Gli effetti della deliberazione che ha deciso lo scioglimento e la liquidazione si producono dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 maggio 2024| n. 12156.

Gli effetti della deliberazione che ha deciso lo scioglimento e la liquidazione si producono dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese

Gli effetti della deliberazione assembleare che ha deciso lo scioglimento della società e la sua liquidazione si producono, ai sensi dell’art. 2484, comma 3, c.c., dal momento dell’iscrizione, avente natura costitutiva, della deliberazione medesima nel registro delle imprese, con la conseguenza che, da questo momento, la valutazione del giudice, ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto, non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci, non è più richiesto che essa disponga di credito e di risorse e, quindi, di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.

 

Ordinanza|6 maggio 2024| n. 12156. Gli effetti della deliberazione che ha deciso lo scioglimento e la liquidazione si producono dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese

Data udienza 25 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Apertura (dichiarazione) di fallimento – Stato d’insolvenza – In genere efficacia della delibera di scioglimento e messa in liquidazione – Art. 2484 c.c. – Valore costitutivo dell’iscrizione al registro delle imprese – Conseguenze in tema di valutazione dell’insolvenza.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. ABETE Luigi – Presidente

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 16145-2022 r.g. proposto da:

Centro (…) società consortile mista a r.l., CF (Omissis), in persona del legale rappresentante in carica, nel domicilio eletto presso l’Avvocato Ro.Me. del foro di C (PEC …), che la rappresenta e difende per procura in atti.

– ricorrente –

contro

– Fallimento Centro (…) società consortile mista a r.l., CF (Omissis), in persona del Curatore Dottor Me.Ma., rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dall’Avvocato An.Po. e dall’Avvocato Pa.Sa., come da procura in atti, ed elettivamente domiciliato in C, Via (…) presso lo studio del primo difensore.

– controricorrente –

contro

– Fallimento Mi.Et., CF (Omissis) in persona del Curatore.

intimato –

avverso la sentenza n. 14/2022 resa dalla Corte d’appello di Cagliari, in data 27.4.2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/3/2024 dal Consigliere dott. Roberto Amatore;

letta la requisitoria scritta della Procura generale, che, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Na.Gi., ha concluso per il rigetto del ricorso;

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RILEVATO CHE

1. Il Tribunale di Cagliari dichiarava, con la sentenza del 23.8.2021 e pubblicata in data 24.8.2021, il fallimento della “Centro (…) società consortile mista a r.l. ” (anche “CSSE”). Il Tribunale accertava preliminarmente la legittimazione del creditore e i requisiti di cui all’art. 1, comma 2, L. Fall., e, quanto in particolare allo stato di insolvenza, specificava che “come risulta dalla visura camerale prodotta da parte convenuta (peraltro altrimenti acquisibile d’ufficio ai sensi dell’art. 15 L.F.), la società non versa in stato di liquidazione”, poiché “pur essendo stata la delibera del 6 agosto scorso (intervenuta nelle more del procedimento) presentata al Registro Imprese per l’iscrizione… , al momento della pronuncia della presente sentenza tale delibera non risulta iscritta al Registro delle Imprese”; osservava, inoltre, che l’iscrizione presso il Registro Imprese della delibera di scioglimento e liquidazione aveva efficacia costitutiva, che alla data della decisione tale iscrizione non era stata effettivamente operata e che pertanto il criterio per la valutazione dello stato di insolvenza non poteva essere quello proprio delle società in liquidazione ma quello per le società in attività, e dunque la capacità dell’impresa di provvedere al soddisfacimento dei creditori attraverso gli ordinari mezzi di pagamento “senza che rilevi, a tal fine, la composizione del patrimonio immobiliare”.

