In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 luglio 2021| n. 18890.

In presenza di un accertamento di maggiore imponibile.

Nel giudizio di cassazione, in presenza di un accertamento di maggiore imponibile a carico di una società di persone ai fini delle imposte dirette, Irap e Iva, fondato sugli stessi fatti o su elementi comuni, la nullità dei giudizi di merito – per essere stati celebrati, in violazione dei principio del contraddittorio, senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) – non va dichiarata qualora il ricorso per cassazione dell’Amministrazione finanziaria risulti inammissibile o “prima facie” infondato, atteso che in tal caso, non derivando ai litisconsorti pretermessi alcun danno dalla detta pronuncia, disporre la rimessione al giudice di primo grado contrasterebbe con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno fondamento nell’art. 111, comma 2, Cost. e nell’art. 6, par. 1, CEDU.

Ordinanza|3 luglio 2021| n. 18890. In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

Data udienza 24 marzo 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Tributi – Accertamento – Violazione del litisconsorzio – Maggior imponibile societario – Ricorso della PA sia inammissibile o infondato – Dichiarazione – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 26417 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.to (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, n. 790/23/15, depositata in data 13 aprile 2015, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24 marzo 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

RILEVATO

Che:
– con sentenza n. 790/23/15, depositata in data 13 aprile 2015, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, previa riunione, rigettava gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso le sentenze n. 607/02/11 e n. 608/2/11 della Commissione tributaria provinciale di Lecce che avevano accolto i ricorsi proposti dalla contribuente avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) con i quali l’Ufficio aveva contestato nei confronti dell’allora ” (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS)”, esercente attivita’ di costruzione di edifici e gestioni immobiliari, un maggiore reddito di impresa, rispettivamente il primo, ai fini Ires, Irap e il secondo, ai fini Iva, per l’anno di imposta 2004, stante la incongruenza tra ricavi dichiarati e costi sostenuti, per materie prime e personale dipendente, in rapporto all’incidenza dei costi sui ricavi dichiarati nell’anno precedente;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) a fronte degli atti impositivi in questione con i quali – in difetto tanto piu’ della fondamentale fase del contraddittorio in sede pre-contenziosa con la contribuente – l’Ufficio aveva contestato un maggior reddito imponibile, in presenza di una incongruenza tra ricavi dichiarati e costi sostenuti, tenuto conto dell’incidenza dei costi sui ricavi dell’anno precedente, la societa’ contribuente aveva documentato in atti (come da fatture di acquisto) che, nel 2004, erano stati sopportati maggiori costi (per l’acquisto delle materie prime e il pagamento dei salari agli operai) rispetto all’anno precedente in quanto, nel corso del 2004, era stata realizzata la costruzione effettiva dell’opificio del tipo prefabbricato (fornito dalla (OMISSIS) s.r.l. e commissionato dalla (OMISSIS) s.r.l. per il compenso di Euro 570.000,00, oltre Iva) mentre, nel 2003, erano stati sostenuti costi di gran lunga inferiori, essendo stati eseguiti lavori di natura preliminare e preparatoria, pure a fronte di un primo acconto da parte della committenza di Euro 25.000,00 e di un secondo di Euro 150.000,00; 2)la disomogeneita’ tra i dati fattuali e contabili non consentiva operazioni di comparazione tra anni di imposta autonomi e diversi e, quindi, di applicare, come avvenuto nella specie, un tasso di incidenza dei costi sui ricavi comune ai due anni considerati, ricostruendo induttivamente maggiori ricavi in palese violazione del principio di autonomia dei singoli periodi di imposta, senza, peraltro, supportare la rilevata incongruenza con altri elementi probatori convergenti (quali indagini bancarie, eventuali corrispettivi non fatturati); 3) andava anche considerata la crisi del settore delle costruzioni edilizie, che, notoriamente, in periodi di forte compressione della domanda, non consentiva margini rilevanti di utile;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste, con controricorso, la (OMISSIS) s.r.l.;
– il ricorso e’ stato fissato in Camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 375, comma 2, e dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

 

