La sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore colpito da un provvedimento di interdittiva antimafia

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 2 maggio 2019, n. 2855.

La massima estrapolata:

La sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore colpito da un provvedimento di interdittiva antimafia e da questi rappresentati impone di verificare nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso; l’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, infatti, permane inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo.

Sentenza 2 maggio 2019, n. 2855

Data udienza 21 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9274 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della -OMISSIS-, rappresentati e difesi, dall’avvocato Ge. Gr. e con questi elettivamente domiciliati in Roma alla via (…), presso l’avvocato An. Fi. – studio AB. & Pa.;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…),
l’Ufficio territoriale del Governo – Prefettura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli – sez. I, n. -OMISSIS- del 26 luglio 2018, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Prefettura di Napoli n. -OMISSIS- del 24 ottobre 2017, che ha confermato l’interdittiva antimafia del 18 aprile 2012.
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Vista la memoria di replica, depositata dal Ministero dell’interno in data 22 febbraio 2019;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con provvedimento del 18 aprile 2012 il Prefetto di Napoli ha emesso interdittiva antimafia nei confronti della -OMISSIS-, società con sede in -OMISSIS- (Na), avente per oggetto sociale l’industria di recupero e trasformazione di rottami ferrosi e non, la raccolta di rifiuti solidi urbani, l’espurgo di fogne e il trasporto di liquami nonché l’attività edilizia, sia in Italia che all’estero.
La società è di proprietà del signor -OMISSIS-, che possiede il 50% delle quote ed è anche amministratore della società, mentre il restante 50% è di proprietà del signor -OMISSIS-.
L’interdittiva è stata emessa dal Prefetto di Napoli in data 18 aprile 2012 sul rilievo che il signor -OMISSIS- era stato destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 416, 483, e 640 c.p. ed artt. 260 e 256, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, unitamente ai -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-; questi ultimi, inoltre, erano stati rinviati a giudizio nell’ambito del procedimento penale n. -OMISSIS- (stralcio del procedimento n. -OMISSIS-), unitamente ai più noti boss -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-.
Con sentenza n. -OMISSIS- dell’11 aprile 2013 la sez. I del Tar Napoli ha respinto il ricorso proposto dalla società avverso l’interdittiva antimafia.
Nella pendenza del giudizio di appello la stessa società, in data 30 settembre 2014, ha presentato istanza di aggiornamento delle informazioni antimafia ai sensi dell’art. 91, comma 5, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 affermando che: la misura cautelare, emessa nel lontano febbraio del 2009 durante le indagini preliminari di tale procedimento, nei confronti del signor -OMISSIS-, era stata annullata con provvedimento del Tribunale del riesame; il procedimento a carico dei -OMISSIS- del signor -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, non coinvolgeva né lo stesso -OMISSIS- né la società -OMISSIS- di cui è amministratore, essendo imputati nella qualità di rappresentanti della società -OMISSIS- con sede in -OMISSIS- (CE), per il reato di furto e danneggiamento di due carrelli elevatori appartenuti alla -OMISSIS- di -OMISSIS-. Alla Prefettura il signor -OMISSIS- ha trasmesso anche gli aggiornamenti della propria posizione, come la sentenza n. -OMISSIS- del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Seconda Sezione Penale – Collegio B, resa in data 14 luglio 2015 nel procedimento n. -OMISSIS- rgnr. e n. -OMISSIS- rgdib, di assoluzione da tutti i reati a lui contestati – artt. 416 c.p. e 260, d.lgs. n. 152 del 2006 – perché il fatto non sussiste.
Nelle more della decisione sull’istanza di aggiornamento la sez. III del Consiglio di Stato, con sentenza n. -OMISSIS- del 16 novembre 2016 ha respinto l’appello, affermando di non poter valutare la sopravvenuta sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. -OMISSIS- del 2015 di assoluzione (perché il fatto non sussiste) del signor -OMISSIS- dal reato di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006, atteso che la legittimità dell’interdittiva antimafia “…. deve essere giudicata alla stregua della situazione, di fatto e di diritto, esistente al momento della sua adozione e che, quindi, la predetta sopravvenienza può valere, al più, a sollecitare una revisione o un aggiornamento della misura in questione, ma non certo ad inficiarne la validità ….”.
