairana. Al., invece, si obbligava a corrispondere alla Im. la somma di 200.000 Euro a titolo di contributo economico per la realizzazione della Bretella Ovest di Pairana di collegamento della strada provinciale n. 2 Pavia-Melegnano con la strada provinciale per il Comune di Bascapè.

Il pagamento veniva condizionato sia al rispetto del tracciato previsto dal contratto, sia all’ultimazione dell’esecuzione dei lavori entro due anni dalla sottoscrizione del protocollo d’intesa tra la provincia di Pavia ed il Comune di Landriano coi privati realizzatori dell’opera.

Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 13699/2018, rigettava tutte le domande.

2. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 1468/2020 del 16 giugno 2020, confermava la sentenza di primo grado. Il giudice dell’appello riteneva corretta l’interpretazione del Tribunale della scrittura privata del 15 aprile 2008, secondo cui l’obbligazione di pagamento assunta da Al. era subordinata a due condizioni sospensive: la prima, relativa alla realizzazione del tracciato secondo il progetto previsto; la seconda, prevedeva la realizzazione a spese dell’Im. entro il termine di due anni dalla sottoscrizione del Protocollo di Intesa tra la Provincia di Pavia ed il Comune di Mandriano; sicché, rilevato il mancato avveramento di una delle condizioni sospensive cui era subordinato il contratto, rigettava la domanda di adempimento dell’appellante, poi rigettando pure la domanda di ingiustificato arricchimento.

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3. Propone ricorso per cassazione Im. Srl

sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.

3.1. La Al. Srl resiste con controricorso.

Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con i primi due motivi, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353, 1362, 1363, 1366, 1367 e 1369 c.c. in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3 c.p.c.. Denuncia che la Corte d’appello avrebbe erroneamente interpretato la scrittura privata dove ha dichiarato l’inefficacia per mancato avveramento di una delle due condizioni sospensive previste, in particolare quella relativa al termine di realizzazione dell’opera entro i due anni dalla firma del protocollo d’intesa.

Im. sostiene, sulla base di una interpretazione funzionale e secondo buona fede, che il dies a quo di decorrenza dei due anni doveva decorrere dal completamento dell’iter pubblicistico di autorizzazione alla realizzazione della bretella da parte delle Amministrazioni Pubbliche coinvolte.

4.1.1. I due motivi, congiuntamente esaminati, sono inammissibili. È bene in primo luogo chiarire che, alla stregua della nozione enunciata dall’art. 1353 c.c., la condizione costituisce un elemento accidentale del negozio giuridico e come tale distinto dagli elementi essenziali del contratto astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive discipline. Peraltro, non vi è dubbio che – per il principio generale dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., da cui deriva il potere delle parti di determinare liberamente entro i limiti imposti dalla legge il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita all’uno piuttosto che all’altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata – i contraenti possono validamente prevedere come evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell’efficacia della autoregolamentazione dei propri interessi trasfusa nel contratto) il concreto adempimento o inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto, con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornirne la prova ed al giudice del merito compiere un’approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti (v. Cass. n. 35524/2021; Cass. n. 17287 del 2013; Cass. n. 8051 del 1990).

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Tanto premesso, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento inteso a stabilire se un contratto sia sottoposto a condizione sospensiva o meno, nonché la determinazione circa l’effettiva portata della condizione e il suo avveramento costituiscono un’indagine devoluta al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, se condotta nel rispetto delle regole che disciplinano l’interpretazione dei contratti (v. Cass. n. 1547 del 2019; Cass. n. 1887 del 2018; Cass. n. 27320 del 2017; Cass. n. 4483 del 1996). Orbene, in tema di interpretazione dei contratti, il criterio del riferimento al senso letterale delle parole adoperate dai contraenti si pone come strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove le espressioni adoperate nel contratto siano di chiara e non equivoca significazione, la ricerca della comune intenzione delle parti resta esclusa, rimanendo superata la necessità di ricorrere ad ulteriori criteri contenuti negli artt. 1362 e ss. c.c., i quali svolgono una funzione sussidiaria e complementare (cfr. Cass. n. 23132 del 2015). In tal senso, questa Corte ribadisce che, ove il testo del contratto abbia un significato chiaro ed univoco, non sono ammissibili ulteriori indagini integrative che potrebbero condurre a risultati arbitrari (v. Cass. n. 35524/2021; Cass. n. 381 del 1968).

