cassazione 7

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  26 novembre 2015, n. 24128

Fatto e Diritto

La Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 26 marzo 2012, decidendo in sede di riassunzione a seguito di cassazione del capo delle spese di primo grado e di appello della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, ha liquidato le spese processuali del giudizio di primo grado e di appello attenendosi alle note spese depositate nel corso dei singoli gradi di giudizio. Osservava al riguardo il giudice di appello che, una volta determinato l’ammontare delle spese nel corso del giudizio col deposito delle relative note, le richieste non potevano essere mutate nel giudizio in riassunzione in relazione ad un preteso aumento del valore della lite.
Quanto alle spese del giudizio di cassazione la Corte territoriale le compensava per 1/6 in considerazione della parziale soccombenza dell’assicurato e ne liquidava l’importo per l’intero in complessivi € 600,00 oltre alle spese generali IVA e CPA.
Infine le spese del giudizio di rinvio, liquidate per l’intero in complessivi € 727,00, avuto riguardo alla reciproca parziale soccombenza, sono state poste a carico dell’Istituto per due terzi e compensate per la resta parte.
Il giudice del rinvio ha altresì ridotto, in virtù della c.d. facile trattazione ai sensi dell’art. 60 r.d. 1578/1933, l’onorario al di sotto del minimo.
Propone ricorso per Cassazione il Sig. D. S. affidandosi a tre motivi.
Con il primo motivo di ricorso è censurata la sentenza nella parte in cui nel liquidare le spese di appello ha avuto riguardo ad una nota allegata al gravame, depositato in data 4.6.2002, laddove invece il giudizio di appello è stato definito, a distanza di anni, nel 2007, quando erano entrate in vigore da tempo le tariffe professionali contenute nel D.M. n. 127/2004. Evidenzia di aver depositato nota redatta sulla base di quel decreto in sede di riassunzione ed insiste per la sua applicazione.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. oltre che dell’art. 60 r.d.l. n. 1578 del 1933.
Ad avviso del ricorrente la Corte di merito avrebbe erroneamente applicato i principi in tema di soccombenza reciproca posto che entrambe le questioni poste davanti alla suprema Corte erano state accolte.
Inoltre nel liquidare gli importi dovuti la Corte avrebbe operato una doppia riduzione avendo fatto riferimento sia ai minimi tariffari in ragione della semplicità delle questioni trattate sia all’ulteriore riduzione in ragione della facile trattazione della causa senza tuttavia spiegare perché un ricorso articolato in sei motivi ulteriormente illustrati con memoria dovrebbe essere di facile trattazione sol perché riguardava una liquidazione di spese pari ad € 600,00.
Il terzo motivo investe la liquidazione delle spese del giudizio di rinvio. Muovendo censure analoghe a quelle appena sopra riportate, contesta che sia ravvisabile la soccombenza reciproca e che sia legittimità la riduzione degli onorari, tanto, ancora una volta, in violazione e falsa applicazione degli arti. 91 e 92 c.pc., e con riguardo all’art. 60 r.d.l. n. 1578/1933.
L’Inps è rimasto intimato.
Il primo motivo è fondato.
In tema di determinazione del compenso spettante al difensore nel caso di successione di tariffe professionali nel corso del processo, mentre gli onorari di avvocato devono essere liquidati in base alla tariffa vigente al momento in cui l’opera complessiva è stata condotta a termine con l’esaurimento o la cessazione dell’incarico professionale, i diritti di procuratore, invece, vanno liquidati alla stregua delle tariffe vigenti al momento delle singole prestazioni, le quali si esauriscono nell’atto stesso in cui sono compiute (cfr. Cass. n.11814 del 1998, Cass. n. 5426 del 2005, Cass. n. 11482 del 2010, Cass. n.12822 del 2013).
A tali principi non si è attenuta la Corte di appello e dunque la sentenza sul punto deve essere cassata.
Il secondo motivo è infondato.
La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero, ancora, una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (cfr. Cass. n. 21684 del 2013 e 22381 del 2009). Orbene nel caso in esame la Corte di Cassazione ha accolto cinque dei sei motivi di ricorso, e dunque appare conseguente la scelta della Corte di compensare per un sesto le spese nel resto poste a carico dell’Istituto soccombente.