Con provvedimento n. -OMISSIS- del 24 ottobre 2017 il Prefetto di Napoli ha confermato l’interdittiva antimafia del 18 aprile 2012.
Avverso detto provvedimento la -OMISSIS-, ha proposto ricorso al Tar Napoli che, con sentenza n. -OMISSIS- del 26 luglio 2018, lo ha respinto.
2. La sentenza del Tar Napoli n. -OMISSIS- del 26 luglio 2018 è stata impugnata con appello notificato e depositato il 19 novembre 2018 deducendo.
a) Error in iudicando et in procedendo – Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91, d.lgs. n. 159 del 2011 – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Eccesso di potere (difetto di istruttoria – difetto di motivazione – difetto del presupposto – illogicità manifesta – omessa ed erronea valutazione del quadro indiziario – arbitrarietà – sviamento).
La sentenza del Tar Napoli è viziata per omessa pronuncia su più motivi di ricorso ed una ricostruzione sintetica ed incompleta delle ipotesi accusatorie formulate a carico dell’appellante, utilizzando in motivazione solo le circostanze che più comodamente potevano condurre ad una declaratoria di rigetto del ricorso.
b) Error in iudicando et in procedendo – Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91, d.lgs. n. 159 del 2011 – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità – Eccesso di potere (arbitrarietà, difetto dei presupposti di istruttoria, motivazione apparente, inconferenza, pretestuosità, sviamento).
Nel proseguire nel suo iter motivazionale, la sentenza gravata si è spinta a porre a carico dell’appellante responsabilità non accertate neppure dalle sentenze penali di assoluzione.
c) Error in iudicando et in procedendo – Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91, d.lgs. n. 159 del 2011 – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità – Eccesso di potere (arbitrarietà, difetto dei presupposti di istruttoria, motivazione apparente, inconferenza, pretestuosità, sviamento).
La sentenza è viziata da ultra petitum in quanto da un provvedimento del Giudice penale di assoluzione ricava argomenti, neppure espressi dal Prefetto di Napoli nel provvedimento interdittivo impugnato in primo grado.
3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, che con “memoria di replica” ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello.
4. L’Ufficio territoriale del Governo – Prefettura di Napoli non si è costituito in giudizio.
5. Alla pubblica udienza del 21 marzo 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio preliminarmente precisa che non ha tenuto in considerazione, al fine del decidere, la “memoria di replica” depositata dal Ministero dell’interno il 22 febbraio 2019.
La giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che ai sensi dell’art. 73, comma 1, c.p.a., nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. q), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195(c.d. primo correttivo al Codice), le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della controparte ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.), atteso che la ratio legis si individua nell’impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell’evitare elusioni dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l’espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica con la conseguente impossibilità per l’avversario di controdedurre per iscritto (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5676). Nel caso all’esame del Collegio la società -OMISSIS- non ha depositato alcuno scritto difensivo ulteriore all’atto di appello.
Né la memoria di replica può essere considerata prima memoria se depositata, come nel caso all’esame del Collegio, oltre il termine d-OMISSIS-ta giorni previsto dall’art. 73 c.p.a. (Cons. St., sez. III, 28 gennaio 2015, n. 390; 4 giugno 2014, n. 2861).
In ogni caso, la memoria del Ministero dell’interno non conteneva alcuno spunto difensivo ulteriore ai presupposti di fatto e di diritto che emergono con tutta evidenza dal provvedimento del Prefetto del 24 ottobre 2017, che ha respinto l’istanza di aggiornamento delle informazioni antimafia ai sensi dell’art. 91, comma 5, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
2. L’appello è infondato.
La sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore colpito da un provvedimento di interdittiva antimafia e da questi rappresentati impone di verificare nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso. L’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, infatti, permane inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo.
