Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 25 settembre 2018, n. 41228.
La massima estrapolata:
Laddove non sia applicabile il regime dell’Iva per cassa, la integrazione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74, articolo 10 ter, e’ ordinariamente svincolata dalla effettiva riscossione delle somme – corrispettivo relative alle prestazioni effettuate
Sentenza 25 settembre 2018, n. 41228
Data udienza 17 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 12 gennaio 2017;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa DI NARDO Marilia , il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 12 gennaio 2017, ha confermato la precedente sentenza con la quale, in data 23 dicembre 2015, il Tribunale di Arezzo, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, condizionato all’esame di un testimone della difesa, aveva dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) in relazione alla imputazione di avere violato il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter, per avere, in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) Srl” omesso di versare, al fine di evadere le imposte, l’Iva relativa all’anno di imposta 2009, risultante dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per un ammontare pari ad Euro 399.449,00 e lo aveva, pertanto, condannato alla pena di mesi 1 e giorni 10 di reclusione, in continuazione con la pena al (OMISSIS) gia’ irrogata a seguito di altra sentenza emessa sempre dal Tribunale di Arezzo il precedente 27 maggio 2011.
Ha interposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) avverso la predetta sentenza, articolando due motivi di impugnazione.
Il primo di essi concerne la violazione o falsa applicazione dell’articolo 54 cod. pen., per non avere i giudici del merito considerato che l’omesso versamento dell’iva di cui alla contestazione era dovuto al fatto che la societa’ gestita dal (OMISSIS) non aveva riscosso, in relazione all’anno di imposta in questione, una forte somma, pari ad oltre 700.000,00 Euro, da parte di un proprio cliente, ammesso al concordato preventivo.
In via subordinata il (OMISSIS) ha dedotto la imminente prescrizione del reato contestato, gia’ maturata con riferimento all’anno di imposta 2008, anche per quel che concerne l’anno di imposta successivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto e’ inammissibile.
Va, infatti, rilevato, quanto al primo motivo di impugnazione, che, in sostanza, il ricorrente ha impostato il proprio ragionamento difensivo, singolarmente svolto sotto il profilo della ricorrenza della esimente di cui all’articolo 54 cod. pen. (evidentemente del tutto estranea alla presente fattispecie – ove non si voglia ritenere che si sia trattato di un mero refuso dattilografico, volendo il ricorrente richiamare, invece che l’articolo 54 cod. pen., l’articolo 45 medesimo codice – atteso che non emerge la sussistenza di alcun pericolo di danno grave alla persona che possa avere indotto il (OMISSIS) ad omettere il pagamento dell’Iva dovuta), allegando la esistenza di una situazione di inesigibilita’ della prestazione tributaria, non essendo egli nella disponibilita’ della relativa provvista finanziaria a causa dell’inadempimento, o meglio del solo parziale adempimento, della obbligazione di pagamento di quanto fornitogli dalla (OMISSIS) da parte di un cliente di questa) ammesso alla procedura del concordato preventivo.
L’argomento, esaminato, appunto, nella prudenziale ottica che la disposizione di riferimento in ipotesi violata sia stata l’articolo 45 cod. pen., non ha pregio.
Come, infatti, piu’ volte da questa Corte affermato, in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria puo’ essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volonta’ e che sfuggono al suo dominio finalistico.
Al proposito ritiene questo Collegio che il rischio dell’inadempimento da parte del cliente costituisce uno degli aspetti del rischio di impresa cui l’imprenditore, ove non sia negligente, deve predisporre rimedi preventivi tramite l’accantonamento di risorse ovvero successivi, attraverso il ricorso al credito.
Nella specie la Corte escluse che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 25 febbraio 2015, n. 8352).
A rafforzare siffatta tesi giurisprudenziale, va, altresi’, ribadito che, laddove non sia applicabile il regime dell’Iva per cassa, la integrazione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74, articolo 10 ter, e’ ordinariamente svincolata dalla effettiva riscossione delle somme – corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 3 maggio 2013, n. 19099).
Va, peraltro, soggiunto che il ricorrente ha espressamente dichiarato che la Societa’ da lui amministrata ha redatto, con riferimento all’anno di imposta 2010, quindi l’anno successivo a quello per il quale vi e’ stata la contestazione penale, una nota di credito nella quale ha riportato, come non versata, la somma dovuta dal cliente inadempiente, in tal modo ponendo le basi per la successiva compensazione dell’Iva non riscossa.
Relativamente al secondo motivo di impugnazione si osserva che lo stesso e’ del tutto infondato in quanto, anche a volere seguire il ragionamento del (OMISSIS) in relazione alla maturazione ventura, rispetto al momento della redazione del ricorso, della prescrizione, essa, essendo il reato contestato intervenuto alla data del 27 dicembre 2010, maturerebbe solo in data 27 giugno 2018, quindi, anche a prescindere dalla inammissibilita’ della attuale impugnazione (la quale avrebbe reso irrilevante la prescrizione anche nel caso il cui la stessa si fosse verificata nelle more fra la sentenza di appello e la presente decisione), a tuttoggi il reato contestato ancora non e’ estinto per prescrizione.
Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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