In caso di annullamento con rinvio disposto da una Sezione semplice della Corte di cassazione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 gennaio 2021| n. 464.

In caso di annullamento con rinvio disposto da una Sezione semplice della Corte di cassazione, il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto dalla stessa enunciato anche qualora questo contrasti con un principio in precedenza espresso dalle Sezioni Unite sulla medesima questione oggetto di decisione senza che, nel giudizio rescindente, sia stata promossa la rimessione obbligatoria del ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., atteso che, in difetto della previsione di alcuna specifica sanzione per l’eventuale violazione dell’obbligo di rimessione obbligatoria, il principio di diritto contenuto nella sentenza di annullamento, in quanto immodificabile e sottratto ad ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorità di giudicato interno. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che siffatta autorità del principio osta altresì a che la Corte di cassazione, chiamata a decidere del ricorso avverso la sentenza rescissoria del giudice di rinvio, investa a sua volta le Sezioni Unite).

Sentenza|8 gennaio 2021| n. 464

Data udienza 22 settembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Confisca – Rigetto dell’istanza di revoca – Prova nuova – Princi di diritto della Sentenza della Corte di Cassazione n. 18130 dello 09.02.2018 – Prova sopravvenuta al processo di prevenzione e non quella ivi deducibile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. SIANI Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso il decreto del 15/05/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
lette le conclusioni del PG Dr. FIMIANI Pasquale, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ del complessivo ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS), terza interessata, in proprio e quale esercente la responsabilita’ genitoriale sui figli minori, aveva proposto istanza di revoca della confisca del complesso immobiliare ubicato in (OMISSIS), in contrada (OMISSIS), adibito ad abitazione familiare, pronunciata nei confronti del coniuge (OMISSIS) dal Tribunale di Catanzaro il 16 maggio 2016, istanza fondata sulla deduzione della prova ritenuta nuova costituita dalla documentazione relativa alla data di costruzione dell’immobile, dagli estratti conto relativi all’accredito in favore del proposto dell’importo di 225.000,00 Euro a titolo di riparazione per ingiusta detenzione, con i documenti all’esecuzione dei lavori.
Il Tribunale di Catanzaro con decreto del 16 maggio 2016 aveva dichiarato inammissibile l’istanza osservando che non avrebbero potuto rimettersi in discussione atti o elementi gia’ considerati nel giudizio di prevenzione svoltosi nei confronti del proposto, o comunque deducibili in quel giudizio, atteso l’ambito di cognizione proprio del giudizio qualificato di revisione ai sensi della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, in una fattispecie considerata regolata dalla disciplina antecedente a quella applicabile ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28, in relazione al fatto che anche il tema della destinazione della somma ricevuta da (OMISSIS) a titolo di riparazione per ingiusta detenzione era gia’ stato oggetto di trattazione in quel giudizio.
Inoltre, il Tribunale, ripercorrendo gli argomenti svolti nei confronti di (OMISSIS) dalla Corte di appello di Catanzaro nel decreto emesso il 28 settembre 2012, aveva ribadito la non riconducibilita’ degli immobili in questione a risorse di legittima provenienza nella disponibilita’ dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS).
1.1. Proposta impugnazione da (OMISSIS), la Corte di appello di Catanzaro, con decreto del 15 marzo 2017, aveva integralmente riformato il primo provvedimento e, valutati gli elementi dedotti, aveva disposto la revoca della confisca degli immobili ubicati nel Comune di (OMISSIS) e intestati a (OMISSIS), sottoposto alla misura di prevenzione, e a (OMISSIS), terza interessata.
La Corte territoriale aveva ritenuto non potersi escludere la possibilita’ per la parte di offrire nuovi elementi conoscitivi pure in relazione a temi probatori gia’ emersi nel pregresso procedimento di prevenzione e, su tale base, aveva considerato che fosse da valorizzarsi la corrispondenza, stimata non occasionale, tra l’effettivo accredito, il 22 maggio 2006, a (OMISSIS) della somma percepita dall’Erario a titolo riparatorio e l’edificazione dell’immobile confiscato, il quale era stato sostanzialmente ultimato il 31 gennaio 2007, corrispondenza alla cui stregua aveva reputato giustificabili i pagamenti delle somme ai fornitori anche in epoca successiva a quella del completamento del manufatto.
1.2. Avverso questo provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro e dall’Agenzia delle Entrate.
La Corte di legittimita’, con sentenza n. 18130 del 09/02/2018, aveva accolto i ricorsi annullando il provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Nella sentenza rescindente – constatato che la Corte di appello aveva ritenuto che la documentazione bancaria prodotta a sostegno dell’istanza era un adeguato quid novi, sostenendo che essa non era stata presa in considerazione in precedenza, e presa in esame l’elaborazione ermeneutica relativa al concetto di prova nuova – si era considerato che si imponesse l’interpretazione piu’ restrittiva del concetto di revoca, in corrispondenza delle regole della revocazione di cui all’articolo 395 c.p.c., fissando cosi’ il conseguente principio di diritto: la sentenza emessa dalla Corte di legittimita’ aveva, in definitiva, stabilito il principio secondo cui – in sede di richiesta di revisione ex L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, – la’ prova nuova rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura di prevenzione e’ soltanto quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, non anche quella deducibile ma per qualsiasi motivo non dedotta nell’ambito di esso, aggiungendo poi considerazioni ulteriori e specifiche in ordine al caso concreto.
1.3. La Corte di merito, con il provvedimento in epigrafe, emesso il 15 maggio 2019, decidendo in sede di rinvio, dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, ha respinto il ricorso e ha confermato il provvedimento di primo grado di inammissibilita’ dell’istanza di revoca.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso in data 25 luglio 2019 l’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), quale esercente la potesta’ genitoriale sulle figlie minorenni (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta la mancanza assoluta o l’apparenza della motivazione, in violazione della L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 10, applicabile al caso di specie, ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 117.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, e dell’articolo 125 c.p.p., in relazione all’obbligo di motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale.
2.3. Con il terzo motivo, si prospetta ancora la violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e della L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 10, norme impositive dell’obbligo di motivare i decreti, anche in secondo grado.