Sul presupposto che fossero intervenuti fatti nuovi la società -OMISSIS-, in personale del suo legale rappresentante, signor -OMISSIS-, in data 30 settembre 2014 ha presentato al Prefetto di Napoli istanza di aggiornamento delle informazioni antimafia ai sensi dell’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011.
Il Collegio ritiene che la reiezione di tale istanza (con provvedimento del 24 ottobre 2017) e la valutazione della Prefettura circa la persistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa siano ragionevoli e immuni dai vizi dedotti in appello.
Giova preliminarmente richiamare i principi ormai consolidati del giudice di appello (tra le tante, Cons. St., sez III, 26 febbraio 2019, n. 1349) e di quello di primo grado nella materia dell’interdittiva antimafia.
Ed invero, pur essendo necessario che nell’interdittiva antimafia siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione, non è invece necessario un grado di dimostrazione probatoria ana a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.
Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (Cons. St., sez. III, 13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743).
Come chiarito dalla Sezione (30 gennaio 2019, n. 759), l’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, potendo essere anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento.
L’introduzione delle misure di prevenzione, come quella qui in esame, è stata dunque la risposta cardine dell’Ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata.
Una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia.
La sopra richiamata funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).
3. Ciò preliminarmente chiarito, il Collegio ritiene che il provvedimento della Prefettura di Napoli n. -OMISSIS- del 24 ottobre 2017, che ha valutato ancora attuale l’interdittiva antimafia del 18 aprile 2012 – la cui legittimità era stata accertata dal Tar Napoli con sentenza n. -OMISSIS- dell’11 aprile 2013, confermata in appello con sentenza n. -OMISSIS- del 3 novembre 2016 – resista ai motivi di gravame.
Giova ricordare che la società -OMISSIS-, ai fini dell’aggiornamento della propria posizione, aveva rappresentato che: 1) l’ordinanza di custodia cautelare emessa nel febbraio del 2009 nei confronti del sig. -OMISSIS-, unitamente ai -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, incardinata nel procedimento penale n. -OMISSIS- P.M. e n. -OMISSIS- GIP, non è riconducibile a contesti mafiosi ed è stata annullata con provvedimento del Tribunale del Riesame; 2) la -OMISSIS- si occupa di una attività diversa da quella svolta dalle società -OMISSIS-ribili ai -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- (società -OMISSIS-) o al -OMISSIS- -OMISSIS- (società -OMISSIS-), e comunque non ha collegamenti con le stesse; 3) il procedimento penale n. -OMISSIS- (stralcio proc. n. -OMISSIS-) non coinvolge in alcun modo la persona di -OMISSIS-, né la società -OMISSIS-; si tratta di un procedimento a carico dei soli -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, imputati nella qualità di rappresentanti della -OMISSIS- con sede in -OMISSIS- (CE); 4) non risponde al vero che i due imputati, i -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- siano stati rinviati a giudizio insieme ai più noti boss -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-; al riguardo la Corte di Assise di Napoli ha disposto la separazione della posizione degli imputati -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- per il reato di cui al capo 36.