Nella specie, la Corte d’appello ha correttamente ravvisato la presenza di due condizioni sospensive apposte nel contratto di cui una non si è verificata, sulla base del tenore letterale non equivoco delle pattuizioni contrattuali al riguardo intervenute.

Inoltre, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 28319/2017).

4.2. Con il terzo motivo, parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2042 c.c. in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3 c.p.c..

Denuncia che la Corte d’appello, rilevando la sussistenza, fra le parti, di un valido titolo negoziale, ancorché inefficace per il mancato avveramento della condizione sospensiva cui era subordinata l’obbligazione in esso contenuta, ha ritenuto inammissibile l’azione di arricchimento senza causa.

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4.2.1. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 33954/2023, hanno definito i limiti di applicazione dell’azione esperibile ai sensi dell’art. 2041 c.c., stabilendo che, ai fini del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva dichiarato improponibile la domanda di ingiustificato arricchimento, proposta in via subordinata rispetto a quella di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, nonostante quest’ultima fosse stata rigettata nel merito per carenza di prova della violazione dell’obbligo di buona fede da parte del convenuto).

In linea di grande approssimazione, l’arresto appena citato pare potersi interpretare nel senso che, ogniqualvolta manchi un titolo contrattuale o questo venga meno per fatto non imputabile all’attore o per causa diversa dalla nullità da illiceità per contrasto con norme imperative o l’ordine pubblico, l’azione prevista dall’art. 2041 c.c. sia proponibile; ora, poiché la condizione sospensiva è elemento accidentale del negozio, l’obbligazione da questo prevista è priva di causa ex tunc in caso di mancato avveramento della condizione sospensiva e, quindi, in tal caso non vi è un valido titolo contrattuale – senza che tanto sia ascrivibile a fatto (in senso lato inteso) del contraente adempiente – e allora l’azione prevista dall’art. 2041 c.c. deve risultare proponibile, per carenza di giustificazione della detta attribuzione patrimoniale (consistente nell’adempimento della prestazione il cui corrispettivo era dalle parti sottoposto a condizione sospensiva non avveratasi).

È quanto accade nella specie, una volta verificate nel merito le ragioni del rigetto della domanda principale: il giudice al quale sia riproposta la domanda di arricchimento deve verificare se sia stata riscontrata una carenza originaria del diverso titolo fondante la domanda c.d. principale; e, nel caso in esame, che tale titolo sia carente discende dal fatto che l’adempimento spontaneo della prestazione, la cui controprestazione è sottoposta a condizione sospensiva non avveratasi, neppure potrebbe essere remunerata o compensata ad altro titolo, perché non si configurerebbe neppure alcuna responsabilità della controparte, nemmeno assimilabile a quella precontrattuale, per carenza di mala fede, questa essendo esclusa per l’espressa volontà delle parti di non insorgenza del vincolo contrattuale se non all’avveramento della condizione sospensiva. Ne consegue che, neppure sussistendo a favore del contraente adempiente un’azione assimilabile a quella ex 1337 c.c., quella ex 2041 c.c. sarebbe ancora una volta proponibile per sussistenza di sussidiarietà.

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Infatti, risulta anche conforme al principio di economia processuale che sia sempre il giudice adito con la domanda di arricchimento a compiere la verifica circa il carattere sussidiario della domanda proposta (verifica – come sopra ricordato – officiosa ed esperibile anche in grado di appello): e ciò sulla scorta di quanto emerge dagli atti e dalle allegazioni offerte dalle parti. La Corte d’appello ha, quindi, errato nella qualificazione di inammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento solo in ragione della sussistenza tra le parti di un valido titolo negoziale, ancorché inefficace per il mancato avveramento della condizione sospensiva cui era subordinata all’obbligazione in essa contenuta: una simile applicazione del principio di sussidiarietà pecca quindi di acriticità; l’odierna parte ricorrente neppure può ricorrere ad altri strumenti tipici e tipizzati per ottenere la restituzione di quanto realizzato in esecuzione del contratto divenuto inefficace.

Ne consegue, sempre alla luce dei principi esposti, che, in assenza di rimedi tipici, la domanda di arricchimento senza causa è proponibile.

5. Pertanto, vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi di ricorso, ma accolto il terzo, secondo quanto appena argomentato: ciò che impone la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta ed il rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione personale.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso; accoglie il terzo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione personale.

Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.

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