Unitariamente trattando tali doglianze, la ricorrente osserva come la Corte territoriale si sia limitata a richiamare il principio enucleato nella sentenza rescindente, senza espletare alcun nuovo esame, come pure avevano statuito i giudici di legittimita’: se, invece, avesse proceduto compiutamente al nuovo esame del merito, pur se applicando il fissato principio di diritto, la Corte di appello avrebbe potuto rilevare che era emersa una prova sopravvenuta, non deducibile nel procedimento di prevenzione, risultando dagli atti che gli estratti conto bancari degli anni 2006 e 2007 non erano affatto nella cognizione e nella disponibilita’ di (OMISSIS), giacche’ il relativo conto, acceso presso le Poste Italiane, era intestato al solo coniuge (OMISSIS), da oltre otto anni in stato di detenzione. A conferma di tale fatto – sostiene la difesa – tali estratti conto erano stati acquisiti nel primo grado di questo procedimento dal Tribunale di Catanzaro, che poi contraddittoriamente ne aveva negato l’ammissibile valutazione, decisione poi ribaltata dalla prima pronuncia della Corte di appello: in ogni caso, sul punto i giudici del rinvio non hanno in nessun modo motivato.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia l’abnormita’ della sentenza di legittimita’ n. 18130 del 2018, con susseguente abnormita’ del decreto reso in sede di rinvio.
La difesa sostiene che la categoria dell’abnormita’ e’ stata elaborata per porre rimedio all’emissione di atti non altrimenti impugnabili e sintomatici dello sviamento della funzione giurisdizionale, quando essi non siano rispondenti al modello previsto dalla legge; la sentenza di legittimita’, in questa prospettiva, sarebbe inficiata in modo non emendabile da un errore di diritto per avere emesso una statuizione contrastante con precedenti sentenze della Corte di cassazione anche a Sezioni Unite (sentenze nn. 624 del 2001, Pisano, 57 del 2006, Auddino), senza aver rimesso la questione alle stesse Sezioni Unite, come imponeva l’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, con vizio che si rifletterebbe a cascata sull’ulteriore attivita’ processuale: non potendo dedursi l’abnormita’ con il ricorso straordinario, i giudici del rinvio avrebbero dovuto ritenersi non vincolati dal principio di diritto sancito con atto abnorme.
2.5. Con il quinto motivo, si reitera la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost., lamentandosi al riguardo che l’applicazione del principio enunciato dalla sentenza rescindente arrecherebbe gravi danni alla ricorrente, pur in presenza di un error in procedendo, con lesione del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato, posto che l’articolo 24 cit. fa espresso riferimento all’istituto della revisione, oltre che con violazione dell’articolo 618, comma 1-bis, cit.: ragione per la quale si sollecita la sottoposizione della questione alle Sezioni Unite o, in subordine, il recepimento della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita’.
3. Avverso lo stesso decreto ha proposto ricorso l’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), quale esercente la responsabilita’ genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato sulla scorta di un unico motivo, con cui lamenta la violazione della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 3 e articolo 627 c.p.p., per l’assunta esclusione della natura di prova nuova e sopravvenuta, siccome scoperta dopo l’adozione del provvedimento conclusivo oggetto dell’istanza di revoca, degli estratti del conto corrente postale intestato a (OMISSIS) e alle correlative movimentazioni, atti decisivi per dimostrare la finalizzazione del danaro conseguito dal proposto a titolo di indennizzo per l’ingiusta detenzione – risorsa di provenienza lecita – alla realizzazione del fabbricato poi confiscato.
Premesso che il principio di diritto fissato nella sentenza rescindente, poi espressamente adottato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28, muove dall’esatta esigenza di non lasciare libero l’interessato di far valere quando ritenga la prova decisiva, in tale prospettiva essendo stata orientata l’interpretazione della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, nel senso che costituisce prova nuova quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del primo procedimento oppure scoperta dopo tale procedimento, anche se preesistente, non invece quella deducibile ma per qualsiasi motivo non dedotta in quel procedimento, la ricorrente evidenzia che proprio in questa direzione i suddetti estratti conto avrebbero dovuto considerarsi prova nuova, perche’ la ratio suindicata implica che la non deducibilita’ debba riferirsi solo all’intervenuta conoscenza della prova da parte dell’interessato che poi avanza l’istanza di revoca.
Secondo la difesa, la scoperta di prove nuove e decisive consiste nell’acquisizione della loro conoscenza con riferimento alla sfera soggettiva dell’istante per la revoca della misura di prevenzione, sicche’ la valutazione di tale scoperta comporta l’esigenza di verificare l’accadimento della cognizione da parte sua del corrispondente dato dimostrativo: alla base dell’omessa deduzione della prova nel primo procedimento, per renderla non deducibile in quello successivo, doveva esservi stato un motivo, ossia una causa psichica, non la mancanza di consapevolezza della sua esistenza; altrimenti, gli effetti dell’inerzia di un interessato, che avrebbe potuto dedurre la prova nel primo procedimento, sarebbero stati trasposti agli altri interessati, che tale prova non avevano conosciuto prima e non l’avevano dedotta, con la privazione di tutela del diritto di costoro sul bene confiscato, come era per (OMISSIS), comproprietaria con (OMISSIS) dell’immobile ablato.
In questo senso – evidenzia la difesa – gli estratti conto, afferendo alla personale sfera di (OMISSIS), non erano stati deducibili dalla ricorrente, in proprio e nella qualita’, nel procedimento di prevenzione, in quanto estranea al rapporto bancario: il diverso approdo raggiunto dai giudici del rinvio avrebbe violato la disciplina indicata per l’omissione della valutazione della soggettiva sopravvenienza della prova al momento del procedimento di prevenzione.
4. Un ulteriore atto e’ stato presentato dall’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) in proprio. Con esso si e’ chiesto l’annullamento del decreto impugnato sulla base di tre motivi, con istanza di assegnazione del procedimento alle Sezioni Unite.
In premessa, la ricorrente ha svolto articolate considerazioni per evidenziare la distonia fra il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, la quale aveva interpretato la disciplina dettata dalla L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, facendo riferimento alla linea di tendenza recepita dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28, norma, pero’, non applicabile al caso di specie, e le coordinate esegetiche scaturenti dall’opposto orientamento, basato sull’elaborazione sorretta dagli arresti delle Sezioni Unite, sottolineando la mancata osservanza del precetto di cui all’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, e chiedendo un’altra pronuncia delle Sezioni Unite sul concetto di prova nuova.