2. Proponeva reclamo la società fallita, affermando che dalla visura camerale emergeva che era stata depositata la delibera di scioglimento e liquidazione,

e sostenendo in sostanza che il semplice deposito consentiva ai terzi di venirne a conoscenza mediante consultazione telematica della banca dati; sosteneva, inoltre, che l’interpretazione data dal Tribunale all’art. 2484 c.c. in ordine all’efficacia costitutiva della pubblicità della delibera di scioglimento sarebbe stata errata e avrebbe contrastato con il principio di cui all’art. 2448 c.c. e con altre disposizioni civilistiche che facevano decorrere i termini di impugnazione dall’adozione delle delibere dall’adozione e non già dalla pubblicazione, nonché con il principio della scissione degli effetti della notifica per il notificante e per il notificato; eccepiva l’incostituzionalità dell’art. 2484 comma 3 c.c., come interpretato dal Tribunale fallimentare; contestava la nozione di insolvenza come incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni dinanzi ad un unico debito; concludeva nel senso che la delibera semplicemente depositata, anche se non ancora pubblicata, presso il Registro Imprese sarebbe stata già di per sé efficace e che pertanto, essendo l’attivo della società superiore al passivo, il fallimento doveva essere revocato per insussistenza dello stato di insolvenza.

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4. La Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza sopra indicata in epigrafe e qui oggetto di ricorso per cassazione, respingeva il reclamo, nella resistenza del Fallimento della “Centro (…) società consortile mista a r.l.”, costituitosi nel giudizio di reclamo.

4.1 La Corte di merito: (i) ha osservato che l’art. 2484 c.c. prevede, in caso di scioglimento della società “per deliberazione dell’assemblea” (n. 6 del primo comma), che i relativi effetti si determinano “alla data dell’iscrizione della relativa deliberazione” (comma 3), e che tale principio opera per tutte le cause di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., come testualmente stabilito dalla norma e, quanto alle finalità, chiarito dalla relazione illustrativa al D.Lg. 6/2003; (ii) ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate dalla reclamante; (iii) ha rigettato il motivo di reclamo circa l’insussistenza dello stato di insolvenza, da un lato, poiché il creditore istante per la dichiarazione di fallimento ben può vantare un titolo esecutivo non definitivo ed anzi potrebbe anche non essere munito di alcun titolo, dovendo il giudice del giudizio prefallimentare valutare l’esistenza del credito incidenter tantum e solo ai fini della legittimazione attiva del procedente; dall’altro, poiché anche il mancato pagamento di un solo debito può, per giurisprudenza costante, essere manifestazione di insolvenza; e perché dalla stessa situazione contabile prodotta dalla CSSE emergeva la mancanza di liquidità necessaria al pagamento del debito verso il creditore istante, considerato poi “l’esito, del tutto incerto ed ipotetico, della vendita di parte del patrimonio immobiliare, in quanto lo stesso, allo stato, risulta(va) gravato da ipoteca volontaria, e pertanto non (era) agevolmente alienabile, o comunque non lo (era) in tempi brevi”.

2. La sentenza, pubblicata il 27.4.2022, è stata impugnata da Centro (…) società consortile mista a r.l., con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Fallimento Centro (…) società consortile mista a r.l. ha resistito con controricorso.

Il Fallimento Mi.Et., intimato, non ha svolto difese.

Il Fallimento Centro (…) ha depositato memoria.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

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CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2484, 3 comma – anche in relazione agli art. 2193 – 2448 – 2485 1 e 2 comma c.c. – 2486 2 comma c.c. – e art. 5 L. f. (art. 360 n. 3 c.p.c.) anche sotto il profilo dell’error in iudicando per non corretto utilizzo dei canoni interpretativi dell’art. 12 preleggi (art. 360 1 comma n. 3 c.p.c.) Nullità della sentenza per omessa e/o manifestamente illogica motivazione su un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.)”, affermando che la Corte d’appello avrebbe travisato il contenuto dei motivi di reclamo.

