Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 21 settembre 2015, n. 4403
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4539 del 2014, proposto da:
Ta.Vi., rappresentato e difeso dall’avv. De.Fe., con domicilio eletto presso De.Fe. in Roma, viale (…);
contro
Comune di Eboli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Lo.Le., con domicilio eletto presso Gi.Pl. in Roma, Via (…); Sindaco di Eboli in Qualità di Ufficiale di Governo; U.T.G. – Prefettura di Salerno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 00353/2014, resa tra le parti, concernente esecuzione sentenza n. 11145/2010 del Tar Campania, Sezione staccata di Salerno – illegittima acquisizione di un fondo destinato a stoccaggio di rifiuti solidi urbani.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Eboli e di U.T.G. – Prefettura di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Fe. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il sig. Ta.Vi. è proprietario di un’area sita all’interno del territorio del Comune di Eboli (SA) in località “Grataglie”. Nel 2001 tale terreno veniva occupato dal Comune al fine di destinarlo allo stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani per far fronte alle problematiche derivanti dall’emergenza nella gestione dei rifiuti in Campania.
Il sig. Vi. impugnava, dinanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Salerno, i provvedimenti di requisizione dell’area e le presupposte ordinanze emergenziali: il Tribunale territoriale, con sentenza n. 11145 del 2010, in accoglimento del ricorso, annullava i provvedimenti impugnati e condannava l’Amministrazione alla restituzione dell’area in favore del proprietario nel pristino stato, libera da opere realizzate e da materiale eventualmente abbancatovi.
Con ricorso r.g. n. 993 del 2011, il sig. Vi. adiva il giudice dell’ottemperanza, dopo aver constatato l’inerzia dell’Amministrazione in relazione all’obbligo di restituzione dell’area di sua proprietà. Il T.A.R. di Salerno, con sentenza n. 958 del 17 maggio 2012, accoglieva il ricorso e condannava l’Amministrazione all’esecuzione della sentenza n. 11145 del 2010 nel termine di centoventi giorni; al contempo disponeva la corresponsione in favore del sig. Vi. di euro 100,00 per ogni giorno di ritardo nella restituzione dell’area, a decorrere dal centoventunesimo giorno e per un periodo massimo di ulteriori centoventi giorni; infine, in caso di persistenza del Comune nel proprio contegno omissivo, nominava in qualità di Commissario ad acta, il Prefetto di Salerno con facoltà di subdelega.
Il Comune di Eboli, nonostante la soccombenza nel giudizio di ottemperanza, rimaneva inerte in relazione all’obbligo restitutorio e, conseguentemente, il Prefetto in data 4 giungo 2013 nominava il dott. Ro.Am. quale Commissario ad acta.
Successivamente, il Comune disponeva l’acquisizione dell’area con delibera n. 49 del 2013, motivando l’impossibilità di restituire il terreno con l’indisponibilità delle risorse economiche necessarie: l’Amministrazione, al riguardo, affermava che la mancata ammissione al finanziamento utile alla bonifica dell’area, aveva reso impossibile la sostenibilità delle spese all’uopo indirizzate.
A causa della mancata restituzione dell’area di sua proprietà, il sig. Vi. proponeva reclamo al T.A.R. di Salerno per contrasto con il decisum giudiziale di cui alla sentenza n. 958 del 2012.
Il giudice di primo grado, con la sentenza n. 653 del 31 marzo 2014, impugnata in questa sede, respingeva il reclamo affermando la legittimità dell’operato del Comune di Eboli, al quale la sentenza n. 11145 del 2010 non avrebbe sottratto la potestà amministrativa di disporre l’acquisizione dell’area ai sensi dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il mancato accesso al finanziamento finalizzato alla bonifica dell’area, avrebbe impedito l’esatto adempimento del provvedimento giurisdizionale che disponeva la integrale bonifica del terreno prima della sua restituzione.
Avverso la prefata sentenza propone appello il sig. Vi. (r.g. n. 4539/2014) il quale sostiene l’erroneità della decisione sollevando diversi motivi di censura: in primo luogo, secondo l’appellante, il provvedimento di acquisizione dell’area sarebbe stato adottato al mero fine di differire la rimozione dei rifiuti dal terreno, in aperto contrasto con le finalità dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001.