4.1. Con il primo motivo, poi, si prospetta la violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p., L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, in relazione alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 3, nonche’ la questione del contrasto dell’articolo 7 cit. con gli articoli 3 e 24 Cost..
La difesa evidenzia che, nel corso del giudizio di rinvio, aveva censurato l’interpretazione restrittiva derivante dall’interpretazione data nella sentenza rescindente e si era richiamata alle pronunzie della Sezioni Unite Pisano e Auddino, largamente richiamate, siccome dalle stesse emergevano i lineamenti dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto di cui all’articolo 7 cit.: argomenti scartati dai giudici del rescissorio senza motivazione effettiva.
In ogni caso, secondo la ricorrente, il concetto di prova nuova affermato nella sentenza rescindente, nel senso che il giudicato di prevenzione coprirebbe, ex L. n. 1423 del 1956, articolo 7, il dedotto e il deducibile, avrebbe dovuto imporre alla Corte del rinvio la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultandone chiara la contrarieta’ dell’istituto della revoca di misure di prevenzione, cosi’ interpretato, agli articoli 3 e 24 della Carta fondamentale, non essendo stata esposta alcuna ragione per la diversificazione della relativa disciplina rispetto a quella dettata in tema di revisione e non essendo congruente il riferimento alla disciplina relativa alla riparazione dell’errore giudiziario.
4.2. Con il secondo motivo, viene denunciata la violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p., L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, in relazione alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 3, nonche’ la questione del contrasto dell’articolo 7 cit. con l’articolo 117 Cost., in rapporto all’articolo 7 CEDU.
La difesa osserva che la sentenza rescindente aveva affermato il suddetto principio di diritto contrastante con l’articolo 7 CEDU, vulnus avente rilievo costituzionale per il tramite dell’articolo 117 Cost., norma interposta: i giudici del rinvio, pur affermando l’inapplicabilita’ del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28, hanno acceduto all’interpretazione della L. n. 1423 del 1956, articolo 7 orientata sulla piattaforma ermeneutica coerente con la norma sopravvenuta, finendo per assumere un’esegesi in malam partem dell’istituto, irrilevante essendo l’argomento svolto nel decreto impugnato circa la non conferenza del principio “nessuna pena senza legge”, in quanto l’esigenza del rispetto del relativo canone avrebbe dovuto, invece, essere contemplata in relazione al concetto di prova nuova, rispondendo la confisca di prevenzione ai criteri elaborati dalla Corte EDU per essere considerata come sanzione materialmente penale.
Posto cio’, evidenzia la difesa, l’articolo 7, § 1, CEDU non si limita a vietare l’applicazione retroattiva del diritto penale a scapito dell’imputato, ma impone anche di non applicare la legge penale in modo o’esteso in pregiudizio dell’imputato stesso,: sicche’, la questione dell’individuazione del concetto di prova nuova conforme all’indicata disciplina convenzionale dovrebbe essere sottoposta alle Sezioni Unite o, se si ritenga di dar seguito all’interpretazione fornita nella sentenza rescindente, alla Corte costituzionale per verificare il prospettato contrasto fra la disciplina della L. n. 1423 del 1956, articolo 7 e i canoni convenzionali suindicati, recepiti ex articolo 117 Cost..
4.3. Con il terzo motivo, viene denunciata la violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, in relazione alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 3, nonche’ la questione del contrasto dell’articolo 7 cit. con l’articolo 117 Cost., in rapporto all’articolo 6, letto anche alla luce dell’articolo 13, CEDU.
La ricorrente, richiamando i recenti arresti della giurisprudenza convenzionale e di quella costituzionale, ha osservato come essi abbiano plasmato lo statuto di garanzia delle misure di prevenzione, personali e patrimoniali, queste ultime, in particolare, essendo tali da incidere pesantemente sui diritti di proprieta’ e di iniziativa economica, tutelati dagli articoli 41 e 42 Cost. e articolo 1 Prot. addiz. CEDU, per modo che la legittimita’ di qualsiasi restrizione inerente alle stesse avrebbe dovuto basarsi su una legge tale da consentire ai destinatari di prevedere la futura possibilita’ di applicazione delle suddette misure, sulla necessarieta’ delle corrispondenti restrizioni rispetto agli obiettivi perseguiti e sulla disposizione delle medesime all’esito di un procedimento osservante dei canoni generali del giusto processo, cosi’ da assicurare la piena tutela del diritto di difesa del destinatario della richiesta di misura.
In questa prospettiva – evidenzia la difesa – nel caso in esame non sussistevano duraturi contrasti all’interno della giurisprudenza di legittimita’ sul concetto di prova nuova, al cui concetto sedimentato si era attenuto il decreto della Corte di appello che era stato annullato, mentre era stata proprio la sentenza di legittimita’ rescindente a generare il contrasto e ad essa avrebbe aderito acriticamente il decreto impugnato, senza dare alla ricorrente, nonostante l’introduzione nell’ordinamento dell’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, la possibilita’ di esperire alcun rimedio; sicche’ viene prospettata la necessita’ della rimessione alle Sezioni Unite di questo ricorso oppure, in ipotesi di adesione all’interpretazione espressa nella sentenza rescindente, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita’ della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, come interpretato, per la sua contrarieta’ all’articolo 117 Cost., in relazione all’articolo 6 CEDU.
5. E’ stato proposto ricorso avverso il medesimo provvedimento anche dall’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), in proprio e quale esercente la responsabilita’ genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), atto con cui viene chiesto l’annullamento del decreto impugnato sulla scorta di due motivi.
5.1. Con il primo motivo, si denuncia la violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, in relazione alla L. n. 1423 del 1956, articolo 4 (ora, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7), nonche’ della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, per mancanza di motivazione sul carattere di prova, sopravvenuta della documentazione prodotta in sede di istanza di revoca.