1.1 Sostiene la società ricorrente che la motivazione della Corte sarebbe “carente e/o illogica per difetto di coerenza e congruità col motivo proposto, basata su una semplicistica interpretazione letterale della norma, tra l’altro richiamando a sproposito la ratio della stessa desumibile dalla Relazione Ministeriale”. Si evidenzia, inoltre, che, secondo la Corte d’appello, l’art. 2484, comma 3, c.c. prevederebbe che solo dal momento della materiale e formale pubblicazione nel Registro Imprese della delibera di scioglimento la società possa considerarsi in liquidazione, e ciò in ragione del fatto che si tratterebbe di pubblicità costitutiva. Ribadisce, invece, la società ricorrente che “nel reclamo con riferimento a tutti i motivi proposti e all’eccezione di incostituzionalità si era ribadito il concetto per cui gli effetti della delibera di scioglimento andavano anticipati al deposito e/o alla protocollazione della pratica presso il R.I.”, e che, pertanto, sarebbe integrato “… il vizio di omessa e/o manifestamente illogica motivazione con riferimento ad un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”.

1.2 Afferma ancora la ricorrente che il sistema coordinato rintracciabile in varie disposizioni codicistiche – che indica negli articoli 2485, comma 1 e 2, 2486 comma 2, e più avanti 2479 ter. comma 1 (in materia di impugnazione delle delibere assembleari dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci) – dovesse essere valutato nel suo complesso “come sistema che in quella materia dimostrava la correttezza della nostra considerazione”. Osserva, inoltre, che la causa di scioglimento di cui al secondo comma dell’art. 2486, comma 2, c.c. pone l’obbligo per gli amministratori di gestire la società al solo fine di garantire la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale non già dalla pubblicazione a RI della relativa determinazione ma dal suo verificarsi, ciò che avallerebbe la tesi difensiva da essa ricorrente perorata.

1.3 Si evidenzia sempre da parte della società ricorrente che la tesi della pubblicità costitutiva non terrebbe conto del principio generale di cui all’art. 2448 c.c. che sarebbe a suo avviso regola di base circa la pubblicità degli atti societari.

1.4 Si sottolinea altresì sempre da parte della ricorrente che sarebbero stati violati da parte della Corte territoriale “i criteri di interpretazione dell’art. 2484 comma 3 c.c. nel momento in cui (aveva) ritenuto di dovere far riferimento al solo tenore letterale della norma”. Afferma che “il riferimento agli artt. 2193 – 2448 – 2485 1 e 2 comma e 2486 2 comma c.c. era argomento che andava trattato approfonditamente posto che creava l’esigenza di interpretare la norma in base all’art. 12 2 comma delle Preleggi”. Evidenzia la ricorrente che il ritardo del conservatore nella pubblicazione della delibera non potrebbe essere pregiudizievole per l’ente societario che l’aveva adottata, e svolge, sempre la società ricorrente, sul punto un parallelismo con la giurisprudenza in materia di iscrizione della notizia di reato di cui all’art. 335 c.p.p. Conclude per “la nullità della sentenza sia per omessa motivazione di fatto decisivo oggetto di discussione sia per aver interpretato la norma in base al suo tenore letterale previsto al 1 comma dell’art. 12 delle Preleggi e non secondo i criteri delineati dal 2 comma dello stesso articolo …” e “di qui le denunciate violazioni di legge”.

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2. Con il secondo mezzo si deduce invece “Violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2484 3 comma c.c. in relazione agli artt. 2488 1 e 2 comma e 2486 cc e 5 L.F. – Errore nell’applicazione dei criteri di interpretazione della norma ex art. 12 Preleggi (art. 360 1 comma n. 3 c.p.c.)”, censurando la ricorrente la statuizione della Corte d’appello secondo cui non sarebbe sufficiente “a soddisfare l’esigenza di certezza sottolineata nella Relazione Ministeriale il deposito da parte degli amministratori della delibera al RI e l’avvenuta protocollazione della stessa, di modo che “tutti” esaminando il fascicolo presso il RI possano avere contezza dell’avvenuta deliberazione dello stato di liquidazione della società”, ed affermando, in contrario, che sarebbe sufficiente il mero deposito in quanto lo stesso sarebbe accessibile e constatabile dai terzi analogamente alla pubblicazione.