Con il secondo motivo, parte appellante censura la decisione di primo grado per aver considerato legittimo il comportamento dell’Amministrazione che, nonostante il passaggio in giudicato della sentenza n. 11145 del 2010, ha adottato dei provvedimenti violativi del giudicato: in tal modo, sarebbe stato inficiato il principio di certezza del diritto ed avallato un comportamento del Comune che, senza essere vincolato da limiti temporali all’acquisizione sanante, si porrebbe in contrasto con i principi sanciti dalla Convenzione CEDU.
In terzo luogo, parte appellante sostiene che il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente esaminato gli interessi in conflitto nella fattispecie de qua, come imposto dall’art. 42-bis, ma avrebbe considerato validamente la mera carenza di fondi come causa giustificativa del provvedimento impugnato in primo grado.
Con un quarto motivo, l’appellante censura l’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241/1990, la quale, se effettuata, avrebbe consentito al sig. Vi. di rappresentare l’assenza di qualsivoglia presupposto di legge utile alla acquisizione dell’area.
Infine, parte appellante rileva, per un verso, l’omessa pronuncia del T.A.R. di Salerno in merito ai rilievi critici sollevati con riferimento alla quantificazione dell’indennizzo dovuto dal Comune di Eboli e, per altro verso, la errata preclusione delle statuizioni economiche concernenti le astreintes, contenute nella sentenza n. 958 del 2012.
Si è costituito in giudizio il Comune di Eboli che, con memoria ha puntualmente replicato ai motivi di appello, affermandone l’infondatezza e concludendo per il suo rigetto.
Per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, la Prefettura di Salerno, in qualità di Commissario ad acta, si è formalmente costituita in giudizio.
Con ordinanza n. 2765 del 25 giugno 2014, la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione cautelare presentata dal sig. Vi..
In vista della discussione, il sig. Vi. ed il Comune di Eboli si sono scambiate ulteriori memorie scritte a sostegno delle rispettive conclusioni.
Alla camera di consiglio del 23 giugno 2015, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio inerisce, nel complesso, alla validità dell’acquisizione sanante disposta dal Comune di Eboli in relazione al terreno di proprietà del sig. Vi..
2. Con i primi tre motivi di appello, il sig. Vi. lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado per non aver rilevato la violazione, sotto diversi profili, dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001. In particolare, viene censurata, innanzitutto, la decisione del giudice di prime cure per non aver rilevato che il comportamento dell’Amministrazione – teso a rimuovere i rifiuti dall’area ma impossibilitato a farlo stante la carenza di fondi – determinerebbe la paradossale conseguenza secondo cui ogni ente che porti ad estreme conseguenze l’attività illecita, facendo lievitare il costo delle attività produttive ripristinatorie, fino a renderle incompatibili con le sue ordinarie disponibilità economiche, sarebbe posto nelle condizioni di sanare gli illeciti più gravi. Inoltre, il giudice di prime cure non avrebbe correttamente valutato che, nel caso di specie, l’acquisizione sanante sarebbe preordinata soltanto a differire la bonifica.
Sotto un secondo profilo, parte appellante evidenzia che la mancata esecuzione del giudicato da parte del Comune, non rilevata dal T.A.R., minerebbe il principio di certezza del diritto: in effetti, nonostante il passaggio in giudicato dell’ordine restitutorio e l’insediamento del Commissario ad acta, il diritto dominicale sul bene immobile sarebbe sempre esposto al pericolo dell’emanazione del provvedimento acquisitivo senza limiti di tempo.
Inoltre, l’appellante ritiene che difetti, nel caso di specie, una motivazione esaustiva circa l’attualità ed eccezionalità delle ragioni di interesse pubblico: secondo il sig. Vi., infatti, non sarebbe stato effettuato alcun riferimento alla assoluta necessità, e non mera utilità, di acquisire l’immobile nello stato in cui si trova, nonché alla circostanza secondo cui la mancata acquisizione costituirebbe uno spreco di risorse pubbliche. Del pari carente sarebbe la motivazione circa l’assenza di valide alternative all’acquisizione ed alla prevalenza dell’interesse pubblico su quello dei privati coinvolti nella procedura.