Nonostante le specifiche deduzioni difensive, lamenta la ricorrente, il decreto emesso dalla Corte del rinvio non ha speso nessuna considerazione sulla questione relativa alla natura di prova nuova della documentazione dimostrativa dell’uso progressivo della provvista presente sul conto corrente di (OMISSIS) per la costruzione dell’immobile poi confiscato, anche alla stregua dell’interpretazione restrittiva adottata dalla sentenza rescindente, ribadendo l’argomento dell’esclusiva pertinenza di (OMISSIS), unico titolare del conto corrente utilizzato per i pagamenti, di tali documenti.
Ne’ – si aggiunge – contrasta questo ragionamento l’asserzione secondo cui tali estratti conto fossero gia’ presenti nel corso del procedimento di prevenzione: a tutto concedere, lo erano per (OMISSIS), non per la ricorrente e le sue figlie, rispetto a cui la documentazione avrebbe dovuto ritenersi sopravvenuta al procedimento di prevenzione, siccome estranea alla loro disponibilita’.
5.2. Con il secondo motivo, si prospetta la violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, in relazione alla L. n. 1423, articolo 4 (ora, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7), per mancanza di motivazione sulla vincolativita’ del principio di diritto, se pronunciato in elusione dell’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, e l’erronea interpretazione di quest’ultima norma.
5.2.1. L’errore che, secondo la difesa, e’ alla base della decisione assunta dai giudici del rescissorio si identifica, non tanto nell’aver applicato il principio di diritto erroneo stabilito nella sentenza rescindente, quanto piuttosto nel non aver rilevato che la Corte di legittimita’ lo ha enunciato senza applicare l’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, prima di pronunciarsi in contrasto con altre decisioni gia’ emesse dalle Sezioni Unite: la Corte di appello di Catanzaro non avrebbe dovuto muovere dal carattere vincolante del principio di diritto affermato nella decisione di legittimita’, in quanto esso era contenuto in una sentenza resa in oggettiva violazione del suindicato obbligo normativo.
5.2.2. Ne’ – sottolinea la ricorrente – e’ stata seguita la strada pure prospettata nel corso del giudizio di rinvio, vale a dire la proposizione della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, nella parte in cui stabilisce che il giudice di rinvio debba uniformarsi alla sentenza di una singola Sezione della Corte di cassazione, allorche’ il principio di diritto affermato dalla corrispondente pronuncia risulti contrastante con un principio precedentemente affermato dalle Sezioni Unite, senza che nel giudizio rescindente sia avvenuta la previa rimessione del ricorso a queste ultime, ex articolo 618 c.p.p., comma 1-bis.
In questa fattispecie, secondo la difesa, risultano violati l’articolo 3 Cost., sia sotto il profilo relativo al principio di ragionevolezza, sia sotto quello relativo al principio di non contraddittorieta’, l’articolo 24 Cost., per la lesione del diritto di difesa determinata dall’evidente errore procedimentale, e l’articolo 111 Cost., dato che la conseguente decisione non sarebbe impugnabile, ai sensi dell’articolo 628 c.p.p., comma 2: i giudici del rinvio, dichiarando la questione manifestamente infondata, non avrebbero offerto una motivazione comprensibile a sostegno di tale giudizio, con conseguente nullita’ del provvedimento impugnato, giacche’ la possibilita’ per la parte di riproporre la questione nel grado successivo non esonerava il giudice a quo dall’obbligo di motivazione.
In ogni caso, avendo la stessa Corte del rinvio suggerito la riproposizione della questione innanzi ai giudici di legittimita’ per la conseguente evocazione del vaglio delle Sezioni Unite e sollecitare la suindicata questione di legittimita’, la ricorrente sollecita la Corte adita a determinarsi nell’uno o nell’altro senso.
6. Il Procuratore generale ha prospettato l’inammissibilita’ di tutti gli atti di ricorso, in quanto, essendo essi ammissibili soltanto per violazione di legge, nel caso di specie, tale violazione non sussisteva, essendo presente e non apparente la motivazione a base della decisione impugnata, la quale si e’ attenuta al principio di diritto fissato con la sentenza rescindente, il cui dictum non potrebbe essere rimesso in discussione con rimessione della questione alle Sezioni Unite, ne’ formare oggetto di questione di legittimita’ costituzionale, posto che le parti ricorrenti non avevano, in ogni caso, fornito prova alcuna di non aver potuto accedere prima alla prova costituita dagli estratti conto, ne’ dedotto circa la decisivita’ dei dati desumibili dai suddetti estratti conto.
7. Con memoria del 15 settembre 2020, la difesa di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale osservando che la motivazione resa nel provvedimento impugnato deve ritenersi omessa o apparente sul punto decisivo costituito dall’essere o meno sopravvenuta la documentazione bancaria, di pertinenza del solo (OMISSIS), mancando la risposta effettiva da parte della Corte del rinvio sul punto, cosi’ come la Corte di appello non aveva risposto sull’applicabilita’ o meno del principio di diritto posto a base della pronuncia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposta da (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ volta a volta sopra precisata, come veicolato mediante gli atti di impugnazione pure indicati in parte narrativa, non puo’, nel suo complesso, ritenersi fondato e va, pertanto, rigettato.
2. Si premette che a ragione del provvedimento assunto in sede rescissoria la Corte di appello ha considerato, fra l’altro, che e’ da ritenersi manifestamente infondata la questione di costituzionalita’ dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., e della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, per contrasto con l’articolo 117 Cost., in relazione agli articoli 6 e 7 CEDU, in quanto la parte conserverebbe la possibilita’ di proporre nuovamente ricorso di legittimita’, sia pure al solo fine di evidenziare il contrasto tra i diversi orientamenti e l’omessa rimessione di tale contrasto alle Sezioni Unite, contrasto che, se risolto in senso favorevole alla parte, potrebbe portare a una diversa valutazione delle proprie istanze.
I giudici territoriali hanno aggiunto che uguale esito e’ da annettersi alla questione di costituzionalita’ della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, non potendo ritenersi posto in crisi il diritto di avanzare la richiesta di riparazione dell’errore giudiziario dall’interpretazione del concetto di prova nuova conformato in modo tale da escludere la prova gia’ dedotta o comunque deducibile, la disciplina di rango costituzionale rimettendo alla legge la definizione dei casi e delle modalita’ per l’esercizio della suddetta azione, ne’ potendo dirsi rilevante la suddetta questione di legittimita’ costituzionale in relazione agli articoli 6 e 7 CEDU e al principio di legalita’, giacche’, in sede di rinvio, il tema della decisione e’ limitato alla questione se possa o meno considerarsi prova nuova quella non dedotta per tempo, questione rispetto alla quale il bilanciamento normativo ha riguardato la certezza del diritto e la tenuta del giudicato, da un lato, e la possibilita’ di sottoporre il giudicato stesso a revisione in ogni tempo, dall’altro.