In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

CONSIDERATO

Che:
– in via preliminare, va rilevato come, nella fattispecie in esame, sussista un’ipotesi di litisconsorzio necessario originario, in quanto, benche’ la controversia involga l’impugnativa di due avvisi, di cui uno emesso ai fini dell’Ires e dell’Irap, e l’altro ai fini Iva, l’accertamento fiscale effettuato nei confronti dell’allora ” (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS)”, per l’anno 2004, risulta fondato sugli stessi fatti (v. pag. 3 della sentenza di appello), con conseguente inscindibilita’ delle situazioni (v. Cass. n. 26071 del 30/12/2015); tuttavia, questo Collegio ritiene di non dovere dichiarare la nullita’ dei giudizi di merito per essere stati celebrati, in violazione del principio del contraddittorio, senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (societa’ e soci), in quanto per orientamento consolidato di questa Corte, cui si ritiene di dare continuita’, occorre evitare un inutile dispendio di attivita’ processuali e formalita’ superflue, non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio onde apprestare reali garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parita’ ai soli soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale e’ destinato a produrre i suoi effetti: essendo, infatti, il ricorso per cassazione, come vedremo, prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, dichiarare la nullita’ dei giudizi di merito e rimettere gli atti alla CTP affinche’ provveda a un nuovo giudizio, previa integrazione del contraddittorio, atteso che cio’ si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettivita’ dei diritti processuali delle parti (cosi’ in particolare, Cass., Sez.2, 10/05/2018, n. 11287; anche Cass. Sez. Un. 22 marzo 2010 n. 6826; Cass. 17 giugno 2013 n. 15106).

 

In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

D’altro canto, ai sensi dell’articolo 1306 c.c., comma 1, ai litisconsorti pretermessi dalla pronuncia relativa al presente ricorso non deriva alcun danno (in questo senso v. anche Cass. n. 16950/2019); ne deriva l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Nel processo di cassazione, in presenza di un accertamento di maggiore imponibile a carico di una societa’ di persone ai fini delle imposte dirette, Irap e Iva, fondato sugli stessi fatti o su elementi comuni, la nullita’ dei giudizi di merito per essere stati celebrati, in violazione del principio del contraddittorio, senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (societa’ e soci), non va dichiarata qualora il ricorso per cassazione dell’Amministrazione risulti inammissibile o “prima facie” infondato atteso che, in tal caso, non derivando ai litisconsorti pretermessi alcun danno dalla detta pronuncia, disporre la rimessione al giudice di primo grado contrasterebbe con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno fondamento nell’articolo 111 Cost., comma 2, e nell’articolo 6 CEDU, par. 1″;
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), articoli 2729, 2697 c.c., e articolo 115 c.p.c., comma 1, per avere la CTR ritenuto, da un lato, che gli elementi presuntivi posti dall’Ufficio a sostegno della pretesa tributaria – quali le gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e costi sostenuti per materie prime e lavoro dipendente, denotanti una condotta antieconomica della societa’ nel 2004 (anno nel quale, in considerazione della trasformazione della societa’ di persone in societa’ di capitali, quest’ultima si sarebbe dovuta trovare in una fase di “espansione dell’attivita’”) rispetto a quella tenuta nel 2003 – non fossero da soli sufficienti a fondare l’accertamento, e dall’altro, che le fatture di acquisto del 2004, peraltro genericamente richiamate, costituissero valida giustificazione dei maggiori costi occorsi per la realizzazione del prefabbricato, ancorche’ i fatti di gestione dell’attivita’ di impresa nel 2004 fossero analoghi a quelli dell’annualita’ 2003, da cui era stato tratto il tasso di incidenza dei costi sui ricavi;

 

In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

– il motivo e’ inammissibile:
– premesso che “in tema di imposte sui redditi, la tenuta della contabilita’ in maniera formalmente regolare non e’ di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, e’ legittimo l’accertamento su base presuntiva, ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicita’ del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (da ultimo, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22185 del 14/10/2020); “In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilita’ formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicita’ del comportamento del contribuente, puo’ desumere in via induttiva, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purche’ gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attivita’ svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015); “Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicita’ di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perche’ basata su contabilita’ complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceita’ fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non puo’, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarita’ della documentazione cartacea.

