SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
Ordinanza 19 giugno 2012, n. 10089
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:
“SERIT Sicilia spa (già Montepaschi SERIT spa) ricorre contro G.S. per la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello di Caltanissetta ha respinto l’appello contro un sentenza del Tribunale di Caltanissetta che aveva annullato il preavviso di fermo amministrativo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 86, (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16, e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1), notificato al G. il 26.4.04 a garanzia del pagamento di cartelle esattoriali relative a debiti tributavi.
La Corte di Appello aveva ritenuto illegittimo il preavviso di fermo amministrativo, in quanto emesso prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, convertito con la L. n. 248 del 2005, negando efficacia retroattiva alla disposizione di cui all’art. 3, comma 41, di detto D.L., che recita: Le disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 86, si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel D.M. 7 settembre 1998, n. 503, del Ministro delle finanze.
Il ricorso della SERIT Sicilia spa è affidato due motivi.
Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 1, si denuncia il difetto di giurisdizione dell’a.g.o., a favore del giudice tributario, giusta il disposto della L. n. 248 del 2006, art. 35, comma 26 quinquies, invocando a sostegno del motivo il precedente delle Sezioni Unite di questa Corte n. 10672/09.
Col secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, in riferimento all’art. 11 preleggi, e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in cui il giudice di merito sarebbe incorso negando la natura interpretativa e la portata retroattiva della disposizione recata da della norma.
Il primo motivo appare inammissibile, perchè precluso dal giudicato interno formatosi sulla giurisdizione dell’a.g.o.; la sentenza di primo grado, infatti, annullando il fermo amministrativo impugnato, ha implicitamente affermato la giurisdizione dell’a.g.o. e tale statuizione non è stata censurata in appello (cfr. Cass. 24993/08, Cass. 2753 1/08 e, da ultimo, Cass. 2067/11, così massimata: Allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente, l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formalo il giudicalo implicito sulla giurisdizione).
Il secondo motivo appare manifestamente fondato.
Premesso che la lettera del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, manifesta senza possibilità di dubbio la volontà del legislatore di imprimere a detta disposizione funzione interpretativa (Le disposizioni dell’art. 86… si interpretano nel senso che) e, quindi, efficacia retroattiva e che, d’altra, parte, la ratio legis va palesemente individuata nell’intenzione del legislatore di rendere possibile il fermo amministrativo di cui al D.P.R. n. 602 del 1972, art. 86, (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16, e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1) anche prima dell’emanazione del decreto previsto dal comma 4 di detto articolo, il punto da affrontare è se possa attribuirsi efficacia retroattiva ad una norma (non penale) che il legislatore ha qualificato come interpretativa, pur quando essa abbia, come nella specie, una portata sostanzialmente innovativa dell’ordinamento.
La risposta – negativa – fornita a tale quesito dal giudice di merito appare errata, perchè contrasta con l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui: Benchè il carattere effettivamente interpretativo di una disposizione di legge che, autoqualificandosi come norma di interpretazione autentica, imponga di attribuire un determinato significato a precedenti disposizioni introdotte da fonti di pari grado, fornisca spesso materia di dubbi, non può dubitarsi invece che il ricorso ad una norma interpretativa esprima la volontà del legislatore di far regolare da essa fattispecie formatesi precedentemente alla sua entrata in vigore. In altri termini, qualificando una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica il legislatore intende chiaramente attribuirle effetti retroattivi, poichè per imporre solo per il futuro una determinata disciplina il ricorso a tale qualificazione sarebbe evidentemente superfluo (v. art. 11 disp. gen.). Quindi, come esattamente osservato nel ricorso, negare effetti retroattivi ad una norma di legge che intende stabilire come debba interpretarsi una legge precedente, significa violare il precetto che impone all’interprete di attribuire senso a tutti gli enunciati del discorso legislativo, senza relegarne alcuno nella zona della irrilevanza giuridica…… il discorso deve allora spostarsi, come più volte osservato nella giurisprudenza costituzionale (v. fra le molte, C. Cost. 234/2007) sui limiti che il legislatore incontra nel dettare, eventualmente tramite norme di interpretazione autentica, disposizioni ad effetto retroattivo. Va quindi ricordato che, come più volle sottolineato dal giudice delle leggi, il principio di irretroattività della legge – pur riconosciuto come principio generale dall’art. 11 disp. gen., comma 1, delle disposizioni preliminari del codice civile – non ha ottenuto in sede costituzionale (salvo quanto espresso nell’art. 25 Cost., con riferimento alla materia penale) una garanzia specifica: di talchè la possibilità di adottare norme dotate di efficacia retroattiva (anche indipendentemente dal loro eventuale carattere interpretativo) non può essere esclusa, ove le norme stesse vengano a trovare un’adeguata giustificazione su piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri principi o valori costituzionali specificamente proietti (C. Cost. 6/1994) sì da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (C. Cost., 419/2000). In particolare, poi, dalla disciplina costituzionale in vigore non è dato desumere, per i diritti di natura economica, una particolare protezione contro l’eventualità di norme retroattive, salvo soltanto il limite, già richiamato, del principio di ragionevolezza (C. Cost. 421/1995) onde, nel rispetto di tale limiti, legittimamente può esser data aduna norma efficacia retroattiva, qualificandola, appropriatamente a no, “interpretativa” (C. Cost. 153/1994, con specifico riferimento a diritti di natura economica connessi al rapporto di pubblico impiego)” (cosi SSUU 9941/09, in motivazione).
Deve quindi concludersi che la disposizione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, ha portata retroattiva, perchè così è stato voluto dal legislatore, senza che tale scelta possa giudicarsi in contrasto con i canoni di ragionevolezza o con altri principi o valori costituzionali specificamente protetti.
Già con l’ordinanza n. 6064/09, del resto, le Sezioni Unite di questa Corte – sia pure nell’ambito di una pronuncia avente ad oggetto le questioni della giurisdizione e della competenza sull’opposizione al fermo amministrativo – hanno affermato, con riferimento ad un fermo del luglio 2004 – che: non è eludibile la precisazione contenuta nel D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, comma 41, conv., con L. 2 dicembre 2005, n. 248, che “Le disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 86, si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore pur nel rispetto delle disposizioni relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel D.M. Finanze 7 settembre 1998, n. 503.
In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio con la declaratoria di inammissibilità del primo motivo e di manifesta fondatezza del secondo motivo di ricorso, la cassazione della sentenza gravata e il rinvio alla Corte di Appello di Caltanissetta, in altra composizione, che si atterrà al principio per cui la disposizione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, ha portata retroattiva”.
che la parte intimata non è costituita;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla parte ricorrente;
che non sono state depositate memorie difensive.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le argomentazioni esposte nella relazione;
che pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Caltanissetta, in altra composizione, che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. accoglie il secondo, cassa la sentenza gravata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Caltanissetta, in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
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