Assodato cio’, i giudici del rinvio hanno ritenuto nel merito che, in ossequio all’ineludibile principio di diritto fissato nella sentenza rescindente, non poteva considerarsi nuova la prova – costituita dagli estratti conto bancari – gia’ esistente, sebbene non prodotta o altrimenti sottoposta al giudice nel procedimento pregresso.
3. E’ poi da ribadire qual e’ stato il principio di diritto fissato da Sez. 5, n. 18130 del 09/02/2018 in tema di prova nuova.
Dopo avere indicato gli orientamenti emersi in materia, i giudici di legittimita’ hanno espressamente dato atto di aderire a quello, che hanno individuato come gia’ segnato da precedenti pronunzie di legittimita’ (citando Sez. 6, n. 44609 del 06/10/2015, Alvaro, Rv. 265081), secondo cui la prova nuova, rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura di prevenzione in quanto suscettibile di mutare, radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata, “e’ solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito di esso”. La decisione ha motivato tale posizione “anche in relazione al nuovo quadro normativo delineato dal legislatore del 2011 in riferimento proprio al nuovo istituto regolato dal sopra richiamato Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28 che, pur non essendo applicabile, ratione temporis al caso di specie, fornisce un importante spunto interpretativo diretto a chiarire la ratio applicativa dell’istituto”.
I giudici della pronuncia rescindente hanno ulteriormente evidenziato la posizione assunta aggiungendo quanto segue.
“In realta’, la prova nuova non puo’ consistere in un qualsiasi elemento favorevole, il quale finirebbe per trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva (Sez. 2, n. 41507 del 24/09/2013, Auddino e altro, Rv. 257334).
Peraltro, va chiarito che, sul piano piu’ strettamente processuale, costituisce “prova nuova” solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito di esso (Sez. 2, n. 11818 del 07/12/2012, Ercolano e altro, Rv. 255530)”.
Il principio di diritto stabilito dalla Corte di legittimita’ con riferimento al caso qui in esame era ed e’ dunque molto chiaro.
Al lume dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, il giudice di rinvio era tenuto a uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per quanto concerneva ogni questione di diritto dalla stessa decisa.
4. Assodato quanto precede, il Collegio ritiene doversi senz’altro escludere che, all’esito della pronuncia rescissoria della Corte di appello, applicativa del principio di diritto stabilito dalla suddetta decisione, in questa sede si possa, al fine di rimettere in discussione la questione risolta nella sentenza rescindente, evocare il vaglio delle Sezioni Unite, se del caso prospettando – secondo l’angolo visuale esposto dalle difese di (OMISSIS) – l’addotta deviazione da parte della Sezione semplice dall’orientamento affermato in precedenza dal consesso di legittimita’ piu’ autorevole.
Invero, l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto con essa decisa e’ assoluto e inderogabile anche quando, a seguito di tale decisione, sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza, pur se determinato da una pronuncia della Sezioni Unite, essendo quindi esclusa la possibilita’ di una rimessione della questione alle Sezioni Unite, considerate l’immodificabilita’ del giudicato gia’ perfezionatosi sul punto di diritto deciso dalla sentenza di annullamento con rinvio e la conseguente sussistenza del relativo vincolo proprio del giudizio rescissorio.
In effetti, anche la statuizione giurisdizionale piu’ elevata, come quella delle Sezioni Unite, pur assolvendo per legge nel modo piu’ incisivo e dirimente alla specifica funzione nomofilattica, non puo’ modificare la regiudicata che si e’ gia’ perfezionata sulla fissazione del punto di diritto deciso nella sentenza di annullamento pronunciata dalla pregressa decisione della Corte di cassazione, per effetto del combinato disposto degli articoli 627 e 628 c.p.p., sul rilievo che il principio di diritto affermato dalla sentenza di annullamento, in quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto a ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorita’ di giudicato interno per il caso di specie.
E’ per tale ragione che, possedendo – il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio – valore vincolante, qualora la pronuncia emessa dal giudice del rinvio venga impugnata, la Corte di legittimita’ ove accerti che il giudice di rinvio non si e’ uniformato al principio fissato, deve annullarne la decisione: e cio’ deve fare anche qualora diversamente interpretando la norma – ritenga piu’ esatta la tesi giuridica accolta dal giudice della sede rescissoria (fra le altre, Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv. 196893; Sez. 3, n. 46971 del 10/05/2018, Cusani, Rv. 274215 01; Sez. 2, n. 25722 del 28/03/2017, Antinoro, Rv. 270699 – 01; Sez. 5, n. 41334 del 19/09/2013, Cacciatore, Rv. 257945; Sez. 1, n. 4049 del 10/04/2012, dep. 2013, Licata, Rv. 254217).
Questo punto di approdo impone di disattendere tutte le doglianze individuate nei motivi sub 2.4., 4.2. e 4.3, in parte, 5.2., che hanno svolto deduzioni finalizzate a sostenere la sollecitazione a rimettere alle Sezioni Unite la questione di diritto gia’ decisa.
5. Riprendendo, nella stessa prospettiva, la tematica svolta dalla difesa della ricorrente nel complessivo, articolato motivo sub 5.2, deve ribadirsi che nemmeno l’addotta differenziazione da parte della Corte di legittimita’, nella sentenza rescindente, dalle posizioni espresse in tema di prova nuova da precedenti arresti delle Sezioni Unite (il riferimento espresso e’ stato alle decisioni di Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443; Sez. U, n. 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955-56), senza adottare la previa rimessione stabilita dall’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, – ove pure fosse sussistita – avrebbe legittimato il giudice del rinvio a decampare dal principio di diritto dalla stessa fissato.
