Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5145.
La massima estrapolata:
Costituisce “costruzione”, ai sensi dell’art. 873 c.c., anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria ed abbia i caratteri della stabilità, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva qualificato come costruzione una tettoia aperta su un lato e saldamente fissata con la copertura al muro di confine, i cui montanti, pur essendo dei cavalletti mobili, erano cementati al suolo).
Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5145
Data udienza 28 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1481-2015 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati a (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) e rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati presso la Cancelleria della Corte di cassazione e rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS) per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
con l’intervento di:
(OMISSIS) e (OMISSIS), nella dedotta qualita’ di eredi dei ricorrenti, elettivamente domiciliati a (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), e rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione;
– interventori –
avverso la sentenza n. 332/2013, depositata il 10/10/2013, del TRIBUNALE DI PATTI, a seguito di ordinanza di inammissibilita’ della CORTE D’APPELLO di MESSINA DEL 20/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale non partecipata del 28/09/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS), con citazione del 20/8/2007, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Patti, (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo che fosse accertato il mancato rispetto da parte degli stessi delle distanze legali e la loro condanna alla demolizione e all’arretramento del loro fabbricato fino alla distanza legale, oltre ai danni. I convenuti, infatti, – hanno osservato gli attori – hanno realizzato alcuni manufatti al confine con il terreno di proprieta’ degli attori disattendendo la distanza minima di cinque metri da qualsiasi nuova costruzione rispetto al confine, stabilita nel P.R.G..
I convenuti si sono costituiti ed hanno dedotto che i manufatti avevano carattere accessorio e, quindi, che non potevano costituire ne’ un apprezzabile ampliamento dell’edificio ne’ un apprezzabile restringimento dello spazio tra le costruzioni.
Il tribunale di Patti, con sentenza del 10/10/2013, in parziale accoglimento delle domande proposte dagli attori, ha condannato i convenuti a demolire parzialmente la tettoria del corpo “A”, per la porzione e secondo le indicazioni risultanti dall’appendice 3 della relazione del consulente tecnico d’ufficio, e a demolire interamente il corpo di fabbrica “C”, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.
Il tribunale, in particolare, dopo aver premesso che le doglianze degli attori riguardano, di fatto, quei soli manufatti realizzati dai convenuti successivamente alla concessione in sanatoria n. 59/1998 ed alla sola parte di essi che si trova in posizione frontista rispetto al realizzando edificio degli attori, in relazione al mancato rispetto della distanza dal confine prevista dalle N.T.A. del P.R.G., vale a dire: 1) la costruzione di una tettoria in adiacenza al fabbricato “A”; 2) la realizzazione di un corpo di fabbrica ancorato al muro di confine che integra il manufatto descritto dal consulente tecnico d’ufficio come corpo “C”; 3) le opere accessorie, ha osservato:
– innanzitutto, quanto al fabbricato “C”, consistente in una “tettoia, aperta su un lato, appoggiata al muro di confine… realizzata con strutture precarie (copertura in lamiera grecata e montanti metallici cementati al suolo, generalmente utilizzati come cavalletti mobili nei cantieri edili…”), che “non si tratta di struttura precaria, ma di un manufatto stabile, a prescindere dalla tipologia di materiale con il quale e’ stato costruito”: ed infatti, ha aggiunto il tribunale, “se e’ vero che i montanti sono dei cavalletti mobili, essi nello specifico risultano cementati al suolo e la copertura e’ saldamente fissata al muro di confine con il fondo degli attori. In altri termini si tratta di un vero e proprio vano, aperto da un solo lato, che realizza una consistente volumetria (circa 80 mc) e che e’ mantenuto stabilmente in sito, atteso che – per le modalita’ costruttive – non e’ idoneo ad essere smontato in determinati periodi dell’anno. L’opera nel suo insieme, quindi, presenta i caratteri della stabilita’ ed immobilizzazione al suolo e, come tale, integra il concetto di costruzione per la quale vale l’obbligo del rispetto delle distanze legali”;
– in secondo luogo, quanto alla tettoia antistante il corpo “A”, che si tratta di un manufatto “che realizza una consistente volumetria (circa 480 mc)”, “avente strutture portanti stabilmente immobilizzate per incorporazione al suolo”, che “permane nel tempo e non viene smontato in determinati periodi dell’anno” e che ha i caratteri della solidita’, stabilita’ ed immobilizzazione rispetto al suolo. Il tribunale, quindi, stabilito che la prima delle predette opere e’ stata realizzata tra maggio 2000 e gennaio 2004 e che la seconda e’ iniziata nel settembre del 2003, ha ritenuto che, tanto alla luce delle norme di attuazione del P.R.G., adottato il 9/8/2000, quanto in base alle norme di attuazione dello strumento urbanistico previgente, i convenuti non potevano costruire sul confine e che, pertanto, gli stessi dovevano essere condannati a demolire parzialmente la cd. tettoia del corpo “A” e a demolire interamente il corpo di fabbrica “C”.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto appello rilevando: a) la violazione di legge, per essersi il giudice sostituito agli attori precisando le loro domande e ritenendole erroneamente circoscritte a quei soli manufatti realizzati successivamente al rilascio della concessione in sanatoria ed alla sola parte posta di fronte al realizzando loro edificio, laddove, invece, le domande riguardavano tutti i fabbricati e manufatti di proprieta’ dei convenuti oggetto della narrativa della citazione; b) l’errata valutazione della consistenza della tettoia “C”, trattandosi di un’opera precaria in quanto facilmente smontabile e, comunque, realizzata al di sotto del muro di confine cosi’ da non poter fronteggiare il fabbricato degli attori; c) la mancata confutazione da parte del consulente tecnico d’ufficio degli assunti difensivi volti a dimostrare l’esistenza dei manufatti “A”, “B” e della tettoria “C” sin dal 1994 e addirittura prima del 1978.