Quanto alla riduzione degli onorari al di sotto dei minimi in virtù di quanto disposto dall’art.60 co. 5 r.d. 1578/1933 si osserva che “L’art. 60, quinto comma, del r.d. n. 1578 del 1933 – disposizione non sostituita, ma solo integrata, da quella contenuta nell’art. 4 della legge n. 794 del 1942 – consente al giudice di scendere sotto i limiti minimi fissati dalle tariffe professionali quando la causa risulti di facile trattazione, sebbene limitatamente alla sola voce dell’onorario e non anche a quelle dei diritti e delle spese, cui non fa riferimento detta norma, e sempre che sia adottata espressa ed adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di fatto del processo, non limitata, pertanto, ad una pedissequa enunciazione del criterio legale, ovvero all’aggiunta dell’elemento estrinseco, meramente indicativo, quale l’identità delle questioni; la riduzione dei minimi previsti dalla tariffa per gli onorari, in ogni caso, non può superare il limite della metà, ai sensi dell’art. 4 legge n. 724 del 1942, né, in caso di riunione di cause, esime il giudice – una volta operata la riduzione – dall’obbligo di procedere alla liquidazione mediante la determinazione del valore di ciascuna delle controversie riunite” ( cfr. Cass. n. 17920/2009 e n.949/2010). Nel caso in esame la Corte d’Appello ha dato conto con motivazione in questa sede non censurabile, in quanto adeguatamente motivata, della semplicità delle questioni trattate. Come emerge con chiarezza dalla sentenza oggi impugnata, sebbene fossero state articolate più censure, queste erano tutte comunque circoscritte alla sola regolamentazione delle spese ed in particolare al tema più volte affrontato dal giudice di legittimità del regime temporale delle tariffe applicabile al caso concreto.
Tale capo della decisione deve quindi essere confermato.
La cassazione, pur limitata al solo capo della decisione con il quale sono state liquidate le spese di appello, per la scarsa incidenza sul complessivo esito della lite convince della immutata proporzionalità della attuata distribuzione delle spese compensate per il giudizio di rinvio nella misura di un terzo. Quanto alla riduzione dell’importo liquidato per onorari al di sotto del minimo valgono le considerazioni già svolte a proposito del secondo motivo di ricorso con l’ulteriore sottolineatura che della scelta di applicare il citato art. 60 la Corte territoriale – già come ricordato – ha dato puntualmente conto delle ragioni della scelta operata e con motivazione coerente e logica ha evidenziato come il tema della liquidazione delle spese, per di più in sede di rinvio e sulla base di un principio di diritto già fissato dalla Cassazione non richiedeva un particolare impegno da parte del difensore essendo sostanzialmente la res controversa limitata all’applicazione delle tariffe.
Alla luce delle considerazioni esposte il primo motivo di ricorso deve essere accolto mentre il secondo ed il terzo devono essere rigettati. Sussistono le condizioni per procedere ad una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto e, pertanto, le spese del giudizio di appello vanno liquidate – tenuto conto delle tariffe vigenti all’epoca del compimento dei singoli atti – in complessivi € 972,00 di cui € 740,00 per onorari, € 232,00 per diritti ed € 40,00 per spese.
Quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, valutato l’esito complessivo della lite, si reputa equo compensarle tra le parti nella misura di 2/3 mentre il residuo terzo, da calcolarsi sull’importo liquidato per l’intero in dispositivo, va posto a carico dell’Inps.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo ed il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna l’Inps al pagamento delle spese di appello che liquida in € 972,00 di cui € 740,00 per onorari, € 232,00 per diritti. Conferma nel resto la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti 2/3 delle spese del giudizio di legittimità che pone a carico dell’Inps per il residuo terzo e liquidate per l’intero in € 1800,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese generali. Accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.p.r..

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