Allo stesso modo, la digressione della Sezione semplice dalla linea tracciata dalle Sezioni Unite adombrata dalla difesa della ricorrente – ove pure essa fosse sussistente – comunque non legittimerebbe il Collegio a investire, come si e’ gia’ precisato (e contrariamente a quanto pare opinare la stesa Corte di merito nel provvedimento impugnato), le Sezioni Unite della questione di diritto, ormai decisa per il presente ambito, e (a fortiori) nemmeno potrebbe autorizzare il superamento o l’obliterazione, in questa sede, della questione di diritto decisa.
Cio’ non intacca, naturalmente, la portata del disposto di cui all’articolo 618, comma 1-bis, cit., a mente del quale se una Sezione della Corte di cassazione ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso.
Circa l’obbligo della Sezione di rimettere alle Sezioni Unite la questione, in ipotesi di opinamento difforme dal precedente principio affermato dalle stesse Sezioni Unite, queste ultime hanno precisato che la suddetta norma (inserita nel codice di rito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 66) introduce allo scopo di rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione un’ipotesi di rimessione obbligatoria alle Sezioni Unite, la quale trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute precedentemente all’entrata in vigore della nuova disposizione (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273549 – 01).
L’introduzione di un tangibile strumento per rendere relativamente vincolante, nell’ambito suindicato, il precedente costituito dalla pronuncia del piu’ autorevole organo nomofilattico non risulta affiancata dalla previsione di una specifica sanzione per l’ipotesi della sua inosservanza, come ritiene, in modo qui condiviso, la maggioranza degli interpreti, senza che tale assetto, d’altronde, sia da considerarsi come il risultato di una scelta normativa incompleta o contraddittoria o, comunque, contrastante con i principi costituzionali in materia di giurisdizione (ivi inclusi quelli assunti come violati dalla parte ricorrente).
Si e’ non senza ragione osservato che, ove fossero state previste delle sanzioni di qualsiasi natura, in primo luogo di natura processuale, si sarebbe introdotto un elemento distonico nel rapporto fra le Sezioni della Corte di legittimita’, rapporto non necessitante per il suo dispiegarsi di controlli e sanzioni, in quanto fondato sulla consapevole e partecipata condivisione culturale degli organi della Corte circa il riconoscimento del valore del precedente come principio operante nel circuito interno del giudizio di legittimita’.
In particolare, per quel che qui interessa, e’ da rilevarsi che non e’ stata stabilita alcuna sanzione di nullita’ o di diversa limitazione della validita’ ed efficacia della sentenza emessa in asserito dissenso dalla linea fissata dalle Sezioni Unite, dovendo peraltro sottoscriversi la notazione – fatta da una parte della dottrina a supporto dell’opzione adottata dal legislatore – che la stessa demarcazione dei precisi contorni del principio di diritto gia’ enunciato dalle Sezioni Unite (in thesi non discutibile dalla Sezione semplice, se non mediante la rimessione di cui all’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis) sovente implica un’attivita’ ermeneutica piu’ o meno complessa, con l’effetto, speculare, che l’emersione del contrasto fra l’enunciato pregresso delle Sezioni Unite e il successivo approdo della Sezione semplice costituisce, non poche volte, l’esito di una valutazione connotata da una – piu’ o meno consistente, non di rado ineliminabile – dose di discrezionalita’ tecnica, di dubbia sindacabilita’.
Del resto, si ritiene che l’istituto della rimessione alla Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, vada adottato allorquando l’assoluta inconciliabilita’ fra le diverse affermazioni di principio emerga in modo evidente dalla comparazione fra i principi sottesi a determinate massime, non essendo sufficiente la mera possibilita’ che una certa pronuncia si riveli incompatibile con una delle interpretazioni o implicazioni che possano attribuirsi a un’altra decisione.
Da queste osservazioni discende il corollario che la Corte di appello, in sede di rinvio, ha ritualmente ritenuto operante il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente e ha, in base ad esso, correttamente deliberato della decisione di merito.
Le contrarie doglianze contenute nei gia’ indicati motivi di ricorso devono essere, pertanto, disattese.
6. Con riferimento, invece, alle questioni di costituzionalita’ sotto vari profili prospettate dagli atti di impugnazione della ricorrente, va premesso che il Giudice delle leggi ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non consente di rilevare e sollevare questione di costituzionalita’ con riferimento ai principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio: cio’, perche’, in sede di rinvio, la norma dichiarata applicabile dalla Corte di cassazione nell’interpretazione da essa fornita puo’ essere sospettata di illegittimita’ costituzionale, con la richiesta del relativo scrutinio da parte della Corte costituzionale.
Il giudice a quo, invero, dopo aver preso atto del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione e dopo aver ritenuto di doverne fare applicazione nel giudizio principale, ha titolo a manifestare il dubbio che quel principio sia contrario a determinate norme della Costituzione e, quindi, a formulare la corrispondente questione di legittimita’ costituzionale.
D’altro canto, si e’ persuasivamente osservato, dovendo la norma, nel significato attribuitole dalla Corte di cassazione, ricevere ancora applicazione concreta nella fase di rinvio, precludere che su di essa vengano prospettate questioni di legittimita’ costituzionale comporterebbe un’indubbia violazione delle disposizioni regolanti la materia, con primario riguardo all’articolo 1 della Legge Costituzionale n. 1 del 1948 e L. n. 87 del 1953, articolo 23 (Corte Cost., sent. n. 305 del 2008, nonche’ sent. n. 78 del 2007 e, in precedenza, sent. n. 58 del 1995 e n. 130 del 1993).
In questa prospettiva, rileva precisare che, se e’ vero che il giudice del rinvio ha l’obbligo di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto con essa decisa, anche quando, a seguito di tale decisione, sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza, vanno fatti salvi i casi in cui una sentenza della Corte di Giustizia Europea abbia riconosciuto l’incompatibilita’ con il diritto comunitario della norma nazionale ovvero sia stata dichiarata l’illegittimita’ costituzionale, con efficacia ex tunc, di una norma sulla cui base era stato affermato il principio di diritto, dovendo il giudice del rinvio riconsiderare la questione alla luce della reviviscenza del quadro normativo cosi’ inciso (Sez. 3, n. 15744 del 14/12/2018, dep. 2019, I., Rv. 275864 – 01; v., oltre a Sez. 5, n. 41334 del 2013, Cacciatore, cit., anche Sez. 6, n. 18715 del 19/04/2012, Ignazzi, Rv. 252503).
