La confisca per equivalente prescinde dal nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 1 ottobre 2019, n. 40071.

Massima estrapolata:

La confisca per equivalente prescinde dal nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare e può avere ad oggetto anche i beni acquisiti al patrimonio dell’indagato in epoca precedente all’entrata in vigore della norma che ha introdotto la confisca per equivalente.

Sentenza 1 ottobre 2019, n. 40071

Data udienza 16 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GAI Emanuela – Presidente

Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS);
avverso il decreto del 03/04/2019 del TRIBUNALE di AREZZO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SEMERARO LUCA;
sentite le conclusioni del PG Dr. DI NARDO MARILIA, che conclude per l’inammissibilita’.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Arezzo, con l’ordinanza del 3 aprile 2019, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da (OMISSIS) avverso il decreto del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Arezzo del 1 febbraio 2019 con il quale e’ stato disposto il sequestro preventivo, funzionale alla confisca diretta del profitto del reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter pari a Euro 892.354, delle disponibilita’ liquide della s.p.a. (OMISSIS), di cui (OMISSIS) e’ il legale rappresentante ed in subordine, in caso di impossibilita’ di procedere al primo, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, fino a concorrenza del valore del profitto, sui beni mobili ed immobili di (OMISSIS).
2. Il difensore di (OMISSIS) ha proposto il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Arezzo del 3 aprile 2019 deducendo il vizio di violazione degli articolo 325 c.p.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis ex articolo 606 c.p.p., lettera b).
Il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sarebbe stato eseguito anche su beni immobili dell’indagato acquistati molti anni prima della commissione del reato: l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente applicato il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis ritenendo che l’assenza di qualsivoglia nesso pertinenziale tra il bene, estraneo al profitto, ed il profitto, indichi la totale indifferenza del momento in cui il bene diverso e’ entrato nella disponibilita’ dell’indagato rispetto a quello in cui il reato e’ stato commesso.
In sintesi, secondo la tesi del ricorrente, la tipicita’ del reato impone anche il collegamento temporale con il reato, come emergerebbe dall’uso della parola “tale” nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis.
La dimensione temporale del profitto non potrebbe essere posta nel nulla; l’acquisto lecito della disponibilita’ del bene, in un tempo antecedente al reato, impedirebbe la confisca per equivalente perche’ altrimenti si vincolerebbe un bene avulso dalla tipicita’ del profitto e si avrebbe un profitto atipico.
In punto di diritto si richiamano Cass. Sez. Unite n. 38691/2009 e Cass. Sez. 3 n. 1199/2011; si afferma che ai fini dell’operativita’ della confisca di valore si dovrebbe escludere qualsiasi estensione indiscriminata o dilazione indefinita ad ogni e qualsiasi bene, pur in difetto di nesso di causalita’ con il reato.
Il Tribunale del riesame non avrebbe risposto al motivo di riesame sul punto. Si richiama poi Cass. Sez. 3 n. 46855 del 2009 che ha chiarito che il profitto del reato e’ un quid successivo al compimento del reato.
Poiche’ la confisca per equivalente ha natura di sanzione, si imporrebbe una interpretazione costituzionalmente orientata per cui la sanzione non e’ retroattiva; troverebbero applicazione i principi di proporzionalita’ e di ragionevolezza, soprattutto nei reati tributari collegati all’attivita’ delle persone giuridiche, dove vi e’ una dissociazione tra il soggetto titolare del profitto, la persona giuridica, ed il soggetto che subisce la confisca per equivalente, il legale rappresentante persona fisica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato, perche’ la tesi difensiva e’ contraria al costante orientamento della giurisprudenza.
1.1. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 38691/2009, Caruso, 244190) richiamata nel ricorso non pone alcun limite temporale alla confisca per equivalente: non si afferma in alcun modo che non sarebbero confiscabili i beni immobili acquistati prima della commissione del reato da cui deriva il profitto confiscabile “per equivalente”.