La corte d’appello di Messina, con ordinanza del 20/11/2014, ha dichiarato, a norma dell’articolo 348 bis c.p.c., l’inammissibilita’ dell’appello proposto.
(OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso notificato il 12.21/1/2015, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza del tribunale.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso notificato in data 25/2.3/3/2015. I controricorrenti hanno depositato memoria.
Con comparsa dell’8/6/2018 sono intervenuti (OMISSIS) e (OMISSIS), nella dichiarata qualita’ di eredi dei ricorrenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione di legge in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che le doglianze degli attori riguardassero di fatto solo i manufatti che i convenuti avevano realizzato successivamente alla concessione in sanatoria n. 59/1998 e la parte di essi che si trova in posizione frontista rispetto al realizzando edificio degli attori medesimi, laddove, in realta’, le conclusioni formulate dagli attori nell’atto introduttivo del giudizio hanno riguardato tutti i fabbricati e i manufatti di proprieta’ dei convenuti. Il tribunale, cosi’ facendo, hanno concluso i ricorrenti, si e’ illegittimamente sostituito alla parte attrice nella precisazione e nella puntualizzazione della domanda proposta.
2. Il motivo e’ infondato. I ricorrenti, infatti, si dolgono, in sostanza, dell’interpretazione che il tribunale ha dato dell’atto di citazione. Solo che, com’e’ noto, il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimita’ il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale previsti dagli articoli 1362 c.c. e ss., la cui portata e’ generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresi’ nel ricorso, a pena d’inammissibilita’, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici, oltre al testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione (Cass. n. 16057 del 2016): cio’ che, nel caso in esame, non e’ accaduto.
3. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omessa e/o l’erronea valutazione da parte del tribunale della consistenza della tettoia “C”, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che tale tettoia costituisse una costruzione e non un’opera precaria, laddove, al contrario, si tratta di un manufatto facilmente smontabile che risulta solo appoggiato da un lato sul muretto al confine e dall’altro lato su due puntelli che per sicurezza sono stati cementificati. I documenti prodotti in giudizio, poi, hanno aggiunto i ricorrenti, dimostrano che i manufatti “A” e “B” e della tettoia “C” esistevano sin dal 1994.
4. Il motivo e’ infondato. Il tribunale, infatti, ha accertato che il manufatto in questione e’ costituito da una “tettoia, aperta su un lato, appoggiata al muro di confine… realizzata con strutture precarie (copertura in lamiera grecata e montanti metallici cementati al suolo, generalmente utilizzati come cavalletti mobili nei cantieri edili…”) e che “non si tratta di struttura precaria, ma di un manufatto stabile, a prescindere dalla tipologia di materiale con il quale e’ stato costruito”: “se e’ vero che i montanti sono dei cavalletti mobili, – ha aggiunto il tribunale – essi nello specifico risultano cementati al suolo e la copertura e’ saldamente fissata al muro di confine con il fondo degli attori. In altri termini si tratta di un vero e proprio vano, aperto da un solo lato, che realizza una consistente volumetria (circa 80 mc) e che e’ mantenuto stabilmente in sito, atteso che – per le modalita’ costruttive – non e’ idoneo ad essere smontato in determinati periodi dell’anno”. “L’opera nel suo insieme, quindi, presenta i caratteri della stabilita’ ed immobilizzazione al suolo e, come tale, – ha correttamente concluso il tribunale integra il concetto di costruzione per la quale vale l’obbligo del rispetto delle distanze legali”. In effetti, come questa Corte ha piu’ volte affermato, ai fini delle prescrizioni di cui all’articolo 873 c.c. costituisce “costruzione” anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, come, appunto, nel caso di una tettoia, tutte le volte in cui, com’e’ risultato nel caso di specie, abbia i caratteri della stabilita’, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo (Cass. n. 28784 del 2005; Cass. n. 5934 del 2011). Quanto al resto, il tribunale ha accertato, in fatto, che la realizzazione delle opere in contestazione e’ iniziata, quanto alla prima, nel mese di maggio del 2000 e, quanto alla seconda, nel mese di settembre del 2003. Ed e’ noto che la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). In effetti, non e’ compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual e’ reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, e’ accaduto nel caso in esame.
5. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione di legge per omessa valutazione delle prove, in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha omesso di valutare le prove con le quali e’ stato dimostrato che le strutture esistevano sin dal 1978 e, comunque, antecedentemente al 1994.
6. Il motivo e’ infondato per le ragioni gia’ espresse nell’esame del secondo motivo.
7. Il ricorso deve’essere, quindi, rigettato.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
9. La Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 2.700,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17
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