La massima
1. Quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica amministrazione, ma che per tale può intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura – provvedimento, convenzione o contratto – né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica
2. E’ ricompreso nella giurisdizione contabile anche l’accertamento della responsabilità erariale conseguente all’illecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici o per la responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investa il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’amministrazione, onde egli agisce per le finalità proprie di quest’ultima.
3. Si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con la conseguenza che, nell’attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno.
4. La scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta. Dall’identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini – contemplati dagli artt. 2392 c.c. e segg. – in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.
5. Non resta esclusa in via definitiva la proponibilità dell’azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima. Ma il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione e i cui originari conferimenti restano confusi e assorbiti nell’unico patrimonio sociale.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
SENTENZA 2 settembre 2013, n. 20075
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 – La Procura regionale della Corte dei conti della Sicilia trasse a giudizio avanti alla Sezione Giurisdizionale per la medesima regione A.A., Direttore Generale della Fondazione Federico II con sede in (OMISSIS), ritenendolo responsabile di illeciti amministrativi contabili commessi nell’espletamento dell’incarico, che avevano arrecato danno alla Fondazione.
2 – Con sentenza in data 8 agosto 2011 la Sezione giurisdizionale condannò l’ A. a pagare in favore della Fondazione la somma di Euro 102.102,48 per improprio utilizzo di carte di credito e prelievo di denaro contante.
3 – Pronunciando sull’impugnazione dell’ A., con sentenza in data 21 maggio 2012 – 24 luglio 2013 la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana della Corte dei conti rigettò il gravame.
La Sezione osservò per quanto interessa: sussisteva la giurisdizione contabile in virtù della natura pubblica delle risorse utilizzate e dell’interesse perseguito; mancavano i presupposti di pregiudizialità ai sensi dell’art. 295 c.p.c. necessari per sospendere il giudizio contabile fino alla definizione del giudizio penale in cui l’ A. era imputato di peculato; risultava provato per tabulas che l’appellante aveva utilizzato risorse della Fondazione per effettuare spese non riconducibili ad attività istituzionali e prive di formale documentazione giustificativa, utilizzando carte di credito aziendali.
4 – Avverso la suddetta sentenza l’ A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La Procura generale presso la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 – Il primo motivo eccepisce difetto di giurisdizione (art. 362 c.p.c.). Il ricorrente premette che la Corte dei conti, pur riconoscendo la natura privata della Fondazione Federico II, ha affermato la propria giurisdizione in virtù della natura pubblica delle risorse utilizzate.
Assume che, ai fini del corretto riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile, è decisiva la natura del soggetto danneggiato, nella specie una fondazione privata (promossa, non istituita, dalla Regione siciliana) che, in ragione della sua struttura, non ha soci, nè pubblici, nè privati.
Aggiunge che non è neppure esatto che le risorse gestite dalla Fondazione siano pubbliche, dal momento che la Regione ha versato solo il fondo iniziale di L. 2000 milioni e non anche i contributi annui di L. 500 milioni e che la maggior parte dei ricavi della Fondazione sono dovuti a vendite, servizi aggiuntivi, sponsorizzazioni, editoria, mostre, concerti, ecc..
1.2 – La Procura generale difende la correttezza della sentenza impugnata e obietta che: a) la Fondazione Federico II è stata istituita con legge regionale ‘al fine della più ampia conoscenza e della diffusione dell’attività degli organi istituzionali della Regione e dell’Assemblea in particolare, dei valori e del patrimonio culturale della Sicilia’; b) la Regione concorre alla formazione del patrimonio; c) in caso di cessazione dell’attività il Patrimonio della Fondazione, comunque acquisito, sarà devoluto alla Regione; d) gli organi di governo sono costituiti prevalentemente da componenti dell’Assemblea regionale con durata in carica corrispondente alla durata effettiva della legislatura dell’Assemblea regionale; e) nella risorse finanziarie della Fondazione confluiscono varie somme riscosse per servizi aggiuntivi, quali la fruizione del flusso turistico e la biglietteria del Palazzo dei Normanni e della Cappella Palatina, appartenenti al patrimonio indisponibile della Regione.
1.3 – Queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato (Cass. Sez. Un. 31 luglio 2012, n. 13619; 19 dicembre 2009, n. 26806) che esula dall’ambito della giurisdizione contabile la responsabilità degli amministratori delle società pubbliche (e – a fortiori – delle società private), quando il pregiudizio è risentito dal patrimonio di queste. Conseguentemente spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, nè un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti.
