Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10979.
Donazioni di beni futuri e le liberalità risultanti da atti diversi
L’art. 809 c.c., nell’indicare quali norme della donazione siano applicabili alle liberalità risultanti da atti diversi da essa, va interpretato restrittivamente, nel senso che alle liberalità anzidette non si applicano tutte le altre disposizioni non espressamente richiamate; ne consegue che al negotium mixtum cum donatione non si applica l’art. 771 c.c. non essendo richiamato dall’art. 809 c.c.
Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10979. Donazioni di beni futuri e le liberalità risultanti da atti diversi
Data udienza 10 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Donazione – Atti di liberalita’ – Disciplina liberalità diverse dalla donazione – Norme non richiamate dall’art. 809 c.c. – Inapplicabilità – Negotium mixtum cum donatione – Applicabilità dell’art. 771 c.c. – Esclusione.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta da:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere Rel. Est.
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 7439/2019 R.G. proposto da:
(…) Sas (…), c.f. (Omissis), rappresentata e difesa dall’avv. Be.Ba. e dall’avv. St.Ba., con domicilio digitale … e …
ricorrente
contro
Gi.Sp., c.f. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Sa.Gr., elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. Gi.Ca. in (…), ammesso in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di cassazione con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari del 3-4-2019
controricorrente e ricorrente in via incidentale
avverso la sentenza n. 1137/2018 della Corte d’appello di Cagliari pubblicata il 24-12-2018
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10-4-2024 dal consigliere Linalisa Cavallino
Donazioni di beni futuri e le liberalità risultanti da atti diversi
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione del 29-6-2011 (…) Sas di (…) ha convenuto avanti il Tribunale di Cagliari Gi.Sp., esponendo che con contratto preliminare del 30-6-2010 si era obbligata a vendere al convenuto appartamento in fabbricato in costruzione a Cagliari, per il prezzo di Euro 130.000,00; nel contratto era stato pattuito che, per i rapporti di amicizia esistenti tra le parti, lo Gi.Sp. avrebbe dovuto pagare il minore importo di Euro 60.000,00, versato alla stipula del preliminare; l’unità immobiliare era stata ultimata nel termine pattuito, salvi i tempi necessari per eseguire le modifiche richieste dallo Gi.Sp., ma lo stesso nonostante i solleciti si era sottratto all’obbligo di verificare in contraddittorio l’opera e di indicare il notaio e la data per la stipula del contratto definitivo; quindi la società attrice aveva eseguito unilateralmente il collaudo finale e aveva comunicato allo Gi.Sp. che il prezzo concordato era eccessivamente inferiore rispetto a quello di mercato, formalizzando diffida ad adempiere e chiedendo pagamento di maggiore somma. La società attrice ha chiesto che, poiché il termine assegnato con la diffida ad adempiere era decorso senza esito, fosse dichiarata la risoluzione di diritto del contratto preliminare e, in subordine, la rescissione per lesione.
Gi.Sp. si è costituito contestando la domanda, in quanto vi erano stati ritardi da addebitare solo alla società costruttrice e l’immobile non era mai stato ultimato; ha chiesto in via riconvenzionale la pronuncia di sentenza ex art. 2932 cod. civ. e la condanna della convenuta al pagamento della penale pattuita di Euro 30,00 per ogni giorno di ritardo nella consegna, oltre al risarcimento degli ulteriori danni riferiti al canone di locazione di altro alloggio, corrisposto per non avere potuto utilizzare l’immobile.
Con sentenza n. 1770/2017 il Tribunale di Cagliari ha rigettato le domande dell’attrice e ha accolto sia la domanda riconvenzionale proposta ex art. 2932 cod. civ. sia la domanda riconvenzionale di pagamento di penale dalla data fissata di ultimazione dei lavori del I-12-2010 a quella del I-3-2011, per l’importo di Euro 2.700,00 con interessi.