 

In presenza di un accertamento di maggiore imponibile

Infatti, e’ consentito al fisco dubitare della veridicita’ delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarita’ delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicita’ (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017; Cass. n. 14941 del 14/6/2013); nella specie la censura, da un lato, non coglie la ratio decidendi e, dall’altro, pur denunciando la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), articoli 2729, 2697 c.c., e articolo 115 c.p.c., comma 1, tende ad una inammissibile rivisitazione di valutazioni di merito del giudice di appello che – a fronte della contestazione dell’Ufficio di un maggiore reddito di impresa, basata unicamente sulla riscontrata grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e i costi sostenuti per materie prime e per il personale dipendente nel 2004, prendendo come riferimento l’incidenza dei costi sui ricavi dichiarati nel 2003 – lungi dal considerare tali elementi presuntivi inidonei di per se’ a supportare la pretesa tributaria, ha ritenuto – con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimita’ – sostanzialmente giustificata tale condotta antieconomica alla luce della comprovata diversita’ tra le due annualita’ messe a confronto (2004-2003) sotto il profilo della tipologia dei lavori svolti e dei costi sostenuti, avendo la societa’ contribuente documentato in atti, con le fatture di acquisto (che se redatte, come non contestato, in conformita’ ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 21, fanno presumere la veridicita’ di quanto in esse rappresentato e le rendono idonee a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo), maggiori costi (per le materie prime e a manodopera) sopportati nel 2004 per la effettiva costruzione, nel corso di tale annualita’, dell’opificio oggetto del contratto di appalto, rispetto a quelli di gran lunga inferiori sostenuti nel 2003 (anche a fronte di acconti da parte della committenza pari a complessivi Euro 175.000,00), nel corso del quale erano stati eseguiti soltanto lavori di natura preliminare e preparatoria; da qui, stante la accertata disomogeneita’ dei dati fattuali e contabili tra l’annualita’ del 2004 e quella del 2003 presa a riferimento, la inapplicabilita’, ai fini della ricostruzione del maggiore reddito, di un tasso di incidenza dei costi sui ricavi comune ad entrambe le annualita’, avuto riguardo al principio di autonomia dei singoli periodi di imposta; peraltro, ad avviso del giudice di appello, un ulteriore, non trascurabile, elemento giustificativo della condotta in perdita nel 2004 era da ravvisare nella “crisi del settore delle costruzioni edilizie” che, nei periodi di forte compressione della domanda, non poteva consentire margini rilevanti di utile, venendo detta attivita’ svolta essenzialmente in funzione del mantenimento dei livelli occupazionali; pertanto, nella specie, la CTR ha specificato, con argomenti validi, le ragioni per le quali l’antieconomicita’ del comportamento della contribuente non era sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realta’, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, cosi’ da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961);
– inoltre, va ricordato che la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne e’ gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiche’ in questo caso vi e’ soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimita’ solo per il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (tra le altre, Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013). Nella specie, invece, proprio un’indebita valutazione la ricorrente intende sostenere senza che, tuttavia, per quanto appena ricordato, possa ritenersi violato l’articolo 2697 c.c.;
– peraltro, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., “e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma” ossia che abbia “giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio”, mentre “detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”, trattandosi di attivita’ consentita dall’articolo 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016). Orbene, appare evidente che la CTR, in realta’, ha valutato gli elementi probatori introdotti in giudizio dalle parti, in ispecie con riguardo alla documentazione prodotta in atti dalla contribuente (fatture di acquisto) ritenendo provati i maggiori costi sostenuti nel 2004 per la realizzazione dell’opificio rispetto a quelli sopportati nel 2003, traendo le proprie conclusioni, sicche’ la questione si pone, eventualmente, in termini di adeguatezza della motivazione (non piu’ censurabile) e non di violazione dell’articolo 115 c.p.c.;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per non avere la CTR considerato – nel ritenere illegittimi gli avvisi di accertamento – che, nell’anno 2004, i costi sostenuti per materie prime, per il personale dipendente e per i servizi superavano il compenso dichiarato per l’appalto pari a Euro 570.000,00 (mentre nell’anno 2003, l’anticipo corrisposto dalla committente per l’inizio dei lavori dell’opificio di Euro 150.000,00 era del tutto congruo in relazione ai costi sopportati);
– il motivo e’ inammissibile;
– va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (come modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 13 aprile 2015) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non gia’ di un “fatto storico”, ma bensi’ di profili attinenti alle risultanze probatorie – quanto alla ritenuta idoneita’ della documentazione versata in atti dalla societa’ (comprovante la diversita’ di lavori eseguiti e di costi sostenuti nel 2004 rispetto al 2003) a superare la presunzione di una maggiore redditivita’ nel 2004 in base alla riscontrata condotta antieconomica – la rivalutazione delle quali e’ preclusa a questa Corte;
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– le spese del giudizio di legittimita’ vengono liquidate secondo il principio della soccombenza come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in complessive Euro 5.600,00, oltre Euro 200 per esborsi e il 15/0 per spese generali ed accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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