2.1 Si afferma sempre da parte della società ricorrente che la Corte di merito non avrebbe assunto alcuna “decisione su tale motivo per cui dovrebbe ritenersi pacifica la sussistenza di un error in iudicando con violazione dell’art. 112 c.p.c.”, mentre ove si fosse considerato il motivo implicitamente rigettato, allora sarebbe stata compiuta violazione dei criteri di interpretazione della norma e segnatamente l’art. 12, comma 2, Preleggi, rilevando che “il concetto di iscrizione deve essere interpretato estensivamente ricomprendendo anche il deposito e la protocollazione della domanda di scioglimento, attività che, risultando da semplice visura, soddisfano il requisito di certezza a base della modifica dell’art. 2484 c.c. operata nel 2003”.

2.2 I due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione delle questioni trattate – sono infondati.

2.2.1 Va premesso che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza espressa da questa Corte quello secondo cui, allorquando la società è in stato di scioglimento e dunque di liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 L. Fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci, non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25167 del 07/12/2016; Sez. 6-1, Ordinanza n. 24660 del 05/11/2020; Cass., Sez.1, n. 13644/2013). In realtà, l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 5 L. fall. , nei casi di società in liquidazione, si fonda sulla ratio del principio della c.d. insolvenza “statica”, che trova fondamento nella modifica dell’oggetto sociale che si verifica nella società in stato di scioglimento e di liquidazione (il cui oggetto esclusivo diviene quello di dismettere il patrimonio sociale per la soddisfazione dei creditori, con distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci) (v. ex multis, Cass. 32280/2022).

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2. 2. 2 Ma l’affermazione di tale principio vale – per quanto rileva anche in questa causa – per le società in stato di scioglimento e, dunque, di liquidazione. Secondo la giurisprudenza sopra ricordata, allorquando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini della applicazione dell’art. 5 L. fall. , deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali, vincolando la “connotazione patrimoniale” dell’insolvenza al fatto che la società sia in liquidazione.

2. 2. 3 Ciò chiarito e venendo ad esaminare le doglianze della ricorrente, ritiene il Collegio che l’articolo 2484, comma 3, del codice civile detti una regola assolutamente chiara, ossia che gli effetti delle cause di scioglimento operano nei riguardi dei terzi dalla data della pubblicazione al Registro Imprese dei relativi atti societari, e ciò, per conferire certezza circa il momento in cui per tutti i terzi la causa di scioglimento ha effetto.

Non può infatti dubitarsi che l’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera assembleare oppure dell’atto di accertamento degli amministratori rivesta efficacia costitutiva dello scioglimento stesso, in quanto da tali adempimenti la società entra nella fase liquidatoria e decorrono gli effetti dello scioglimento.

Così deve ritenersi che, ai sensi dell’articolo 2484 c.c., gli effetti dello scioglimento della società deciso dall’assemblea si producono dal momento dell’iscrizione della relativa delibera nel registro delle imprese, momento dal quale, ai sensi dell’articolo 2487 bis c.c., produce i suoi effetti anche la nomina dei liquidatori, iscrizione che assolve dunque ad una funzione costitutiva.

2.2.4 Sul punto qui da ultimo in discussione giova ricordare che una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma societaria del 2003 è rappresentata proprio dalla richiamata previsione, e cioè dall’art. 2484, comma 3, c.c., per la quale gli effetti dello scioglimento si producono, non dal momento in cui si verifica l’evento dissolutivo (come avveniva, invece, in passato), ma dal momento in cui viene iscritta nel registro delle imprese la dichiarazione con cui gli amministratori accertano la causa di scioglimento.

Gli effetti della causa di scioglimento vengono, pertanto, espressamente “postergati”, dall’art. 2484, comma 3, al momento in cui l’atto societario che accerta la causa stessa venga fatto oggetto di pubblicazione presso il registro delle imprese, ai fini di certezza giuridica, con l’ulteriore corollario, evidenziato già in dottrina, che mentre nei rapporti tra società ed amministratori – i quali sono tenuti, in forza dell’art. 2486, comma 1, ad una gestione di tipo liquidatorio (dunque, conservativa) sin dal momento del verificarsi oggettivo della causa di scioglimento – la causa di scioglimento ha effetto automaticamente, per il sol fatto oggettivo di essersi verificata; nei rapporti esterni, invece, la causa di scioglimento non può produrre effetti se non si sia dato corso all’ulteriore attività, rappresentata dalla pubblicazione dell’atto di accertamento dello scioglimento presso il registro delle imprese.