2. (…) Sas ha proposto appello principale e Gi.Sp. appello incidentale, che la Corte d’appello di Cagliari ha integralmente rigettato con sentenza n. 1137/2018 pubblicata il 24-12-2018, compensando le spese del grado.
3. Avverso la sentenza (…) s.a.s di (…) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Gi.Sp. ha resistito con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio la società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 10-4-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce “violazione di norme di legge ex art. 183 VI comma c.p.c. ex art. 184 c.p.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. erronea applicazione di decadenza relativamente al deposito dei documenti in prova contraria nella memoria ex art. 183 VI comma n. 3 c.p.c.”. Evidenzia che, a prova contraria dell’affermazione del convenuto Gi.Sp. nella sua memoria ex art. 183 co.6 n. 2 cod. proc. civ. secondo la quale l’immobile non era terminato, aveva depositato nella propria terza memoria ex art. 183 cod. proc. civ. il doc. 9 costituito dal verbale di fine lavori in data I-3-2011, per cui dichiara di non comprendere per quale ragione il Tribunale non abbia ammesso il documento e lamenta che la Corte d’appello, dichiarando di non ammettere tutte le istanze istruttorie richieste dall’appellante, non abbia ammesso i documenti depositati con la terza memoria e in particolare il doc. 9.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “violazione di norme di legge ex art. 183 VI comma c.p.c., ex art. 184 c.p.c., ex art. 112 c.p.c., ex art. 360 n. 4 c.p.c. – nullità per violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e per omessa pronuncia”; lamenta che la sentenza impugnata nulla dica sui documenti depositati con la terza memoria ex art. 183 cod. proc. civ. di cui ai numeri 9/10/11; sostiene che, invece, i documenti avrebbero dovuto essere ammessi, in quanto costituivano prova contraria e dimostravano una ricostruzione dei fatti decisiva ai fini della valutazione della fondatezza della domanda della società.
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3. Il primo e secondo motivo, trattati unitariamente stante la stretta connessione, sono entrambi inammissibili.
La sentenza impugnata ha dichiarato che con il primo e terzo motivo di gravame la società appellante aveva censurato la sentenza di primo grado per non avere ammesso la prova per interrogatorio formale e per testi; invece, la sentenza non fa alcun riferimento alla doglianza riferita alla mancata ammissione dei documenti e quindi la ricorrente, al fine dell’ammissibilità del motivo di ricorso, per rispettare la previsione dell’art. 366 co.1 n. 6 cod. proc. civ., avrebbe dovuto specificamente fare riferimento al proprio motivo di appello, per dimostrare di avere devoluto alla cognizione del giudice di appello la questione relativa alla mancata ammissione dei documenti. Infatti la Cassazione, quale giudice del fatto processuale, può esaminare direttamente gli atti processuali se e in quanto il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità del relativo motivo di ricorso, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimata a procedere a una autonoma ricerca, ma solo alla verifica del contenuto degli atti (Cass. Sez. 2 14-10-2021 n. 28072 Rv. 662554-01, Cass. Sez. 3 3-11-2020 n. 24258 Rv. 659845-02). In mancanza di ciò e quindi non sussistendo alcun elemento utile a ritenere che la ricorrente avesse formulato specifico motivo di appello volto a lamentare la mancata ammissione dei documenti, non sono neppure in astratto prospettabili le violazioni di legge lamentate dalla ricorrente, non potendo né dovendo la Corte d’appello pronunciare sulla questione dell’ammissione dei documenti che non era proposta dall’appellante.
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I motivi sono inammissibili anche sotto ulteriori profili.
Con riguardo al doc.9, la ricorrente sostiene che tale documento – verbale di fine lavori di data 1-3-2011 – dimostrasse il termine dei lavori a quella data, ma la sentenza impugnata ha dato per acquisito il fatto che i lavori a quella data fossero terminati; infatti, ha considerato che con la missiva inviata in data 1-3-2011 la società aveva comunicato la fine dei lavori e ne ha escluso la rilevanza non perché i lavori non fossero finiti, ma per il fatto che la venditrice non aveva dato esecuzione agli ulteriori adempimenti previsti dall’art. 7 del contratto preliminare. Quindi, con riferimento a tale documento n. 9 non vi è neppure l’interesse della ricorrente a proporre i motivi di ricorso.
