Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 16 dicembre 2013, n. 50605
Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa in data 20 luglio 2009 il Tribunale di Nuoro dichiarava P.M.A. responsabili dei reati di cui agli artt. 589 co. 1 e 2 c.p. (capo A), artt. 48 co. 3 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo B), artt. 49 co. 1 e 2 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo C), artt. 22 co. 1 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo D) in quanto per colpa cagionava la morte del proprio dipendente M.G. , colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Condannava lo stesso alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di ammenda oltre le spese, con sospensione condizionale della pena.
In particolare il giudice di prime cure ha ritenuto sussistente la penale responsabilità del P. in ordine ai reati ascritti per la posizione di garanzia dallo stesso rivestita quale datore di lavoro del M. e, quindi, titolare dell’obbligo giuridico di impedire l’evento verificatosi. Difatti dalle risultanze processuali è emerso che in data (omissis) il M. rimaneva vittima di un infortunio mentre provvedeva con un collega a caricare alcuni infissi in PVC, completi di vetro, su di una pedana per il successivo trasporto, all’interno della società cooperativa S. Giuseppe, sita in …, presso la quale prestava la sua attività lavorativa. Nel dibattimento si è anche accertato che il P. all’epoca dei fatti rivestiva la qualifica di presidente e legale rappresentante della S. Giuseppe e che con un atto privo di data aveva delegato al socio, E.G. , la qualifica di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Inoltre nel corso dell’istruttoria è stato appurato che la procedura utilizzata dal P. per il carico degli infissi si era rivelata pericolosa e scorretta, agli operatori non era stata fornita un’adeguata formazione in relazione alla movimentazione dei carichi ed ai rischi inerenti nonché in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro, non era stato predisposto un ambiente sicuro ed i dipendenti non erano provvisti di protezioni individuali atte ad evitare eventuali infortuni o, comunque, a limitarne i danni. Proposto appello avverso la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Cagliari ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti del P. in relazione ai reati di cui agli artt. artt. 48 co. 3 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo B), artt. 49 co. 1 e 2 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo C), artt. 22 co. 1 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo D) in quanto prescritti e ha rideterminato la pena allo stesso inflitta in un anno di reclusione.
Contro tale pronuncia il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione per vizio di motivazione, inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 48 co. 3, 49 co. 1 e 2, 222 D.lgs. 626/94 nonché in relazione agli artt. 16 e 17 D.lgs. 81/2008. In particolare il ricorrente censura la sentenza di appello sotto due profili: in primo luogo la difesa contesta la ritenuta sussistenza delle contravvenzioni di cui agli artt. 48, 49 e 22 D.L.vo 626/94 (capi B-C-D) nonché l’incidenza delle stesse a titolo di colpa generica e specifica sulla complessiva ricostruzione valutativa della morte del M. . In secondo luogo il ricorrente censura la riconosciuta inidoneità della delega effettuata ad E.G. dei poteri e delle facoltà in materia di sicurezza sul luogo di lavoro secondo quanto previsto dal D.lgs. 626/94 osservando come la Corte di appello non abbia attribuito adeguata importanza al fatto che l’Esca era socio della ditta, munito, quindi, di tutti i requisiti normativi e fattuali non solo per essere delegato ma anche per essere considerato ab origine diretto dirigente e datore di lavoro del M. nonché soggetto preposto ad assicurare la sicurezza sul luogo di lavoro.
Ritenuto in diritto
Il ricorso, al limite dell’ammissibilità nella misura in cui sotto l’apparente deduzione di vizi di legittimità in realtà censura l’apprezzamento delle prove effettuato dai giudici di merito, va comunque respinto perché infondato. Come è noto, infatti, il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto al solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi – come vorrebbe la difesa – in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti.
In particolare, quanto al primo profilo attinente la sussistenza delle contravvenzioni di cui al D.Lgs. 626/94 ed all’incidenza delle omissioni ivi sanzionate sul tragico incidente che ha determinato la morte del M. occorre, innanzitutto, sottolineare che la Corte di appello, al pari del giudice di primo grado, ha fondato la ritenuta sussistenza dei reati de quo sulla base di plurime ed univoche risultanze processuali – diffusamente illustrate nel testo della sentenza – tra le quali le dichiarazioni di altri lavoratori nonché una foto dalla quale emerge che il M. non portava il caschetto protettivo. Inoltre la Corte territoriale ha correttamente evidenziato il nesso causale tra l’omissione delle precauzioni da adottare sul luogo di lavoro e della valutazione del rischio nella predisposizione della procedura di carico in questione ed il fatale infortunio: gli infissi sono caduti addosso al M. , schiacciandolo, in quanto non erano autonomamente assicurati alla pedana ma erano ad essa connessi da un semplice cordino che, di volta in volta, veniva slegato per aggiungere ulteriori elementi. Dunque, al momento del carico dell’ultimo infisso, tutti gli altri, essendo liberi, sono scivolati addosso al M. travolgendolo. Peraltro la stretta correlazione causale tra l’incidente e l’inadeguata valutazione dei rischi (nonché l’insufficienza del relativo documento) è resa evidente da una circostanza giustamente posta in evidenza dai giudici di appello: subito dopo il sinistro la fase di lavorazione interessata – cioè quella del carico degli infissi – venne sensibilmente modificata.
Per quanto concerne, invece, la doglianza inerente l’obbligo di garanzia e l’inefficacia ai fini dell’esclusione della responsabilità del P. , attribuita dai giudici di merito alla delega conferita ad E.G. , occorre rilevare che, come emerge dalla sentenza di appello, in detto documento l’Esca viene indicato quale “dipendente della Cooperativa”. Inoltre la delega risulta priva di data – con conseguente impossibilità di collocarla con certezza in un momento antecedente al sinistro – è finalizzata alla nomina di RSPP e non alla delega della posizione datoriale e non contiene alcuna attribuzione di poteri finanziari né di alcun altro potere proprio del datore di lavoro e tali da consentire al delegato di far fronte, in via diretta, alle esigenze in materia di prevenzione degli infortuni.
Come è noto, infatti, in materia di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità, sostenendo esservi stata una delega di funzioni a tal fine utile, per il solo fatto che abbia provveduto a designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Difatti la presenza di un RSPP è obbligatoria ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 626/1994 per l’osservanza di quanto previsto dal successivo art. 9, ma tale figura non coincide con quella, peraltro facoltativa, del dirigente delegato all’osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori (ex pluris Cass. Sez. IV, n. 47363/2005).
In particolare il RSPP non può incidere in via diretta sulla struttura aziendale ma ha solo una funzione di ausilio finalizzata a supportare (e non a sostituire) il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti. Dunque nonostante si proceda, come nel caso di specie, alla nomina di un RSPP il datore di lavoro conserva l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento relativo alle misure di prevenzione e protezione.
Il delegato per la sicurezza – figura come già detto del tutto eventuale – è invece destinatario di poteri e responsabilità originariamente ed istituzionalmente gravanti sul datore di lavoro e, perciò, deve essere formalmente individuato ed investito del suo ruolo con modalità rigorose, non ricorrenti nel caso in esame (Cass., Sez. IV, n. 37861/2009). Peraltro in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008, il datore di lavoro non può delegare, neanche nell’ambito di imprese di grandi dimensioni, l’attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi (Cass. Sez. IV, n. 4123/2008).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Leave a Reply