Nel respingere l’istanza di aggiornamento il Prefetto ha fatto presente che: 1) il procedimento penale n. -OMISSIS- (stralcio proc. n. -OMISSIS-) nel quale figurano imputati i due -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, unitamente al citato -OMISSIS-, per i reati di cui agli artt. 81 cpv, 110, 624, 625, comma 1, n. 7, 635, 61 n. 2, c.p., “perché agendo in concorso tra loro, s’impossessavano dei veicoli…sottoposti a sequestro…sottraendoli all’amministrazione giudiziaria, per poi procedere al loro danneggiamento… al fine di…simulare l’esistenza di una vendita autorizzata di materiale ferroso… con l’aggravante di aver commesso il fatto su cose sottoposte a sequestro”, è tuttora pendente, con udienza fissata in data 23 febbraio 2018; 2) il procedimento penale n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-, a carico di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, si è definito con sentenza n. -OMISSIS- del 20 marzo 2015, emessa dal Tribunale di Brescia, competente territorialmente. Detta Autorità Giudiziaria ha condannato: -OMISSIS- -OMISSIS- a 4 anni, 5 mesi e 10 gg. di reclusione e pene accessorie, per i reati di cui agli artt.110, 81 c.p., 260, d.lgs. n. 152 del 2006, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (capo A), artt. 110, 81, 479 c.p. (capo I), artt. 81, 110, 640, II comma, c.p. (capo N); ha condannato -OMISSIS- -OMISSIS- a tre anni di reclusione, per i reati di cui agli artt. 110, 81, 479 c.p. (capo I), artt. 81; 110, 640, comma 2, c.p. (capo N); ha assolto -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- dall’accusa dei reati di cui agli artt. 110, 81, 479 c.p. (capo I), artt. 110, 81, 323 c.p. (capo L), artt. 81, 110, 640, comma 2, c.p. (capo N), “per non aver commesso il fatto”; 3) il procedimento penale il n. -OMISSIS- r.g.n. r. – n. -OMISSIS- R.G. GIP, a carico dei -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, si è definito con sentenza n. -OMISSIS-/15 del 14 luglio 2015, emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE), che ha condannato -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- a due anni di reclusione, in quanto responsabile del delitto di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006 (capo A), mentre ha dichiarato “non doversi procedere” nei confronti di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006 (capo C) per intervenuta prescrizione; ha, infine, assolto i quattro -OMISSIS- -OMISSIS- dai capi di imputazione A (art. 416 c.p.), B (art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006), D (art. 483 c.p.) ed E (art. 640, comma 2, c.p.), “perché il fatto non sussiste”. Ha aggiunto il Prefetto che nelle sentenze n. -OMISSIS-/15 e n. -OMISSIS-/15, emesse, rispettivamente, dal Tribunale di Brescia e dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con le quali i -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- sono stati condannati per il reato di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006, ricompreso nel novero dei delitti di cui all’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., tipizzato dall’art. 84, comma 4, lett. a), del Codice Antimafia, nonostante la pronuncia di assoluzione nei confronti di -OMISSIS-, si pone in risalto il ruolo di “cogestore di fatto” dello stesso, unitamente ai -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, delle società coinvolte nei procedimenti penali medesimi (-OMISSIS- ed -OMISSIS-).
Su questo ultimo punto il Collegio ritiene di doversi primariamente soffermare sottolineando come nella citata sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. -OMISSIS-/15 del 14 luglio 2015 più volte l’appellante -OMISSIS- viene individuato come “cogestore di fatto” della -OMISSIS-. Alla gestione di fatto della società da parte di -OMISSIS-, fino al suo sequestro intervenuto il 3 ottobre 2007, si fa, dunque, più volte cenno in sentenza.
E’ vero che in detta sentenza si esclude una stabile partecipazione di -OMISSIS- nell’attività illecita nella struttura organizzativa della -OMISSIS- (le intercettazioni telefoniche “non consentono, in mancanza di altri elementi probatori, di concludere per l’inserimento stabile di -OMISSIS- -OMISSIS- nella struttura organizzativa della -OMISSIS- e di ravvisare a suo carico la stabile partecipazione alle attività illecite di gestione dei veicoli fuori uso dei -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, gestori di tale società, né in termini di partecipazione ad una associazione per delinquere – nella specie insussistente -, né quale concorrente nel reato di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006”). Il Tribunale ha infatti affermato che “non è risultata provata l’attività di recupero del rame presso la -OMISSIS- e non è emersa prova sufficiente del coinvolgimento stabile di -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- nelle attività illecite in essere presso la -OMISSIS-: pertanto gli imputati debbono essere assolti anche dal capo A (id est, “del delitto p.p. dall’art. 416, commi 1, 2, 3 e 5 c.p. per aver promosso, costituito ed organizzato, o comunque partecipato ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di traffico illecito di rifiuti attraverso attività organizzate (art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006), di falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 c.p.) e di truffa aggravata ai danni dello Stato e di enti pubblici (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.) attraverso l’abusiva gestione di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi e speciali ciascuno apportando il proprio consapevole contributo alle finalità dell’associazione nella qualità e secondo modalità e ruolo di seguito descritti”)”. Nella pronuncia del giudice penale si fa però sempre -OMISSIS-rimento alla mancanza di prove di uno “stabile” coinvolgimento con l’attività illecita dell’-OMISSIS- (v. ad es., pag. 64 della sentenza), senza peraltro escludere la vicinanza tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS-
Aggiungasi che la connotazione prognostica della valutazione di permeabilità criminale, suscettibile di legittimare l’adozione della misura antimafia, ne rimarca la differenza, in termini di spessore probatorio delle acquisizioni istruttorie sulle quali si fonda, rispetto all’accertamento penale, legittimando la perdurante valenza degli elementi indiziari raccolti nel corso delle indagini preliminari, anche quando, conclusosi il relativo giudizio, quegli elementi non abbiano attinto il livello di dignità dimostrativa della prova piena, quale si forma nel contraddittorio dibattimentale: ciò quantomeno nei casi in cui l’esito finale del giudizio penale non si ponga – come nel caso di specie, nel quale il giudice penale ha escluso lo “stabile” collegamento – in rapporto di palese ed insanabile antinomia rispetto a quegli elementi, attestandone la radicale inutilizzabilità in chiave preventiva (Cons.St., sez. III, 15 marzo 2019, n. 1715).
4. La stessa sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. -OMISSIS-/15 del 14 luglio 2015 ha ancora assolto -OMISSIS- relativamente al capo C (id est, dal reato previsto e punito dagli artt. 81, 110 – 112 c.p., 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 perché in concorso con coimputati, nelle rispettive qualità in tempi diversi ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, effettuavano attività di gestione – raccolta, trasporto, intermediamone, recupero, smaltimento – dei rifiuti speciali anche pericolosi, senza le autorizzazioni necessarie per la tipologia di rifiuti e/ o comunque gestiti) ma non con la formula piena “perché il fatto non sussiste”, bensì per intervenuta prescrizione, con conseguente assenza di valutazioni sotto i profili di merito della causa, non potendosi dunque escludere la sussistenza, nella loro oggettività, di fatti altamente sintomatici dell’infiltrazione mafiosa.
Alla circostanza – tutt’altro che irrilevante – della mancata assoluzione per insussistenza del fatto penalmente addebitato si aggiunge che in ogni caso gli elementi posti a base dell’informativa, proprio per la ratio ad essa sottesa, possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707). In questo senso diventa dunque irrilevante la circostanza, affermata in appello (pag. 9), che il signor -OMISSIS- “era ed è incensurato” o che sono poste a carico dello stesso signor -OMISSIS- responsabilità non accertate neppure dalle sentenze penali di assoluzione (pag. 10).
In ogni caso, la citata sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato i signori -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- di -OMISSIS-, a due anni di reclusione per il reato di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006 commesso nella qualità, rispettivamente, di amministratore della -OMISSIS-s.r.l. il primo e di cogestore di fatto della -OMISSIS- il secondo.
La gravità dei reati ascritti, ritenuti dal Codice antimafia cd. reati – spia, e la vicinanza di -OMISSIS- ai -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, supportano in maniera già di per sé sufficiente il diniego di aggiornamento della posizione della società -OMISSIS- -OMISSIS-.
Con -OMISSIS-rimento ai -OMISSIS- -OMISSIS- a -OMISSIS- -OMISSIS- – la cui posizione, si ripete, rileva in considerazione della loro vicinanza a -OMISSIS- – va ricordato che a mente dell’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli artt. 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e di cui all’art. 12-quinquies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356”.
Rispetto ai suddetti titoli di reato, contenuti nell’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, il legislatore ha, dunque, inteso operare una selezione a monte delle condotte che riflettono in sé il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso.