Con riguardo ai docc. 10 e 11, la ricorrente non ne richiama neppure genericamente il contenuto e quindi il motivo è inammissibile per la violazione dell’art. 366 co.1 n. 6 cod. proc. civ., che si risolve anche nell’impossibilità di apprezzare l’interesse all’acquisizione e alla disamina di questi documenti.
4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione ex art. 1454 c.c., ex art. 1455 c.c., art. 1457 c.c. ex art. 2697 c.c.; art. 360 comma primo n. 3 e n. 5 c.p.c. – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio”. Evidenzia che alla data del I-3-2011 i lavori erano terminati, come certificato dal verbale di fine lavori del direttore dei lavori; quindi sostiene che da tale data, nella quale aveva inviato missiva al promissario acquirente, lo stesso era obbligato a sottoscrivere il contratto definitivo entro quindici giorni, come previsto dall’art. 7 del contratto preliminare, con la conseguenza che già dal marzo 2011 il contratto preliminare era risolto per responsabilità imputabile solo al promissario acquirente. Lamenta altresì che sia stata ritenuta non valida la diffida del I-6-2011, in quanto la stessa era perfettamente idonea a provocare la risoluzione del contratto.
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4.1. Il motivo è inammissibile in quanto si limita a proporre una diversa ricostruzione dei fatti in termini non consentiti nel giudizio di legittimità, senza individuare alcuna erronea ricognizione della fattispecie astratta che possa integrare la violazione di Legge lamentata (cfr. Cass. Sez. 1 5-2-2019 n. 3340 Rv. 652549-02) ed evocando una insufficienza e contraddittorietà della motivazione, che non costituisce vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. nella formulazione attuale che si applica alla fattispecie (cfr. Cass. Sez. U 74-2014 n. 8053 Rv. 629830-01) e non è neppure sussistente.
Con riguardo alla missiva del I-3-2011 con la quale la società aveva comunicato allo Gi.Sp. che il direttore dei lavori aveva firmato il verbale di fine lavori e lo aveva invitato a comunicare entro sette giorni la data dell’appuntamento con il notaio, la sentenza ha considerato (pag. 14) che lo Gi.Sp. aveva risposto con lettera del 9-3-2011, nella quale aveva chiesto un incontro in cantiere con la partecipazione del direttore dei lavori per la definizione di ogni dettaglio; ha dichiarato che, nonostante la predetta richiesta, non risulta vi fosse mai stata una verifica in contraddittorio tra le parti, né un verbale di fine lavori in contraddittorio; ha dichiarato che in tal modo la società venditrice non aveva fatto seguito al procedimento previsto dall’art. 7 del contratto finalizzato alla stipula del contratto definitivo; quindi ha rilevato che il mancato rispetto da parte della società delle regole procedurali non aveva fatto decorrere per il promittente acquirente il termine di quindici giorni previsto per la convocazione avanti al notaio ed escludeva l’inadempimento dello Gi.Sp. In questo modo la sentenza impugnata ha escluso, sulla base dell’interpretazione dell’art. 7 del contratto non censurata dal ricorrente e della ricostruzione dei fatti che il ricorrente non considera e rimane esterna al sindacato di legittimità, che a marzo 2011 sussistesse l’inadempimento del promissario acquirente sostenuto dalla ricorrente.