2. 2. 5 Occorre pertanto concludere nel senso che, a fronte dell’inequivoco dato normativo, la fase di liquidazione deve intendersi iniziata successivamente all’iscrizione dello stato di scioglimento, con l’iscrizione proprio nel Registro delle imprese della delibera di nomina del liquidatore.

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Detto altrimenti, dal richiamato sistema normativo emerge espressamente che il liquidatore deve ritenersi investito del potere di rappresentare la società, anche in giudizio, non già dal momento della sua nomina (assembleare o giudiziale che sia), bensì dalla data dell’iscrizione di tale nomina nel registro delle imprese, con la conseguenza che, prima che l’iscrizione sia stata eseguita, il potere di rappresentanza dell’ente resta in capo all’amministratore, cui già in precedenza spettava, non potendosi ipotizzare al riguardo alcuna soluzione di continuità (così, Cass. 26/7/2013, n. 18124).

2. 2. 6 Come ricordato anche dal P.G. nella sua requisitoria scritta (condivisa anche da questo Collegio), con riferimento all’applicazione di tale principio alla questione oggetto del presente ricorso, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di sottolineare che “È sufficiente rilevare l’infondatezza della tesi della ricorrente, secondo cui avrebbe efficacia dichiarativa l’iscrizione nel registro delle Imprese dato che è chiara la portata precettiva dell’art. 2484 c.c., comma 3, nella parte in cui dispone:” gli effetti dello scioglimento si determinano, nelle ipotesi previste dai nn. 1), 2), 3), 4) e 5) del comma 1, dalla data di iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa e, nell’ipotesi prevista dal n. 6) del medesimo comma, alla data dell’iscrizione della relativa deliberazione” (cfr. Cass. 30827/2018 in motivazione).

2. 4 Sul punto qui in esame la ricorrente eccepisce, tuttavia, che talune cause di scioglimento avrebbero effetto per gli amministratori o non già dal momento della pubblicazione ma dal loro verificarsi, e che si rintraccerebbero disposizioni specificamente indicate per le quali le decisioni risultano impugnabili da parte dei soci (e dunque avrebbero nei loro confronti efficacia) dalla loro iscrizione nel relativo libro: ciò dimostrerebbe che a livello sistematico il principio regolante la materia dell’efficacia degli atti societari sarebbe quello dell’art. 2448 cod. civ., secondo cui “gli atti per i quali il codice prescrive l’iscrizione o il deposito nel registro delle imprese sono opponibili ai terzi soltanto dopo tale pubblicazione, a meno che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza”. Rileva la ricorrente che “i terzi” – che in questo caso si incarnerebbero nel creditore procedente – erano stati posti a conoscenza della delibera, per essere stata prodotta la stessa in sede prefallimentare.

Ma anche questo ultimo argomento non merita condivisione.

Osserva, infatti, il Collegio che, se anche il principio di cui all’art. 2448 c.c. fosse norma generale, tuttavia il chiaro testo dell’art. 2484 comma 3 c.c. costituirebbe esplicita deroga poiché disciplina in modo differente una specifica fattispecie, e cioè gli atti societari relativi alle cause di scioglimento, enucleando questa disciplina speciale dal più ampio genus disciplinato dall’art. 2448 c.c.

In secondo luogo, proprio tutte le disposizioni normative citate dalla società ricorrente evidenziano la diversità di materia rispetto all’articolo 2484, comma 3, qui in esame.

2.5 In realtà, la ratio della disposizione è – come già sopra accennato – attribuire certezza al momento per cui si può dire efficace rispetto ai terzi la causa di scioglimento. La ricorrente indica invece fattispecie in cui si discute dell’efficacia di atti o fatti societari rispetto a soggetti intranei alla società, per i quali non si pone ovviamente un problema di esteriorizzazione dei fenomeni societari e di attribuire certezza al momento a partire dal quale diventino loro opponibili, essendo l’informazione circa i fatti societari connaturale alla loro qualità di soci o amministratori.