Trattasi di un cata di reati che, nella valutazione ex ante fattane dal legislatore, integrano una ‘spià di per sé sola sufficiente ad imporre, nella logica anticipata e preventiva che permea la materia delle informative antimafia, l’effetto interdittivo nei rapporti con la pubblica amministrazione. Pertanto, ove il Prefetto abbia contezza della commissione di taluni dei delitti menzionati nell’art. 84, comma 4, lett a), e sino quando non intervenga una sentenza assolutoria, deve limitarsi ad’attestarè la sussistenza del rischio infiltrativo siccome desunto dalla mera ricognizione della vicenda penale nei termini e nei limiti in cui è contemplata dalla disposizione più volte richiamata (devono esserci, cioè, almeno provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva) (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555).
Nella specie i -OMISSIS- del signor -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, sono stati condannati per il reato previsto dall’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006; il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso (Cons. St., sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109; 28 ottobre 2016, n. 4555; 28 aprile 2016, n. 1632; 21 dicembre 2012, n. 6618).
Così ricostruita la questione in punto di fatto, in diritto occorre richiamare i principi, più volte ribaditi dalla Sezione, in ordine all’importanza che assume in determinati contesti il vincolo familiare.
Le decisioni del responsabile di una società e la sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglià, sicché in una ‘famiglià mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del’capofamiglià e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglià e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti.
Nel caso in esame non è dubbia la vicinanza tra i -OMISSIS- -OMISSIS- – due dei quali (-OMISSIS- e -OMISSIS-) condannati, come si è detto, per reato qualificato “reato-spia” dall’art. 84, comma 4, del codice delle leggi antimafia – e l’appellante.
Lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza n. -OMISSIS- del 3 novembre 2016 che aveva confermato la legittimità dell’interdittiva antimafia emessa nel 2012 a carico della -OMISSIS-, ha affermato che “anche il sequestro, nell’ambito della medesima indagine, degli impianti delle società -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, ancorchè -OMISSIS-rito ad imprese formalmente estranee alla -OMISSIS-, risulta significativo del pericolo di contiguità illecite tra diversi operatori nel traffico di rifiuti, nella misura in cui le prime due erano amministrate da due -OMISSIS- del sig. -OMISSIS- (anch’essi sottoposti alla stessa indagine).”
Né può ritenersi che l’assoluzione in sede penale del signor -OMISSIS- vincolasse il Prefetto a rivedere l’interdittiva del 2012. E’ noto, infatti, che il Prefetto deve effettuare un autonomo apprezzamento, nel suo contenuto intrinseco, delle risultanze penali (Cons. St., sez. III, 22 marzo 2017, n. 1315), senza istituire un automatismo né in caso di condanna né di assoluzione.
Infine, non rileva neanche la circostanza che solo dopo la cessione delle quote della -OMISSIS- da parte dei -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- (avvenuta il 23 febbraio 2011) detta società sia stata gravata da provvedimento interdittivo (adottato dal Prefetto di Napoli il 27 aprile 2012) atteso che il momento in cui questo strumento cautelare è adottato non fotografa l’inizio della vicinanza della società agli ambienti della criminalità organizzata, che possono trovare la loro genesi anche in epoca di gran lunga antecedente. Giova a tale proposito ricordare che alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707; 7 marzo 2013, n. 1386).
Ad avvalorare ulteriormente la vicinanza de-OMISSIS–OMISSIS- è la serie di cointeressenze aziendali e familiari della -OMISSIS-, che trova il punto di origine nella -OMISSIS-, puntualmente evidenziate nel provvedimento della Prefettura di Napoli del 24 ottobre 2017, che ha confermato l’interdittiva antimafia del 18 aprile 2012.
In particolare, socio della -OMISSIS- era il -OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS- (-OMISSIS- signora -OMISSIS-) signor -OMISSIS-, che era altresì socio di maggioranza della società -OMISSIS-. Tale ultima società aveva tra i suoi dipendenti -OMISSIS–OMISSIS- dell’appellante, -OMISSIS- (direttore tecnico della stessa società fino all’8 luglio 2014), -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-.