2.1 I motivi non sono fondati.
Al riguardo, giova innanzitutto richiamare il dato normativo contenuto nell’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001 secondo cui, ai fini che qui interessano, al comma 1 dispone che “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile”. Ai sensi del comma 2, inoltre, viene chiarito che “il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio”.
In relazione al contenuto del provvedimento di acquisizione, il legislatore al comma 4, ha disposto che “il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”.
L’istituto dell’acquisizione sanante ha formato, di recente, l’oggetto della sentenza n. 71 del 30 aprile 2015 della Corte Costituzionale: con essa, la Consulta ha verificato la compatibilità dell’istituto con gli artt. 3, 24, 42, 97, 111, 113 e 117 Cost. concludendo per la infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale, al fine di delineare le caratteristiche principali dell’istituto descritto dal’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001, lo confronta con quelle risultanti dall’art. 43 d.p.r. n. 327 del 2001: in particolare, nel dichiarare incostituzionale tale ultima disposizione, la Consulta ha rilevato che l’intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, “eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato”.
In effetti, uno dei rilievi critici caratterizzanti il vecchio istituto concerneva precipuamente la sottoposizione del diritto di proprietà alla costante possibilità di compressione causata dalle scelte discrezionali dell’Amministrazione: ciò avveniva in contrasto sia della certezza e stabilità dei rapporti giuridici, sia dei principi delineati dalla Convenzione CEDU.
La Consulta, dunque, nella citata sentenza n. 71, prende atto delle differenze fra il precedente meccanismo acquisitivo ed il nuovo istituto dell’acquisizione sanante che viene caratterizzato dalla necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione, dallo stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento e, per i fini che interessano in questa sede, “dal carattere non retroattivo dell’acquisto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)”.
Le statuizioni inerenti alla rilevanza di un giudicato di restituzione, che si inserisce in una procedura ablatoria, offerti dalla pronuncia della Consulta, tuttavia, secondo il Collegio, non rilevano ai fini della definizione della controversia in esame: in effetti, viene ivi in rilievo un provvedimento di acquisizione sanante adottato con l’intento di eseguire il giudicato derivante dalla sentenza n. 11145 del 2010. In virtù di quanto stabilito con quest’ultima pronuncia, l’Amministrazione comunale di Eboli non deve restituire sic et simpliciter il terreno al titolare, ma è obbligato ad effettuare la preliminare operazione di integrale bonifica del sito.
Secondo il Collegio, non vi è dubbio che dal giudicato sia disceso l’obbligo dell’amministrazione di restituire l’area occupata sine titulo al ricorrente, ma è altrettanto indubbio che con il provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis, l’Amministrazione ha inteso sanare tale situazione di fatto illecita, acquisendo il relativo titolo di legittimazione.
L’ordine giudiziale di restituzione, in buona sostanza, non ha inciso sulla struttura dell’istituto che presuppone l’assodata lesione del diritto di proprietà altrui; la restituzione, infatti, è la conseguenza dell’accertamento del possesso del bene e non implica effetti costitutivi; il giudice che la dispone non modifica la situazione giuridica precedente l’abusiva detenzione del bene ma semplicemente la accerta; il suo ordine, pertanto, non è idoneo a paralizzare un atto di autorità che, consapevolmente, viola il diritto di proprietà senza contestarne la titolarità secondo uno schema reso possibile dall’art. 42, co. 3 Cost. (in termini cfr. Cons. Stato. Sez. V, 11 maggio 2009, n. 2877).
La natura del provvedimento di acquisizione va dunque configurato come strumentale alla positiva conclusione del procedimento di restituzione previa bonifica del sito, non ponendosi in contrasto con il giudicato intervenuto.
Una volta adottato il provvedimento di acquisizione, infatti, il Comune non può dirsi liberato dall’obbligo di provvedere in merito alla bonifica del terreno: l’esatto adempimento del dictum impone all’Amministrazione di non utilizzare in maniera strumentale il provvedimento di acquisizione, con meri fini dilatori od ostruzionistici. Il Collegio ritiene, dunque, che il privato interessato, qualora il procedimento non si concluda in maniera satisfattiva dei propri interessi ed in conformità all’obbligo restitutorio disposto dal giudicato intervenuto con la sentenza n. 11145 del 2010, possa utilmente azionare gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento .
Da quanto sin qui esposto, dunque, il Collegio ritiene di condividere le conclusioni cui è giunto il giudice di prime cure circa la permanenza del potere dell’Amministrazione, in particolare dopo la nomina del Commissario ad acta, di disporre l’acquisizione sanante. In effetti, come noto, si ritiene che la riedizione del potere amministrativo, in seguito ad un giudicato di annullamento di un provvedimento illegittimo, possa essere considerato adottato in violazione o elusione del giudicato quando da quest’ultimo derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza (Cons. Stato, Sez. VI, 3 maggio 2011, n. 2602; sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 70; id. 4 ottobre 2007, n. 5188).
Nel caso di specie, a ben vedere, la sentenza n. 958 del 2012 attribuiva all’Amministrazione un margine di discrezionalità tale da consentirle di individuare le modalità di esecuzione del dictum giudiziale maggiormente idonee: queste ultime avrebbero dovuto individuarsi dopo aver effettuato un contemperamento fra gli interessi pubblici e privati coinvolti nella fattispecie. In effetti, se, per un verso, il T.A.R. aveva imposto al Comune di Eboli “di dare esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione n. 11145/2010 mediante restituzione dell’area in questione al ricorrente, previa bonifica della stessa”, per altro verso, non aveva impedito all’Amministrazione, al fine di ottemperare al decisum, di utilizzare strumenti idonei a far fronte alla momentanea carenza di fondi.
Il Collegio, al riguardo, ritiene che la temporanea carenza di fondi possa validamente costituire un elemento motivazionale a supporto della delibera n. 49 del 2013, in quanto, diversamente, l’Amministrazione dovrebbe far ricorso ad un gravoso indebitamento: proprio questa evenienza consente di ritenere che l’Amministrazione abbia agito “valutati gli interessi in conflitto” e motivando specificatamente sulle “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”.
Nella fattispecie de qua, in definitiva, si può affermare che siano stati compiutamente assolti tali obblighi motivazionali in conformità alla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. in particolare, con riferimento all’occupazione acquisitiva, Ad. Plen. n. 2 del 2005).
In effetti, la prevalenza dell’interesse pubblico su quello del sig. Vi. aveva condotto alla occupazione temporanea del terreno, per far fronte all’emergenza rifiuti: tale prevalenza sarebbe nuovamente confermata, nonostante il superamento della situazione di urgenza legata allo stoccaggio dei rifiuti, a seguito del mancato accesso al finanziamento che avrebbe dovuto consentire al Comune di definire la procedura restitutoria previa bonifica.
L’impossibilità fattuale di addivenire alla bonifica del sito conferma, altresì, la ragionevole impraticabilità, da parte dell’Amministrazione, di differenti soluzioni rispetto a quella disposta con il provvedimento n. 49 del 2013: infatti, poiché l’obbligo restitutorio non può essere validamente eseguito senza la previa bonifica del sito, l’assenza di fondi strumentali alla riduzione in pristino del terreno, rende incompatibile con l’esecuzione del giudicato qualsiasi soluzione alternativa all’acquisizione sanante.
2.2 In definitiva, il Collegio ritiene che il provvedimento di acquisizione sanante disposto dal Comune di Eboli non si ponga in contrasto con il giudicato risultante dalla sentenza n. 11145 del 2010 del T.A.R. di Salerno, ma, anzi, ne costituisca un primo atto esecutivo, imposto dalla carenza di risorse utili: in considerazione di ciò, il Comune, sarà ulteriormente obbligato a completare la procedura di bonifica del sito, prima di adempiere all’obbligo restitutorio in favore del sig. Vi..
3. Con un quarto motivo di appello, il sig. Vi. lamenta la mancata applicazione delle garanzie partecipative di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990: in particolare l’appellante sostiene che, la corretta applicazione della comunicazione di avvio del procedimento, avrebbe consentito allo stesso di evidenziare sia l’insussistenza che la mancanza di attualità degli interessi pubblici sottesi all’acquisizione sanante.
