Il testo integrale
Corte di Cassazione, VI sezione, sentenza n. 36718 dell’11 ottobre 2011
Con questa decisione la Corte di Piazza Cavour ha annullato la condanna a un anno e sei mesi di reclusione in danno dell’ex sindaco di Pagani.
Con sentenza resa con rito abbreviato il Gup del Tribunale di Nocera Inferiore riteneva il sindaco del comune di Pagani, colpevole del delitto di peculato continuato, in relazione ad una serie di pagamenti, da costui con carta dì credito intestata al Comune, datagli in uso per spese connesse allo svolgimento di funzioni istituzionali.
La Corte di Appello di Salerno con la sentenza impugnata ribadiva la affermazione di responsabilità e riduceva il trattamento sanzionatorio per l’esclusione di alcune spese, erroneamente computate
Per i giudici di Piazza Cavour, dunque, la mancata allegazione delle ricevute delle spese effettuate dal sindaco con la carta di credito attribuitagli dall’amministrazione per svolgere funzioni di rappresentanza istituzionale non può, senza altra prova, integrare il reato di peculato continuato.
In tema di peculato quale che sia la procedura assegnata o scelta dalla istituzione per spendere il denaro, ciascuna uscita, deve comunque, essere collegata al fine pubblico.
La Corte ha precisato che la Corte di appello di Salerno, prima di confermare la condanna emessa in primo grado dal Gup di Nocera Inferiore, avrebbe dovuto esaminare le giustificazioni offerte dal sindaco al fine di verificare la corrispondenza della pubblicità della spesa, nel senso sopra indicato, e non sottrarsi all’esame delle stesse, come invece ha fatto, in base alla sola considerazione della non coevità in base alla documentazione offerta.
Del resto proprio il sistema di funzionamento delle carte di credito, con il rilascio di una ricevuta immediata e una contabilizzazione successiva inviata alla banca presso cui è aperto il conto corrente del comune, permetterebbe all’amministrazione di svolgere un controllo sulla congruità delle spese.
In quest’ottica, si continua a leggere nella sentenza, non importa che la giustificazione sia o meno prossima alla spesa, quanto che essa ci sia e dimostri, in modo trasparente e chiaro, la realizzazione di uno scopo pubblico e non la canalizzazione del denaro ad un fine pubblico.
In conclusione quando la sentenza impugnata teorizza che la mancata giustificazione coeva costituirebbe reato, compie una operazione ermeneutica scorretta, perché confondendo il reato con la prova dello stesso, introduce nella fattispecie penale un elemento estraneo (la giustificazione contabile) previsto da norme amministrative, che attiene al controllo sulla regolarità delle spese.
Sorrento 12 ottobre 2011.
Avv. Renato D’Isa
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