Come se non bastasse a evidenziare il legame anche di affari tra i -OMISSIS- -OMISSIS-, in data 26 novembre 2007 la citata -OMISSIS- ha acquistato la -OMISSIS- in liquidazione, sita in -OMISSIS-, -OMISSIS-, e unità locale in -OMISSIS- (CE), indirizzo al quale sono ubicate le società -OMISSIS- e -OMISSIS- – riconducibili al bos dei -OMISSIS- -OMISSIS- (condannato, con sentenza n. 14 del 2016 – procedimento penale n. -OMISSIS- – dalla quinta Sezione della Corte di Assise di Napoli, in data 15 luglio 2016, a venti anni di reclusione, per i reati ascrittigli al capo 1 – art. 416 bis, commi 1-6 e 8, c.p.- e al capo 2 – artt. 110, 81 cpv, 629, comma 2, con -OMISSIS-rimento all’art. 628, comma 3, nn. 1 e 2, c.p., art. 7, l. n. 203 del 1991) e a sua -OMISSIS- – entrambe in liquidazione (le quote di proprietà del -OMISSIS- e della -OMISSIS- sono state destinatarie di provvedimento di confisca).
Non smentisce questa evidenziata connessione e vicinanza tra le predette società la circostanza, dedotta in appello, che la -OMISSIS- fosse stata ceduta dal -OMISSIS- del signor -OMISSIS- il 18 ottobre 2017. A prescindere, infatti, che si tratta di appena sei giorni prima l’adozione del provvedimento impugnato e quindi di trasferimento successivo all’istanza di aggiornamento del 1° ottobre 2014, e dunque di movimento che potrebbe essere stato disposto nel tentativo di tagliare i collegamenti con i familiari vicini alla criminalità organizzata, è assorbente la considerazione che la contiguità alla malavita organizzata non si sradica in pochi giorni.
Ancora, il signor -OMISSIS- è dipendente della -OMISSIS-, che fino al 25 febbraio 2015 ha avuto sede allo stesso indirizzo della -OMISSIS-, dei -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-.
Il -OMISSIS-rimento ricorrente alla “stessa sede” dove sono ubicate le società dei -OMISSIS- -OMISSIS- e, ancora, del bos -OMISSIS- appare tutt’altro che “totalmente illogica, trattandosi di area industriale dove hanno sede molte imprese”, come afferma la società appellante (pag. 12 dell’appello). Nella logica del “più probabile che non”, infatti, la circostanza che più società, che gravitano su -OMISSIS- alcuni dei quali vicini ad esponenti di clan mafiosi, abbiano sede nella stessa strada ed al medesimo numero civico costituisce ulteriore indizio di collegamento.
E’ poi logico che tale conclusione non si estenda a tutte le centinaia di imprese che hanno sede nella stessa area industriale, non avendo tutte la caratteristica di essere vicini ai -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, a loro volta vicini al bos dei -OMISSIS- -OMISSIS-.
Altro elemento che condivisibilmente il Prefetto ha valutato nel respingere l’istanza di aggiornamento è, come si è detto, la vicinanza dei -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- al bos -OMISSIS-, senza che possa rilevare in senso contrario la circostanza che in sede penale la loro posizione fosse stata separata da quella dei bos -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-.
5. Rileva il Collegio come tale situazione in fatto e in diritto sia stata correttamente esaminata dal Prefetto di Napoli che, contrariamente a quanto afferma l’appellante, ha valutato (pagg. 2-6) le sopravvenienze rappresentante dalla società istante e, richiamanti anche gli approfondimenti istruttori delle Forse di polizia, le ha ritenute insufficienti a superare le ragioni che avevano determinato l’interdittiva del 2012 e, cioè, in estrema sintesi, la circostanza che sulla base del complesso di tutti gli elementi, visti quindi nel loro insieme, fosse “più probabile che non” la vicinanza della società agli ambienti della criminalità organizzata.
6. In conclusione, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Napoli sufficiente ad evidenziare la persistenza del pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
7. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
L’appello, nei diversi motivi in cui si sviluppa, deve quindi essere respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, in considerazione della complessità della vicenda contenziosa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore

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