3.1 Il motivo non ha pregio.
Secondo il Collegio, nella fattispecie in esame, l’apporto collaborativo del privato non avrebbe consentito al sig. Vi. di dimostrare l’insussistenza di validi interessi pubblici sottesi all’operazione acquisitiva. In effetti, la carenza di adeguate risorse finanziarie giustifica, di per sé, la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione, rispetto all’interesse del privato coinvolto nella procedura e, tra l’altro, non consente di ipotizzare ulteriori soluzioni. Infatti, poiché l’obbligo restitutorio non può essere validamente eseguito senza la previa bonifica del sito, l’assenza di fondi strumentali alla riduzione in pristino del terreno, rende incompatibile con l’esecuzione del giudicato qualsiasi soluzione alternativa all’acquisizione sanante e implica l’impossibilità di ritenere prevalente ogni ulteriore interesse privato diverso rispetto al prevalente interesse pubblico. Ciò posto, il Collegio non ritiene che, nel caso di specie, possa essere utilmente invocato l’istituto partecipativo della comunicazione di avvio del procedimento.
4. Con il quinto motivo di appello, parte appellante ritiene erronea la quantificazione dell’indennizzo di cui al comma 1 dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001: in particolare, secondo il sig. Vi. il terreno utilizzato come parametro di riferimento ai fini della quantificazione dell’indennizzo, non avrebbe caratteristiche urbanistiche omogenee e, dunque, un valore venale equiparabile a quello del terreno oggetto della procedura espropriativa in contestazione.
4.1 Il motivo è privo di pregio e deve essere respinto.
Il sig. Vi., nel contestare il parametro utilizzato dall’Amministrazione, non ha, tuttavia, fornito un termine di raffronto idoneo a ritenere la somma offerta dal Comune inferiore a quella necessaria per indennizzarlo del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito. In sostanza, l’appellante non ha adempiuto correttamente al principio di specificazione dei motivi di appello, limitandosi ad una generica contestazione della quantificazione fornita dal Comune, in contrasto dell’art. 101 c.p.a..
5. Va, tuttavia, riconosciuta al sig. Vi. la liquidazione della somma disposta dalla sentenza n. 958 del 2012, a titolo di astreintes, richiesta con l’ultimo motivo di appello, stante il decorso dei centoventi giorni previsti come periodo utile per la maturazione della stessa.
In effetti, nella sentenza n. 958 del 2012, il T.A.R. di Salerno aveva espressamente stabilito che “in caso di perdurante inadempimento dell’amministrazione, tali astreintes prenderanno a decorrere allo spirare del termine di 120 giorni fissato per l’ottemperanza e, quindi dal centoventunesimo giorno dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza e per un periodo massimo di ulteriori 120 giorni. Venendo al quantum, in applicazione dei parametri di cui all’art. 614 bis del cod. proc. civ. si deve reputare congrua, in ragione della gravità dell’inadempimento, del valore della controversia, della natura della prestazione, dell’entità del danno e delle altre circostanze, oggettive e soggettive del caso concreto, la misura pari ad Euro 100,00 (cento/00) in favore del ricorrente, da corrispondere per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza”.
In virtù di quanto esposto e data la decorrenza dei termini previsti, in favore del sig. Vi. deve essere liquidata la somma di euro 12.000,00 (dodicimila/00) come risultante dai criteri fissati nella richiamata sentenza, ai sensi dell’art. 114 comma 4 lett. e) c.p.a..
6. Alla luce delle suesposte argomentazioni, l’appello, parzialmente fondato, va accolto in parte e, conseguentemente, la sentenza impugnata va riformata nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti, sussistendone giustificati motivi dovuti alla complessità della controversia e alla parziale soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente l’appello, come in epigrafe proposto e, per l’effetto, riforma in parte la sentenza di primo grado nei limiti e nei sensi di cui in motivazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 23 giugno 2015 e 14 luglio 2015, con l’intervento dei magistrati:
Goffredo Zaccardi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Depositata in Segreteria il 21 settembre 2015.
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