Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 1 agosto 2019, n. 5479.

La massima estrapolata:

Ai sensi di quanto disposto dall’art. 24, comma 7, della legge 241/1990, per le richieste di accesso agli atti amministrativi deve essere effettuata, caso per caso, un’attenta valutazione in merito alla stretta funzionalità dell’accesso alla salvaguardia di posizioni soggettive protette, che si ritengono lese.

Sentenza 1 agosto 2019, n. 5479

Data udienza 6 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10253 del 2018, proposto da
Vi. Pe., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Istituto Nazionale di Previdenza Sociale – INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Sg., Le. Ma., Ca. D’A., Em. De Ro., Gi. Ma., Es. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Inps in Roma, via (…);
nei confronti
Gi. Se., ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 8584/2018, resa tra le parti, concernente il silenzio rigetto formatosi sull’istanza di accesso agli atti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2019 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Fr. Cr. e Ca. D’A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il sig. Pe. ha presentato all’I.N.P.S. un’istanza di accesso, datata 20 febbraio 2018, al fine di conoscere una serie di documenti (fatture, ricevute, CUD, modelli 730, buste paga, certificati medici, sinistri INAIL, DURC, etc.) riguardanti i signori Gi. Se., Pa. Mu., Ma. Bu., Pa. Ro., tutti dipendenti della Ne. Eu. In. s.r.l. (poi divenuta Ne. Eu. In. Se. s.r.l.) per il periodo compreso tra il 2009 e il 2015.
Tale istanza è stata inoltrata al dichiarato (ed unico) fine di valutare la sussistenza di un rapporto di collaborazione dei medesimi con la predetta società e, dunque, per vagliare la legittimità dell’attività di investigazione a suo tempo effettuata nei suoi confronti, che è sfociata nel provvedimento di licenziamento disciplinare successivamente adottato da parte del suo datore di lavoro (As. s.r.l.).
In assenza di riscontro da parte dell’INPS, il ricorrente ha proposto ricorso ex art. 116 c.p.a. per violazione dell’art. 22 e ss. della L. n. 241/90.
L’Istituto intimato non si è costituito in giudizio.
2. – Con sentenza n. 8584/2018 il TAR ha respinto il ricorso ed ha anche revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato che era stata disposta dalla competente Commissione istituita presso il Tar.
3. – Avverso tale decisione il sig. Pe. ha proposto appello chiedendone l’integrale riforma.
3.1 – Si è costituito in giudizio l’INPS chiedendo il rigetto dell’impugnativa.
4. – Alla Camera di Consiglio del 6 giugno 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. – L’appello va accolto nella sola parte relativa alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; per il resto va respinto con la precisazione (in relazione all’ultimo motivo di appello) che l’accoglimento parziale dell’appello comporta la ridefinizione del regime delle spese relative al doppio grado di giudizio.
6. – Prima di procedere alla disamina dei motivi di appello è opportuno riportare, in estrema sintesi, i presupposti sui quali si fonda la sentenza appellata.
Il TAR ha rigettato il ricorso, affermando:
– l’indeterminatezza della domanda relativa ad una serie indefinita di dati e documenti molti dei quali coperti da riservatezza;
– la mancata allegazione di prove sulle ragioni sottese all’istanza di accesso ritenendo non dimostrato il collegamento della propria posizione giuridica con gli atti dei quali si chiede l’esibizione;
– la mancata prova in ordine all’utilità di tali atti a fini difensivi con la precisazione che parte dei documenti richiesti non potevano essere nella disponibilità dell’ente previdenziale, in quanto il soggetto che aveva esercitato l’attività amministrativa era la Prefettura.
7. – Con il primo e secondo motivo di impugnazione l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per aver considerato generica, indeterminata e non pertinente la domanda di accesso e per aver ritenuto non diretto, concreto ed attuale, l’interesse azionato.
Con specifico riferimento a quest’ultimo aspetto, l’appellante ha precisato che lo scopo della domanda di accesso non avrebbe riguardato il giudizio promosso avverso il suo licenziamento disciplinare, bensì le azioni civili e penali che egli avrebbe inteso intraprendere nei confronti di soggetti a vario titolo coinvolti nell’attività investigativa a cui era stato sottoposto.
Ha poi precisato che all’accesso non potrebbe opporsi il diritto alla riservatezza e che, nel caso di specie, sarebbe stato dimostrato l’interesse concreto ed attuale all’esibizione della documentazione richiesta.
7.1 – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente in quanto connesse, non possono trovare accoglimento.