Al contrario, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “La previsione della confisca per equivalente… nel caso in cui i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione e’ rivolta a superare gli ostacoli e le difficolta’ per la individuazione dei beni in cui si “incorpora” il profitto iniziale, nonche’ ad ovviare ai limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego. Cio’ comporta che la stessa confisca per equivalente alla quale e’ funzionale il sequestro preventivo di cio’ che a tale provvedimento ablativo puo’ essere soggetto all’esito del procedimento puo’ riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’articolo 240 c.p., che puo’ avere ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato) beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosita’ individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato (cfr. Cass., Sez. Unite, 22.11.2005, n. 41936, Muci)”.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato, con la sentenza richiamata dal ricorrente, che la ratio dell’istituto e’ quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attivita’ criminosa, anche di fronte all’impossibilita’ di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacita’ dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume “i tratti distintivi di una vera e propria sanzione” (vedi Cass., Sez. Unite: 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti Spa ed altri e 15.10.2008, n. 38834, P.M. in proc. De Maio).
1.2. Vi e’ poi un’errata lettura della sentenza della Cass. Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011, dep. 2012, Galiffo, Rv. 251893 – 01, perche’ il brano riportato si riferisce alla confisca del profitto e non alla confisca per equivalente.
1.3. La tesi difensiva e’ poi anche contraria alla giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha piu’ volte chiarito che, con l’espressione confisca di valore o per equivalente, si indica una particolare misura di carattere ablativo che il legislatore appronta per il caso in cui, dopo una condanna penale, non sia possibile eseguire la confisca in forma specifica ossia la cd. confisca diretta dei beni che abbiano un “rapporto di pertinenzialita’” con il reato (Corte Cost. ordinanze n. 301 e n. 97 del 2009), cosicche’, mentre la confisca diretta assolve a una funzione essenzialmente preventiva, perche’ reagisce alla pericolosita’ indotta nel reo dalla disponibilita’ di beni che, derivando dal reato, ne costituiscono il prodotto, il prezzo o il profitto (nei reati tributari rilevano soltanto le ultime due tipologie di vantaggio illecito), la confisca per equivalente, invece, colpisce beni di altra natura, che non hanno alcun nesso pertinenziale con il reato, palesando percio’ “una connotazione prevalentemente afflittiva ed ha, dunque, una natura eminentemente sanzionatoria” (Corte Cost. ordinanza n. 301 del 2009).
1.4. Quanto alla interpretazione costituzionalmente orientata, sul punto per ragioni di sintesi, si richiama l’articolata motivazione della sentenza della Cass. Sez. 3, n. 46973 del 10/05/2018, B., Rv. 274074 – 02 che ha affermato il principio per cui e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale sollevata in relazione al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12-bis, comma 1, per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost., nella parte in cui consente la confisca e, quindi, il sequestro di valore nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica per il solo fatto che non sia possibile eseguire quello, diretto, del profitto di reato nei confronti dell’ente, in quanto la confisca, per la sua natura sanzionatoria, trova fondamento nella mera realizzazione del fatto di reato in cui si sostanzia la condotta della persona fisica realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
1.5. Devono pertanto ribadirsi i principi della giurisprudenza per cui la confisca per equivalente prescinde dal nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (cfr. Cass. Sez. 3, n. 1261 del 25/09/2012, dep. 2013, Marseglia, Rv. 254175 01, in tema di reati tributari) e puo’ avere ad oggetto anche i beni acquisiti al patrimonio dell’indagato in epoca precedente all’entrata in vigore della norma che ha introdotto la confisca per equivalente (cfr. Cass. Sez. 2, n. 17584 del 10/01/2013, Iaia, Rv. 255964 – 01).
1.6. L’irretroattivita’ si riferisce infatti al rapporto tra entrata in vigore della confisca per equivalente e data di commissione del reato, non al rapporto con la data di acquisto del bene, come per altro affermato anche dalle Sezioni Unite della a Corte di Cassazione con la sentenza n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037- 01: “La confisca per equivalente, introdotta per i reati tributari dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non essendo estensibile ad essa la regola dettata per le misure di sicurezza dall’articolo 200 c.p., non si applica ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata”.
2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, si condanna altresi’ il ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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