Alla stregua di tali puntualizzazioni si coglie l’infondatezza manifesta della doglianza sub 2.5, li’ dove prospetta la contrarieta’ dell’articolo 627 cit. rispetto agli articoli 3, 24 e 111 Cost.: la lettura della norma prospettata dalla ricorrente e’, infatti, riduttiva nei sensi chiariti.
Quanto, poi, alle ulteriori censure che sollecitano il controllo di legittimita’ costituzionale della disciplina della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, come interpretato nella sentenza rescindente, la Corte di merito ha svolto considerazioni da condividersi circa la sostanziale appartenenza alla sfera della discrezionalita’ normativa dell’individuazione dei connotati del concetto di prova nuova da applicarsi, per il rispetto della normativa di rango costituzionale, in ordine ai casi e alle modalita’ inerenti all’esercizio della relativa azione.
In tal senso, ritenere che, in tema di revoca del provvedimento di confisca (deliberato ai sensi della L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 3, in relazione al disposto della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, secondo) prospettata come derivante dal fatto il provvedimento ablativo era affetto da invalidita’ genetica, il diritto, costituzionalmente garantito, all’eliminazione del provvedimento inquadrato come forma specifica di riparazione dell’errore giudiziario, venga vulnerato dall’esigenza che la relativa istanza, inerendo all’ambito della rivedibilita’ del giudicato, sia, fra le varie ipotesi, sorretta dall’acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento finalizzate a dimostrare l’insussistenza di uno o piu’ dei presupposti del provvedimento stesso non appare risultato ermeneutico tale da determinare una configurazione dell’istituto contrastante con i suindicati principi costituzionali. E, cio’, anche ove la sopravvenienza delle prove venga riferita alle sole prove oggettivamente susseguenti alla conclusione del procedimento che ha determinato il provvedimento, e non anche a quelle deducibili, ma per qualsiasi motivo non dedotte, nell’ambito di esso.
In questa sede, per quanto si e’ gia’ precisato, non rileva stabilire se questa tesi sia quella che il Collegio condivide o,meno: rileva invece prendere atto che essa individua il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, peraltro con preciso riferimento a un orientamento coltivato da una parte della giurisprudenza di legittimita’ (oltre agli arresti citati dalla Corte di legittimita’ nella sentenza rescindente, v. Sez. 5, n. 3031 del 30/11/2017, dep. 2018, Lagaren, Rv. 272104 – 01), tale da inquadrare la disciplina della prova nuova in tema di confisca di prevenzione regolata dal quadro normativo indicato come prova effettivamente sopravvenuta, non come prova preesistente, deducibile e non dedotta.
Tale inquadramento non si profila vulnerare il diritto dell’interessato alla proposizione dell’azione di revoca della confisca e all’effettivita’ della relativa tutela.
Per il resto, esso afferisce a statuto normativo operante anche in altri settori delle fattispecie revocatorie, oltre affermato da altre decisioni di legittimita’ antecedenti e successive a quella resa nella sede rescindente, profilandosi esso, come del tutto prevedibile dalla parte interessata.
D’altronde, sono state spiegate, sempre nella prospettiva fatta propria nella sentenza rescindente, le ragioni che militano nel senso della differenziazione, sotto il profilo qui in discussione, della disciplina dell’istituto della revocazione della confisca (revocazione ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28 in cui e’ evoluta la revoca della confisca di prevenzione) da quello della revisione di cui all’articolo 630 c.p.p. (arg. Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, Di Virgilio, Rv. 276075 01 li’ dove ha affermato che, in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione ex tunc, e’ solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del relativo procedimento, e non anche quella deducibile, ma, per qualsiasi motivo, non dedotta, come desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per la proposizione della richiesta di revoca, che delimita l’ambito temporale di ammissibilita’ dell’istituto e lo differenzia dal procedimento di revisione della condanna).
Non possono, quindi, essere ritenute fondate le doglianze variamente articolate su questo versante, in particolare ai motivi 4.1.
Devono del pari disattendersi le deduzioni poste a base dei motivi sub 4.2. (per la restante parte) e 4.3., nel senso che, per le caratteristiche inerenti alla confisca di prevenzione e per gli incisivi effetti di ordine patrimoniale sulla sfera del proprietario del bene ablato, la relativa misura non sarebbe stata revocata nonostante che lo statuto normativo applicato sarebbe stato individuato conferendo rilevanza ermeneutica decisiva alla disciplina, postuma rispetto ai fatti valutati, costituita dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011 articolo 28, per gli effetti inerenti alla violazione degli articoli 6 e 7 CEDU, rilevanti per lo scrutinio di costituzionalita’ mediante la norma interposta dell’articolo 117 Cost.: va, in via dirimente, obiettato che l’inquadramento privilegiato nella sentenza rescindente ai fini della fissazione del principio di diritto a cui e’ stato vincolata la Corte di appello ha fatto riferimento quale disciplina applicabile nel caso di speCie al quadro normativo preesistente alla disciplina di cui all’articolo 28 cit., avendo per il resto tratto un mero spunto esegetico e chiarimento dalla norma successivamente introdotta e non applicabile al caso in esame.
7. Esclusa la concreta prospettabilita’ in modo non manifestamente infondato della questione di legittimita’ costituzionale della disciplina applicata in relazione ai parametri indicati negli atti di impugnazione, non possono, infine, considerarsi fondate le residue doglianze, ossia quelle che sostengono la violazione di legge per assoluta insussistenza della motivazione.
L’addebito che, secondo varie inflessioni, si muove ai giudici del rescissorio e’, nella sostanza, di avere omesso di porre a base della loro decisione – pur nei limiti fissati dal principio di diritto stabilito dai giudici di legittimita’ – la documentazione consistente negli estratti relativi al conto intestato a (OMISSIS).
Tali atti, in una parte degli scritti difensivi, vengono qualificati come soggettivamente nuovi – perche’ asseritamente non conosciuti dalla attuale ricorrente al momento del procedimento pregresso – e, dunque, idonei a costituire prova sopravvenuta, valutabile e adeguata a fondare l’istanza di revoca della confisca pronunciata nei confronti del suddetto (OMISSIS).