Occorre innanzitutto considerare che – come correttamente ritenuto dal TAR – l’appellante ha chiesto “una serie indefinita di dati e documenti (peraltro coperti in buona parte da riservatezza, ai sensi del medesimo art. 24, comma 6, legge n. 241 del 1990, come ad esempio i dati finanziari e professionali dei medesimi, la cui particolare necessarietà non è stata puntualmente posta in evidenza dalla difesa di parte ricorrente), senza al riguardo provvedere ad una benché minima specificazione o delimitazione dei medesimi”.
Correttamente l’INPS ha rappresentato che, avendo l’appellante già ottenuto l’ostensione della documentazione richiesta alla Prefettura e all’Amministrazione Penitenziaria, avrebbe dovuto delimitare l’istanza di accesso chiedendo la sola documentazione strettamente necessaria per la cura dei propri interessi difensivi, evitando di presentare una richiesta di accesso diretta, peraltro, sia all’INPS che all’INAIL, che comprendeva lo stesso elenco di documenti formato da ben 26 voci neppure identificate specificatamente, senza fornire elementi dai quali desumere la strumentalità di tale copiosa documentazione alla cura dei suoi interessi giuridici.
7.2 – Correttamente, quindi, il TAR ha ritenuto che l’istanza di accesso, oltre ad essere generica ed indeterminata, non fosse sostenuta da un idoneo interesse rilevando che:
– la legittimazione all’accesso presuppone la dimostrazione che gli atti oggetto dell’istanza siano in grado di spiegare effetti diretti o indiretti nella sfera giuridica dell’istante;
– la posizione da tutelare deve risultare comunque collegata ai documenti oggetto della richiesta di accesso;
– il rapporto di strumentalità deve evincersi dalla stessa istanza di accesso, non potendo la parte limitarsi a richiamare generiche esigenze difensive, dovendo al contrario fornire concreti elementi da cui desumere la correlazione logico-funzionale intercorrente tra la cognizione dei documenti e la tutela della posizione giuridica del soggetto richiedente l’accesso.
Nel caso di specie, come correttamente ritenuto dal TAR, le esigenze difensive non sono state adeguatamente rappresentate: l’istanza di accesso si limita a richiamare la vicenda del licenziamento e ad indicare generiche esigenze “di tutela dei propri interessi sia in sede civile che penale” senza specificare nel dettaglio l’oggetto del contenzioso instaurato o da instaurare (tenuto anche conto che il giudizio avverso il licenziamento, al quale si fa sempre riferimento negli atti e nella stessa istanza di accesso, è stato definito da tempo in senso a lui favorevole, come ha dimostrato in giudizio l’INPS).
Inoltre, gli interessi sottesi all’accesso e alla tutela della riservatezza debbano essere ponderati, volta per volta, alla ricerca di un armonico equilibrio operando un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e l’interesse conoscitivo sottostante alla richiesta di accesso.
La riservatezza è inserita a pieno titolo nel novero dei limiti previsti per il diritto di accesso dall’art. 24 della L. n. 241/1990, e quindi non può essere considerato un elemento contrastante con il principio di trasparenza perseguito dal legislatore.
Vanno quindi ribaditi i principi già espressi da questo Consiglio di Stato secondo cui: “Ai sensi di quanto disposto dall’art. 24, comma 7, della legge 241/1990, per le richieste di accesso agli atti amministrativi deve essere effettuata, caso per caso, un’attenta valutazione in merito alla stretta funzionalità dell’accesso alla salvaguardia di posizioni soggettive protette, che si ritengono lese.” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15/11/2018 n. 6444).
7.3 – E’ opportuno ribadire, infatti, che dalla disamina dell’istanza di accesso, e soprattutto dalla lettura degli atti relativi al giudizio di grado, le esigenze difensive – ultronee rispetto alla vicenda del licenziamento disciplinare – non si evincono in modo chiaro; in tali atti, infatti, si fa riferimento alla necessità di poter verificare la regolarità fiscali, contributive, assicurative della società investigativa, in quanto le risultanze delle stesse sarebbero state poste a fondamento del licenziamento, impugnato avanti l’AGO. Ragionevolmente, quindi, il giudice di primo grado ha correlato la domanda di accesso alla problematica relativa al giudizio avverso il licenziamento disciplinare.