1.4 – Il limite esterno della giurisdizione della Corte dei conti ha rilevanza costituzionale poichè discende dal disposto dell’art. 103 Cost., comma 2, a tenore del quale ‘la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge’. Al di fuori delle materie di contabilità pubblica, e quindi anche in tema di responsabilità, occorre dunque che la giurisdizione della Corte dei conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge. In termini generali, il contenuto e i limiti della giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità trovano la loro base normativa nella previsione del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13, secondo cui la Corte giudica sulla responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni. Tali limiti sono stati successivamente ampliati dalla L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4, che ha esteso il giudizio della Corte dei conti alla responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza. La giurisdizione di detta Corte non è, quindi, circoscritta alla sola ipotesi di responsabilità contrattuale dell’agente, ma può esplicarsi anche in caso di responsabilità aquiliana. La più recente evoluzione dell’ordinamento ha reso i confini tra giurisdizione contabile e giurisdizione ordinaria meno chiari, da un lato incanalando sovente le finalità della pubblica amministrazione in ambiti tipicamente privatistici, dall’altro affidando con maggiore frequenza a soggetti privati la realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici. In quest’ottica anche le Sezioni Unite della Cassazione, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento – o almeno di un grave indebolimento – della giurisdizione della Corte contabile in punto di responsabilità, ha teso a privilegiare un approccio più ‘sostanzialistico’, sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che identificava l’elemento fondante della giurisdizione della Corte dei conti nella condizione giuridica pubblica dell’agente, un criterio oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate. Si è perciò affermato che, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica amministrazione, ma che per tale può intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi nè la natura giuridica dell’atto di investitura – provvedimento, convenzione o contratto – nè quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica (Sez. Un. 3 luglio 2009, n. 15599; 31 gennaio 2008, n. 2289; 22 febbraio 2007, n. 4112; 20 ottobre 2006, n. 22513; 5 giugno 2000, n. 400; Sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611.
E’ ricompreso nella giurisdizione contabile anche l’accertamento della responsabilità erariale conseguente all’illecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici (Sez. Un 25 gennaio 2013, n. 1774; 9 gennaio 2013, n. 295, 5 giugno 2008, n. 14825) o per la responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investa il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’amministrazione, onde egli agisce per le finalità proprie di quest’ultima (Sez. Un., n. 4112/07, cit). Nella medesima ottica, a partire dal 2003, le Sezioni Unite hanno ritenuto spettare alla Corte dei conti, dopo l’entrata in vigore della L. n. 20 del 1994, art. 1, u.c., la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto la responsabilità di privati funzionari di enti pubblici economici (quali, ad esempio, i consorzi per la gestione di opere) anche per i danni conseguenti allo svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale e non soltanto per quelli cagionati nell’espletamento di funzioni pubbliche o comunque di poteri pubblicistici (Sez. Un., 22 dicembre 2003, n. 19667). Si è sottolineato che si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con la conseguenza – si è precisato – che, nell’attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno (Sez. Un., 25 maggio 2005, n. 10973; 20 giugno 2006, n. 14101; 1 marzo 2006, n. 4511; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3367).
Se quanto appena osservato vale certamente per gli enti pubblici economici, i quali restano nell’alveo della pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con strumenti privatistici, occorre stabilire entro quali limiti alla medesima conclusione si debba pervenire anche nel diverso caso della responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico. Le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.
La giurisprudenza ha chiarito che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta. Dall’identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini – contemplati dagli artt. 2392 c.c. e segg. – in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.
Tuttavia non resta esclusa in via definitiva anche la proponibilità dell’azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima.
Ma il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti perchè non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione e i cui originari conferimenti restano confusi e assorbiti nell’unico patrimonio sociale.
L’esattezza di tale conclusione trova conferma anche nell’impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente coordinamento sistematico tra l’ipotizzata azione di responsabilità dinanzi giudice contabile e l’esercizio delle azioni di responsabilità (sociale e dei creditori sociali) contemplate dal codice civile. L’azione del procuratore contabile ha presupposti e caratteristiche completamente diverse dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali contemplate dal codice civile: basta dire che l’una è obbligatoria, le altre discrezionali; l’una ha finalità essenzialmente sanzionatoria (onde non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell’amministratore o dall’omesso controllo del vigilante), le altre hanno scopo ripristinatorio; l’una richiede il dolo o la colpa grave, e solo in determinati casi è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; per le altre è sufficiente anche la colpa lieve ed il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi.
1.5 – In definitiva, l’excursus che precede dimostra che – ai fini del reparto di giurisdizione – non è rilevante il carattere soggettivo, quanto piuttosto la natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.
1.6 – E’ certo che la Fondazione Federico II abbia natura di persona giuridica privata. Essa ha, dunque, un proprio patrimonio, nel quale sono confluite anche risorse pubbliche, ma che ha assunto una propria autonomia.
Ne consegue che l’ A. non si è direttamente appropriato di finanziamenti pubblici, ma ha tenuto comportamenti che hanno inciso sul patrimonio di una fondazione di diritto privato, come tale autonomo e separato da quello dell’Ente pubblico che ha erogato in suo favore contributi e finanziamenti.
E’ appena il caso di aggiungere, con riferimento alle finalità perseguite dalla Fondazione (la più ampia conoscenza e diffusione dell’attività degli organi istituzionali della Regione e dell’Assemblea in particolare, dei valori e del patrimonio culturale della Sicilia) che esse sono indubbiamente di interesse pubblico, ma non costituiscono delega di funzioni istituzionali proprie dell’Ente che ha conferito le risorse finanziarie.
2 – L’accoglimento della censura sopra esaminata determina l’assorbimento del secondo motivo, mediante il quale l’ A. adduce violazione dei principi sul giusto processo (art. 111 Cost., art. 6 C.E.D.U., art. 6 TFUE); difetto di giurisdizione (art. 360 bis c.p.c., n. 2) illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, dell’art. 342 c.p.c. se interpretato nel senso di precludere l’impugnativa della sentenza del giudice speciale anche nel caso di violazione dei principi del giusto processo.
3 – Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, va dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti trattandosi di controversia compresa nella giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
La difficoltà delle questioni trattate e la natura della controversia giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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