E così, ovviamente il verificarsi di una causa di scioglimento è perfettamente percepibile dall’amministratore e pertanto gli è opponibile quanto alla sua responsabilità per la conservazione del patrimonio sociale, e ciò a prescindere dalla formale iscrizione dell’atto che la rileva; viceversa egli sarà liberato da responsabilità personale nel momento in cui procederà al deposito dell’atto che rileva la causa di scioglimento. E così, ancora, i soci potranno impugnare la delibera di scioglimento della società entro novanta giorni dalla sua trascrizione nel libro delle decisioni quand’anche non sia pubblicata presso il Registro Imprese, proprio perché essi – a differenza dei terzi – concorrono o hanno il potere di concorrere nella decisione stessa, il diritto ad essere informati prima della sua adozione, il diritto di informarsi pienamente sui fatti e atti societari e le correlative facoltà di impugnazione; e tutto ciò ovviamente a prescindere dalla pubblicazione al Registro Imprese.

2. 6 In realtà, va ribadito che nel prevedere la decorrenza degli effetti per i terzi della pubblicazione dell’atto societario – che dichiara o statuisce la causa di scioglimento, l’art. 2484, comma 3, c.c. – il legislatore ha individuato un evento non sindacabile e non transeunte, che sancisce definitivamente ai terzi il mutamento della condizione giuridica dell’ente societario. Altrettanta certezza non potrebbe essere garantita – secondo invece il diverso opinamento della ricorrente – dal mero “deposito” dell’atto societario, perché è sempre facoltà del Conservatore, da un lato, “invitare il richiedente a completare o rettificare la domanda ovvero ad integrare la documentazione assegnando un congruo termine, trascorso il quale con provvedimento motivato rifiuta l’iscrizione” e dall’altro, appunto, rifiutare l’iscrizione stessa (art. 11, commi 11 e 12 DPR 581/1995). Orbene, se si adottasse come presupposto di efficacia il semplice deposito della delibera di scioglimento, in caso di pur sempre possibile rifiuto dell’iscrizione, ci si troverebbe a dover considerare in liquidazione una società che mai aveva avuto formalizzazione esteriore di tale stato. Ipotesi, quest’ultima, che urta contro la stessa ragione della previsione che risiede proprio nel conferire opportuna certezza di fronte a tutti i terzi del momento dal quale far decorrere lo stato di scioglimento.

3. Con ulteriore articolazione argomentativa, la CSSE sollecita questione di costituzionalità, già prospettata in sede di reclamo e ritenuta manifestamente infondata dalla Corte d’appello. Ritiene, cioè, la ricorrente che l’art. 2484, comma 3, cod. civ., sarebbe incostituzionale nella parte in cui farebbe decorrere l’efficacia della delibera di scioglimento alla sua pubblicazione, anziché al mero deposito, e ciò per violazione dei “criteri di ragionevolezza e proporzionalità” rispetto ad altre disposizioni in cui “gli effetti erano rimessi a momenti differenti rispetto alla materiale iscrizione … ((Omissis) ecc.)”, rispetto al principio di scissione soggettiva degli effetti della notificazione, e rispetto all’interpretazione giurisprudenziale degli effetti dell’iscrizione della notizia di reato: ciò violerebbe, nella prospettiva della ricorrente, l’art. 3 e l’art. 42 della Costituzione.

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3.2 Inoltre la società ricorrente ritiene l’incostituzionalità “dell’orientamento giurisprudenziale costituente diritto vivente secondo cui la valutazione dello stato di insolvenza per la società in attività viene operato in modo difforme da quello previsto per le società in liquidazione, e ciò anche quando la situazione patrimoniale della società sia tale da consentire agevolmente attraverso la vendita di pronta realizzazione del patrimonio immobiliare di soddisfare i creditori ammessi al passivo e a maggior ragione quando, comunque, la società abbia deliberato lo scioglimento e depositato la delibera al RI”.

