Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

Sentenza 30 ottobre 2013, n. 44248

REATI FALLIMENTARI – BANCAROTTA SEMPLICE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antoni – Presidente

Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. LIGNOLA Ferdinando – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 447/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 19/04/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/07/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. R. Aniello che ha concluso per il rigetto;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS).

FATTO E DIRITTO

Propongono ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste in data 19 aprile 2012 con la quale e’ stata confermata quella di primo grado (emessa nel 2009 all’esito di giudizio abbreviato), di condanna in ordine al reato di bancarotta semplice L.F., ex articolo 217, comma 1, n. 1.

Tali ricorrenti, nelle qualita’, rispettivamente, di amministratore di fatto e di socio accomandatario della societa’ in accomandita semplice (OMISSIS), dichiarata fallita il (OMISSIS), sono stati ritenuti responsabili, in concorso fra loro,ai sensi della norma dell’articolo articolo 217 sopra citata e quindi quali imprenditori individuali personalmente falliti, di avere effettuato spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alle loro condizioni economiche, cosi’ nuovamente qualificata l’originaria imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione, contestata con riferimento a prelievi ingiustificati effettuati dal 2001 al 2004.

Il giudice dell’appello ha ritenuto che, in relazione al periodo quadriennale preso in considerazione, i prelievi ingiustificati si riducessero alla somma complessiva di euro 59.000, inferiore rispetto a quella (euro 135.000) indicata nel capo d’imputazione e che comunque si trattasse di un importo dato da prelievi che non potevano trovare giustificazione legale poiche’ non potevano dirsi spesi per soddisfare bisogni essenziali per il sostentamento degli imprenditori e della loro famiglia.

Ed infatti l’importo in questione era costituito da mancati pagamenti per somministrazione di alimenti e bevande forniti dalla societa’ in favore dei ricorrenti; da prelievi in parte del tutto ingiustificati e, infine, da un importo che sarebbe servito per consentire a (OMISSIS) di pagare una rata di mutuo.

Era rimasta invece destituita di prova l’affermazione che parte delle somme sarebbero state prelevate a titolo di compenso degli amministratori.

Deducono:

1) il vizio della motivazione.

La Corte territoriale aveva riconosciuto, in accoglimento di uno specifico motivo d’appello, che l’ammanco di cui al capo A) doveva ridursi di due terzi e cioe’ sino a euro 59.000, ma poi aveva finito per confermare la sentenza di primo grado che aveva accertato una distrazione di euro 135.000, fatto risultato non vero.

Lo stesso vizio di motivazione riguarda l’affermazione del giudice dell’appello secondo cui costituirebbero spese non giustificate anche quelle rappresentate dal mancato pagamento di prestazioni alimentari ricevute dalla societa’, la quale operava nel campo della ristorazione.

Il giudice non aveva valutato adeguatamente la tesi del “autoconsumo” sostenuta dalla difesa la quale aveva anche osservato che tali prestazioni (pasti) erano soggetti soltanto alla avvenuta contabilizzazione per finalita’ puramente fiscali dovendo risultare come spese sostenute dalla societa’.

In altri termini sarebbe abnorme pretendere che l’amministratore pagasse a se stesso un servizio erogato ma anche usufruito dello stesso soggetto.

In ordine alla somma utilizzata per pagare una rata del mutuo da parte di (OMISSIS), la difesa insiste sulla tesi dell’essere, un simile pagamento, espressione di un bisogno primario in quanto riferito all’abitazione dove si vive e comunque destinato ad incrementare il patrimonio personale dell’imprenditore il quale, cosi’ facendo, dovendo rispondere di debiti della societa’ di persone anche con i beni personali, non aveva determinato un depauperamento delle garanzie dei creditori.

Alla luce delle argomentazioni sopra esposte dovrebbe essere considerata apodittica e manifestamente illogica anche l’affermazione del giudice dell’appello secondo cui le somme spese per pasti e bevande e per il mutuo della casa di abitazione, pari rispettivamente a euro 33.000 per il quadriennio e euro 13.450, non erano destinate a soddisfare bisogni primari.