In ogni caso è opportuno ribadire che ove la richiesta di accesso fosse stata espressamente articolata per supportare le proprie pretese in sede civile (avendo proposto la domanda di risarcimento del danno) o in sede penale (a seguito di denuncia nei confronti dei soggetti che avevano svolto investigazioni nei suoi confronti), il sig. Pe. avrebbe dovuto comunque fornire elementi di prova in relazione alle azioni proposte e alla strumentalità della documentazione di cui si era chiesta l’esibizione ai fini processuali, non potendo limitarsi ad indicare genericamente la volontà di utilizzarla in sede civile o penale, tenuto conto che la documentazione richiesta impattava con il diritto alla riservatezza di soggetti terzi e riguardava una mole notevolissima di documenti, neppure chiaramente individuati.
Le doglianze vanno quindi respinte.
8. – Con il terzo motivo di appello lamenta l’appellante l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’inconferenza della domanda di accesso e di quella giudiziale.
Secondo l’appellante l’istanza di accesso non aveva ad oggetto informazioni e segnalazioni riguardanti la licenza, ma unicamente i rapporti lavorativi di dipendenza e/o di collaborazione con i soggetti ivi indicati, documentazione detenuta e formata dall’INPS.
8.1 – La prospettazione dell’appellante non può essere condivisa in quanto contrasta con il chiaro tenore dell’istanza di accesso nella quale si precisa che “la documentazione anzidetta è necessaria al fine di verificare la legittimità …..delle licenze (e dei relativi rinnovi) mediante le quali il sig. (….) è stato autorizzato dalla Prefettura di Milano ad esercitare l’attività di investigatore privato….”.
La decisione del TAR si fonda, quindi, su una evidente incongruenza contenuta nell’istanza di accesso.
9. – Con il quarto motivo censura l’appellante il capo di sentenza di primo grado che ha disposto la revoca del patrocinio a spese dello Stato.
Ha dedotto, a sostegno della propria impugnativa, che il ricorso non sarebbe manifestamente infondato.
13.1 – La doglianza è fondata.
Dispone l’art. 74, comma 2, del Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. n. 115/2002) che “è, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate”.
Il primo giudice, avendo ritenuto infondato il ricorso, ha disposto conseguentemente la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta, in via provvisoria, dalla competente Commissione istituita presso il Tribunale.
L’art. 74 cit., però, richiede solo la “non manifesta infondatezza” della pretesa azionata e non la sua fondatezza: il criterio assunto dal Legislatore è più elastico, tenuto conto della rilevanza costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.), che potrebbe venire frustrato ove fosse richiesta – per beneficiare del patrocinio gratuito – la prova della fondatezza delle ragioni che si intendono far valere in sede giurisdizionale.
Ne consegue che – sebbene nella stragrande maggioranza dei casi il rigetto dell’impugnativa è correlato alla manifesta infondatezza della pretesa azionata in sede giurisdizionale – nondimeno possono sussistere delle eccezioni: possono ricorrere casi in cui vi siano margini di incertezza sull’interpretazione delle disposizioni applicabili, in cui vi sia un orientamento non sempre conforme da parte della giurisprudenza, tanto da poter giustificare, anche in caso di rigetto del ricorso, la conferma dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in considerazione della “non manifesta infondatezza” della pretesa azionata (requisito previsto dall’art. 74 del d.p.r. n. 115/2002)
13.2 – Ricorre nel caso di specie questa particolare ipotesi, tenuto conto che il ricorrente – pur avendo formulato un’istanza di accesso “sovrabbondante”, non sufficientemente dettagliata e a tratti incongruente con riferimento alle esigenze perseguite – ha comunque formulato l’istanza a fini non meramente conoscitivi, ma difensivi.
In tema di accesso difensivo l’orientamento della giurisprudenza è piuttosto elastico, sicchè la domanda del sig. Pe. non poteva qualificarsi come palesemente infondata, tanto è vero che in appello la competente Commissione istituita presso il Consiglio di Stato, con decreto n. 1/2019, ha ammesso l’appellante a beneficiare del patrocinio a spese dello Stato.
Ne consegue che va accolto il sesto motivo di appello e, quindi, va riformato il capo di sentenza che ha revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in primo grado.
Per la stessa ragione va confermato il decreto n. 1/2019 della Commissione per il Patrocinio a spese dello Stato istituita dinanzi a questo Consiglio di Stato.
14. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va accolto nella sola parte relativa alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (quarto motivo di appello) e per il resto va respinto.
15. – Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra le parti in considerazione della particolarità della fattispecie.
Infine, con separato decreto si provvederà alla liquidazione del compenso spettante al difensore.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nella sola parte indicata in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, ammette l’appellante al patrocinio a spese dello Stato; per il resto lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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