Infatti, sempre nella prospettazione dell’interessata, valutando l’importo lecitamente pervenuto su tale conto in accredito a (OMISSIS) costituito dalla somma erogata dall’Erario a titolo riparatorio e, posti gli in correlazione con l’edificazione da parte del medesimo dell’immobile in (OMISSIS), di poi confiscato, si sarebbe individuata un’adeguata giustificazione degli introiti legittimamente acquisiti nel suddetto periodo e, cosi’, avrebbe dovuto annettersi la causa lecita, e non illecita, alla provvista finanziaria con cui (OMISSIS) aveva effettuato i pagamenti delle opere e dei materiali necessari all’edificazione.
Tuttavia, la netta, sia pur sintetica, valutazione di esclusione da parte della Corte del rinvio della giuridica possibilita’ di individuare in questa documentazione la prova adeguata dell’esclusione del fabbricato di (OMISSIS) dal compendio legittimamente ablato con la confisca non puo’ dirsi priva di motivazione e, come tale, formulata in violazione di legge.
Il giudice del rescissorio, su tale punto, nemmeno poteva, d’altronde, omettere di prendere atto delle specificazioni formulate nella stessa sentenza di annullamento su questo stesso tema quando – a precisazione e concreta illustrazione del principio di diritto affermato – aveva preso in considerazione l’argomento adottato dai giudici di appello, secondo cui, nella fattispecie concreta, la prova nuova era costituita dalla documentazione bancaria attestante i flussi finanziari provenienti dal conto su cui sarebbe stato riversato, secondo la difesa, l’indennizzo per ingiusta detenzione ottenuto da (OMISSIS) per poi essere utilizzato, in quella prospettiva, per la costruzione degli immobili oggetto di confisca, ma ha espressamente destrutturato l’argomento segnalando che si trattava di allegazione spesa gia’ nel corso del procedimento di prevenzione nel cui ambito era stata superata per un duplice ordine di ragioni.
Per un verso, si era ritenuto che le somme oggetto del suindicato indennizzo erano in ogni caso insufficienti per la realizzazione degli immobili confiscati e si era appurato che non sussisteva proporzione fra i redditi dichiarati e il valore degli stessi beni immobili, essendosi destituita di attendibilita’ la consulenza di parte allegata, sul rilievo che il valore di mercato degli immobili era ben maggiore del valore di stima peritale; per altro verso, si era rilevato che in quella sede non erano stati acclusi gli estratti conto e, pertanto, la parte non aveva provveduto all’allegazione e alla prova in relazione alla dimostrazione della destinazione dell’indennizzo alla realizzazione e costruzione dei beni immobili confiscati.
Definito tale quadro, la Corte di cassazione, in sede rescindente, aveva espressamente osservato che la documentazione allegata nel giudizio promosso da (OMISSIS), ritenuta solo genericamente esaminata dalla Corte di appello, “ben avrebbe potuto essere dedotta gia’ nel corso del primo procedimento diretto ad accertare la legittimita’ della misura di prevenzione e non puo’ dunque essere considerata come “prova nuova” deducibile in sede di procedimento di revoca ex articolo 7 cit.”.
Basandosi, dunque, in modo specifico ed espresso sul rilievo critico mosso al giudice di merito circa la disamina effettuata in ordine a tali documenti, nella sentenza rescindente, si e’ affermato il principio di diritto, vincolante per il giudice di rinvio, secondo cui “in sede di richiesta di revisione avanzata ai sensi della L. n. 1423 del 1956, articolo 7, comma 2, la “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura di prevenzione in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata, e’ solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito di esso”.
Pertanto, avendo la difesa della (OMISSIS), anche nel giudizio rescissorio, fondato la sua critica del provvedimento del Tribunale di Catanzaro di rigetto dell’istanza di revoca della confisca sull’unica, sia pur variamente articolata, argomentazione della qualita’ di prova sopravvenuta di quella stessa documentazione bancaria la cui utilizzazione in tal senso era stata destituita di giuridico fondamento nella decisione rescindente, senza offrire a fondamento della sua domanda nuove e diverse prove, che potessero dirsi sopravvenute rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, secondo l’accezione esplicitata nella sentenza di legittimita’, la Corte del rinvio e’ pervenuta – secondo schema logico-giuridico coerente e, nelle condizioni date, ineludibile all’approdo costituito dalla conferma del provvedimento impugnato.
In tal senso, anche la variante dialettica, estrinsecata dalla difesa, relativa alla natura sopravveniente della prova sotto il profilo soggettivo della medesima documentazione – per il fatto di essere stata conosciuta dopo e prodotta nel giudizio dalla terza interessata – e’ stata a ragione ritenuta dalla Corte di appello collidente con il principio di diritto gia’ richiamato, esplicando il quale la Corte di legittimita’ lo aveva gia’ considerato preclusivo dell’ingresso in questo procedimento di revoca di quella stessa documentazione.
Di conseguenza, il rimprovero mosso, nell’ambito delle richiamate censure, alla Corte di appello di non avere speso cenni piu’ diffusi e articolati per spiegare in concreto la ragione per la quale gli estratti conto controversi non fossero prova nuova si infrange sul richiamo, fatto proprio dai giudici del rescissorio, delle pregnanti espressioni rese su questo specifico punto dalla Corte di legittimita’.
Per il resto, il giudizio di rinvio – a fronte delle comunque enucleabili ragione per le quali la documentazione bancaria non poteva considerarsi, in concreto, prova nuova, con correlativa individuazione del minimum di motivazione necessario e sufficiente a sorreggere la statuizione impugnata – non ha visto emergere l’allegazione, prima che l’acquisizione, di altre prove, definibili nuove nel senso imposto dall’affermato principio di diritto, rispetto a cui la Corte di appello potesse rimettere concretamente in discussione l’iter logico-giuridico seguito dal Tribunale con il gia’ richiamato esito sfavorevole per la terza interessata alla revoca della confisca.
Le doglianze articolate sub 2.1., 2.2., 2.3., 3, 4, nella residua parte, e 5.1. vanno di conseguenza disattese.
8. Al rigetto del ricorso fa seguito, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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