Il ricorso e’ fondato.

Occorre prendere le mosse dal rilievo che il reato di bancarotta semplice ai sensi della L.F., articolo 217, comma 1, n. 1 appare ritenuto a carico degli odierni imputati ricorrenti nelle qualita’ di imprenditori dichiarati personalmente falliti.

Tanto si desume, da un lato, dal primario rilievo che la peculiare fattispecie applicata gia’ dal primo giudice, disciplinando e punendo le spese personali eccessive dell’imprenditore dichiarato fallito, e’ tipicamente riferibile all’imprenditore individuale e non all’amministratore di societa’ il quale non puo’ essere ritenuto legittimato a spese personali neppure se non eccessive, mentre puo’ essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti o delle altre fattispecie previste della L.F., articolo 217, nn. 4 e 5, norma che, in tali limiti, deve ritenersi richiamata dall’articolo 224 con riferimento, appunto, all’amministratore di societa’ dichiarata fallita.

Il secondo argomento e’ costituito dal rilievo che, in base alla L.F., articolo 222, l’articolo 217 si applica al socio illimitatamente responsabile della s.a.s. dichiarata fallita, salva la operativita’ delle norme sul concorso personale riguardo a condotte di terzi compartecipi.

Il terzo argomento e’ dato dalla L.F., articolo 147 il quale prevede, tra l’altro, che la sentenza dichiarativa di fallimento della societa’ in accomandita semplice produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, tale dovendosi ritenere, ai sensi dell’articolo 2313 c.c., il socio accomandatario.

Il quarto argomento si ricava dalla stessa sentenza impugnata nella quale, a pagina cinque, e’ accreditata la tesi che la L.F., articolo 217, comma 1, riguardante l’imprenditore individuale, e’ stato applicato nella specie “alla societa’ di persone a base familiare”.

Tale impostazione giuridica non risulta avere formato oggetto di contestazioni da parte della difesa e se ne debbono ritenere integrati, pertanto, tutti presupposti.

Cio’ posto, e’ pure da osservare che il giudice dell’appello sembra avere valutato la sussistenza della fattispecie astratta menzionata, con riferimento all’ammanco di euro 59.000, tale essendo quello riferibile al periodo di tempo esattamente indicato nel capo d’imputazione.

Tale conclusione, in primo luogo, radica il vizio della motivazione della sentenza la quale, cio’ nonostante, non ha dato atto nel dispositivo dell’assai minore entita’ della distrazione ritenuta penalmente accertata, rispetto a quella, pari quasi al triplo, enunciata nel imputazione.

Ma, quel che piu’ conta ai fini dell’integrazione del vizio denunciato, e’ la totale mancanza di valutazione in ordine alla eventualita’ che l’importo parziale del menzionato ammontare complessivo, rappresentato dai circa euro 33.000 accertati quale mancato corrispettivo per la fruizione di pasti da parte degli imputati con corrispondente depauperamento delle garanzie dei creditori della societa’, potesse, in se’, costituire o meno una spesa eccessiva degli imprenditori illimitatamente responsabili.

Partendo cioe’ dal preliminare rilievo che sono “spese eccessive” le spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali e piu’ o meno connesse alla vita dell’azienda risultano sproporzionate alla capacita’ economica dell’imprenditore (Rv. 119090), il giudice dell’appello avrebbe dovuto soffermarsi ad esaminare non tanto la loro natura ed origine – dipendente direttamente dalla fattispecie normativa applicata – bensi’ se, per entita’, quelle dovessero essere considerate sproporzionate, tenuto conto del periodo di tempo al quale dovevano essere fatte risalire e al numero dei soggetti beneficiari.

Per colmare tale lacuna s’impone l’annullamento con rinvio dovendosi considerare che delimitazione dell’importo della spesa eccessiva, di cui alla L.F., articolo 217 comporta la necessita’ della rivalutazione dell’elemento psicologico e comunque dell’intera vicenda quantomeno ai fini della ridefinizione del trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste per nuovo esame.

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