Con riguardo alla diffida di data 1-6-2011, la sentenza (pag.12) ha considerato che in essa la società aveva espressamente dato atto che gli accordi assunti relativamente al prezzo non potevano essere ripetuti davanti al notaio; ha evidenziato che in questo modo la diffida era volta a chiedere l’adempimento di prestazioni mai pattuite o contrarie agli accordi già conclusi, aggiungendo che la venditrice aveva chiaramente lasciato intendere che non avrebbe stipulato il contratto definitivo laddove non fosse stato rivisto il prezzo; sulla base di questi dati ha escluso che l’omessa fissazione di un appuntamento per il rogito integrasse inadempimento. Quindi, anche con riguardo alla diffida 1-62011 il giudice di merito, svolgendo l’indagine di fatto che gli era spettante, ha eseguito una interpretazione del suo contenuto che non è oggetto di censura svolta in modo pertinente dalla ricorrente, che avrebbe dovuto lamentare la violazione dei canoni di interpretazione dei negozi giuridici e non può limitarsi a riproporre la diversa lettura dell’atto favorevole alle sue tesi (cfr. Cass. Sez. 1 9-4-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, per le corrette modalità di deduzione di violazione dei canoni di interpretazione dei contratti, valevoli anche per la deduzione della violazione dei canoni di interpretazione dei negozi unilaterali). Sulla base di questa interpretazione, esattamente il giudice di merito ha anche escluso che la diffida comportasse la risoluzione del contratto, essendo già stato posto il principio che la diffida ad adempiere con la quale si intimi il pagamento di importo superiore al dovuto non determina la risoluzione di diritto del contratto ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., perché in tale caso è l’intimante che non intende adempiere al contratto (Cass. Sez. 1 26-4-2023 n. 10968 Rv. 667679-01, Cass. Sez. 2 30-10-2017 n. 25736 Rv. 645951-01, Cass. Sez. 2 23-11-2012 n. 20742 Rv. 624044-01).
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5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa interpretazione ex art. 1448 c.c.; art. 244 e 245 cod. proc. civ.; art. 360 comma primo n. 3 e n. 5 c.p.c. – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” e lamenta che sia stata rigettata la sua domanda di rescissione del contratto preliminare per lesione. Sostiene che la Corte di merito con motivazione apparente, illogica e irrazionale abbia escluso l’esistenza dello stato di bisogno, che pure sarebbe stato desumibile dalla pattuizione di prezzo in misura inferiore di oltre la metà; lamenta l’erronea applicazione degli artt. 244 e 245 cod. proc. civ. in ordine alla mancata ammissione dei capitoli di prova orale.
5.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo, non sussiste alcuna violazione dei principi sull’ammissione della prova orale, perché la Corte d’appello ha dichiarato che i capitoli erano inammissibili non solo in quanto facevano riferimento a una imprecisata data anteriore alla stipulazione del preliminare, unico profilo contestato dalla ricorrente, seppure senza dedurre elementi per ritenere che tale valutazione fosse erronea; la Corte ha aggiunto che i capitoli di prova implicavano giudizio sulle ragioni che avevano indotto la società ad applicare un prezzo inferiore e che quanto dedotto con la prova orale si poneva in contrasto con il contenuto del contratto, laddove era stato espressamente indicato che il prezzo era stato giustificato dai rapporti di particolare amicizia tra le parti. Ha altresì aggiunto che l’allegata e indimostrata coartazione morale attuata dallo Gi.Sp. non avrebbe impedito alla società, una volta instaurato il giudizio, al fine di dimostrare l’allegata situazione economico patrimoniale, di produrre documentazione, quali i bilanci della società alla data della conclusione del contratto preliminare, dai quali sarebbe stato agevolmente possibile trarre la prova dello stato di bisogno ai fini della rescissione del contratto per lesione. Ha altresì osservato che le deduzioni istruttorie, per come formulate, non consentivano di ritenere che allo Gi.Sp. fosse stato comunicato quale fosse la situazione patrimoniale-economica della società, né consentivano di ritenere che tra le parti non vi fosse un rapporto di amicizia. Infine, ha osservato che lo Gi.Sp. aveva prodotto il contratto preliminare già stipulato con (…) in data 8-5-2007, avente a oggetto il medesimo immobile, nel quale il corrispettivo era stato pattuito in Euro 60.000,00; il dato che nel 2010 le parti avessero stipulato altro preliminare, lasciando inalterato l’originario prezzo in considerazione dei rapporti di amicizia tra loro intercorrenti, induceva a ritenere che l’eccessivo protrarsi dei tempi di realizzazione dell’immobile, unitamente ai rapporti di amicizia tra le parti, avevano costituito la ragione per confermare il prezzo originariamente concordato.