3. 3 Le questioni di costituzionalità che la ricorrente sollecita, dunque, sono due, e precisamente una riguardante l’art. 2484 comma 3, c.c. e l’altra inerente il concetto di insolvenza c.d. dinamica che si applicherebbe alle società in attività, contrapposto all’insolvenza c.d. statica che si attaglierebbe a quelle in liquidazione.

3. 3. 1 Ritiene il Collegio che entrambe le questioni prospettate siano manifestamente infondate, quanto all’invocato dubbio di illegittimità costituzionale.

3. 3. 2 Partendo dall’ultima tra le due questioni prospettate, giova ricordare che l’art. 5 L. fall. definisce insolvente l’imprenditore che “non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. Con l’avverbio “regolarmente” la disposizione evidenzia che l’imprenditore attivo nel mercato sarebbe tenuto a soddisfare i suoi creditori con puntualità e sistematicità, in modo da salvaguardare l’interesse pubblicistico alla stabilità del tessuto economico. La diversa tesi della società ricorrente vorrebbe invece che l’impresa in attività non possa considerarsi insolvente qualora disponga di un attivo patrimoniale tale da soddisfare i suoi debiti mediante mere operazioni liquidatorie, e che nell’ambito di un giudizio prefallimentare si dovrebbe avere riguardo al valore del patrimonio dell’imprenditore e non alla sua concreta capacità di far fronte “regolarmente” alle passività attraverso lo svolgimento di attività di impresa. Ciò comporterebbe, tuttavia, l’elisione dall’art. 5 L. fall. dell’avverbio “regolarmente”, invece presente nel tessuto normativo in esame, lasciando che l’insolvenza di ogni imprenditore possa, dunque, essere apprezzata solo attraverso la lente della sua capacità patrimoniale, e ciò a prescindere dalla concreta possibilità di quest’ultima di trasformarsi in liquidità facilmente spendibile. Si tratterebbe, sì, quest’ultima di una interpretazione in evidente con contrasto con i principi costituzionali posti proprio a presidio della libertà di impresa (art. 41 Cost.) e del risparmio e dell’esercizio del credito (art. 47 Cost.).

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2. 4. 4 Ma anche la prima questione di costituzionalità è manifestamente infondata.

Va ricordato che le direttive contenute nella legge delega (al D.Lg. 6/2003) erano destinate proprio a semplificare e a dare certezza nei confronti di tutti del momento in cui lo scioglimento avesse avuto effetto. E si è già evidenziato che il “deposito” presso il Registro Imprese della delibera di scioglimento non costituisce di per sé condizione di stabilità, e ciò anche in ragione dei poteri del Conservatore e delle dinamiche che con il depositante dell’atto possono innescarsi, come potrebbe accadere con richieste di chiarimenti, inerzia della società rispetto a tali richieste e dunque rifiuto di pubblicazione, ovvero ancora impugnativa giudiziale del rifiuto di pubblicazione, inerzia della società ad un nuovo deposito dopo il rifiuto.

Ciò induce a ritenere con sicurezza che per la disciplina normativa attualmente in vigore il mero deposito non si possa tradurre necessariamente in certezza circa la formalizzazione all’esterno dello stato di scioglimento.

Del resto, il parametro costituzionale che – secondo la ricorrente – sarebbe violato dalla disposizione di cui si assume l’illegittimità risulta invece perfettamente coerente con la scelta del legislatore di conferire certezza al momento in cui considerare la società in stato di scioglimento e di liquidazione.

Né si assiste ad alcuna violazione dell’art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza in relazione alle altre disposizioni o istituti che richiama la ricorrente, posto che, con riguardo alle disposizioni civilistiche che fanno decorrere gli effetti degli atti societari “a momenti differenti rispetto alla materiale iscrizione”, va infatti osservato che quest’ultime disposizioni risultano poste a presidio di assetti e di interessi differenti, di soci ed amministratori, e non certo della conoscenza da parte dei terzi dello stato di scioglimento.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

Gli effetti della deliberazione che ha deciso lo scioglimento e la liquidazione si producono dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2024.

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