In questo modo la sentenza ha esposto in modo non solo rispettoso del minimo costituzionale, ma anche logico e particolarmente completo le ragioni per le quali ha escluso l’ammissione delle prove orali, in quanto inidonee a dimostrare lo stato di bisogno della società e l’approfittamento dello stato di bisogno da parte dell’altro contraente, e perciò in ragione della mancanza di decisività ai fini della decisione. L’ulteriore tesi della ricorrente, secondo la quale era la sproporzione del prezzo concordato in sé a dovere fare propendere per l’esistenza dei requisiti della rescissione del contratto per lesione non si confronta con la giustificazione di tale sproporzione fornita dalla sentenza impugnata, con valutazione in fatto incensurabile in questa sede, in quanto esente da vizi logici e giuridici. È pacifico e non posto in dubbio neppure dalla ricorrente che la sproporzione tra le prestazioni non sia requisito sufficiente della rescissione per lesione, in quanto l’azione generale prevista dall’art. 1448 cod. civ. richiede la simultanea presenza di tre requisiti: non solo l’eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, ma anche l’esistenza di uno stato di bisogno (inteso non come assoluta indigenza, ma come situazione di difficoltà economica che incida sulla libera determinazione a contrarre e costituisca il motivo dell’accettazione della sproporzione tra le prestazioni da parte del contraente danneggiato) e, infine, l’avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall’altrui stato di bisogno, del quale era consapevole (Cass. Sez. 1 13-2-2009 n. 3646 Rv. 606889-01, Cass. Sez. 2 6-3-2007 n. 5133 Rv. 596232.01). La sentenza ha espressamente escluso anche che le deduzioni istruttorie fossero idonee a dimostrare la consapevolezza dello stato di bisogno della società in capo allo Gi.Sp. e le deduzioni della ricorrente non sono volte a censurare in modo ammissibile neppure tale statuizione.
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6. Con l’ultimo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione ex art. 771 c.c.; art. 1418 c.c.; art. 36 comma primo n. 3 n. 5 c.p.c. – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” e sostiene che, poiché il prezzo di vendita era stato convenuto per una cifra pari a oltre la metà del valore indicato, il contratto era negotium mixtum cum donatione e quindi era nullo per il divieto di donazione di beni futuri, in quanto l’immobile non era ancora stato realizzato al momento della conclusione del contratto; poiché la nullità è rilevabile d’ufficio, sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, l’eccezione fosse proponibile in appello.
6.1. II motivo è infondato, per la ragione assorbente rispetto a ogni altra che al negotium mixtum cum donatione non si applica previsione dell’art. 771 cod. civ. Deve farsi applicazione del principio secondo il quale l’art. 809 cod. civ., nell’indicare quali norme della donazione siano applicabili alle liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione – quali il negotium mixtum cum donatione – va interpretato restrittivamente, nel senso che alle liberalità anzidette non si applicano tutte le altre disposizioni non espressamente richiamate; il principio è stato posto da Cass. Sez. 2 16-6-2014 n. 13684 Rv. 631239-01 e Cass. Sez. 2 12-11-1992 n. 12181 Rv. 479489-01 con riferimento all’inapplicabilità dell’art. 778 cod. civ. sui limiti del mandato a donare in negotium mixtum cum donatione ed è ugualmente valido nella fattispecie, in quanto l’art. 771 cod. civ. sulla nullità della donazione di beni futuri non è richiamato dall’art. 809 cod. civ.
7. Procedendo alla disamina dei motivi di ricorso incidentale, con il primo motivo Gi.Sp. deduce “violazione e/o falsa applicazione delle norme di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 1367 c.c. e 1369 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c.; art. 111 Costituzione; art. 118 disp. att. c.p.c.; art. 132 comma n. 4 c.p.c. – nullità della sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. con riferimento all’art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c.”e lamenta che la sentenza impugnata, rigettando il suo motivo di appello incidentale, abbia limitato la penale da ritardo alla data di redazione del verbale di fine lavori di data 1-32011. Sostiene che la sentenza impugnata abbia violato i canoni di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1367 e 1369 cod. civ. e il principio di cui all’art. 1218 cod. civ., in quanto l’art. 7 del contratto prevedeva che, in caso di ritardo nella consegna, la parte promittente venditrice avrebbe dovuto pagare l’importo di Euro 30,00 per ogni giorno di ritardo, era inconferente il riferimento alla redazione del verbale di fine lavori e la volontà delle parti era quella di ancorare la penale al ritardo nella consegna dell’immobile; evidenzia che, secondo la lettura datane dalla sentenza, il promissario acquirente rimarrebbe privo della posta risarcitoria qualora il promittente venditore ultimasse le opere ma non le consegnasse; quindi sostiene che il termine ultimo di debenza della penale debba coincidere con la data in cui era stato effettivamente consegnato l’immobile o, in via subordinata, con la data in cui il promissario acquirente ha accettato l’immobile nello stato in cui si trovava, e perciò alla data del 7-11-2011 del deposito della comparsa di risposta nel giudizio di primo grado. Lamenta altresì il difetto di motivazione tale da determinare la nullità della sentenza, in quanto da una parte la sentenza ha ritenuto che la redazione “unilaterale” del verbale di fine lavori non comportava il decorso del termine per la designazione del notaio da parte del promissario acquirente, proprio perché il verbale era stato redatto in violazione degli accordi assunti, e dall’altra parte ha ritenuto che il verbale individuava il termine finale di debenza della penale.
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7.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha considerato che l’art. 7 del contratto preliminare espressamente prevedeva che la costruzione dell’unità immobiliare avrebbe dovuto essere ultimata entro il 30-11-2010 e, nel caso del protrarsi dei tempi di consegna, la parte promittente venditrice avrebbe dovuto corrispondere Euro 30,00 per ogni giorno di ritardo. Ha altresì considerato che nello stesso articolo era specificato che la penale non era più dovuta una volta redatto il verbale di fine lavori. A fronte di questo contenuto letterale del contratto, la sentenza ha dichiarato che la penale non era stata pattuita per il ritardo fino alla data della consegna, ma aveva come termine ultimo quello del verbale di fine lavori, che era stato redatto in data 1-3-2011. Quindi, la sentenza ha eseguito l’interpretazione letterale della clausola contrattuale, laddove aveva specificamente previsto che la penale non era più dovuta una volta redatto il verbale di fine lavori; tale interpretazione si sottrae alle critiche del ricorrente incidentale, in quanto nell’interpretazione del contratto il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, mentre soltanto se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362 all’art. 1365 cod. civ. e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 all’art. 1371 cod. civ. (Cass. Sez. 2 11-11-2021 n. 33451 Rv. 66275301).
La sentenza ha altresì espressamente dichiarato che, seppure l’omessa redazione del verbale di fine lavori in contraddittorio con lo Gi.Sp. non aveva fatto decorrere per lo stesso l’obbligo di attivarsi per la designazione del notaio, la proposizione da parte sua della domanda ex art. 2932 cod. civ. manifestava la sua volontà di ottenere il trasferimento dell’immobile nello stato in cui si trovava in data 1-3-2011, ossia alla data in cui il direttore dei lavori aveva certificato l’ultimazione dei lavori stessi. In questo modo la sentenza non è affetta da vizio di motivazione sindacabile in sede di legittimità, in quanto è denunciabile solo l’anomalia della motivazione che si traduca in violazione di legge costituzionalmente rilevante, per essere attinente all’esistenza della motivazione in sé (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01). La motivazione non è né inesistente, né apparente, né perplessa e obiettivamente incomprensibile né fondata sul contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili: la sentenza ha espressamente dato atto che il verbale di fine lavori, in quanto non era stato redatto nel contraddittorio, non faceva decorrere per il promissario acquirente il termine per attivarsi per la designazione del notaio, ma nel contempo ha preso atto dell’esplicita previsione contrattuale secondo la quale la penale non era più dovuta dal momento della redazione del verbale di fine lavori.
8. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 1218 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c.; art. 111 Costituzione; art. 118 disp. att. c.p.c.; art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c. – nullità della sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. con riferimento all’art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c.” e lamenta che sia stata rigettata la domanda volta a ottenere l’ulteriore risarcimento del danno patito per il mancato godimento dell’immobile. Evidenzia che, diversamente da quanto dichiarato dalla sentenza, egli aveva chiesto di ottenere il trasferimento di proprietà dell’immobile già prima del giudizio, con la raccomandata del 15-6-2011; lamenta che la sentenza abbia ritenuto che, per il fatto che egli aveva preso in locazione immobile a uso abitativo con contratto che aveva scadenza in data successiva al termine di consegna dell’immobile e per il fatto che nel contratto preliminare si era riservato di nominare un terzo acquirente, non risultasse dimostrato che egli avesse acquistato l’immobile per adibirlo a propria abitazione; aggiunge che non è mai stato contestato il versamento da parte sua di canone di locazione per l’alloggio locato, che non ha rilievo neppure il dato che il contratto di locazione fosse nullo per omessa registrazione ed evidenzia che la conclusione della locazione avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello a ritenere provato l’ulteriore danno, riferito al fatto che l’immobile pagato per intero non gli era stato consegnato, ma anche al fatto di avere dovuto prolungare la durata del contratto di locazione in attesa di prendere possesso dell’immobile.
8.1. Il motivo è inammissibile, in quanto la sentenza ha rigettato la domanda di risarcimento del danno in forza di distinte rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sorreggere la decisione adottata e che non sono state tutte oggetto di censura, per cui la ratio non censurata di per sé sostiene la decisione (Cass. Sez. 1 14-8-2020 n. 17182 Rv. 658567-01, Cass. Sez. 3 18-4-2019 n. 10815 Rv. 653585-01).
La sentenza impugnata, al fine di rigettare la domanda di risarcimento del danno riferito ai canoni di locazione pagati per non avere altra soluzione abitativa, non ha espresso soltanto le ragioni oggetto di critica del ricorrente incidentale, riferite alla stipulazione di contratto di locazione la cui durata andava ben oltre i tempi previsti per la consegna dell’immobile e alla previsione dell’art. 15 del preliminare secondo la quale il promissario acquirente si riservava di nominare un terzo. La sentenza ha espressamente dichiarato che, nel caso di cumulo della penale per il ritardo e della prestazione risarcitoria per l’inadempimento, era necessario tenere conto dell’entità del danno ascrivibile al ritardo, che era già stato autonomamente considerato nella determinazione della penale; ha evidenziato che, qualora la parte adempiente non volesse limitare la propria richiesta alla penale ma intendesse chiedere la liquidazione del danno, doveva dimostrarne l’effettiva entità, perché non poteva altrimenti risultare provato il danno ulteriore, cioè superiore all’entità della penale; ha aggiunto che lo Gi.Sp. non aveva neppure dedotto quali diversi danni avrebbe coperto la penale pattuita, così che la stessa non poteva che imputarsi proprio a risarcire il danno per non avere potuto avere la disponibilità dell’immobile. Il ricorrente incidentale non censura queste statuizioni, in sé sufficienti a supportare il rigetto della sua domanda di risarcimento del danno, e pertanto il motivo di ricorso è inammissibile.
9. In conclusione il ricorso principale e il ricorso incidentale sono integralmente rigettati e, in considerazione della reciproca soccombenza, sono compensate le spese del giudizio di legittimità.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente
principale e del ricorrente incidentale, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il rispettivo ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese di lite del giudizio di legittimità. Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il 10 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2024.
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